Not alone in the
Dark
Seven girls. One occasion.
Uhm…visto che ultimamente le mie ficcy stanno diventando
scadenti (come dimostrano le mancanze assolute di recensioni o_o” domanda: ma
scrivo davvero così male?), ho deciso di tornare al mio solito genere, cioè
l’AU, l’Another Universe, visto che la mia prima fic di questo genere ha
riscosso così tanto successo (^^”””,mancanza di originalità -____-)…Stavolta le
protagonisti non sono Naruto & Co., ma le Rozen Maiden…sorpresi eh?
E invece sì e chi avesse qualcosa in contrario parli ora
o taccia per sempre…gli chiuderò la bocca in ogni caso con il mio temperamento
sadico °w° skeeeerzo…
Oh beh, diciamo che le nostre 7 bambole sono diventate 7
bellissime fanciulle di 17 anni, nate una a distanza di un mese dall’altra, lo
stesso giorno…coincidenza? Chissà, se ci mettiamo anche un treno in comune e la
passione per la musica che ne viene fuori secondo voi?
Recensite, ho davvero bisogno di tirarmi su il morale e
capire che non scrivo così male da far rivoltare le budella a chi legge T____T…
Una piuma nera…
Tenuta in mano da Suigintou, rigirata tra
le dita pallide, osservata nei suoi riflessi blu e viola che si sprigionavano
al contatto con il sole.
Come restii a venir fuori, restii a mostrare
la loro bellezza, chiusi in un cuore nero inchiostro.
Un raggio di sole piovve sul suo viso,
illuminando per un momento la carnagione lattea, gli occhi di un viola intenso
incorniciati da cigli lunghe e nere, in contrasto con la chioma di un argento
ultraterreno, fino a metà schiena.
L’aveva trovata per terra, vicino alla vecchia
stazione e se ne era innamorata perdutamente, lei, dal cuore di ghiaccio.
Perché la rispecchiava, la faceva sentire come se non fosse sola al mondo, come
se non fosse l’unica ad avere quel carattere che allontanava ogni cosa.
Silenzioso, schivo, profondamente sadico.
“Sei come me. Sei la mia gemella. Ora siamo
in tre.”
Pensò, accarezzando la custodia posta
sopra le sue gambe sottili, fasciate da pantaloni neri in modo non troppo
aderente, non troppo volgare, non troppo nulla.
Dentro c’era la sua vita, la sua unica
speranza di incontrare il suo unico vero amore.
Una chitarra, nera come la pece, dalle
decorazioni e dai bordi color argento che ricordavano tanto la piuma che teneva
così stretta in mano, così come le corde, tese, come si sentiva lei in quel
momento.
O forse sempre?
“Ho deciso. Ti chiamerai Meimei.”
Una gabbietta dalle sbarre dorate…
Posta vicino ad una ragazza dai boccoli
verdi che parlava con il suo contenuto: un canarino tutto giallo dai liquidi
occhi neri, che sembrava capire ciò che sentiva.
- Hai capito Pichikato (lett. Pizzicato, un modo di suonare il
violino)? Secondo me, se Kanaria imparasse a suonare quel brano, la
prenderebbero sicuro, kashira (lett. Chissà)! -
Questo era il nome della fanciulla, dalla
strana abitudine di parlare in terza persona e di concludere ogni frase con
“Chissà”. Gli occhi color dell’erba, perennemente spalancati in un’espressione
vaga, le davano un’aria eccentrica, a completare l’esempio dei vestiti gialli e
arancio che portava con tanta disinvoltura, a scapito degli sguardi incuriositi
della gente.
Anche ora, mentre cianciava allegramente
con il suo canarino, le persone vicino a lei le gettavano uno sguardo e
scuotevano la testa in segno di disapprovazione: abituati alla loro vita
normale, alle loro famiglie e lavori normali, non vedevano altro che insanità
mentale.
E se alcuni, più attenti, notavano anche
la custodia di pelle marrone vecchia e sbrecciata a fianco a lei, non pensavano
che la ragazza potesse suonare il violino di mogano in essa contenuto con
abilità, che nella sua musica ci fosse più della stranezza che dimostrava.
Nessuno però faceva mai caso a questo.
Un cammeo di giada con un pianoforte…
Toccato quasi ossessivamente dalle lunghe
dita da pianista di una ragazza dai capelli castani, lunghi fino alle
ginocchia, mentre parlava con un tono acuto della voce con la sua vicina, gli
stranissimi occhi, uno verde e l’altro rosa, che mandavano lampi mentre
descriveva cose che non esistevano.
- Oh Souseiseki, secondo me l’animo di ogni
persona è rappresentato da un albero che ne illustra lo stato fisico e mentale,
desu! Immagina una persona molto
aperta e sensibile…i rami che si estendono per tutta la loro lunghezza, come
per abbracciare il mondo, segnati da cicatrici inferte dal troppo badare agli
altri e di conseguenza averne ricevuto gli stessi dolori e dispiaceri…ma anche
pieno dei fiori della consapevolezza di aver fatto del bene…ti immagini che
meraviglia, desu? -
La lunga gonna verde scuro di velluto,
accompagnata da un golfino dello stesso colore bordato di pizzo nero, le dava
un aspetto da signora, mentre il suo carattere era quello di una bambina:
immersa nelle sue fantasie per rifugiarsi da un mondo che non le piaceva, con
le sue guerre, le sue durezze e asperità che non voleva affrontare.
Solo suonando il pianoforte poteva
esprimere silenziosamente ciò che sognava, l’utopia che desiderava. Come un
sogno di giada che non si spezza mai. Jade Dream, questo era il nome di quel
ciondolo che portava sempre con sé, ricordandole che il suo pianoforte era
sempre lì, con lei, Suiseiseki.
Un anello di lapislazzuli con due bacchette incrociate…
Osservato da un occhio verde e uno rosa,
nel tentativo di escludere dalla mente le chiacchiere senza senso di una lingua
troppo lunga.
“Dovrebbe essere la mia sorella maggiore.
Sembra una bimbetta con il corpo troppo cresciuto”
Pensò Souseiseki, i corti capelli dello
stesso colore della sorella che le incorniciavano il volto perennemente serio e
gli occhi dagli stessi colori, ma invertiti.
Erano gemelle, anche se sia per l’aspetto
che per il carattere erano completamente opposte: l’una persa nelle sue
fantasie, l’altra sempre con i piedi per terra.
Se per Suiseiseki la realtà era un
optional, per Souseiseki era invece il pane quotidiano, riteneva che era
assurdo poterle e doverle sfuggire poiché ci sarà sempre, nelle sue crudezze.
Gli abiti sportivi, dal taglio maschile,
la facevano sembrare un ragazzo in contrasto con l’aspetto molto femminile
della sorella, lei preferiva così: “Se devi affrontare la realtà, fallo almeno
stando comoda”, si ripeteva continuamente, per darsi coraggio e per ignorare i
commenti della gente sul fatto che dovesse essere la sua sorella maggiore ad
occuparsi della baracca, non lei.
L’unica cosa che aveva in comune con la
sorella: la passione per la musica. La sua batteria, Lempicka, a casa, era l’unico
modo per distrarsi da tutti i problemi che le riservava la vita, di cui la
sorella era felicemente ignara, lei, persa nel suo mondo.
Un ciondolo portafoto d’oro…
Pendeva sul petto fasciato da una
camicetta bianca dai bottoni d’avorio, senza una piega o un filo tirato.
Occhi azzurri scrutavano un cielo dello
stesso colore, sembrava che a forza di fissarlo, esso si fosse riversato nell’iride.
Una chioma bionda, dai riflessi color
miele che splendevano in una cascata d’oro, accarezzati dal sole, legati da
nastri rosso cupo in due code che finivano in eleganti boccoli.
“Quanto vorrei una tazza di tè…”
Pensò Shinku, annoiata dal viaggio sempre
troppo lungo, nei suoi venti minuti di treno…le parevano sempre un’eternità, a
lei, abituata ad avere troppo, troppo in fretta.
Le mani posate in grembo con una grazia
quasi irreale facevano capire il suo alto lignaggio, che non esitava a
sbandierare in ogni occasione, come biglietto del treno o per avere l’edizione
rara della musica di Vivaldi che tanto amava al negozio dei CD…ovviamente
quello nei quartieri alti.
Non riusciva ancora a capire perché era
dovuta salire su quel treno, in quella stazione vecchia e decrepita, senza
nemmeno Jun a tenerle compagnia.
“Jun…razza di stupido…solo per il
giudizio degli altri ti sei chiuso in camera tua…razza di cretino…”
Quel fenomeno, che coinvolgeva il 20%
degli adolescenti di sesso maschile in tutto il Giappone, aveva un nome “hikikomori” ma Shinku lo chiamava
semplicemente “stupidaggine”, tutta una questione di testa diceva sempre lei.
Due fattori avevano spinto Jun Sakurada
ad entrare nella percentuale: uno, il fallimento dell’esame per entrare in una
scuola privata, due, la scoperta della sua passione nel disegnare degli abiti
femminili sia a casa che a scuola.
“Tutta questione di testa…”
Una fragola rossa…
Cucita sulla salopette rosa di una
ragazzina dai boccoli color miele, tenuti fermi da nastri color confetto, e gli
innocenti occhi verdi, che canticchiava tra sé una canzone per bambini.
Hinaichigo, l’incarnazione stessa dell’infantilità,
sembrava non rendersi conto del mondo che le passava intorno, seduta a gambe
raccolte sul sedile vicino al finestrino, intenta ad osservare il colore della
custodia rosa e rigida, sulla salopette e le calze a righe verdi e rosse,
contenente il suo basso rosa con l’immagine di Hello Kitty sopra.
Il suo abbigliamento, così strano per una
ragazzina di quasi 16 anni, rispecchiava il suo mondo, con le sue stampe
allegre, i suoi colori vivaci e un sole che splendeva sempre, in ogni caso,
voltato verso l’aspetto positivo delle cose.
- Lallala…lallala…-
Canticchiava lei, finchè una signora
vicino a lei, spazientita, le impose di smettere, facendo assumere al visetto
rotondo un’espressione arrabbiata, identica a quella di un bambino di cinque
anni quando gli rubano il suo giocattolo preferito ed efficace quanto essa,
cioè nulla.
- Assurdo come i giovani di oggi non
crescano mai…-
Sospirò la donna, intenta a parlare con
la sua vicina.
Beh? Piaciuta? Vi fa schifo? Siete corsi in bagno a
vomitare?
Ditemelo per favore, così o continuo o cancello XD
Ho provato a metterci tutta me stessa qui…mi sono
successe tante cose ultimamente e non sto molto bene, sul lato psicologico,
perciò vorrei almeno che ci badaste…speriamo ^^