di un arbusto accontentato
di far parte, immobile, di tutto il creato
e che alla vita si gettava come un amo.
E senza promesse e senza rimpianti,
senza torti o ragioni,
senza l'acre crepitar di fulminei frastuoni:
immota era
la vita mia.
Oggi non sono che un misero quasi-uomo
che, benché appagato, non si piega alla sazietà
e cerca, e fruga, ma radicato egli sta
e non gli manca la compagnia d'un soave suono.
Con le braccia sfiora il Sole del coraggio
ma non ci vuole arrivare
e, forse, non sa ritornare;
incerta è
la vita mia.
Domani non sarò, oppure mi rimarrà del tempo
per osservar volentieri ciò che di me sarà rimasto
e concederò ai miei occhi un ultimo pasto
prima di spalancarli e cedere il fiato al vento.
E assaporerò i secondi confluiti in una sola stagione
col prezzo pagato di una vita intera
cosicché ogni fatica sembrerà una luce leggera;
finita sarà
la vita mia.
Ma ora non ci sono andate e nemmeno ritorni:
un isolato filo di noia tiene legati i miei giorni,
e mi consumo nell'attesa di un'attesa
e mi illudo che sia bastevole la sola resa.