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Autore: fraviaggiaincubi    03/12/2013    0 recensioni
Il dio sorrise passando una mano sul garrese candido dello stallone e la sua voce risuonò imperiosa sul mare, simile al fragore delle onde nella tempesta: “Salute Pegaso, cavallo alato. Nessun uomo mai ti potrà domare perché queste ali ricordino il giorno il cui hai lottato per la libertà che la natura ti donò.”
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicato a Francesca Ballardin e
a tutti quelli che pensano che i cavalli siano potenza, amore e bellezza.
 
 
 
 
La Nascita di Pegaso
 
 
 
   La prima volta che il puledro aprì gli occhi al mondo era il tramonto del solstizio di estate; il sole incendiava il cielo con riflessi color del sangue brillando sul pelo candido come la neve del cavallo e accendendolo di mille bagliori arancioni come le fiamme delle candele, ugualmente sfuggenti e incantevoli.
   La madre lo pulì delicatamente dalla placenta e subito l’istinto fece scattare il puledro sulle zampe inferme, ondeggiante come l’erba che gli accarezzava gli zoccoli neri, simili alle pietre dei fiumi.
   Presa confidenza il puledro mosse i primi passi, risvegliando l’elegante andatura della sua razza. I muscoli si azionarono come una macchina di perfetta armonia sotto il manto chiaro come la neve appena caduta e il puledro si mosse per la prima volta nella sua nuova vita. Aveva un muso elegante che già mostrava un profilo altezzoso e maestoso, le orecchie appuntite tese ad ascoltare il battito del mondo e la corta criniera ancora umida dell’utero della madre; gli occhi, neri e immensi, erano aperti sulla distesa della sua terra ad ammirare il lento scendere della notte e già erano aperti ad accogliere la vita che scandiva nel ritmico battito del suo cuore.
   Era la sua prima notte e il puledro tornò dalla madre alla ricerca del latte materno, ma non un solo istante smise di ascoltare la natura chiamarlo per una corsa che il suo stesso corpo attendeva, fremente come gli steli d’erba che avevano assistito alla sua nascita.
   Corri, cantava il suo corpo teso.
   Resta, nitriva la madre spingendo il suo muso contro il suo corpo caldo come il colore nocciola del suo manto, ma sapeva bene che non avrebbe trattenuto a lungo il richiamo che la vita del figlio imponeva al suo corpo, il battito ritmato degli zoccoli, lo sfrecciare della terra, il vento che gonfiava la criniera come la spuma del mare sconosciuto, il sangue che scorreva nelle vene gonfiando cuore e muscoli in un'unica danza che valeva il tempo di una vita, l’istante di un respiro, l’intreccio dell’esistenza.
   Una vita per correre è un battito di cuore ed ecco che il piccolo puledro era stallone, cresciuto come l’arrivo dell’inverno o le fasi della luna. Un concentrato di pura potenza e supremo incanto racchiuso nel corpo fasciato di muscoli tesi sotto il candore del manto bianco, la coda e la criniera come le nuvole del cielo della sua terra e il nero degli occhi a sfidare il mondo.
   Corri…e lui correva, fiero e ritto a guidare il branco e i cuccioli delle sue giumente, cavalcando ondate di erba e infinite distese ricche di vita.
   Era quella la sua esistenza fino a quando non arrivarono gli uomini.
   Ritti sui loro cavalli un tempo liberi, rivestiti di luccicanti armature e pennacchi come criniere al vento, gli occhi accesi di fredda intelligenza e crudele dominio sulle razze. Sempre affamati di sangue e nuove esistenze distrutte furono ammirati dall’incarnazione stessa della selvaggia bellezza.
   Il candido stallone, sussurravano con folle invidia guardando l’ipnotico orgoglio del cavallo alla testa del gruppo, la coda a tracciare una scia sempre nuova nel cielo ad ogni cavalcata, la testa ritta perpendicolare al corpo a gonfiare i muscoli della curva del collo.
   Non servì alcun segnale, ma la caccia iniziò e il candido stallone sfrecciava nella foresta sbuffando dalle froge il soffio del suo possente respiro, come a scandire la sua fuga ritmata dagli zoccoli delle cavalcature dei cacciatori. Le urla lo incitavano alla fuga, il sussurro della natura gli imponeva di far battere il suo cuore e il suo istinto intonava il canto della sfida a lottare per la sua libertà.
   Divorò foreste e pianure, braccato come mai avrebbe dovuto essere da quelle crudeli creature luccicanti come i raggi del sole sulla sua groppa e solo quando i suo zoccoli affondarono nella sabbia di una spiaggia, la sua corsa bloccata dall’immensa distesa ruggente del mare, che finalmente si fermò impennandosi per affrontare i suoi aguzzini.
   A nulla servì lanciare i suoi zoccoli al cielo sollevando archi di sabbia come minacce, ne nitrire la sua furia con le orecchie appiattite sul cranio; gli uomini lo braccarono ferendo i fianchi madidi di sudore e macchiando con il caldo sangue il manto immacolato. Lo costrinsero a immergersi nelle onde gelide per sfinirlo e fu a quel punto che qualcosa scattò nelle iridi nere dello stallone. Ruotando su sé stesso il cavallo si lanciò tra i flutti gelidi tremando davanti alle onde inarcate come la schiena dei puma che tante volte avevano sfidato il suo branco per la fame, ma non si fermò e continuò ad avanzare tracciando scie di spuma come la sua criniera, il sangue che si perdeva nel blu liquido delle acque, strappandogli respiro e vita.
   Calciò e nuotò spronando i muscoli a lavorare, ma quella non era la sua terra, non era le immense distese del suo mondo e lentamente gli zoccoli smisero di tagliare l’aria, le froge del naso si riempirono di acqua salata e impietosa e la criniera annegò sulla superficie delle onde assieme alla fiera testa candida, stagliata per l’ultima volta contro la luna in un muto grido di addio.
    Fu quando la superficie tornò interrotta solo dal silenzioso cammino delle onde che una figura emerse da essa lanciando in aria il suo tridente; Poseidone emerse dalle acque come un re sul suo esercito e quando i suoi occhi freddi e misteriosi come le profondità delle acque marine videro il corpo del cavallo fendere il buio degli abissi nella sua lenta caduta decise di premiare la forza della sua libertà. Sciogliendo una delle sue trecce intrecciate dalle sirene dei mari tranciò una delle ciocche color dei lapislazzuli e la gettò tra le onde; appena essa toccò l’acqua sollevò un onda nel cielo e il cavallo emerse tra le onde spalancando due immense ali bianche coperte di piume soffici come la spuma dei mari e pallide come la luna nel cielo.
   Il cavallo nitrì impennandosi nella distesa blu drappeggiata di stelle e con un colpo delle possenti ali lanciò le piccole luci in un grappolo lucente, disegnando nel cielo notturno la sua figura; poi si avvicinò a Poseidone agitando la criniera bianca come la neve e i suoi occhi neri incrociarono quelli del re dei mari.
   Il dio sorrise passando una mano sul garrese candido dello stallone e la sua voce risuonò imperiosa sul mare, simile al fragore delle onde nella tempesta: “Salute Pegaso, cavallo alato. Nessun uomo mai ti potrà domare perché queste ali ricordino il giorno il cui hai lottato per la libertà che la natura ti donò.”
   Il cavallo lanciò un nitrito sollevando fiera la testa e con un colpo delle immense ali si lanciò nel cielo, tracciando una scia di stelle nel suo cammino.
 
 
   Ricordate sempre di lottare in ciò che credete….
 
 
 
  
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