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Autore: Fragolina84    29/11/2013    1 recensioni
"Non c'era possibilità di vivere senza di lei, tanto che il primo impulso fu quello di staccare il reattore dalla piastra nel suo petto e lasciare che le schegge ancora nel suo corpo trovassero la strada verso il suo cuore. O quello che restava del suo cuore, perché Victoria l'aveva appena fatto a pezzi. Sarebbe bastata una settimana, poi tutto sarebbe finito"
Per il titolo di questo lavoro mi sono inchinata all’inglese. Trovo che I belong to you sia più musicale della sua traduzione in italiano: io appartengo a te.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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É proprio impossibile non innamorarsi di Tony Stark!
É la mia prima fanfiction sul mondo di Ironman, ma dubito che rimarrà l'unica!
Spero che vi emozioni come ha emozionato me scriverla.
Grazie per ogni commento che vorrete lasciarmi.
Buona lettura!

 

Era stato il trillo insistente del cellulare a svegliare Victoria. Tony, che dormiva appoggiato alla sua schiena cingendola con un braccio, non si era nemmeno mosso.
«Tony» lo chiamò. Guardò l’ora: erano le due e dodici.
Il cellulare continuava a vibrare e squillare sul comodino di Tony e la donna si mosse, infastidita.
«Tony!» lo chiamò per la seconda volta.
Finalmente Tony si svegliò. Si staccò da lei e rotolò sulla schiena. Afferrò il cellulare e aprì la comunicazione.
«Stark» disse. Rimase in ascolto per qualche secondo. «Va bene, sto arrivando» disse infine.
Victoria si voltò verso di lui. «Ancora?»
«Mi dispiace, Vicky».
«Sono le due, Tony. E sei tornato meno di quattro ore fa» protestò.
Lui si strinse nelle spalle. «Hai voluto il supereroe?» disse, abbassandosi su di lei per baciarla.
«Non l’ho voluto. Io volevo Tony Stark, il resto era compreso nel pacchetto» sussurrò lei sulle sue labbra.
Tony la baciò e la donna avvertì la solita scarica di desiderio, ardente come fuoco pompato dritto nelle vene. Con Tony era sempre stato così, sin dalla prima volta. Stavano insieme da ormai un anno, che era un bel record per il grande Tony Stark, famoso per le sue avventure di una notte e via. Gli sfiorò le labbra con la lingua e inarcò la schiena per cercare il contatto con il suo corpo.
«Mi farai fare tardi» disse lui in un soffio.
«Non ti sto trattenendo» rispose, socchiudendo maliziosamente gli occhi e stiracchiandosi come una gatta. Tony ringhiò qualcosa e con una mano le bloccò le braccia sopra la testa, usando l’altra per sostenersi e non pesarle addosso. Victoria lo cinse con una gamba mentre la sua bocca le dava il tormento, scendendo a baciarle il collo e lambendo la pelle morbida della gola.
«Signore?»
«Jarvis, quante volte ti ho detto che non devi sbirciare nella mia camera da letto?» disse Tony, interrompendosi un attimo e sollevando il capo.
«Non sto sbirciando, signore. Ma ho registrato la chiamata e mi chiedevo come mai non fosse ancora sceso».
Jarvis era il sistema di intelligenza artificiale che gestiva tutta la casa. Ogni stanza aveva una sofisticata centralina che permetteva di comunicare con Jarvis da ogni punto dell’enorme residenza di Malibu. Jarvis gestiva tutto: dalla temperatura del frigorifero a tutti gli apparati altamente tecnologici che riempivano il piano interrato e che erano la base operativa di Tony.
«Arrivo, Jarvis» disse Tony sconsolato. Poi si abbassò di nuovo su Victoria: «Vorrei fermare il tempo per ritrovarti così quando tornerò».
«Ci sarò» promise. «Cerca di tornare presto e tutto intero» disse, pronunciando l’augurio con cui salutava ogni sua partenza.
Tony scese agilmente dal letto e uscì. Percorse la scala che portava al seminterrato, con le luci che si accendevano man mano che scendeva.
«Benvenuto, signor Stark» lo salutò Jarvis aprendogli la porta.
«Poche chiacchiere, Jarvis. Sono le due del mattino e invece di stare a letto con la mia donna devo andare a salvare il mondo. Non sono dell’umore migliore».
Accanto a lui, il braccio robotico che era uno dei suoi primi prototipi – e che Tony chiamava Ferrovecchio – si mosse ed emise qualche rumore elettronico.
«Non mi aspetto che tu capisca, pezzo di latta» borbottò Tony. Mentre parlava, si posizionò sulla pedana e Jarvis diede l’avvio alla sequenza di trasformazione. La sua armatura venne sistemata pezzo per pezzo in pochi istanti.
«Siamo online, signore» informò Jarvis.
Tony diede potenza ai razzi che gli permettevano di volare e uscì dal laboratorio. Passò davanti alla finestra della camera, ben sapendo che Victoria lo stava osservando e poi volò via.
E Victoria stava effettivamente guardando fuori. Sospirò mentre le scie luminose dei razzi svanivano in lontananza e si rassegnò a passare l’ennesima notte da sola. Ma non riusciva a riprendere sonno. La mente vagava e volò al primo incontro con Tony.
Quella sera di un anno prima era uscita con alcuni amici a festeggiare il successo del loro spettacolo teatrale. Victoria aveva infatti frequentato la prestigiosa Accademia Americana di Arti Drammatiche di New York, spiccando per le sue doti di attrice. In quei giorni lei e la sua compagnia erano a Los Angeles per uno spettacolo che stava avendo un discreto successo.
Victoria non l’aveva notato nel bar se non quando era uscita dal locale e aveva visto un’Audi R8 targata Stark4 parcheggiata in modo da bloccare la sua auto. Vagamente irritata, aveva salutato gli amici che si erano allontanati ed era rientrata nel pub, fermandosi a chiedere informazioni al barista.
«Audi? Può essere solo di Tony» aveva risposto quello, indicando un angolo riparato del bar.
La donna aveva cercato di raggiungere il tavolo ma era stata bloccata da quello che, con tutta evidenza, era un bodyguard.
«Mi dispiace, signorina. Il signor Stark non desidera visite».
Victoria capì solo in quel momento di chi si trattava e si diede dell’idiota per non averlo intuito prima, per non aver collegato la targa dell’Audi. Qualsiasi giornale di gossip era uscito con almeno un’edizione con Tony Stark in copertina. Era un miliardario viziato e vizioso, per quello che ne sapeva. Un figlio di papà che aveva ereditato una fortuna con le Stark Industries, azienda leader nel settore degli armamenti.
Aveva letto che Tony era stato un piccolo genio che si era laureato, migliore del suo corso, al MIT e che aveva preso in mano l’azienda dandole nuovo slancio e vitalità, ma non era finito sui giornali solo per quello. I flirt attribuiti al playboy di Malibu riempivano una lista che si allungava di settimana in settimana, giacché Tony Stark era famoso per non partecipare a due feste consecutive accompagnato dalla stessa donna.
Nonostante tutto, Victoria non era tipo da provare timori reverenziali nei confronti di chi, a suo avviso, altro non era che un bambino viziato un po’ troppo cresciuto.
«Fuori è parcheggiata una R8 che blocca la mia auto».
«Probabile» disse una voce. «Ho la brutta abitudine di parcheggiare sempre dove mi pare».
Victoria era rimasta sconcertata dalla risposta strafottente, ma non era tipo da farsi cogliere alla sprovvista.
«Benissimo. Vuol dire che la prossima volta continuerà a parcheggiare la sua Audi ammaccata dove più le aggrada. Buona serata» replicò e si girò per andarsene.
«Ehi, ehi! Ferma lì» aveva intimato Stark ed erano bastate quelle poche semplici parole a bloccarla.
Si era girata lentamente e, anche dopo più di un anno, riusciva a ricordare con esattezza la sensazione che aveva provato nel fissare lo sguardo nei suoi occhi castani. Tony Stark aveva i capelli scuri pettinati all’indietro, fissati in elegante disordine esattamente come li portava adesso. Le labbra erano atteggiate in un sorriso indolente e doveva ammettere che l’accenno di baffi e pizzetto che aveva lo rendeva estremamente sexy. Si era rimproverata immediatamente per quei pensieri inopportuni, ma Tony Stark emanava un magnetismo che sembrava attirarla come una falena è attratta dalla luce.
Si era avvicinato – rivelandosi di poco più alto di lei – camminando con passo lento come se sapesse esattamente che effetto provocava in una donna. Victoria si rese conto che la sua fama di dongiovanni era pienamente meritata e mise in guardia se stessa: non voleva soccombere a quegli occhi scuri.
«Non posso credere che una bella donna come lei sia capace di un atto così nefando come il danneggiamento del gioiellino parcheggiato qui fuori».
Victoria sapeva di essere una bella donna, inutile raccontarsi il contrario. E si accorgeva quando gli uomini lo notavano. Aveva visto l’occhiata che Stark le aveva lanciato: l’aveva squadrata dalla testa ai piedi approvando le gambe strette nei jeans neri, la camicia fucsia aperta sul collo, i capelli ramati sciolti sulle spalle e gli occhi verdi.
«Può continuare a credere a ciò che vuole, ma tra poco dovrà chiamare il carro attrezzi per la sua auto, signor Stark».
Lui parve sorpreso. Di certo non si era aspettato quella reazione; aveva puntato tutto sul suo fascino, pensando di attirarla nella sua ragnatela. Ma socchiuse gli occhi e fu come se accettasse la sfida.
«Happy, per favore, sposta l’auto» disse, lanciandogli le chiavi. «La signorina mi sembra proprio risoluta».
«La ringrazio, signor Stark» disse lei, mentre il bodyguard andava a spostare l’auto.
«Non vuole permettermi di offrirle qualcosa, per rimediare a questa mia mancanza?»
La tentazione di restare era forte, ma Victoria sapeva di doversi staccare da quell’uomo. Non voleva finire sulla copertina del prossimo Vanity Fair come l’ultima fiamma di Tony Stark. Non voleva andare a letto con quell’uomo e sapeva che se fosse rimasta, lui avrebbe trovato il modo per abbattere tutte le sue difese. Già le sentiva cedere.
«Grazie ma non è necessario».
Poi si era voltata ed era uscita.
Avrebbe voluto dimenticare quell’incontro ma nei giorni seguenti non era stato possibile. Si era perfino sorpresa a digitare il suo nome su Google, sbirciando la miriade di pagine su di lui. Poi si era detta che si stava comportando come una ragazzina e si era gettata nel lavoro. Tony Stark era finito in un angolo della sua mente, mentre lei veniva totalmente assorbita dall’ennesima replica dello spettacolo.
Ma la settimana successiva, dopo lo spettacolo, una sorpresa la attendeva nel suo camerino. C’erano due dozzine di rose rosse a stelo lungo confezionate in uno splendido bouquet con un biglietto fissato con una molletta rossa. Non le passava nemmeno per la testa che fosse di Tony, quindi aveva avuto quasi un mancamento quando aveva letto: “Splendida!”. E sotto, la firma, in un inconfondibile svolazzo: Tony Stark.
Lui doveva aver assistito alla rappresentazione e Victoria aveva desiderato che fosse ancora da qualche parte nel teatro. Stupendo prima di tutto se stessa, era andata a cercarlo. E l’aveva trovato.
Salvo che non avesse sbagliato di brutto, le era parso che i suoi occhi si illuminassero quando l’aveva vista. Ma forse era solo una fantasia della sua mente surriscaldata. Lui comunque le aveva fatto il baciamano e aveva commentato positivamente la sua performance.
«Le andrebbe di venire a cena con me?» aveva chiesto all’improvviso. E contro ogni buonsenso e infischiandosene del campanello d’allarme che squillava furioso nella sua testa, Victoria aveva accettato. Tony aveva detto che l’avrebbe aspettata mentre si cambiava – giacché indossava ancora l’abito di scena – e poi le aveva aperto la portiera della Rolls-Royce facendola accomodare sul sedile di pelle chiara.
«Happy, al Madeo, per favore».
Il Madeo in Beverly Boulevard era il ristorante italiano più famoso di Los Angeles. Erano numerosi i VIP che erano stati paparazzati sotto la verde pensilina d’ingresso ma Victoria ci era solo passata davanti: il Madeo non faceva per le sue tasche.
L’auto di Stark si fermò in sosta vietata davanti all’ingresso e l’autista venne ad aprire la portiera. Entrarono e il proprietario si fece avanti.
«Mio caro Tony, bentornato!» esclamò in italiano. Non parlava una parola d’inglese, nonostante lavorasse in America da almeno trent’anni. Ma, chissà come, riusciva a farsi capire al volo dai suoi clienti.
Quando Tony chiese un tavolo appartato, li guidò verso un angolo del ristorante e porse loro i menu, ma Stark rifiutò.
«Il meglio che hai, Alfio. Come sempre» disse, rivolgendosi al proprietario toscano in italiano.
La cena fu fantastica: Victoria non aveva mai mangiato nulla di così buono. Alfio aveva proposto un bis di primi: linguine alle vongole e farfalle d’Ischia con un sugo di salmone deliziosamente profumato alla vodka. Il secondo fu un superbo filet mignon con funghi porcini che consumarono accompagnato da un vino italiano di cui non ricordava il nome ma che sapeva di frutti rossi e racchiudeva in ogni sorso il gusto pieno del Mediterraneo.
Tony l’aveva messa subito a proprio agio: era un conversatore affascinante e quando parlava lei, sembrava concentrare tutta l’attenzione sulla donna che gli stava di fronte. Victoria era in grado di riconoscere mille segnali di pericolo: sapeva cosa volevano uomini come lui, abituati al successo e alle donne, ma ogni volta che lui la guardava negli occhi si sentiva ribollire il sangue.
Arrivati al dessert, una burrosa torta alla ricotta, Victoria si era convinta che quella sera sarebbe finita come lui voleva. Non era in grado di resistergli e, a ben pensarci, non ne aveva alcuna voglia. Si era detta che era colpa del vino, dell’ottima cena, delle ventiquattro rose rosse… ma la verità era che lo desiderava.
Alla fine della serata, Tony aveva consegnato al direttore di sala la sua carta di credito senza nemmeno guardare il conto e infilato in tasca la ricevuta che gli era stata resa senza neanche sbirciarla. L’aveva riaccompagnata a casa e, mentre l’autista girava attorno alla mastodontica Rolls per aprirle la portiera, le aveva preso la mano e gliel’aveva sfiorata con le labbra.
«Buonanotte, Victoria» aveva detto semplicemente. La portiera si era aperta, lei era scesa ed era rimasta sul marciapiede a guardare la limousine nera che si allontanava.
La donna sorrise al ricordo. Si era aspettata che lui cercasse in tutti i modi di portarsela a letto e quando non lo aveva fatto, era rimasta molto sorpresa e vagamente irritata.
Il punto era che Tony la capiva già meglio di se stessa e sapeva che non era pronta. Tony aveva una conoscenza istintiva della psiche e della mentalità femminile e l’aveva sempre sfruttata a suo vantaggio. Ma con Victoria era stato diverso: la desiderava, è vero, ma non come aveva desiderato le altre donne che avevano popolato la sua vita. Non aveva riconosciuto subito il sentimento che stava riscaldando il suo cuore, ma il fatto che ora convivessero e che lui avesse in qualche modo messo la testa a posto – almeno per quanto riguardava le donne – significava che a lei davvero teneva e non la considerava alla stregua delle altre avventure che avevano riempito i rotocalchi.
Mentre la sua mente vagava verso la loro esaltante prima volta, il sonno la rapì e si addormentò.
Aprì gli occhi quando sentì il materasso muoversi sotto il peso di qualcuno che si coricava. Il braccio muscoloso di Tony la cinse dolcemente e Victoria si girò nel suo abbraccio. Lo scrutò per qualche istante, alla ricerca delle ferite che di solito portava a casa.
«Sto bene» disse lui, mostrando i denti bianchissimi in un irresistibile sorriso.
«Che ore sono?» chiese Victoria perplessa. I vetri della loro camera si oscuravano automaticamente quindi non le era possibile capire che ora fosse, ma le parve che quel buio fosse artificiale e che in cielo splendesse il sole.
«Le nove» rispose Tony.
«Le nove?» domandò incredula: per quello le pareva di aver dormito una vita intera. «Jarvis!»
«Sì, signora?» chiese Jarvis.
«Perché mi hai lasciato dormire tanto?»
«Eseguivo un preciso ordine del signor Stark».
La donna guardò Tony con espressione interrogativa. «Gli ho detto di lasciarti dormire. Volevo essere io a svegliarti».
Tony posò le labbra sulle sue e Victoria reagì immediatamente stringendosi a lui. Gli fece scorrere le mani sulla schiena, insinuandosi sotto la maglietta e tirandola verso l’alto per sfilargliela. Tony si liberò dell’indumento, spettinandosi i capelli.
Le mani di Victoria erano bollenti e gli accarezzarono il dorso, sfiorandogli i fianchi e risalendo sul petto. Carezzò piano il piccolo reattore luminoso che Tony portava al centro del petto e che era il dispositivo che lo teneva in vita. Gli cinse la nuca con le mani e l’attirò su di sé, mentre le loro lingue si intrecciavano nella bocca di lui.
«Non pensavo di trovarti… così» sussurrò lui.
«Ti avevo promesso che mi avresti trovata così come mi avevi lasciata. E prima di andare avevi cominciato qualcosa…»
«Jarvis!» chiamò Tony e quando il computer rispose, proseguì: «Tappati occhi e orecchie. Siamo impegnati. Non ci siamo per nessuno».
Victoria lo rovesciò sulla schiena e si mise a cavalcioni su di lui, chinandosi in avanti e lasciando che i capelli ramati gli solleticassero il viso. Le mani di Tony risalirono sui fianchi, in una carezza leggerissima ma rovente. Si infilò sotto la canottiera che indossava, sfiorandole la pelle liscia.
A quel punto la donna si erse su di lui, togliendosi la canottiera e restando con i soli slip. Tony la fissò per qualche istante. «Sei uno spettacolo» mormorò.
Sorrise e si mosse su di lui, sentendo chiaramente la sua virilità premere contro di lei.
«Neanche io pensavo di trovarti… così» sussurrò.
«Colpa tua» replicò, spingendola con il fianco e facendola rotolare sotto di sé.
Le sfilò lentamente le mutandine e si liberò dei boxer.
Sebbene Victoria non avesse fatto molta esperienza prima di conoscerlo, Tony era un amante pressoché perfetto. Era talmente sintonizzato sulla sua lunghezza d’onda da sapere che cosa voleva ancora prima di lei. Sapeva essere dolce da spezzare il cuore o impetuoso come un uragano, ma le dava ogni volta ciò di cui lei aveva bisogno. Fare l’amore con lui era una cosa sempre nuova: Victoria non sapeva nemmeno di avere un animo così passionale finché lui non gliel’aveva fatto scoprire.
Quella mattina, nonostante fosse bastato un niente per accenderli, Tony rallentò improvvisamente il ritmo. Era tutto baci e carezze e la guardava con uno sguardo talmente carico di tenerezza che lei sentì un groppo stringerle il petto. Nonostante tutte le ragazze che sicuramente aveva portato su quello stesso letto, Victoria seppe con assoluta certezza che lui era il suo uomo ora. E lei era sua.
Quasi avesse intuito i suoi pensieri, Tony la prese in quel momento. Si mosse dentro di lei con lentezza esasperante, godendo nel sentirla ansimare sotto di sé. Lei teneva gli occhi chiusi assecondando ogni suo languido movimento, ma lui la guardava fisso, attento a ogni espressione del suo viso.
Sorrise quando lei morse il labbro inferiore, perché lo faceva sempre quando l’eccitazione stava raggiungendo il culmine. Rallentò ancora di più il ritmo e si abbassò, baciandole la gola, mordendole dolcemente il collo. Poi si avvicinò al suo orecchio: «Voglio che mi guardi mentre vieni» sussurrò.
Lei aprì gli occhi e fissò lo sguardo nel suo. Tony aumentò il ritmo e bastarono pochi istanti perché lei s’inarcasse sotto di lui. La sua eccitazione contagiò anche lui che la seguì e si accasciò su di lei, ansimando.
«Il tuo reattore toracico mi sta sfondando lo sterno, Tony» disse Victoria dopo un po’ e lui si alzò.
«Scusami. Vieni a fare la doccia con me?» chiese, scoccandole uno dei suoi irresistibili sorrisi.
Victoria girò il capo per guardare la sveglia sul comodino.
«Meglio di no. Tra un’ora ho un’intervista con US Weekly. Le docce con te possono portare via anche una mattina intera».
Lui rise, la baciò e saltò giù dal letto. Mentre lo aggirava e, completamente nudo, si dirigeva verso il bagno, Victoria si sollevò su un gomito.
«Grazie, signor Stark» disse ironicamente.
Lui si bloccò sulla porta del bagno. «È stato un piacere» replicò, socchiudendo gli occhi.
«Credo che il piacere sia stato mio, mi creda» rispose la donna, e lui rise a quello scherzo.
Victoria si avvolse nel lenzuolo e si infilò in uno degli altri bagni. Fece velocemente la doccia, truccandosi e pettinandosi per l’intervista. Essere la ragazza di Tony Stark comportava anche quello, soprattutto dopo il rapimento.
Mentre si metteva l’eyeliner, ripensò a quei terribili mesi. Lei e Tony stavano insieme da poco meno di tre mesi e lui era partito per l’Afghanistan per una dimostrazione di una nuova arma. Si erano appena sentiti al cellulare e lui stava raggiungendo l’aeroporto per tornare in patria quando il suo convoglio era stato attaccato da alcuni terroristi.
Tony era rimasto gravemente ferito da un’arma delle Stark Industries e, portato nel covo dei terroristi, era stato assistito da un altro prigioniero, un fisico di nome Yinsen, che gli aveva impiantato nel petto un elettromagnete alimentato da una batteria da automobile per mantenerlo in vita, tenendo lontano dal suo cuore le schegge della bomba che l’aveva ferito.
I terroristi l’avevano obbligato di costruire per loro delle nuove armi e Tony aveva accettato per avere la possibilità di avere a disposizione strumenti e attrezzature. Con quelle e l’aiuto di Yinsen, divenuto suo amico, aveva dapprima costruito un reattore Arc. Si trattava di un progetto che suo padre non era riuscito a realizzare per mancanza di tecnologia adeguata. In versione normale occupava un intero capannone e alimentava le aziende di Tony, ma in quel buco di rifugio in cui era prigioniero, Tony ne aveva creato un esemplare miniaturizzato, impiantandolo su di sé. Quello era diventato la fonte di energia per l’elettromagnete. Poi aveva costruito una speciale armatura che si alimentava dal reattore e moltiplicava la sua forza, riuscendo a fuggire.
Era stato ritrovato nel deserto e riportato a casa. Casa dove lei lo stava aspettando, struggendosi ogni giorno per la mancanza di notizie. Ricordava con estrema chiarezza il momento in cui il C17 Globemaster era atterrato e aveva abbassato la rampa.
Lui era lì. Il braccio al collo, qualche segno sul viso, un’immane stanchezza negli occhi che si era come dissolta quando l’aveva vista accanto a Pepper, la sua assistente tuttofare. Aveva allargato il braccio buono, invitandola a raggiungerlo. Victoria gli era corsa incontro, stringendolo in un abbraccio timoroso. Lui l’aveva stretta a sé, nascondendo il viso nei suoi capelli e aspirandone il profumo.
«Sei dimagrita» le aveva detto, circondandole la vita con il braccio sano.
«Tre mesi senza tue notizie, Tony» aveva risposto, mentre le lacrime scendevano incontrollate dagli occhi.
«Non è un buon motivo per lasciarsi morire di fame. Sapevi che sarei tornato».
Lei si era scostata un po’. «Lo sapevo?»
«Ci vuole ben altro per far fuori Stark. E comunque dovevo tornare. Avevo scordato di dirti una cosa».
«Che cosa?» aveva chiesto.
«Ti amo» era stata la sua risposta.
Victoria sorrise teneramente al ricordo. Poi si scosse: rischiava di fare tardi.
Tornò in camera proprio mentre Tony ne usciva. «Tesoro, non sarebbe meglio che riposassi, visto che stanotte l’hai passata praticamente tutta dentro la tua armatura?»
«Non sono stanco» rispose, baciandole la guancia. «Sei incantevole, sai?»
E se ne andò. Victoria sapeva che avrebbe passato tutta la mattina nel suo laboratorio sotterraneo, almeno finché lei non fosse andata a chiamarlo.
Indossò un corto abito a fascia bianco e – visto che non sarebbe stata in compagnia di Tony – un paio di sandali con il tacco. Mentre si metteva gli orecchini, Jarvis la chiamò.
«Signora, il suo appuntamento è arrivato».
«Grazie, Jarvis. Dì a Happy di farli accomodare, per favore».
Quando arrivò nel grande salotto bianco affacciato sull’oceano, il fotografo e la sua intervistatrice si stavano sistemando.
«È un piacere conoscerla, signorina Johnson. Mi chiamo Emma Chase e lui è Robert Smith, il fotografo».
Victoria strinse la mano a entrambi. Poi, mentre si accomodavano sul divano color panna, Emma si guardò intorno. «Il signor Stark non c’è? Speravamo di poter fare quattro chiacchiere informali anche con lui» spiegò.
«No, mi spiace. Tony non c’è» rispose e notò la delusione negli occhi della giornalista. E non era delusione professionale per uno scoop mancato. Ormai era abituata a quelle cose: sebbene Tony non fosse più scapolo, le donne continuavano a cadergli ai piedi esattamente come prima. La cosa diversa era che ora lui non le cercava, né incoraggiava certi atteggiamenti. Stava con Victoria e la loro relazione era perfettamente appagante, in ogni ambito.
«Peccato. Bene, cominciamo, se per lei va bene».
Mentre il fotografo le scattava alcune foto, Emma cominciò con la domanda standard per quel tipo di interviste: «Com’è essere la fidanzata di Tony Stark?»
«Mi rendo conto di essere una privilegiata. Il mio ragazzo è bello, atletico e miliardario. Mi copre di attenzioni e regali per i quali non ho ancora smesso di sentirmi in colpa. Vivo in questa villa da sogno a Malibu. Ma la cosa più importante, quella che davvero conta per me, è sapere che il mio fidanzato mi ama come qualsiasi ragazzo di provincia. Da parte mia, amerei Tony anche senza i suoi miliardi e la sua influenza».
«Ed essere la fidanzata di Ironman?»
Ecco: quella, di solito, era la domanda successiva.
«Quello è un po’ diverso» rispose Victoria. «Essere fidanzata con Ironman significa passare notti in bianco, in attesa del suo ritorno. È guardare con apprensione i segni che lui riporta dopo ogni scontro. È rendersi conto che lui non è soltanto mio, ma appartiene all’America. Mi riempie di orgoglio sapere che ha salvato un ragazzino o un’intera scolaresca, ma allo stesso tempo so che lui non è né invincibile né immortale».
Ironman era la seconda identità di Tony.
In Afghanistan, Tony era sceso faccia a faccia con una consapevolezza nuova: le armi prodotte dalle Stark Industries, se da un lato erano un sistema di protezione per la sua patria, dall’altro diventavano uno strumento di distruzione e, nelle mani sbagliate, finivano per diventare mezzi di sterminio di innocenti. Rientrato in America, aveva cominciato a lavorare su un nuovo progetto, su ispirazione dell’armatura che gli aveva permesso di sfuggire ai suoi sequestratori.
Quando poi aveva scoperto che il suo socio, Obadiah Stane, era in accordi con i terroristi e alimentava il mercato nero, aveva capito di dover fare qualcosa. Per rimediare, per porre fine allo sterminio che le sue armi stavano compiendo. Così, con l’aiuto dell’armatura e quasi a costo della propria vita, Tony aveva combattuto Obadiah e la sua pazzia, uscendone vittorioso.
Avevano tentato di fornirgli una copertura per ciò che era successo, sostenendo che dentro l’armatura c’era una delle sue guardie del corpo, ma Tony aveva rifiutato quella protezione, finendo per dichiarare che Ironman – perché così era stato chiamato dai media il misterioso uomo di latta – era lui.
Da quel momento era diventato un’icona e l’esercito americano chiedeva saltuariamente il suo aiuto per risolvere qualche pasticcio. Com’era accaduto due volte nelle ultime dodici ore.
L’intervista proseguì piacevolmente per un’oretta. Emma prendeva appunti e il fotografo ogni tanto scattava qualche foto. Giunti alla fine, Emma alzò gli occhi dal blocco.
«Bene, signorina Johnson. Abbiamo finito. È stata gentilissima».
Si accordarono per gli ultimi dettagli e il fotografo le chiese di posare per alcuni scatti particolari. Poi Emma le strinse la mano.
«Un’ultima cosa, se non le spiace. È vero che la casa è gestita da un computer?»
Victoria sorrise. «Jarvis» lo chiamò.
«Sì, signora?» rispose Jarvis.
«Puoi oscurare i vetri, per favore?»
L’enorme vetrata che dava sul Pacifico si oscurò lentamente.
«Santi numi!» disse Emma sbalordita e Victoria scoppiò a ridere.
«Riporta tutto come prima, Jarvis».
«È sbalorditivo» commentò il fotografo mentre la vetrata tornava normale.
Quando uscirono, Victoria scese nel seminterrato e digitò 812, il suo codice personale, sul tastierino virtuale. La porta si aprì.
«Tony?» lo chiamò, dato che non lo vedeva in giro, e lui si alzò, sbucando da dietro una selva di monitor.
«Jarvis non dovrebbe permetterti di entrare qui vestita in quel modo. Potrei perdere la testa e far partire un missile, scatenando la terza guerra mondiale».
Victoria gli si avvicinò, ridacchiando della battuta.
«Finita l’intervista?» chiese e lei annuì. L’abbracciò e la baciò. «E così io sarei bello, atletico e miliardario?» concluse infine, riprendendo le parole che aveva usato nell’intervista.
«E sei anche un maledetto spione» disse, rendendosi conto che doveva aver ascoltato tutto.
Lo colpì al fianco e si liberò del suo abbraccio, girandosi verso la porta per andarsene, fingendosi arrabbiata. Lui la fermò, la fece voltare e la baciò, ma con i tacchi lei era più alta e la cosa lo infastidiva.
«Aspetta» mormorò ad un certo punto, fermandosi per un istante. Liberò la sua scrivania, spazzandola con il braccio e gettando a terra tutto ciò che vi si trovava sopra.
«Ho sempre sognato di farlo» mormorò. Poi l’afferrò per i fianchi e la fece sedere sulla scrivania. «Molto meglio» disse, mentre faceva guizzare la lingua nella sua bocca.
L’atmosfera ci mise poco a diventare rovente, come sempre quando erano insieme. Le mani di Tony scivolarono sulle cosce, mentre lei gli si avvinghiava. Almeno finché Jarvis non li interruppe.
«Signore, il colonnello Rhodes sta scendendo».
«Diavolo!» imprecò lui. Si scostò e si ricompose. Victoria ridacchiò e accavallò le gambe, rimanendo seduta sulla scrivania.
Rhodes aprì la porta a vetri ed entrò. Li salutò e fermò lo sguardo su Victoria.
«Come siamo carini, stamattina» chiosò, e Tony roteò gli occhi. Possibile che qualsiasi maschio diventasse di gelatina non appena posava gli occhi su di lei?
«Ho rilasciato un’intervista per US Weekly. Vedrai le foto sul prossimo numero».
«Lo comprerò senz’altro» mormorò. E improvvisamente notò il caos per terra e registrò il fatto che lei era seduta sulla scrivania di Tony. «Scusate. Ho interrotto qualcosa?» domandò.
«Niente che non si possa fare in un altro momento» disse lei.
«Ma che avrei preferito fare ora» brontolò Tony.
Victoria saltò giù dalla scrivania. «Vi lascio alle vostre faccende da uomini».
Entrambi la osservarono mentre se ne andava.
«Tu stai ammirando le venature del marmo della scala, giusto?» disse Tony mentre Victoria saliva, muovendosi sinuosa sulle splendide gambe.
«Ovvio» confermò Jim.
«Allora, che ci fai qui? Non possiamo continuare a vederci così, Jim» disse Tony con un sorriso sarcastico. «Vedo più te della mia fidanzata».
Entrambi risero. Jim e Tony si conoscevano da una vita. Jim “Rhodey” Rhodes aveva intrapreso la carriera militare, in Aeronautica, salendo la scala gerarchica piuttosto in fretta. Oggi era colonnello ed era stato il primo a capire che Ironman era una risorsa che poteva e doveva essere sfruttata.
Era stato lui a chiamarlo quella notte. C’era stata una fuga di materiale tossico da un impianto petrolchimico e, poiché non riuscivano a stabilizzare il sito, Rhodes aveva pensato di chiamare Ironman. Tony era arrivato e, lavorando da solo, aveva fermato la perdita e rimesso in sicurezza l’impianto. Il tutto senza sprechi di tempo né, cosa più importante, di vite umane.
Quello che preoccupava Rhodes era che la perdita si era originata in seguito ad un’esplosione che restava inspiegabile.
«Jarvis ha analizzato i dati raccolti stanotte?»
Tony annuì. «I reperti che ho raccolto erano, in effetti, tracce di esplosivo ad alto potenziale. Non è stato un incidente, Jim».
«Un attentato?» chiese l’amico e Tony si strinse nelle spalle.
«Non lo so. Jarvis sta tentando di capire di che esplosivo si tratta, ma ci vorrà tempo».
Rhodes si trattenne un’altra ora, chiacchierando con Tony, esaminando diversi scenari. Alla fine, Jim si alzò in piedi.
«Bene, direi che per oggi ti ho rotto le scatole a sufficienza».
«Lo penso anche io» rispose Tony, battendogli una mano sulla spalla.
«Puoi tornare a fare quello che stavi facendo con Victoria» disse maliziosamente.
Uno sguardo sognante apparve per un secondo negli occhi di Tony. «Ti accompagno di sopra. Ferrovecchio» disse poi, voltandosi verso il robottino, «sistema la mia scrivania».
«Certo che Vicky ti ha preso di brutto, eh? Quasi non ti riconosco» rilevò Jim.
«Era ora che mettessi la testa a posto».
«Sono felice per te, amico».
«Victoria è la cosa più bella che mi sia capitata. Sono convinto di non meritarla, ma lei insiste a voler stare con me».
Il cellulare di Tony squillò e lo estrasse dalla tasca. «È l’ufficio. La strada la conosci, giusto Jim? Appena Jarvis scopre qualcosa ti chiamo».
Mentre Jim Rhodes usciva, Tony abbandonò i panni di Ironman e indossò quelli di presidente delle Stark Industries. Ruolo che sicuramente non era più facile.
  
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