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Autore: Hastatus    19/12/2013    2 recensioni
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Asuka Soryou Langley, Shinji Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa. Spesso, quando scrivo, temo di essere noioso e prolisso. Per questo motivo, le mie storie non sono mai molto lunghe. Questo per avvertirvi che con questo mi sto avviando alla conclusione della storia, che finora spero sia stata di vostro gradimento.
Buona lettura!

 

*

 

 

Shinji e Asuka furono svegliati quando il sole non era ancora sorto. Fecero colazione con della zuppa di miso in latta, un barattolo ogni due persone. Shinji divise il suo con Asuka. Più di una volta portò la latta alle labbra e fece solo finta di bere la zuppa, così da lasciarne un po’ di più alla ragazza senza che lei se ne accorgesse.

 

“Penso che dovremmo andare adesso” – disse Hyuga, che divideva il suo barattolo con Aki. Hiro ne aveva uno intero. “Così da evitare il caldo il più possibile. Che ne dici?”

 

Shinji annuì. la sua camicia era già madida di un sudore appiccicoso e non vedeva l’ora di tornare per lavarla al pozzo.

 

Hyuga guardò il fondo della latta e annuì di rimando. Shinji ebbe l’idea di strappare un brandello di tessuto eccedente dal riparo più grande e farne due fazzoletti, che annodarono sulla testa come protezione dal sole, e portò il suo fagotto vuoto.

Dopodiché si congedarono. Mentre partivano il ragazzo si voltò per salutare con la mano, e Asuka gli rispose allo stesso modo, oscillando appena il palmo. Sembrava un addio. Dopotutto era la prima volta in quattro giorni che si separavano, ed entrambi percepivano un vago senso di abbandono.

 

Il sole descrisse un primo spicchio della sua traiettoria e quando la sua luce fu tale da gettare ombre allungate a dismisura, erano giunti nei pressi di un rudere solitario. Sembrava una vecchia cascina di campagna. La stalla che si trovava di fianco all’orto – o meglio, di fianco ai resti carbonizzati dello stesso – sembrava essere stata distrutta da un’esplosione e i detriti si ammucchiavano sul lato della casa arrivando a coprire completamente persino le finestre. Il ragazzo pensò che sarebbe stato praticamente impossibile trovare dei semi, in quel posto devastato.

 

“Attento” – disse Hyuga quando stettero per entrarvi – “Quando sono entrato nell’altra, ho rischiato che la trave portante mi cadesse in testa”

 

Shinji esitò prima di varcare la soglia, puntando lo sguardo sulla trave. Poi la oltrepassò, posandovi con cautela una mano sul bordo sottostante, alzandola come un cameriere che porta un vassoio.

 

“Signor Hyuga

 

L’uomo si voltò verso Shinji mentre era chinato a ispezionare i resti contorti di una credenza di metallo. Sembrava che in precedenza si fosse fusa, perché era collassata su se stessa, colando come un gelato lasciato al sole.

Shinji si costrinse a esternare quanto voleva dire. Era come se le parole gli si fossero fermate a metà della gola e la ostruissero come un boccone troppo grosso.

 

“Signor Hyuga. Lei pensa” – Shinji si schiarì la voce – “Pensa che possa esserci qualcun altro della Nerv?”

 

Lo sguardo dell’uomo divenne lucido, e lo spostò verso la credenza.

 

“Purtroppo, non lo so” – disse con voce roca.

 

“Ma lei …?”

 

“Se credo che qualcuno di loro potrebbe tornare? Sì, lo credo, come ho detto ieri. Però alla Nerv c’era davvero chi aveva voglia di vivere. Forse è persino più probabile che qualcuno abbia deciso di tornare”

 

Suonava come un tentativo di autoconvinzione. Shinji voleva prove.

 

“Come può dirlo?” – e subito si rese conto di avere un tono sostenuto. “Voglio dire, mi chiedo se ha degli elementi, ecco, per poterlo dire, o se non ne ha”

 

Hyuga riportò lo sguardo su di Shinji, che si era aspettato un’espressione tesa, sulla difensiva. E invece l’uomo aveva i tratti distesi e dolenti. Cercava di nascondere il dolore sorridendo.

 

“Credo di averne, sì” – rispose. “Il vice-comandante Fuyutsuki era un uomo di buon senso e amava la vita come tale. Non mi stupirei di rivederlo. Oppure …”

 

“… La signorina Misato?”

 

Shinji lo fissò, teso. Hyuga sospirò e chiuse gli occhi.

 

“Lo spero” – disse – “Lo spero tanto”

 

Anche Shinji lo sperava. Se c’era qualcuno di cui sentiva la mancanza, era la signorina Misato. Il volto gli andò a fuoco per la vergogna e per il senso di colpa. Lei lo aveva salvato: per questo motivo la prima cosa che aveva fatto una volta che si era risvegliato sulla spiaggia era stata costruire un piccolo monumento alla sua memoria, inchiodando il pendaglio che gli aveva lasciato su un travicello. La nostalgia lo assalì con un’onda di sconforto.

 

“Pare che abbiamo trovato qualcosa”

 

Shinji si riemerse dai suoi pensieri e per un momento fu smarrito. Hyuga si era chinato e riaffiorò con una bracciata di latte accartocciate.

 

Un tonfo, un boato, acciottolio di detriti; la luce scomparve e si levò una nube di polvere caustica di intonaco sbriciolato. Shinji si rialzò coperto da capo a piedi di polvere simile a farina. Tossì e ne sputacchiò. Aveva la bocca impastata.

 

“Signor Hyuga!”

 

Una serie di colpi di tosse. “Eccomi, sto bene, credo”

 

Non appena la nube si diradò un poco, Shinji riuscì a vedere l’uomo mentre, con una mano alla bocca, spingeva con l’altra per cercare di alzarsi da terra. Shinji gli porse la mano e lo aiutò ad alzarsi.

 

“Cos’è successo?”

 

“La porta!”

 

Si spostarono correndo all’ingresso. Un raggio di luce polverosa proveniente dall’alto illuminava la situazione. L’architrave che solo poco prima Shinji aveva toccato con il palmo della mano era crollato al suolo, e adesso era semisepolto da calcinacci e detriti. Era crollata anche la porzione di soffitto che l’architrave stesso sosteneva, ma le travi di legno del tetto non più sorrette si erano inclinate in avanti e coprivano il buco che si era formato bloccando la visuale del cielo.

 

“Meglio uscire subito, no?” – disse Hyuga – “Qua potrebbe venire giù anche tutto il resto, per quanto ne sappiamo”

 

“Proviamo dalla finestra” – propose Shinji, cercando di mantenere la calma. Aveva le mani sudate e tremanti, ma strinse i pugni lottando contro l’effetto dell’adrenalina. Il tecnico lo precedette sull’altro lato della casa.

 

“Dannazione!”

 

Shinji lo raggiunse correndo e annaspando. Hyuga stava fissando il muro, e non appena lo fece anche Shinji il suo cuore sprofondò. Le finestre erano bloccate dai detriti della stalla.

 

Accidenti, pensò digrignando i denti. Percepì una morsa attorno al petto e comprese che l’afflizione lo stava invadendo. Per qualche istante si sentì completamente inerme.

 

Shinji, vieni qui!”

 

Il ragazzo obbedì all’istante. Hyuga era tornato all’ingresso e stava rimuovendo i calcinacci con vigore, strappandoli a viva forza dal cumulo facendo leva con tutto il suo peso. Si fermò un istante per arrotolare le maniche della tuta e guardò Shinji un po’ perplesso.

 

“Allora, vuoi uscire o no? Dammi una mano”

 

In quell’istante, Shinji focalizzò in mente i lunghi capelli rossi di Asuka. No, non poteva stare fermo un’altra volta. Il conflitto interiore lo travolse come un vulcano scosso da un terromoto e, alla fine, eruttò. Misurò la distanza che lo separava dall’ingresso con tre passi decisi e si gettò sul muro frantumato come se gli avesse fatto un torto personale e dovesse picchiarlo.

 

“Attento!” – esclamò Hyuga – “Non cominciare dalla base, o verrà giù tutto di nuovo. Sta’ il più in alto possibile”

 

Lavorò come un mulo, sudando e impolverandosi fin sotto la camicia oramai sudicia. Le mani erano piene di taglietti sanguinanti, come quelle di Hyuga. Un tronco di trave era tanto pesante che dovettero spostarlo in due: si puntellarono sui piedi e tirarono come buoi, mugugnando per lo sforzo. Con un ultimo slancio la trave fu rimossa, e uno schianto indicò che il blocco di detriti soprastante era rovinato al suolo.

 

“Sì!”

 

Si era aperto un varco largo poco meno di Shinji. Fu sufficiente scremarne i lati dai calcinacci più grossi e infine risultò agibile.

 

“Bel lavoro” – si complimentò Hyuga, e subito dopo scoppiò a ridere. Fu contagioso: anche Shinji rise fino alle lacrime e i due si strinsero la mano. Nonostante fosse sporco di polvere, sudato e pieno di tagli, il ragazzo era raggiante.

Uscirono dall’apertura. Hyuga sbatté la testa mentre si piegava, ma continuava a sghignazzare tra sé.

 

Il sole era praticamente allo zenit quando arrivarono. Per un momento a Shinji baluginarono in mente alcune scene che aveva osservato solo sui suoi libri di storia, ovvero gli accampamenti del neolitico. Donne che accudivano i bambini e uomini che andavano a caccia. Si sentì un po’ mortificato a essere parte integrante di uno stereotipo simile.

 

Aki stava facendo a pezzi vecchie travi e porte di legno della casa. Un’estremità poggiata su un sasso, l’altra a terra e un secco colpo di tallone nel mezzo. Li salutò con la mano appena li vide, e fece cenno che sarebbe arrivata di lì a poco. Hyuga alzò i pollici.

Una decina di metri più in là, Asuka sedeva di fronte a Hiro di fianco al braciere spento. Shinji non poteva sentire cosa si dicevano, ma mentre proseguiva verso il pozzo vide Asuka sorridere e il ragazzino ridere a crepapelle come lui stesso poco prima.

Shinji si fermò e si beò di quell’immagine. Era Asuka! Aveva la sua stessa età, e appena due giorni prima era sull’orlo – come lui – del tracollo psicologico. Ora sembrava cresciuta troppo in fretta, sembrava adulta, sembrava una madre.

Una madre.

 

La ragazza vide Shinji con la coda dell’occhio. Disse qualcosa a Hiro, che annuì; poi lei si alzò e lo raggiunse al pozzo. Volendo approfittare delle ore di calore ancora disponibili, Shinji stava cercando di lavare la camicia, chino sul secchio, con lo stesso pezzo di saponetta di due giorni prima. sulle spalle si era gettato il drappo di tessuto del fagotto per proteggersi dal sole.

 

“Sembrava contento”

 

Asuka si voltò indietro e fissò Hiro.

 

“Ho cercato di distrarlo un po’. È arrabbiato con il mondo e desolato”. Tirò su col naso. “Immagino che abbiate trovato qualcosa”

 

Il racconto della loro disavventura precedente fece spalancare gli occhi e la bocca ad Asuka, che parve gonfiarsi come un gatto arrabbiato.

 

“Beh, vedi di stare più attento la prossima volta!”

 

“E’ stato un incidente, non potevamo prevederlo …”

 

“Comunque sii più prudente! Non ho alcuna intenzione di doverti venire a salvare l’osso del collo”

 

Si voltò e tornò al braciere scuotendo i lunghi capelli. Shinji la guardò allontanarsi con una gran voglia di scoppiare di nuovo a ridere.

 

 

 

*

 

“Ehi, guardate un po’ qua!”

 

Shinji allungò il collo verso Hyuga, così come fecero anche tutti gli altri. Non era facile vedere che cosa stesse mostrando, perché il fuoco già da parecchi minuti era andato spegnendosi. Ora gli ultimi tizzoni rilucevano al buio di un bagliore simile a quello delle stelle soprastanti.

 

L’uomo teneva fra le mani una delle latte che avevano recuperato e l’aveva da poco aperta. La prima impressione di Shinji fu che fosse piena di ghiaia. Si accigliò. Non appena i suoi occhi si abituarono alla mancanza di luce, vide che era piena di quelli che sembravano legumi.

 

“Non vedete?”

 

“Che cosa dovremmo vedere?” – chiese Aki. Asuka si limitò ad arricciare gli angoli della bocca verso il basso e ad alzare le sopracciglia. Non afferrava la straordinarietà che invece Hyuga sembrava voler comunicare.

 

“Su, toccateli”

 

Senza preavviso, infilò una mano nel barattolo e ne ficcò una manciata in quella di Shinji, che sul momento non seppe cosa fare. Poi capì: si era aspettato l’umido contatto con dei legumi molli perché bolliti, ma questo non arrivò. Sentiva al tatto la loro superficie liscia e i loro contorni regolari, erano secchi.

 

“Potremo farli rinvenire nell’acqua” – disse l’uomo – “E poi tentare di piantarli. Che colpo di fortuna. Direi che è valso la pena rischiare l’osso del collo, oggi, eh Shinji?”

 

Lo disse con voce sorniona in un fare volutamente provocatorio. Shinji fece un sorriso come risposta. Ah, chi mai l’avrebbe detto, mesi o anni prima, che un giorno sarebbe stato così felice per una latta di legumi secchi?

 

Quando ormai la luna fu tramontata da un pezzo, nel momento in cui il sole ancora non è visibile eppure è chiaro che la notte ormai è conclusa, Shinji si svegliò, senza più un briciolo di sonno. Si voltò. Asuka gli dava le spalle, dormiva in posizione fetale. il ragazzo guardò il suo fianco ondeggiare lentamente per qualche minuto. Fu colto da un’illuminazione: si alzò in punta di piedi, scostò la tenda facendola frusciare il meno possibile e uscì.

 

Camminò lentamente fino al braciere. Si chinò e ficcò dentro al suo fagotto più cenere possibile; lo chiuse afferrandone i capi e si diresse verso il lato del casolare. Scelse una zona che stimò non troppo riarsa dal calore durante la giornata, si chinò di nuovo e iniziò a scavare entro un’area più o meno rettangolare. Scavava con le dita, infilandosi la terra rossa sotto le unghie e cercando di arrivare il più a fondo possibile, scavò finché non fu soddisfatto del risultato, rimuovendo le pietre che incontrava e formandone un cumulo irregolare lì di fianco. Rimise la terra che aveva rivoltato dentro lo scavo e ci versò sopra la cenere del braciere e dell’acqua. Mescolò le tre materie con energia e a piene mani, con lo stesso vigore di un bambino che distrugge un castello di sabbia non appena ha finito di costruirlo.

Si alzò e raggiunse il pozzo. Sul fondo del secchio mezzo pieno d’acqua si trovava il contenuto della latta di Hyuga. Erano gonfi e lisci, turgidi dell’acqua filtrata al loro interno per osmosi. Preparò delle fossette infilando il dito indice nel terreno secondo un disegno regolare. Uno a uno, lì piantò tutti nella zona che aveva lavorato con le mani.

 

Si alzò, sbatté delicatamente le mani per non fare rumore e le sciacquò con un po’ dell’acqua del secchio. Ammirò la sua opera mentre aspettava che gli passasse il fiatone. Poi rientrò nella tenda.

 

“Dovevi proprio farlo adesso?”

 

Asuka si era voltata sul fianco opposto e lo osservava da distesa mentre lui si sedeva. Teneva le mani conserte sotto la tempia.

 

“Non volevo svegliarti”

 

“Ci hai messo un sacco. Sei stato accurato”. Lo osservò aggrottando appena le sopracciglia. Scosse appena la testa, facendo oscillare la massa di capelli lunghi, rossi e spettinati che le inondava il collo e le spalle. “Lo sei sempre, anche quando cucini o altro. Perché?”

 

Shinji soppesò la risposta per qualche secondo, mentre si distendeva supino con le mani dietro la testa.

 

“Non saprei. Credo di non essere portato a fare grandi cose. Quindi … forse cerco di fare quelle piccole il meglio possibile. E mi piace sentirmi gratificato, penso, ecco”

 

Asuka lo guardò ancora con la stessa espressione imbronciata. Fece leva sul gomito e si issò seduta. Si riavviò i capelli sulle spalle, si alzò del tutto e fece per uscire dalla tenda.

 

“Che bugiardo”

 

Shinji si tirò seduto a gambe incrociate. “Come?”

 

La ragazza si voltò indietro verso di lui, mentre con una mano scostava l’apertura. L’espressione imbronciata era sparita, i suoi lineamenti erano ora distesi. Dalla fessura filtrò la luce arancione del sole nascente, e i capelli di Asuka divennero fiammanti.

 

“A te non piace sentirti gratificato. A te piace sentirti gratificare da me

 

Shinji arrossì. “Come puoi dirlo?”

 

La ragazza chiuse gli occhi e rivolse i palmi delle mani verso l’alto. “Perché ti senti in debito verso di me” – disse. “E cerchi di riabilitarti ai miei occhi, semplice”

 

A Shinji mancò il respiro come se qualcuno gli avesse tirato un calcio nelle reni.

 

“Avrei dovuto aiutarti”

 

“Lo so”.

 

Dall’esterno si udirono gli sbadigli dei loro compagni, appena destatisi. Asuka rimase sulla soglia, un po’ incurvata, controluce. Shinji abbassò lo sguardo e lo spostò di lato, verso l’angolo della tenda.

 

“Ehi! Non azzardarti a deprimerti” – disse la ragazza, puntandogli contro l’indice - “Andavi così bene fino ad ora. Mi hai tirato fuori dal mare di LCL, mi hai medicato le ferite e hai provveduto al mio sostentamento”

 

Shinji spalancò gli occhi.

 

“I peccati si possono espiare. Le scuse non servono, non servono mai. Servono solo tenacia, dedizione e costanza. Io ho avuto il mio risarcimento emotivo già quando mi hai estratto dal mare, l’altro giorno. Quindi piantala di sentirti in colpa e comportati da uomo … perché finora l’hai fatto”

 

Il ragazzo alzò di nuovo lo sguardo: iridi azzurre incontrarono iridi azzurre. L’aria fremeva di elettricità statica.

 

“Usciamo? Non vedo l’ora di lavarmi la faccia”

 

Shinji annuì. si alzò in piedi, appena chinato per non sbattere la testa in alto. Raggiunse la ragazza all’entrata. Hyuga si stiracchiava davanti al braciere spento; Hiro beveva dal secchio e Aki si avvicinava al casolare diroccato.

 

Cercarono l’uno la mano dell’altra e uscirono verso l’alba rossa.

 

  
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