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Autore: RobyWiccan    16/12/2013    0 recensioni
Vienna 1938. William e Theodore appartengono a due realtà completamente diverse. Il primo è un semplice libraio, un vero topo di biblioteca appassionato di arte, musica e cucina mentre il secondo è un soldato nazista. I due si conoscono in modo apparentemente brusco pochi giorni prima dell'Anschluss ma piano piano cominceranno a diventare amici. Ma il 15 di marzo minaccia di separarli nuovamente e, soprattutto, per sempre.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Billy Kaplan/Wiccan, Teddy Altman/Hulkling
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Vienna 1938
Pochi giorni prima dell'Anschluss.

La libreria Kaplan riposava tranquilla e indisturbata in una delle tante piccole Gasse poco lontano dal Ring, il centro pulsante di quella città splendente. Non era molto frequentata ma chi la conosceva non se ne andava più e non poteva fare a meno di adorare il figlio del proprietario, più presente del proprietario stesso. William Kaplan era un giovanotto alto, dai capelli scuri e non propriamente smilzo. La gente lo vedeva sempre con una buona camicia bianca stirata e un gilet di pelle scamosciata. Un aspetto umile ma al contempo elegante, ingentilito ancora di più da un paio di sottili occhiali da riposo che lo caratterizzavano quando leggeva e gli davano un'aria più seria ma immancabilmente tenera. E questo succedeva abbastanza spesso, se si considerava che ormai conosceva tutti quei libri meglio delle sue tasche. Il negozio ne era stracolmo. Gli scaffali partivano dal pavimento, su cui poggiava un bellissimo tappeto spesso, e continuavano fino ad una buona altezza. Su questi scaffali e in qualche vaso a terra stavano molte piante rampicanti e non, che scivolavano dagli alti scaffali fino quasi al terreno. Un bel lampadario illuminava insieme alle ampie finestre che davano sulla strada, tutta la stanza, la cui effettiva grandezza stava soprattutto nell'altezza. Dietro al bancone in fondo si trovava una porta, da cui si accedeva al piano superiore e quindi alla sua effettiva casa. William era sempre intento a lavorare su qualcosa lassù o dietro al banco.Il ragazzo infilava i suoi occhiali nel taschino del gilet e alzava la testa con un sorriso ogni volta che il campanellino sulla porta segnalava la venuta di qualche cliente. Era sempre allegro e gentile con tutti, amante della musica, dei libri, dell'arte e della cucina viennese. Amava la sua patria e ancor di più la sua città. Quando il negozio era chiuso dal piano di sopra lo si sentiva esercitarsi al violino o al pianoforte, entrambi lasciatigli dal padre che aveva preso il largo tempo prima. La musica in quei momenti attraversava tutta la via e faceva spuntare un sorriso perfino alla sua vicina, una vecchina bassa e gobba e costantemente accigliata.
Quel pomeriggio non si stava esercitando e il campanello gli fece chiudere il libro, che aveva letto almeno tre volte, togliersi gli occhiali e accogliere il nuovo venuto con un gran sorriso e un:

-Buongiorno, posso aiutarla?-

Il giovane in uniforme era entrato e subito aveva preso a guardarsi intorno, in particolare aveva adocchiato un oggetto su un basso scaffale proprio dietro al banco: un candelabro in metallo a sette bracci.

-Soldato di leva Altman, sono qui per un controllo- Ribatté il biondo come un perfetto soldatino. Avrà ripetuto qusta frase a memoria per tutto il giorno, pensò il moro.

-William Kaplan. E non si preoccupi, tutto quello che vede è proprio qui.- sorrise affabile -E vedo che è particolarmente interessato a quela candelabro che, mi spiace, non è in vendita. È ebreo per caso?-

Il biondo fece per ribattere quasi indignato, ma venne bloccato da un gesto della mano prima di poter proferire parola.

-No, certo che no. Con quell'uniforme in perfetto stile da Terzo Reich credo proprio che sia improbabile.- disse con una calma del tutto fuori luogo e, vedendo il biondino spiazzato, fece un gran sorriso e scacciò quell'espressione tesa dalla sua faccia con un gesto della mano. Il soldato non era certo abituato a sentirsi parlare in quel modo, figuriamoci ribattere. Probabilmente per lui l'ordine del giorno era trovare gente servizievole che non gli tenesse testa. Era stato divertente vedergli quell'espressione stupefatta sulla faccia.

-Suvvia, stavo scherzando.- e fece segno di annusare l'aria, come se avesse dimenticato qualcosa.
-Non si muova di qui, anzi, si accomodi. Torno tra un secondo!-

E detto questo sparì dietro la porta, lasciando il ragazzo in uniforme immobile e a bocca asciutta. Gli ci volle un po' per ricominciare a guardarsi intorno, quasi si vergognava di rivolgere lo sguardo verso il candelabro.Ora però poteva osservare meglio l'intera stanza. Le due grandi vetrine illuminavano alla perfezione tutto l'abitacolo. Una piccola stufa riscaldava l'abitacolo, rendendolo un mondo a sé stante rispetto al freddo inverno che si consumava là fuori. Sebbene fossero i primi di marzo infatti le piante all'interno della libreria sembravano rigogliosissime. Si sedette su una delle comode poltrone di fronte ad un bellissimo tavolino da té, tutto in uno stile caldo e accogliente. Non poté non apprezzare inoltre il grande tappeto che ricopriva quasi l'intera stanza. Il tavolino nell'angolo, proprio sotto il bancone, doveva avere una gamba leggermente più corta delle altre, perché poggiandola sul tappeto il tavolo non dondolava. Un buon modo per rimanere eleganti in economia. Si sentiva ancora a disagio per la supposizione fatta dal ragazzo. Essere chiamato ebreo in quel periodo era come avere un bersaglio disegnato in fronte, e lui ne parlava con tutta questa tranquillità! Lo aveva letteralmente spiazzato. Lui, un semplice libraio aveva parlato in quel modo ad un soldato tedesco. Un affronto, in pratica. Chissà quante altre volte si era rivolto così ad un ufficiale magari. Non molte, pensò, altrimenti non l'avrebbe passata così liscia. Forse era stato troppo buono, o si era dimostrato debole. Quel Kaplan doveva essere pazzo, di questi tempi poi. Ebreo e pure faceva attacchi di questo genere ai soldati di pattuglia. Poteva andargli molto male, ma sembrava sapere il fatto suo.

-Spero di non averla fatta aspettare troppo!-

Non c'era malizia nella sua voce mentre scendeva le scale di corsa e con l'eleganza di un cameriere di corte pose un vassoio sul tavolino, con due fette di torta, due grandi tazze di cioccolato caldo e fumante e una piccola terrina piena di panna fresca.

-Andiamo,- disse notandoil suo tentennamento davanti a quel ben di Dio -non vorrà farmi credere che i suoi superiori non le permettono di farsi offrire del cibo da un ebreo? C'è un freddo infernale là fuori e lei è pallido come un cencio!-

E mentre finiva di parlare sistemò la tazza di fronte al giovane tedesco (l'uniforme era senza ombra di dubbio quella della Germania nazista) e prese in disparte il suo piattino e dando un morso alla torta.

-Mangi, non è mica avvelenato.- ridacchiò sotto i baffi.

Il giovane soldato prese comunque con titubanza la torta e con la forchettina da dolce ne mangiò un pezzo. Sembrava si fosse rilassato un pochino, forse per il fatto di non essere morto sul colpo, a tal punto da aprire finalmente la bocca dopo la “stoccata” del moro.

-È deliziosa, grazie.- l'altro sorrise.

-Allora sa parlare con la sua bocca. Mi spiace per quello che le ho detto ma tutti gli altri che sono passati nei giorni scorsi sembravano aver imparato a memoria solo quella frase, tre parole in croce. Pensi che non mi lasciavano nemmeno salire in casa mia, le pare? È un piacere vedere che qualcuno di voi non è così diffidente nei confronti di una semplice cioccolata e una fetta di Sacher.-

Probabilmente il giovanotto di fronte a lui non sapeva neppure che sapore avesse una Sachertorte, nemmeno prima di entrare nelle truppe naziste. Per compensare infatti la sua evidente ignoranza alzò lo sguardo verso la parete dietro al libraio e cercò di sembrare almeno un po' informato.

-È una stampa di Schönbrunn quella?- Chiese indicando con un cenno del capo una cornice dietro al banco che ritraeva una veduta dell'intero complesso di Schönbrunn, dal casino di caccia fino al palazzo.

-Un disegno, per la precisione.- rispose l'altro. -Un ricalco di una fotografia scattata da un aeroplano e ridisegnata a colori.-

-Dev'essere costata una follia.- Osservò sorpreso il biondo.

-Molto del mio tempo, se é quello a cui si riferisce.- Sorrise affabile il ragazzo dai capelli color cioccolata. Lo sguardo allibito dell'altro era qualcosa di assolutamente impagabile. -Ne ho molte altre, di sopra. Non dell'aereo, ovviamente, quella fotografia era un regalo.-

Si alzò, posando il piattino sul tavolo, andò a girare il cartello appeso alla parete da „offen“ a „geschlossen“ e lo invitò a salire per la scala.

-Non era qui per un controllo?-

Chiese vedendolo titubante, ovviamente con un sorriso. Theodore non sapeva come mai non lo trovasse insopportabile.

-Potrei avere ancora qualche pericoloso candelabro quassù.-

Ecco come. Questo non toglieva il fatto che ai suoi occhi sembrava un pazzo. Come faceva a fare battute di questo genere in un momento tanto delicato? In questa atmosfera tesa, con tutti i manifesti anti-semiti, i ragni neri su sfondi di neve e sangue. Ragani neri che sventolavano minacciosi sui davanzali, come poteva stare così tranquillo? Non temeva le retate? Le famiglie e persone scomparse? La sua abitazione sembrava un luogo fuori dal mondo in quel freddo glaciale e il degrado che si consumava là fuori. Erano intrappolati in una boccia di vetro percorsa dal tepore di quadri e cioccolata calda e libri, mentre fuori il freddo accompagnava i soldati come un mantello di morte.
Non ebbe troppo tempo per riflettere, le stanze al piano superiore lo lascairono a bocca aperta. Erano tappezzate di quadri ritraenti Vienna in tutte le sue sfumature. Erano un continuo alternarsi di opere e paesaggi quotidiani. La Hofburg in tutta la sua maestosità e un povero vecchio che suonava l'armonica a lato della strada, lo Stephansdom e la vista dell'intera città dalla sua cima, i musei gemelli, un particolare della statua di Maria Teresa d'Austria, i bambini che rincorrevano i piccioni sotto di essa, il Rathaus e la sua elegante scalinata... perfino la sua stessa via, con la vecchina della porta accanto che lo squadrava con l'aria torva (Theodore era sicuro che non sapesse sorridere). Tutti riprodotti con una cura magistrale e al contempo con la leggerezza e l'innocenza di un bambino.
Il givoane viennese osservava il soldato coetaneo con un sorriso intenerito sul volto, sembrava un bambino intento a guardare un cielo di aquiloni colorati. Quasi si commosse al pensiero che lui non aveva mai visto Vienna con i suoi occhi. Si sedette al pianoforte, lasciando che le dita gli permettessero di dimenticare l'orrore e la paura di quei giorni che era tanto ben riuscito a mascherare.
Theodore da canto suo osservò che la stragrande maggioranza di quegli aquiloni ritraevano il palazzo di Schönbrunn e il giardino in tutti i suoi dettagli. Le eleganti ringhiere in ferro battuto, le carrozze trainate da cavalli nel riflesso di una pozzanghera, il casino di caccia, le statue che costeggiavano il viale, i labirinti ben curati. Un piccolo scoiattolo.
Tutto in un paesaggio allegro e vivace, che sembrava intriso di felicità e luce. Sembrava una magia.
Si riscosse bruscamente sentendo le prime note di una canzone. Non si era accorto del pianoforte nella stanza finché William non aveva cominciato a suonarlo con grazia.
Note lente e calme, tristi e felici nello stesso istante. Una melodia che sembrava far piangere il cuore. Il ragazzo la suonava con una sicurezza e una leggerezza invidiabili. Le dita scivolavano sui tasti bianchi e neri creando un fiume di note che risuonavano nella stanza e nella strada, e, attraverso i quadri, portare anche il soldato dagli occhi color del mare all'interno di tutti quei paesaggi.
E quello stesso ragazzo si lasciava rapire da quell'aria, all'interno die suoi disegni, lontano da quel mondo di persecutori di cui ormai sentiva di non fare più parte.

 

15. March 1938 Anschluss

 

Il sole era alto e abbagliante nonostante il velo di nubi che rendevano i cielo bianco e grigio e che lo coprivano agli occhi di coloro che stavano assistendo ad una scena che non si sarebbe ripetuta molto presto nel corso della storia.
Una voce autoritaria gracchiava all'interno degli altroparlanti, espandendosi nell'immenso piazzale della Hofburg. Sembrava ancora più sconfinato ora che la gente stava accalcata l'una sopra l'altra, guardando con attenzione il davanzale sul grande palazzo.
I soldati stavano ritti subito sotto il piazzale, a fare contenimento, e per ricordare il rigore militare della grane Germania, fissavano il vuoto oltre la folla con aria stoica. Ma c'erano un paio di occhi in quela fila di divise che si azzardavano a guardare la folla di tanto in tanto, alla ricerca di capelli color cioccolato.
Theodore sbirciava tra tutte quelle persone quella che interessasse a lui. Lo avrebbe disegnato in uno dei suoi quadri? Osservò un piccolo bambino in braccio ad una madre tranquilla ma decisa. Non stava piangendo ma si notava che la voce gracchiante gli dava molto fastidio. Era spaventato. Perché si sentiva come quel bambino? Perchè si sentiva così estraneo a quel mondo?
Gli partì il cuore in gola quando vide sbucare una sciarpa rosso cupo da dietro quella signora. Per un attimo sperò che non lo avesse visto ma i suoi occhi erano puntati dritti nei suoi.

William.

Il suo sguardo non diceva niente. Non ci si leggeva dentro l'odio, la delusione che si sarebbe aspettato.
Ma non riusciva comunque a sostenere lo sguardo. Lo unì a quello degli altri suoi compagni, fissando un punto indefinito sopra la sua testa.

Questo è il mio dovere, mi sono arruolato per questo.

Lo stesso uomo che ora parlava davanti ai grandi microfoni che si tendevano di lui come zecche gli aveva stretto la mano con un sorriso e posato sul suo capo lo stesso berretto che indossava ora.
Era il suo dovere e non poteva permettere ad un ebreo viennese di fargli cambiare quello per cui era nato.

Stai cercando di convincerti da solo di qualcosa in cui nemmeno tu credi.

Ecco cosa stava facendo. Ecco cosa gli avevano detto quegli occhi nella folla.
Lo aveva capito quando, di ritorno da un giro di pattuglia, aveva trovato la libreria chiusa. Le finestre sbarrate, così come la porta. Come se il ragazzo della cioccolata lo avesse chiuso fuori dalla propria vita, come per allontanarlo dal suo nido.
Oppure lo avevano fatto chiudere? Lo avevano già preso o era scappato per tempo, come suo padre?

 

-Perché non sei andato via? È solo questione di tempo.-

-Questa è la mia casa, mi è molto difficile lasciarla. Che altro otterrei andandomene? Non c'è nessuno per me là fuori.-

Sospirò il moro in un sorriso. Non c'era verso di levarglielo.

-Verranno a prenderti, lo sai.- gli sembrava di sentire la paura nella sua voce, quasi lo implorasse di andarsene. Ma non era una novità, la gente scompariva da un giorno all'altro. La sua voce era una preghiera, che non ebbe altro effetto che rinnovare quel sorriso instancabile. Ormai avevano cominciato a darsi del tu.

-Prenderanno anche te.-

Disse, facendogli guizzare negli occhi la consapevolezza e il terrore di essere stato scoperto. Aveva fatto molta fatica a trattenere l'impulso di guardarsi intorno e accertarsi che non ci fosse nessuno intorno.

-Quanto tempo credi che passerà prima che qualcuno lo scopra? E non tentare di fingere il contrario.-

Come aveva fatto a capirlo certo non lo avrebbe mai saputo ma in quel momento la sorpresa lo mise sulla difensiva, dipingendogli il viso di rosso.

-Non so di cosa parli! Non credere che quando verrà il momento accusare ingiustamente un soldato non ti sarà d'aiuto!-

E detto questo se ne andò con rabbia nelle vene che gli faceva ribollire il sangue e quel sorriso stampato negli occhi che ora gli procurava solo collera.

 

Avrebbe voluto guardarlo negli occhi, sperando che William ci leggesse dentro le sue scuse per quello che gli aveva detto. Era stata la minaccia più subdola che avrebbe mai potuto tirare fuori e si sentiva un mostro per ogni singola parola.
Quando rivolse di nuovo lo sguardo verso la folla la sciarpa rossa era sparita, come la sua determinazione.
Sciarpa rossa.
Tasti bianchi e neri.
La sera seguente nella via del musicista e del profumo di marmellata si consumava l'odio die ragni tedeschi. La casa era stata trovata deserta. La porta sfondata aveva permesso a sette uniformi di dissacrare quel luogo di calore magico. La magia però era sparita prima che loro entrassero.
Theodore era sconvolto quanto i suoi compagni, che però trasformarono lo sbigottimento in furore e bestemmie. I muri erano spogli, i libri scomparsi, i letti rifatti. Era stato un trasloco a regola d'arte.
Aveva passato tutta la notte precedente a vedere William morto nella sua casa. Lo vedeva seduto sulla poltrona, con una pallottola in testa. Lo vedeva dipingere i suoi quadri con il suo stesso sangue. Vedeva il ragno sui tasti bianchi e il rosso colare da essi. Sempre con quel sorriso comprensivo sul viso, come se gli dicesse „Non preoccuparti, non è colpa tua.“
In una notte aveva avuto incubi per una vita intera e ancora non ne volevano sapere di finire. Sentiva le mani sporche del suo sangue prima ancora di averne visto il cadavere. Ma del giovane ebreo non c'era traccia, e nemmeno di tutte le sue cose. Nella piccola cucina al piano di sopra era stata lasciata una fetta di torta e una cioccolata ormai fredda. Quasi gli scappò un sorriso completamente fuori luogo, era pazzo.
Avevano frugato ovunque, solo a Theodore un particolare non era sfuggito. Una stampa era lasciata sul bancone.

Una sola.

Una piccola cornice che tutti avrebbero notato senza capire.
Ma lui sapeva dove trovare lo scoiattolo che lo osservava dalla cornice.

 

 

Il parco di Schönbrunn quella sera sembrava più buio e tetro che mai. Il freddo penetrante pungeva la faccia come l'unione di mille lame. Gli alberi semispogli e la neve sciolta e marroncina ornavano le piccole stradine. Oltre i rami tristi e morti si scorgevano pesanti nuvoloni scuri e la luce della luna stentava a raggiungere il terreno, rendendo il paesaggio tetro e abbandonato. Le foglie scricchiolavano umide e sembravano congelare i piedi, nonostante i robusti scarponi da soldato.
A Theodore si stringeva il cuore a vedere quel paesaggio triste e desolato, non ricordava nulla delle stampe colorate del ragazzo. Lo stesso ragazzo che ora cercava con il fucile imbracciato, come un mastino tedesco.
William sapeva perfettamente a cosa andava incontro quando aveva lasciato la cornice sul bancone del negozio. Sapeva che il ragazzo dagli occhi azzurri avrebbe capito benissimo quel piccolo e apparentemente senza significato messaggio, e avrebbe potuto benissimo anche svelarlo ai suoi compagni e consegnarlo alle truppe naziste. Tutto questo in tempo record.
Ma sperava in tutti i modi che quel messaggio si fosse attaccato a quella parte del ragazzo che non voleva fare la sua stessa fine, che sapeva che prima o poi sarebbe stato scoperto. E quando lo vide avvicinarsi nella sua direzione si alzò cautamente in piedi, era venuto solo ma non significava niente, era armato. Aveva già le braccia alzate quando il ragazzo si girò di scatto avendo sentito lo scalpiccio di rami sotto i suoi piedi. Le sue mani indicavano più un gesto di pace che di resa.

-Non ti muovere!-

L'urlo di Theodore era soffocato, come se fosse lui in realtà quello ad essere braccato.

-Dove sono finite le tue cose?- William sorrise a quella domanda, anche lui conservava quel minimo di orgoglio ferito per esserselo fatto sfuggire da sotto il naso.

-La mia vicina di casa non è sulla vostra lista, ha accettato di aiutarmi e nascondere le mie cose finché non sarò tornato.. o avrà la certezza che sono morto.-

Disse con una tale naturalezza quell'ultima frase che Theodore ne fu intimidito.

-Non mi muovo, ma voglio parlarti. Tu sai bene di cosa. Non passerà troppo tempo prima che qualcuno lo scopra e non ti denuncerò nel caso tu decidessi di consegnarmi.-

Theodore si sentì un tale verme a quell'affermazione che avrebbe voluto buttarsi in ginocchio davanti a lui solo per chiedergli di dimenticarsi quelle parole. Il fucile tremava tra le sue mani al contrario della voce calma di William.

-Ti sto chiedendo di scappare- continuò -in due sarebbe molto più semplice. La metro è a pochi minuti da qui, ne passerà una tra poco. Possiamo andarcene, possiamo scomparire.-

Perché gli diceva tutte queste cose? Avrebbe potuto consegnarlo alle SS e rivelare il suo metodo per andarsene. Lo avrebbero obbligato a confessare chi erano i suoi complici, e sapeva che non ne aveva (se si escludeva la vecchina della casa accanto) e lo avrebbero ucciso all'istante non appena si fosse rifiutato. O peggio.
Voleva veramente aiutarlo a scappare? Sembrava di sì, e abbassò il fucile mentre valutava la cosa. William dal canto suo abbassò le mani, lasciandolo libero di pensare sebbene trasparisse una certa fretta dai suoi continui sguardi verso la metro.
Ma dei fasci di luce e voci ruppero quel momento di meditazione. Venivano dal casino di caccia e si avvicinavano a vista d'occhio. Erano a meno di cento metri da loro.
Nel momento stesso in cui Theodore voltò lo sguardo in quella direzione william coprì quella breve distanza che li separava e, preso il fucile dalle mani del biondo e lo colpì con forza al viso, facendolo cadere a terra e schizzando via nella macchia come un proiettile.
Gli alberi scivolavano via ad ogni suo passo mentre si gettava giù per la collina a rotta di collo, zigzagando tra i tornchi spenti degli alberi per schivare le pallottole. Gli spari rieccheggiavano per tutto il parco.
Aveva reagito d'istinto, pensando a tutto in meno di un decimo di secondo. Se non lo avesse colpito avrebbero certamente sospettato di qualcosa.
Eccola laggù, bastava attraversare la strada e sarebbe scomparso per sempre nella metropolitana. Ma gli spari erano già alle sue spalle e quello era un campo aperto, erano troppo vicini e una pallottola gli aveva appena sfiorato l'orecchio. Si nascose dietro uno degli ippocastani ancora pieni di foglie che costeggiavano lo stradone mentre i proiettili mandavano schegge ai suoi lati.

Pensa William, pensa!

Non poteva scattare verso la metro, non poteva rimanere fermo lì.
Con tutta la forza che aveva nelle braccia piì quella alimentata dalla paura cominciò ad arrampicarsi sugli appigli che solo la disperazione poteva offrirgli.
Quando Theodore arrivò con il fiatone per aver corso e la faccia che ancora doleva, quel colpo gli aveva mozzato il fiato ma non era per nulla grave, vide solamente una scarpa sparire in altro tra i rami frondosi.
Era arrivato prima degli altri solo per il suo vantaggio e prima che potesse urlargli qualcosa arrivarono i suoi compagni.
E cominciarono a sparare alle fronde senza sosta.

Un urlo e si fermarono.

Un urlo soffocato da un rantolo e un colpo di tosse che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Un paio di occhiali sottili caddero a terra con un tonfo leggero tra i piedi dei soldati.
Una lente era fracassata e l'altra sporca di sangue.

Tasti bianchi e neri.

A Theodore parve che il suo cuore si fermasse, per più di qualche battito.

Non sentiva niente, non le grida compiaciute dei suoi compatrioti. Non le pacche sulle spalle per aver scovato un altro ebreo fuggitivo.

Il suo sguardo era puntato sulla sottile montatura metallica con le stanghette storte.

Gli sembrò di sentire il frinio del treno sulle rotaie, ma non sapeva dire se fosse vero. Non seppe dove trovò la forza per scuotere la testa quando gli chiesero di unirsi a loro per festeggiare.

La sua testa era al negozio, alle immagini di lui. Morto in ogni angolo della casa. Ora lo era veramente, come uno dei tanti uccellini che aveva disegnato nelle sue cornici. Morto. Come le tante foglie gialle ancora attaccate all'albero.

Lui non sarebbe caduto.

Ed era tutta colpa sua.

Non aveva mai assistito ad un omicidio, ma non pensava che gli sarebbe toccato tanto presto. Non in quel modo.

Tasti bianchi e neri, su sfondo rosso sangue.

I ragni neri si erano presi William.

Non era meno colpevole di chi aveva premuto il grilletto. Rimase così, in piedi, fermo, in stato catatonico a fissare le foglie secche a terra e chiedersi cosa avrebbe fatto ora. Avrebbe vomitato, questo era sicuro.
Un fruscio sopra la sua testa lo fece scattare come se avesse sentito il ringhio di qualche animale feroce e puntò il fucile verso la figura che era appena caduta malamente dall'albero.
William lo fissava con un'espressione del tutto fuori luogo, -come era suo solito- tenendosi il braccio e la manica completamente imbrattata di sangue.
Sembrava quasi offeso cercava di togliersi le foglie secche dai capelli e raccoglieva gli occhiali, mettendoseli nel taschino del gilet con fare stizzito sotto lo sguardo attonito e stupefatto di Theodore.

-Be'!? Se devi farmi fuori questa volta punta alla testa!-

Gridò rabbioso cacciandosi un dito in mezzo agli occhi.

-Veramente.. mi chiedevo se l'offerta di scappare fosse ancora valida.-

Theodore abbassò il fucile e fece una cosa che non faceva da molto tempo.

Sorrise.

 

Tasti bianchi e neri.

Il ragno non si sarebbe preso William.



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Salve a tutti, sono tornata! Ovviamente tutti vi aspettavate che finissi l'ultimo capitolo dell'altra FanFiction ma ci sto ancora lavorando e quindi nel mentre vi ho pubblicato questa. L'ho buttata giù quest'estate mentre ero in vacanza a Vienna (che è stupenda e la adoro come poche cose al mondo) e so che magari ci possono essere PARECCHIE imprecisazioni storiche ma.. Prendetela così com'è vi prego! :)

  
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