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Autore: Phoenix_01    02/12/2013    3 recensioni
Sono presenti spoiler di "Catching Fire" e "Mockingjay"!
Fisico scolpito, occhi verde mare, pelle ambrata, sorriso seducente, capelli color rame: lo conosciamo tutti, lui è Finnick Odair, il sex-symbol di Panem, costretto dal Presidente Snow a prestare i suoi servigi agli abitante della Capitale dopo aver vinto i gli Hunger Games, per salvare coloro che ama.
E si, conosciamo benissimo la sorte riservatagli da Suzanne Collins: ha deciso di farlo brutalmente sbranare dagli Ibridi durante la missione della Squadra di Stelle sotto Capitol City.
E se invece non fosse andata così? E se invece qualcuno l'avesse salvato? E se quel qualcuno si chiamasse Percy Jackson?
Ecco cosa succede quando i fandom s'incontrano.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finnick Odair, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Quando i fandom s'incontrano

 

Crossover dedicata a Noemi, Aurora e Giulia, con le quali ho capito che non riesci a comprendere appieno quanto un personaggio sia magnifico e quanto ti ci sia veramente affezionata finchè non c'è più.

Gli Ibridi mi stanno dilaniando le carni.
Il dolore che provo è atroce, tutto il mio essere brucia, urla dal male, vorrebbe solo abbandonarsi alla sofferenza e lasciarsi cullare dalle onde della morte, per non soffrire più.
Ma non posso.
A quattordici anni, fui estratto per entrare in un’Arena dove avrei dovuto uccidere altri ventitré ragazzi per sopravvivere, solo perché per il Presidente Snow e gli Strateghi lo scorrere del sangue dei Tributi è il miglior spettacolo che si possa offrire alla gente eccentrica e superficiale di Capitol City.
Per la mia bellezza, ottenni sponsor, che non mi fecero mai mancare niente, che mi mandarono addirittura un tridente, il regalo più costoso che sia mai stato spedito nell’Arena. E vinsi.
Da quel giorno, pensai che sarei stato finalmente al sicuro, e, anche se gli incubi mi tormentavano ogni notte, almeno ero salvo. Salvo, salvo dalla Mietitura, salvo dagli Hunger Games, salvo da Capitol City.
Ma la bellezza che mi aveva salvato, mi aveva al contempo condannato. Passarono poco più di due anni, che Snow venne a trovarmi, obbligandomi a soggiornare nella Capitale e a vendermi ai suoi abitanti, altrimenti avrei perso coloro che amo.
Coloro che amo. Annie Cresta.
Annie Cresta, il faro luminoso che si staglia in mezzo alla cortina di nebbia che negli anni si è intessuta di angosce, paure, timori. Annie Cresta, con quei suoi occhioni verde mare, i più belli del Distretto 4. Annie Cresta, in superficie gentile e dolce ma nel profondo forte e tenace, proprio come il mare.
E mi avevano portato via anche lei.
Fu sorteggiata cinque anni fa per andare nei Giochi, e quando tornò a casa, non era più la stessa.
Certo, gli Hunger Games ti cambiano dentro, popolano le tue notti con zanne acuminate di Ibridi che ti trapassano il cuore e occhi vacui dei ragazzi caduti, ma lei l’avevano stravolta: da quando vide decapitare il suo compagno di Distretto, impazzì. Si rifugiò nel suo piccolo mondo, lontano da tutto e da tutti, insensibile alle voci, alle cose, alle persone intorno a sé. Un mondo a cui solo io qualche volta avevo accesso, un mondo a cui solo io riuscivo a strapparla per qualche minuto, per riportarla in quello reale.
Mi ero arreso a questo strazio, al fatto che non sarei mai riuscito a scappare dalla prigionia di Snow, quando, un anno fa, una ragazza proveniente dal Distretto più povero di Panem, il 12, nei Giochi osò sfidare la Capitale con una manciata di bacche.
Sì, lei è Katniss Everdeen, la ragazza di fuoco, la Ghiandaia Imitatrice.
Lei ha acceso una scintilla di speranza nei cuori degli abitanti dei Distretti, ci ha fatto capire che Capitol City dipende da noi, da ciò che produciamo, e che senza di noi crollerebbe.
Da allora nel Distretto 11, 8, e anche nel mio, è iniziata la ribellione, che è stata severamente punita con la Terza Edizione della Memoria, il cui intento era dimostrare ai Distretti che neanche i Vincitori sono più forti della Capitale, uccidere l’intera specie una volta per tutte.
Ma siamo sopravvissuti. E abbiamo ideato un piano per far crollare il governo di Snow.
Ora sto per morire, senza aver assistito alla morte di quel verme.
Devo resistere. Per Annie. Devo vendicare anche lei, perché se non fosse per gli Hunger Games, lei non sarebbe impazzita.
Per farmi forza, cerco di restare aggrappato a brandelli di ricordi di quella che si definirebbe la mia vita.
Il sorriso di Annie. La torta nuziale decorata da Peeta. Il tridente costruito da Beetee. Il suono melodioso della voce di Katniss che intona una canzone, perché quando canta lei, anche gli uccelli si fermano ad ascoltare.
Mi rendo conto solo ora che la vita, quella vera, la sto vivendo da poco tempo a questa parte, ed è durata terribilmente poco.
Con la coda dell’occhio scorgo Katniss, spronata da Gale a continuare a salire la scaletta, gli occhi grigi pieni di lacrime, mentre sta estraendo l’Olo dalla cintura.
È così giovane, penso, e ha già visto e vissuto più orrori di chiunque altro.
Prima che la ragazza possa ripetere per tre volte “tic tac” e gettare l’Olo verso di noi, per porre fine al dolore, un ragazzo si frappone tra me e gli Ibridi.
Tira fuori dalla tasca posteriore dei jeans una penna a sfera, e la fa scattare.
Ma cosa crede di fare? Scarabocchiarlo a morte?!
Fortunatamente, non fa niente di tutto ciò, perché  la penna si trasforma in una lunga spada dall’impugnatura di cuoio, forgiata con un metallo che non pare neanche del nostro universo.
Con uno scatto fulmineo, trapassa da parte a parte tutti gli Ibridi, che si dissolvono in una nuvola di polvere. Poi si volta verso di me, riponendo la penna.
Non avrà più di diciassette anni, ha una zazzera di spettinati capelli neri e indossa una maglietta arancione scolorita, dove è appena leggibile la scritta “Campo Mezzosangue”.
Ed è a questo punto, che capisco che sto morendo dissanguato.
Le ferite provocate dagli Ibridi sono troppo profonde, troppo gravi per essere curate.
«Mi dispiace, Annie» sussurro. «Non sono riuscito a riscattarti.»
Poi stramazzo a terra, mentre avverto un solo odore: quello del mio sangue, della mia carne in putrefazione: l’odore della morte.
 
Mi trovo sul fondale oceanico, e osservo banchi di pesci argentei che mi sfilano davanti.
Mi accorgo che sto respirando, anche se sono a metri e metri di profondità, e che, stranamente, i miei vestiti sono completamente asciutti.
Mi accovaccio sulla sabbia scura e bagnata, e rimango a fissare estasiato questo oceano pulito, senza rifiuti. Perfetto.
Ad un certo punto, sopra di me, compare Annie.
È circondata da un’aura di luce, vestita con un ampio vestito di seta bianca che brilla di luce propria.
I capelli castani svolazzano libera nell’acqua, e i suoi occhi verde mare sono più splendenti che mai.
Prima sono luminosi, accesi, pieni di vita, poi, a poco a poco, si intristiscono, fino a  colmarsi di lacrime.
«Finnick, Finnick!» urla supplichevole «Torna da me, non andartene! Finnick! Perché non ci sei più? Finnick!»
“Ma Annie, siediti con me, qui si sta bene!” vorrei dirle, ma dalla mia bocca non esce alcun suono.
Compaiono anche Katniss, Peeta, Johanna e Beetee. Tutte le persone a cui tengo. Tutte le persone che mi sono rimaste.
Anche loro mi incitano a ritornare in superficie, ma io non voglio. Voglio restare qui. Non c’è sofferenza, non c’è dolore. Non c’è niente, assolutamente niente.
E adesso capisco. La vita non è niente. La vita è tutto: è felicità e tristezza, è gioia e sofferenza, è bene e male, è amore e odio.
Se resto qui, la mia vita finisce. Se resto qui, il male finisce.
Se riemergo, la mia vita continua. Se riemergo, ricomincerò a provare dolore. Ma se riemergo, potrò ritornare da Annie, e stare con lei per sempre. Non importa quanto farà male, non importa quanto dovrò soffrire, perché se ci sarà lei, riuscirò a superare qualsiasi cosa.
Se resto qui, la perderò per sempre.
No. Io devo ritornare da lei, devo proteggerla. Lei ha bisogno di me. Io ho bisogno di lei.
Mi riscuoto.
Poggio i piedi sulla sabbia, piego un po’ le gambe, e poi mi do una poderosa spinta verso l’alto.
Appena comincio a nuotare, le ferite si riaprono, il sangue ricomincia a scorrere. Ignoro il dolore e vado avanti, come ho sempre fatto.
Finalmente raggiungo la mia Annie, che mi avvolge in un abbraccio luminoso.
Poi tutto diventa bianco.
 
Davanti a me vedo due occhi verde mare.
All’inizio li scambio per quelli di Annie, ma quando li guardo meglio, mi accorgo che non sono i suoi, ma appartengono a un ragazzo. Lo stesso che mi ha salvato.
Noto anche che mi sta dando da mangiare una strana tavoletta dorata, il viso contratto in un espressione di pura preoccupazione.
«Perché mi hai salvato, me lo spieghi?» biascico.
Sobbalza per lo spavento, quasi facendo cadere dalle mani una bottiglia con all’interno un liquido anch’esso dorato.
«Per tutti gli dei!» esclama «Allora sei vivo! Lo sapevo che ce l’avresti fatta!»
Non sono ancora tanto sicuro di essere vivo, mi sento come se degli Ibridi avessero cercato di banchettare con la mia carne. Ah, giusto, è esattamente ciò che è successo.
E per questo è impossibile che sia sopravvissuto.
Però siamo ancora nello stesso luogo, sotto Capitol City, e anche i miei compagni sono ancora qui.
Stringo gli occhi, cercando di mettere a fuoco la figura snella di Katniss.
Quasi urlo, quando capisco che è immobile, nella stessa posizione in cui l’ho vista prima che arrivasse questo ragazzo: tiene in mano l’Olo, e il suo viso lascia trasparire tutto il dolore che sta provando.
Anche Gale, Peeta, Cressida e Pollux sono fermi. Fermi…
«…nel tempo» conclude  il ragazzo, come se mi avesse letto nella mente. «È un po’ difficile da spiegare, ma diciamo che per arrivare fin qui ho dovuto violare le leggi dello spazio-tempo, perciò tutti i mortali sono… be’, sì: fermi.»
Sbatto più volte le palpebre. Mortali? L’ha detto come se lui non lo fosse.
Quando si accorge che lo sto fissando in cerca di spiegazioni, mi dice: «Sei molto debole, per ora pensa solo a riprenderti. Ti spiegherò tutto a tempo debito, sempre che Crono non mi punisca prima.»
Pronuncia l’ultima frase rabbrividendo, poi mi porge la bottiglietta, invitandomi a berne il contenuto.
Sono un po’ restio, ma non è il momento di fare il diffidente. In fondo, quante speranze ho di rimanere in vita? Probabilmente sono già morto, e tutto questo non è altro che frutto della mia immaginazione. Se questo tizio sta cercando di avvelenarmi o meno, ormai è indifferente.
Appena accosto la bottiglia alle labbra e assaggio lo strano liquido dorato, un sapore dolcissimo mi invade la bocca, facendo fremere le mie papille gustative.
Un sapore che non sentivo da molto tempo: quello delle zollette di zucchero.
Comincio a tracannare questa bevanda paradisiaca, ma il ragazzo mi ferma.
«Adesso basta» mi ammonisce, facendosi scappare un sorriso, «altrimenti rischi di polverizzarti proprio com’è successo a quei Mostri!»
Mentre rimette a posto la bottiglia, noto che la sua immagine tremola un poco, minacciando di scomparire.
«Dannazione!» impreca «Mi serve più tempo!»
Dallo zaino che non avevo notato avesse con sé, cominciò a estrarre del disinfettante e delle bende, per poi avvolgermi le ferite, e fortunatamente nel frattempo il sangue aveva già iniziato a coagularsi.
Sta facendo tutto molto di fretta, e a lavoro terminato il suo bendaggio non è dei migliori.
«La prossima volta devo ricordarmi di portarmi dietro uno dei ragazzi di Apollo» sbuffa fra sé e sé.
Si alza e raccatta le sue cose, poi si rivolge di nuovo a me: «Ce la fai a camminare?»
Io annuisco, un po’ perché voglio ritornare da Katniss e dagli altri, un po’ perché, anche se non me lo spiego, mi sento davvero in forze.
Mi tiro su e muovo qualche passo incerto, poi, appoggiandomi a lui, salgo la scaletta e arrivo vicino a Gale.
Il ragazzo, madido di sudore, mi appoggia a terra, poi toglie l’Olo dalla mano di Katniss e glielo riappende alla cintura.
«Il tempo a mia disposizione è concluso» annuncia, e infatti noto che ormai sta quasi diventando trasparente. «Appena me ne andrò, il tempo ricomincerà a scorrere normalmente, perciò cercate di scappare più in fretta possibile. E di ritornare da Annie sani e salvi.»
Quest’ultima frase mi colpisce.
Come fa questo ragazzo a conoscermi? Perché mi ha salvato? Da dove viene?
Mille domande mi turbinano nella mente, ma lui mi zittisce un’altra volta.
«Addio» dice, e inizia a svanire.
«Aspetta!» grido «Qual è il tuo nome?»
La sua voce è flebile e molto lontana, ma riesco comunque ad afferrare le poche parole che mi rivolge: «Percy Jackson! È stato bello conoscerti, fratello.»
E di lui, l’ultima cosa che vedo sono gli occhi verde mare, uguali ai miei.

 

Nido della Fenice

Salve a tutti.

Questa e' la prima storia che si scrivo su EFP, e spero vi sia piaciuta.

Perche' l'ho scritta? Penso che lo sappiate tutti (o meglio, tuttE): perche' non mi sembra giusto che la Collins abbia ucciso il nostro amato Finnick.

Insomma, cosa aveva fatto di male? Finalmente poteva stare con la sua Annie e il suo futuro figlio, poteva essere felice, ma sembra che per la nostra cara autrice

 la felicita' sia quasi un reato!

Ecco perche' l'ho scritta, per riscattare il nostro ragazzo delle zollette, perché Finnick Odair meritava di vivere.

Sono molto giovane, e di conseguenza alle prime armi e con poca esperienza, quindi vi chiedo di recensire, perché vorrei arrivare a scrivere sempre meglio.

Con questo vi saluto.


-Phoenix_01

 

  
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