Fanfic su artisti musicali > SHINee
Ricorda la storia  |      
Autore: coldfingergurl    19/12/2013    4 recensioni
Minho si sentiva annoiato, detestava quella routine quasi ossessiva di cui era vittima lui stesso (perché alla fine usciva di casa tutti i giorni e andava diretto in biblioteca per poter scovare qualche libro interessante) ed era sicuro che, prima o poi, sarebbe impazzito a causa di tutto ciò.
A volte sperava che al fornaio cadesse il pane, che una capretta sparisse, oppure che qualche straniero arrivasse in quel paese e lo portasse via, magari un pirata. Sì, un pirata sarebbe stato perfetto, in fondo chi meglio di un pirata poteva permettergli di vivere un’avventura?
Si sentiva così stufo che sarebbe persino andato con suo padre alla fiera di un paese vicino se solo glielo avesse chiesto.
[OnHo]
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: Furry
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tanto per cominciare, faccio schifo perchè questa FF avrei dovuta finirla per Ottobre e non per Dicembre ma facciamo fintadi niente. E', teoricamente considerato il ritardo, il regalo per la mia mia Hyunnie ( StoryGirl ) che quando è venuta giù da me, ad Agosto, mi ha chiesto gentilmente una FF per regalo. La voleva basata su "La Bella e la Bestia", quindi ho provato a immaginare gli SHINee nel mondo del film perchè quello ho visto XD e questo è il risultato.
Ora, solitamente le OnHo mi vengono oscene, questa la salvo perchè alcuni pezzi dovrebbero fare ridere e perchè, fondamentalmente, non si danno alla pazza gioia facendo cose zozze.
Detto questo, vi lascio alla lettura e blablablabla, augurando nuovamente e meno male che non ho aspettato la FF per farti gli auguri buon compleanno a Jess ♥.



I.

Stava passeggiando per la piazza del paese, le caprette si stavano abbeverando alla fontana e tutta la gente attorno a lui sembrava persa nelle proprie faccende giornaliere.
C’era il fornaio che posava il pane sulla propria bancarella, il contadino che vendeva le uova e il fioraio che sistemava mazzi di rose nei più bei vasi che aveva a disposizione: era tutto come sempre.
Tutto come aveva sempre visto.
Minho si sentiva annoiato, detestava quella routine quasi ossessiva di cui era vittima lui stesso (perché alla fine usciva di casa tutti i giorni e andava diretto in biblioteca per poter scovare qualche libro interessante) ed era sicuro che, prima o poi, sarebbe impazzito a causa di tutto ciò.
A volte sperava che al fornaio cadesse il pane, che una capretta sparisse, oppure che qualche straniero arrivasse in quel paese e lo portasse via, magari un pirata. Sì, un pirata sarebbe stato perfetto, in fondo chi meglio di un pirata poteva permettergli di vivere un’avventura?
Si sentiva così stufo che sarebbe persino andato con suo padre alla fiera di un paese vicino se solo glielo avesse chiesto.
Il signor Choi era un inventore, credeva di essere all’avanguardia e di aver inventato cose che in un futuro avrebbero migliorato la vita delle persone quando in realtà… beh, nessuna delle sue creazioni era mai stata notata. Quell’anno ci avrebbe provato con un taglialegna a catena di montaggio o qualcosa del genere, Minho non aveva ben capito cosa fosse e nemmeno a cosa servisse.

Mettendosi seduto sul bordo della fontana, sospirò continuando a osservare le persone attorno a sé. La cerchia dei cacciatori aveva raggiunto la piazza e tutta la gente si era fermata ad ammirarli e a parlottare commentando su quanto fossero baldi e valorosi quei giovani. Li guardavano con espressione adorante, quasi fossero degli Dei, mentre Minho li trovava stupidi e insulsi. 
Changsun e la sua banda rappresentavano ogni cosa che detestava: aggressività, arroganza e un’intelligenza sotto i piedi. Purtroppo per lui, però, Changsun  sembrava non volerlo lasciare in pace…

“Ancora con questi tuoi stupidi libri, Minho? Ti friggeranno il cervello e in più non ci sono nemmeno le figure, come fai a capirci qualcosa?”

“A qualcuno piace immaginarle le cose, Changsun, si chiama fantasia.”

Era da quando si era trasferito in quel paese che il cacciatore provava a convincerlo a unirsi ai suoi uomini: più Minho gli diceva di no, più lui insisteva. Stava diventando peggio di un incubo.

“La gente sta iniziando a credere che tu sia, come dire, un po’ pazzo. Pazzo come tuo padre.”

“Mio padre non è pazzo, è un inventore.”

“E’ la stessa cosa.”

Scuotendo la testa, Minho afferrò il libro che Changsun gli aveva strappato di mano poco prima e poi avvertì uno scoppio provenire da lontano; suo padre doveva aver combinato qualcosa e aver fatto saltare in aria la cantina, di nuovo.

Quella sera stessa il signor Choi, tutto orgoglioso, partì con la sua invenzione assicurata all’interno del carro trainato dal cavallo che possedeva. Prima di uscire di casa non aveva pensato minimamente alla possibilità di perdersi nel bosco a causa di una scelta sbagliata, a causa di un bivio e di due sentieri, uno soleggiato e uno buio come la pece.
Il suo prode destriero aveva cercato in tutti i modi di fargli capire di seguire la luce, non c’era niente di meglio del sole che riscaldava le loro membra stanche e donava alla strada tranquillità e sicurezza, ma quell’uomo aveva fatto di testa sua e si era ritrovato nel guaio più grosso della sua vita.

II.

“Non possiamo aiutarlo, il padrone si arrabbierà con noi. Sai cosa succede quando si arrabbia, vero? Jonghyun, lo sai vero?”

Jonghyun, un candelabro in quella vita (prima di tutto quel casino era un ragazzo avvenente che passava le giornate a strimpellare la sua chitarra e cucinare per il padrone del castello), aveva scosso la sua testa a candela prima di saltellare verso la grande porta della reggia dei Lee.
Non ricevevano mai visite, non passava mai nessuno da quella parti perché la maledizione che aveva colpito il castello e tutti i suoi abitanti, a causa dell’idiozia del loro padrone  se proprio doveva essere sincero, aveva rabbuiato la strada che dal bosco portava al grande castello dove vivevano.
Jonghyun non ricordava più com’era vivere da umano, com’era stare sue due gambe e non rischiare di sciogliersi a causa del calore emanato dal camino (perché il padrone doveva accendere il fuoco l’inverno, con tutto quel pelo addosso non si teneva già abbastanza al caldo?), iniziava a credere che nessuna persona sarebbe stata in grado di spezzare quella maledizione segnando così il suo triste destino.

“Vuoi per caso lasciare un poveretto fuori con questo freddo? E’ inumano, anche per un orologio come te.”

Lasciò che la porta si aprisse con degli scricchiolii e la figura di un adorabile vecchiettino, un po’ in carne, si affacciò alla soglia. Non era una ragazza, ma almeno era pur sempre una persona… Una persona vera che aveva bisogno d’aiuto e che poteva avere una figlia.
La maledizione si sarebbe spezzata solamente grazie all’amore di qualcuno che si sarebbe preso a cuore le sorti della Bestia e lo avrebbe amato per quello che aveva dentro.
La ricerca dell’amore vero aveva una scadenza però: se, al compimento dei ventunesimo anno di vita, il padrone non avesse imparato ad amare  e non avesse trovato nessuno che lo amava a sua volta, la maledizione non si sarebbe più potuta spezzare. Il palazzo e i suoi abitanti sarebbero rimasti intrappolati nella loro forma attuale.
Jonghyun non voleva proprio rimanere un candelabro per tutta la vita, la cera iniziava a dargli fastidio e gli mancavano le sensazioni che provava da umano.

“C’è nessuno? Ehilà…?”

La voce dell’uomo rimbombava nella grande entrata vuota, a parte per gli oggetti animati che guardavano curiosi il nuovo arrivato. Era raro che una persona si avventurasse fin laggiù e che non venisse spaventata e mandata via dai lupi all’interno del bosco, quindi per chiunque era una visione quel vecchietto grassoccio.
Sembrava un tipo tranquillo, una persona del quale potevano fidarsi, l’orologio però – non ricordava nemmeno il suo nome da umano – continuava a ripetere quanto fosse pericolosa la presenza di un estraneo, aveva persino cominciato a minacciare di andare a dirlo al padrone.

“La vuoi finire? Potrebbe avere una figlia!”

“Chi ha parlato?”

L’uomo afferrò Jonghyun per la base e si fece luce usando le sue candele. Il candelabro sbuffò battendo una delle due braccia, se così poteva chiamarle, contro la spalla dell’anziano che sussultò non appena sentì quell’oggetto toccarlo.

“Sono qua, tra le sue dita!”

“Co-cosa? Un candelabro… che parla.”

Sembrava sbalordito, stupito e anche un po’ incredulo mentre agitava il candelabro e faceva traballare le sue fiamme. Jonghyun non riusciva a dire una parola a causa di tutto quel tremolio ed era sicuro che le sue fiamme si sarebbero spente a quel modo; doveva fermare quel vecchio o lo avrebbe fatto a pezzi rompendo le candele.

“Signore, può smettere adesso. Sì, sto parlando io e sì, mi sta facendo venire il mal di testa a questo modo.”

L’uomo si scusò e si presentò come signor Choi. Jonghyun gli disse il suo nome e lo ringraziò quando lo appoggiò sopra un mobile. Ovviamente l’orologio era accanto a lui che lo guardava in malo modo dicendo che si stavano cacciando in un grosso guaio e che Jinki se la sarebbe presa con tutti loro. A lui non interessava molto se il padrone si sarebbe arrabbiato per quella persona in casa, il signor Choi poteva essere la loro ultima speranza.

“Chi è Jinki? Il padrone di casa?”

“Esatto e a lui non piacerà la sua presenza qua.”

L’orologio continuava a parlare e parlare, ripeteva le solite cose e provava a dissuadere il signor Choi dallo stare in quel castello, voleva proprio mandarlo via! Non lo nascondeva nemmeno e Jonghyun iniziava a credere che a quel tipo non interessasse minimamente spezzare la maledizione, chissà chi era poi.

“Mi segua signor Choi, ha proprio bisogno di bere qualcosa di caldo. La brutta tempesta di neve deve averle messo molto freddo addosso.”

“Oh, c-certo! Una tazza di tè andrà benissimo, Jonghyun. Giusto?”

Annuendo, Jonghyun, si fece mettere per terra e cominciò a saltellare verso il salone dei ricevimenti. A volte aveva nostalgia delle feste che i padroni Lee erano soliti organizzare, Jonghyun ricordava di cucinare e cucinare per tutti quegli ospiti. 
Ricordava le loro risate e la faccia stupita delle persone quando vedevano il padrone Jinki.
Ricordava il sedere di Kibum stretto in un paio di pantaloni neri, mentre serviva il cibo agli invitati. Oh quanto gli mancava quella visione.

“Jonghyun, questo signore non può stare qua, deve andarsene.”

“Non gli dia retta signor Choi, è un orologio brontolone! Mi dica, ha qualche figlia? Nipote?”

L’uomo lo guardò senza capire del tutto il suo interesse, doveva essergli sembrato pazzo a causa di quelle domande improvvise, ma lui aveva bisogno di sapere.
Doveva sapere se c’era davvero una possibilità di salvezza da quella situazione.

“Ho un figlio in realtà, Minho. Gran bravo ragazzo.”

Anche un maschio potrebbe andare bene…
In fin dei conti l’amore era bello in ogni sua forma, quindi anche un ragazzo avrebbe potuto spezzare la maledizione… In più quella strega non aveva specificato niente quando aveva lanciato il suo stupido incantesimo e se n’era andata sghignazzando!

“Ecco qua, si metta seduto e si rilassi, faccia come se fosse a casa sua.”

L’entusiasmo di Jonghyun doveva aver contagiato anche gli altri perché, lentamente, tutti stavano servendo il signor Choi. L’orologio era sempre in disparte, con quella sua aria contrariata e distaccata; non che quello smorzasse l’eccitazione di Jonghyun, anzi, la cosa lo divertiva e lo spingeva a far rimanere quell’ometto sconosciuto nel palazzo.

Quando tutto fu sistemato e il signor Choi si ritrovò col sedere posato sulla poltrona preferita del padrone, era stata la stessa poltrona a farsi avanti in verità, il candelabro vide il vassoio con la teiera e le sue tazzine sfrecciare nel soggiorno e appostarsi davanti all’anziano signore. La teiera riempì immediatamente una delle tazzine, Taemin, e l’ospite non si fece troppi problemi a cominciare a bere da lui. I baffi dovevano aver provocato il solletico al ragazzino visto che aveva cominciato a ridacchiare come il moccioso che era.
Jonghyun se lo ricordava ancora, si ricordava come quel marmocchio correva per tutto il palazzo attaccandosi a Kibum quando lo trovava libero e sapeva di non dargli fastidio: tutto sommato era stato un bambino pieno di vita e lo era anche con una maledizione addosso.

“Non fate tutto questo baccano, il padrone-“

L’orologio brontolone non finì la sua frase perché un grosso ruggito irruppe nella stanza facendo ammutolire e immobilizzare chiunque: Lee Jinki, la bestia, aveva appena fatto la sua entrata in scena. Jonghyun  deglutì sentendo le fiamme delle sue candele tremare, forse avrebbe dovuto dare ascolto a quell’orologio.

III.

"Andiamo Minho, lo sappiamo tutti che muori dalla voglia di unirti a noi, sono sicu-"

"Per l'ennesima volta, Changsun, il tuo gruppettino di boy scout non mi interessa. Ho di meglio da fare, quindi se vuoi andartene mi faresti un favore."

Era stufo della presenza di Changsun nella sua vita, perché diavolo non lo lasciava stare? Aveva rifiutato così tante volte la sua proposta che non sapeva più come dirgli di sparire. Iniziava a sentirsi come una di quelle ragazze che venivano ossessionate da uno stalker o da un compagno fin troppo possessivo e ripetitivo; non era difficile da capire che a lui, della caccia e di quello che Changsun faceva, non interessava proprio nulla.

Lui voleva vivere delle vere avventure, andare alla ricerca di creature leggendarie, di mostri o di principesse in pericolo.  Dare la caccia agli animali, per poi tenersi le loro teste come trofei, non era adrenalinico e nemmeno avventuroso.

"Possibile che tu non capisca? La bellezza della caccia, essere parte di un gruppo... Tutte cose che questi tuoi stupidi libri non potranno mai insegnarti! Andiamo Minho, non hai più dodici anni."


"Togliti dai piedi, la tua banda può andare a farsi fottere per quello che mi riguarda."

Quanto gli mancavano le discussioni insulse e senza senso con Changsun adesso che si trovava chiuso in una torre, al buio e completamente isolato da mondo: anche la voce irritante di quel cacciatore gli avrebbe procurato un certo piacere in quel momento.
Non aveva pensato alle conseguenze del suo atto, non aveva pensato che il padrone di quel castello, quella bestia, potesse essere crudele e senza scrupoli; quando si era offerto come prigioniero per liberare suo padre,  aveva sperato nella buona anima di quella persona.
Aveva sperato che, toccato dal suo gesto e dalla promessa di non rivelare a nessuno la posizione del castello, avrebbe lasciato andare entrambi e si sarebbe scordato di loro: era stato troppo ingenuo.
Quell'essere aveva ringhiato soddisfatto quando aveva preso suo padre per il colletto della maglia che indossava e lo aveva gettato nella sua strana carrozza per cacciarlo via, Minho non era riuscito nemmeno a salutarlo perché la bestia lo aveva rinchiuso in quella cella non appena aveva acconsentito a prendere il posto dell'anziano.

"Mi dispiace papà..."

Aveva lasciato il genitore completamente da solo, non aveva più nessuno a prendersi cura di lui, nessuno. La madre era morta dando alla luce Minho, era stato il padre a crescerlo e a dargli l'amore e l'affetto di cui aveva bisogno, c'era sempre stato lui quando nell'altro paese gli dicevano che era strano, che gli piacevano cose da femmina. Come avrebbe fatto l'uomo adesso? Si sarebbe angustiato al pensiero di non vedere più il figlio.

"Il padrone mi ha detto di portarti nella tua camera."

"Avrò una camera? Credevo mi avrebbe-"

"Il padrone non è cosi cattivo come sembra..."

Minho si abbassò inginocchiandosi davanti allo spolverino che gli stava parlando. Aveva dei pelacchi bruciati e della cera appiccicata su di essi; il ragazzo alzò un sopracciglio mentre osservava quello strano oggetto parlante che, a quanto pareva, lo avrebbe portato in una stanza tutta sua.

"Sono Minho, Choi Minho."

"Kibum..."

Cercando di ripulirlo dai pezzi di polvere e dalla cera che aveva addosso, aveva preso in mano Kibum rigirandolo con il bastone verso il pavimento. Lo spolverino non aveva preso bene la cosa considerando il suo cominciare a lamentarsi e chiamare aiuto, aveva pure cercato di morderlo!

"Ho capito, ho capito, non ti piace questo trattamento. Non c’è alcun bisogno di mordermi, volevo solamente ripulirti e toglierti la cera di dosso."

"Cera? Quello stupido di Jonghyun, gli avrò detto mille volte di stare attento!"

"Il candelabro ha un nome? Un nome umano... Come te."

In che razza di posto era capitato? Tutti quegli oggetti parlavano, si comportavano come persone e avevano persino dei nomi (una delle tazze si chiamava Taemin, se ricordava bene quello che aveva urlato l'orologio in un impeto di rabbia contro quella povera tazzina): cos'era quel castello?
E la bestia, da dove proveniva? Non aveva mai sentito parlare di una creatura simile, Changsun e i suoi si sarebbero vantati di una scoperta del genere per anni ma, invece, non avevano mai proferito parola su di una bestia che viveva chiusa in un castello. E nemmeno riguardo quegli oggetti parlanti.
A dire il vero persino Minho faceva fatica a credere a quello che vedeva e sentiva, non si capacitava di come uno spolverino parlasse o del perché un candelabro si chiamasse Jonghyun, era tutto così innaturale e insensato - persino per uno come lui, uno che aveva una fervida immaginazione -.

"Forse perché eravamo umani anche noi..?"

Il tono sarcastico di Kibum era stato accompagnato da un'alzata di sopracciglio e da braccia incrociate al petto: quello spolverino iniziava a essere un po’ troppo arrogante per i suoi gusti. Lo guardava come se fosse stupido, come se tutto quello che gli stava raccontando fosse normalità… tutti gli oggetti parlavano e avevano nomi umani, no? Stupido Minho a non averci pensato prima che la sua lampada potesse muoversi e chiamarsi “Lampadà”.
Scuotendo la testa, Kibum gli disse di seguirlo e di non fare troppe domande sul padrone e sul perché erano tutti ridotti in quella forma. Gli disse che prima o poi avrebbe capito, che si sarebbe reso conto che non tutto quello che appariva era la realtà e lui si chiese che diavolo volesse dire (Minho era intelligente, ma non era molto ferrato con gli indovinelli o le frasi enigmatiche). Lasciò perdere solamente perché l’altro lo aveva portato davanti a una grossa porta, più alta di lui, decorata con fiori e pomelli d’oro.

"Questa sarà la tua camera, mettiti comodo e, non so, preparati per la cena."
 
"Vuol dire che devo cenare con quella bestia? Non mi ha dato nemmeno il tempo di salutare mio padre, perché dovrei mangiare con lui?"

"Perché è il padrone e..."

Kibum sospirò zittendosi per qualche secondo cercando una spiegazione logica alla presenza del ragazzo durante la cena. Fu ovvio il suo non sapere cosa dire quando rimase in silenzio del tutto e mugugnò un: "Fa' come ti pare".
Aveva notato come i servitori di quell'essere sembrassero avere paura di lui e delle sue reazioni, quella bestia doveva ringhiare parecchio contro di loro. Ragionandoci non gli riusciva difficile crederlo, aveva trattato male persino lui rinchiudendolo in quella torre e non permettendogli nemmeno di salutare e chiedere scusa a suo padre!
Non avrebbe più rivisto il genitore, almeno cinque minuti per dirgli quanto gli voleva bene poteva anche lasciarglieli… e poi, dopo averlo trattato a quel modo, pretendeva che andasse a mangiare con lui? Se lo poteva scordare.
Choi Minho non avrebbe mai e poi mai accettato le regole di quell'animale, non si sarebbe mai sottomesso a lui, non importava quanti spolverini spaventati o candelabri terrorizzati lo esortavano a fare il bravo, avrebbe mantenuto almeno il proprio orgoglio (non si era piegato a Changsun, perché avrebbe dovuto farlo con quella cosa?).
Aveva visto Kibum lasciare la stanza, borbottando qualcosa sul padrone di casa e su come si sarebbe arrabbiato per la sua insolenza, come se fosse Minho quello in torto. Era stato costretto a rimanere in quel posto, obbligato a prendere il posto del genitore per evitargli una vita di schiavitù e di terrore: come poteva quella bestia credere di avere ragione e di poterlo obbligare a fare quello che voleva lui? 

"Ti metterai nei guai, il padrone non è molto paziente."

"Un armadio parlante, eri un umano anche tu?"

La domanda era parecchio retorica, a quanto pareva ogni oggetto, anche il più piccolo, era stato un essere umano prima di qualunque cosa li avesse trasformati. Voleva capire meglio quella situazione, se c'era davvero una maledizione o un incantesimo, ma questo avrebbe significato parlare con tutti quegli oggettini o addirittura con le bestia in persona e non aveva nessuna intenzione di passare un secondo da solo con lui.

"Non ho nessuna intenzione di fare il gentile e il disponibile con questo padrone, rimane un mostro."

IV.

Jinki stava ringhiando, graffiando il divano che si trovava nella sua stanza mentre Jonghyun cercava di calmarlo. Il candelabro si sentiva in colpa per quello che aveva combinato, per aver fatto entrare due estranei nel loro castello (perché aveva aperto anche a Minho con la speranza che potesse aiutare il suo padrone). Mancava poco al compimento dei ventuno anni di Jinki, doveva imparare ad amare o sarebbero rimasti tutti intrappolati in quella forma e lui non aveva nessuna intenzione di morire a quel modo; era egoista forse, ma la sola idea di sciogliersi e poi perire a quel modo stupido lo mandava fuori di testa.

"Padrone, non è il caso di-"

"Sta' zitto Jonghyun! E' tutta colpa tua, quei tizi non dovevano entrare nel palazzo ma tu hai fatto di testa tua, come al solito."

"Io... Io volevo solo..."

Jinki gli aveva ringhiato contro, spegnendo le sue fiamme con un semplice colpo di fiato; avrebbe commentato sull'odore del suo alito ma non voleva rischiare la vita per un commento acido.
Possibile che non capisse? Doveva imparare a vedere al di là del proprio naso, a comprendere i bisogni delle altre persone e a non limitarsi solamente all'aspetto fisico: quello era il più grande problema di Lee Jinki.
La strega lo aveva maledetto per la sua ignoranza, per il suo giudizio affrettato e per la sua mancanza di empatia. Il padrone guardava tutti dall'alto verso il basso, si atteggiava perché ricco e facoltoso e non aveva mai aiutato nessuno senza uno scopo personale dietro. Persino quella fatidica notte si era rifiutato di dare alloggio a una vecchia solamente perché era un'anziana signora e non una principessa dalle dubbie qualità intellettive.
Quella donna avrebbe potuto farla pagare solamente a quel ragazzino viziato, ma no, doveva gettare la sua stupidissima maledizione su tutte le persone presenti nel palazzo (e quando Jonghyun era diventato uno stupido candelabro se la stava spassando con Kibum, diventato uno spolverino).

"Cosa volevi, uhm? Mettermi in ridicolo? Far scoprire a un vecchio pazzo dove si trova il castello?! Perché non pensi mai alle tue azioni, eh?!"

"Io? Io dovrei pensare alle mie azioni?! E’ tutta colpa tua se siamo in questa situazione e non vuoi fare niente per spezzare la maledizione e farci tornare normali!"

Riaccendendo le sue stupide fiammelle, guardò il padrone con aria di sfida: fra tutti i servitori era l'unico che poteva parlargli a quel modo senza rischiare una punizione. Jonghyun aveva un anno meno di Jinki e il loro rapporto era sempre stato più d'amicizia, se così poteva dire, che altro e spesso avevano passato nottate intere a parlare come due persone normali, come due amici normali.
Non si sarebbe fermato, avrebbe costretto Jinki a capire che con il suo comportamento egoista aveva messo nei guai non solo se stesso ma anche tutti gli abitanti e i servitori. 

“E cosa dovrei fare secondo te? Andare da lui, da quel tipo, e chiedergli di diventare… cosa poi? Mio amico?”

“Non ci vuoi neanche provare! Quel ragazzo potrebbe avere la tua età, potrebbe spezzare la maledizione.”

Perché non lo vuoi capire?
Rimanendo rinchiuso nel suo piccolo guscio, fatto di peli e di unghie, non sarebbe mai riuscito a farsi apprezzare da nessun altro.
Quel tipo, Minho, avrebbe potuto essere quello giusto, avrebbe potuto aiutare tutti loro a tornare normali e avrebbe fatto capire al padrone di essere in grado di amare e di farsi amare, anche in versione animale.

“Se va male anche questa volta, darò tutta la colpa a te.”

V.
 
“Maledetto umano! Io ci ho provato a essere gentile, ho provato a-“

“Padrone, dovresti calmarti. Tutta questa rabbia-“

“Tu sta’ zitto, stupido orologio parlante. Chi diavolo sei poi? Hai sempre lavorato qua?”

Le cose non erano andate come Jonghyun aveva sperato e la colpa non era da attribuire al carattere burbero e scontroso di Jinki, non solo a quello almeno.
Il padrone aveva fatto tutto il possibile per far uscire Minho dalla sua camera, lo aveva invitato a cena e aveva cercato di fare il gentile, mostrando un sorriso imbarazzato e inquietante allo stesso tempo, ma l’altro ragazzo aveva rifiutato l’invito a cena e aveva deciso di rimanere nella propria camera a fissare il soffitto. 
Quel gesto era bastato alla bestia, se n’era andato nella sua camera dopo aver gettato ogni cosa dal tavolo della sala da pranzo, sbraitando come suo solito, e aveva dato la colpa a Jonghyun proprio come aveva minacciato di fare durante la loro piccola conversazione.
Perché era andata a quel modo? Lui aveva fatto tutto il necessario per farsi accettare da quel ragazzino, aveva fatto il gentile e il carino e aveva persino sorriso quando quel Minho aveva aperto la porta.
“Non sono interessato a cenare con te”, così gli aveva detto… come se Jinki fosse un corteggiatore che gli dava il tormento da mesi!

Lo sapeva che non doveva dare retta a Jonghyun, quello stupido non arrivava a capire quando era il caso di non insistere con le proprie convinzioni, non aveva ancora capito e accettato il fatto che nessuno avrebbe mai spezzato quella maledizione.
Per i primi anni Jinki ci aveva sperato, aveva creduto che prima o poi qualcuno sarebbe entrato nella sua vita e lo avrebbe aiutato a non giudicare le persone dall'apparenza. Aveva riposto la speranza nei suoi domestici, in fondo a loro era sempre piaciuto, no? Sbagliato, era uscito fuori che l'unico a provare davvero affetto per lui era Jonghyun (forse perché era l'unico a cui aveva permesso di diventare qualcosa di più che un semplice cuoco).
Quando i petali di quella rosa avevano cominciato a cadere in quell’ultimo anno, il suo compleanno era prossimo ormai, la bestia aveva gettato la spugna: sarebbe rimasto un mostro per sempre. Chi poteva amare uno come lui? Una persona spaventosa e vuota? Se avesse aiutato quella strega, quella notte, niente di tutto quello sarebbe successo; capiva il rancore dei suoi servitori, capiva le parole che Jonghyun gli aveva sputato addosso milioni di volte.

Il vecchio orologio se n'era andato lasciandolo da solo, nemmeno quel tizio era stato risparmiato dalla sua ira, e Jinki si ritrovò a fissare la rosa che lentamente appassiva.
Quel Minho non lo avrebbe aiutato, non avrebbe spezzato la maledizione e tutto perché lui era stato irascibile e stupido. Aveva costretto quel ragazzo a prendere il posto dell'anziano padre, lo aveva costretto a diventare suo prigioniero: come poteva pretendere che diventasse suo amico? Nessuna persona sana di mente lo avrebbe fatto.

"Padrone, la cucina è in agitazione per via della cena saltata, cosa dobbiamo fare?"

"Chiedi a Jonghyun di risolvere questo casino, Kibum, in fondo è colpa sua."

Kibum aveva annuito prima di slittare sul pavimento e dirigersi verso il salone al piano terra, dove sicuramente si trovava il candelabro.
Jonghyun e Kibum avevano una specie di storia da umani, almeno così credeva considerando quante volte era incappato in loro mentre si dedicavano "coccole" abbastanza eloquenti. Non ne aveva mai fatto parola coi suoi genitori, quando erano  vivi, perché Jinki sapeva che avrebbero cacciato entrambi i ragazzi e non voleva perdere il suo unico amico.
Certo, Jonghyun avrebbe anche potuto stare più attento, avrebbe potuto aspettare a soddisfare le proprie voglie, ma era risaputo che il suo cervello si spegneva ogni volta che il sedere sodo e tornito di Kim Kibum gli passava davanti.

"Quei due non avrebbero problemi con una maledizione del genere..."

Al contrario suo.
Perché nessuno poteva amare una bestia. Non era solamente il suo aspetto a essere terrificante, lo era anche la sua natura aggressiva, il suo essere egoista ed egocentrico, la sua superficialità nel giudicare le persone (per quello era stato maledetto e doveva pagarne le conseguenze).
Nessuno avrebbe apprezzato Lee Jinki, in nessuna delle due versioni.


Mentre Jinki si arroventava il cervello e crogiolava nell'autocompatimento, Minho era uscito dalla sua stanza per pura curiosità dato che non aveva ancora curiosato all’interno del castello.
Fin da piccolo aveva desiderato vederne uno, entrarci dentro e scoprire tutti i più piccoli segreti che esso nascondeva, sarebbe stata l'avventura perfetta e adesso aveva la possibilità di vivere quello che aveva sempre voluto, anche con quella bestia presente.

"Puoi scendere a cenare con me, per favore?"

Jinki, così aveva sentito Jonghyun chiamare quel mostro, gli aveva chiesto "gentilmente" di cenare con lui ma ovviamente Minho aveva rifiutato mentendo sulla propria fame; non avrebbe mai e poi mai mangiato assieme a quel tipo.
Non voleva diventare suo amico, non voleva avere nessun tipo di contatto con lui e, soprattutto, non voleva essere gentile con lui.
Lo aveva strappato da suo padre, anche se si era offerto lui  di prendere il suo posto, lasciandolo in quella torre giusto il tempo di vedere il genitore infilato in una carrozza dalle zampe di ragno diretto in paese.
Avrebbe dovuto passare il resto della sua vita rinchiuso in quel palazzo, quindi tanto valeva far patire le pene dell’inferno al proprio aguzzino; cosa aveva da perdere alla fine? Aveva già rinunciato alla sua libertà e alla sua vita, cosa gli rimaneva? Un bel niente, ecco cosa. 

Passeggiando per i corridoi del palazzo, notando la grandezza dei saloni e delle scale, pensò che una persona si sarebbe potuta sentire sola e persa in una dimora grossa come quella (e non lo stupiva il fatto che quella bestia pelosa fosse irritabile e scontroso con chiunque).
Le luci erano spente e afferrò una candela per poter illuminare il suo cammino, tirò un sospiro di sollievo nel rendersi conto di non stare tenendo in mano Jonghyun perché non avrebbe sopportato di sentirlo parlare del padrone e di come avrebbe dovuto essere più gentile con lui.
Arrivò nella sala da pranzo, ancora tutta apparecchiata, e si sentì in colpa per la persona che aveva cucinato, sempre che lo avesse fatto una persona in carne e ossa; forse avrebbe dovuto scusarsi con il cuoco, con quegli oggetti che avevano organizzato la cena anche per lui, loro non c’entravano niente con il suo risentimento nei confronti di Jinki.

“Non potrò mai più toccare la tua pelle candida, capisci? Se la maledizione-“

“Jjong, non dovremmo parlare della maledizione tra di noi. Jinki non vuo-“

“Non mi importa di Jinki e di quello che vuole o non vuole, è colpa sua se ci ritroviamo in questa situazione e lo sai anche tu.”

Allora aveva ragione a credere che una maledizione aveva trasformato ogni persona in quel palazzo, era a causa di una magia se tutti quegli oggetti parlavano e se Jinki era praticamente diventato uno Yeti.
Kibum aveva accennato al loro essere stati umani un tempo, ma non gli aveva spiegato per filo e per segno cos’era successo e come mai si erano ritrovati nei panni di un candelabro, di un armadio o di una tazzina per il tè.

“Jonghyun…”

“Bummie, vorrei solamente addormentarmi tra le tue braccia e sentire il calore del tuo corpo almeno un’ultima volta se proprio devo morire come un candelabro.”

“Sei sempre il solito, lo sai?”

VI.

“Dovresti fargli un regalo, qualcosa per fargli capire che apprezzi la sua compagnia.”

“Ma io non apprezzo la sua compagnia, Jonghyun.”

Jinki stava sorseggiando del tè caldo mentre Jonghyun gli parlava e cercava di convincerlo a mentire pur di far contento quel Choi Minho.  Ormai erano passati mesi da quando quel ragazzo si era offerto, offerto e non costretto, di rimanere nel palazzo al posto del padre e il loro rapporto non era cambiato nemmeno di una virgola: continuavano a ignorarsi e a urlarsi contro, esattamente come la prima volta che si erano visti. Sebbene il padrone di casa avesse tentato più volte di comunicare con l’altro ragazzo, di invitarlo a cena per poter parlare del più e del meno, i suoi sforzi erano sempre stati vanificati dalla testardaggine e dal silenzio di quel tizio scorbutico (come Jinki amava chiamarlo quando parlava con Kibum).
Quel ragazzino non aveva nessuna intenzione di passare del tempo con lui, infatti anche quel giorno si era rinchiuso nella sua stanza, né voleva provare a conoscerlo meglio. Jonghyun continuava a ripetere di insistere, di premere ancora e ancora, ma a cosa sarebbe servito? Minho e Jinki non avrebbero mai avuto un rapporto, di nessun tipo, e la maledizione non si sarebbe mai spezzata.
“Non ci stai provando abbastanza”, era tutto quello che il candelabro riusciva a dirgli.
Per Jonghyun era facile parlare, tutti lo avevano sempre adorato e non avrebbe avuto nessun problema a spezzare un maleficio o a trovare qualcuno che lo amava nonostante il suo aspetto focoso (ridacchiò mentalmente per la sua battuta scontata e stupida).

“Dovresti fargli vedere che ci tieni, andiamo padrone, ho visto come lo guardi a volte.”

“Ti stai immaginando tutto, come al solito.”

Non aveva mai guardato quel Choi Minho in maniera differente, lo vedeva ancora come quel moccioso irritante che si era offerto di prendere il posto di suo padre, quello che rifiutava le sue cene e il suo essere gentile, per quanto Jinki riuscisse a essere gentile con qualcun altro. Il problema stava nelle sensazioni che Minho gli lasciava.
Perché si sentiva turbato quando veniva rifiutato?
Perché si sentiva confuso dalla presenza di quel tipo? Non era il primo essere umano con cui parlava, con cui aveva a che fare – perché prima della maledizione riusciva a comunicare- , eppure il più piccolo lo rendeva vulnerabile.

“Con tutto il rispetto, padrone, ma con un regalo guadagneresti qualche punto in più. So che a Minho piac-“

“E’ così che hai conquistato Kibum, con qualche regalo?”

Il candelabro rimase in silenzio per qualche secondo e Jinki ridacchiò per l’espressione imbarazzata dell’amico: così imparava quello stupido!

“D-dico solo che… u-una cosa simile…”

“Perché stai balbettando~? Sei per caso in imbarazzo?”

Jonghyun aveva messo una specie di broncio, le sue fiammelle tremavano ed era sicuro che, se fosse stato umano, il cuoco si sarebbe grattato il collo con fare nervoso. Avrebbe persino inclinato la testa, proprio come un bambino innocente (cosa che l’altro non era mai stato).

“Non mi hai mai parlato di come hai conquistato Kibum-ah… Sarei curioso di saperlo.”

Non aveva mai capito come fosse stato possibile per quei due finire insieme. Certo, li aveva visti spesso flirtare e Jonghyun non aveva mai fatto mistero del suo interesse per il bel cameriere, ma Kibum non aveva mai dato nessun segno di ricambiare quella specie di cotta.

“Non è questo il punto della nostra chiacchierata… Io…”

“Sei davvero imbarazzato! Posso vedere le tue fiamme traballare~”

Jinki aveva ridacchiato, i denti appuntiti in bella mostra, e il candelabro incrociò le braccia al petto sbuffando e battendo i piedi, quelli che erano, a terra con fare stizzito.
Quando il padrone si calmò, sul volto di cera del cuoco era apparso un sorriso sincero, contento.

“Hai ridacchiato…”

“E tu sei arrossito, in un certo senso.”

Il candelabro saltellò fino a lui, appoggiandogli una mano sul ginocchio. Lo stava guardando con quegli occhi da cucciolo che gli erano rimasti anche dopo la trasformazione, perché lo stava guardando a quel modo?
Che diavolo gli passava per la testa?

“Che c’è?”

“Niente, solo che non ridevi da tanto Jinki…”

La bestia scosse la testa, a volte non riusciva proprio a capire e seguire i pensieri di Jonghyun e dire che quel ragazzo era parecchio semplice!
Prima se ne usciva con il discorso del regalo, del fare qualcosa di carino per Minho, poi passava sulla difensiva quando si toccava Kibum e il secondo dopo commentava un sorriso sghembo e inquietante che il padrone aveva fatto apparire sul suo muso.

“Credi che con un regalo… Credi davvero che Minho…”

“Certo! Potresti mostrargli la libreria, so che gli piacciono i libri.”

“E tu come fai a saperlo?”

L’altro ragazzo aveva scrollato le spalle, come se quella notizia fosse un affare da poco.
Jinki era a conoscenza del fatto che i suoi servitori parlassero e passassero del tempo con il prigioniero, ma aveva pensato che solo Taemin, spinto dalla curiosità di un ragazzino, e Kibum sapessero i passatempi di Minho e quello che gli piaceva fare. 

“Potrei provare, insomma, da quando è con noi ho provato di tutto per essergli simpatico.”

Ogni suo tentativo di fare amicizia era stato respinto, aveva sempre trovato un muro gelido e freddo, qualcosa di insuperabile perché Minho lo vedeva solamente come la bestia che appariva; non si sarebbe mai sforzato di andare oltre, vero?
Non avrebbe mai visto quanto gentile potesse essere Jinki, quanto riuscisse a volere bene alle persone accanto a sé… A Jonghyun voleva bene, per esempio. Aveva un modo strano di dimostrarlo, ma lo faceva ed era sicuro che il candelabro lo sapesse.
La maledizione… la rosa ha perso quasi tutti i suoi petali…
Poteva sembrare indifferente a tutta quella storia, poteva fingere di aver accettato il proprio fato ma in verità aveva paura.
Aveva paura di rimanere con quell’aspetto tutta la vita, aveva paura che i servitori potessero odiarlo ancora di più – dopotutto quella maledizione era stata scagliata per punire lui, non Jonghyun e gli altri -.
Il suo ventunesimo compleanno si stava avvicinando e Lee Jinki non aveva ancora trovato qualcuno che lo apprezzasse per quello che era e non per come appariva.

VII.

“E’ così importante questa cosa che mi devi far vedere? Perché stavo giocando con Taemin e preferisco la sua compagnia alla tua.”

“Puoi provare, almeno una volta, a non fare l’acido? Sto cercando di essere gentile con te, nel caso non lo avessi notato.”

Minho aveva scrollato le spalle mentre seguiva Jinki per le scale.
Il padrone di casa aveva interrotto la sua partita a scacchi con Taemin, partita che stava vincendo (non che ci volesse molto considerando che il suo avversario era una tazzina e che non aveva nemmeno le dita) e che avrebbe voluto concludere visto che non riusciva mai a portare a termine qualcosa in quel palazzo; ogni volta c’era qualcuno che andava a chiamarlo, che andava a dirgli che il padrone desiderava vederlo – come se il giovane Choi fosse un semplice ospite in quella dimora – , praticamente chiunque sembrava divertirsi a scombussolargli i piani perché al padrone Jinki andava di passare del tempo con lui. Se fossero stati in una situazione diversa, se Minho non avesse trovato quella bestia odiosa e spocchiosa, probabilmente avrebbe passato qualche ora del suo tempo con lui di propria volontà, lo avrebbe fatto sul serio, ma l’altro “ragazzo” non si faceva di certo adorare e lui non aveva nessuna voglia di angosciarsi perché doveva stare con Jinki.

“Stavo giocando con Taemin e tu mi hai interrotto, stavo vincendo!”

“Difficile vincere contro una tazzina, eh? Dovresti giocare con qualcuno che ha almeno le mani per muovere le pedine, sai?”

“Qualcuno tipo te?”

Si era portato le braccia al petto, conserte, mentre fissava il padrone di casa cercare qualcosa nelle tasche dei suoi pantaloni rovinati. Adesso che ci faceva caso, i vestiti dell’altro erano tutti strappati, stretti alle sue cosce e alle braccia pelose e muscolose; quella era la prima volta che si chiedeva come si fosse trasformato in quello che era.
La maledizione lo aveva colpito con quei vestiti addosso?
Si era trasformato subito oppure, andando a dormire la sera stessa, si era risvegliato con le zanne e con la pelliccia?
Minho aveva provato a chiedere spiegazioni ai servitori, a Kibum in particolare, ma nessuno gli aveva voluto rispondere perché era un “argomento scottante” (non quanto la relazione scabrosa tra lo spolverino e il candelabro, quella avrebbe fatto rabbrividire i signori Lee se lo avessero saputo e se fossero stati ancora vivi).

“Sono bravo a scacchi, con mio padre ci giocavo spesso.”

“Davvero? Po-potremmo fare una partita uno di questi giorni, in fondo Taemin non è molto bravo e tende a distrarsi troppo facilmente…”

“Se gli dessi una possibilità, Jinki ti risulterebbe simpatico!”

Forse Kibum aveva ragione, forse Jinki non era quel mostro di cattiveria che sembrava.

“Chiudi gli occhi.”

“Cosa?”

“Chiudi gli occhi Minho, fidati almeno una volta!”

Jinki aveva ringhiato mentre si voltava verso di lui, una porta enorme davanti a loro. Non aveva idea di cosa ci fosse al di là di essa, sperava solamente che il forfeit dato alla partita di scacchi ne valesse la pena (in più l’altro ragazzo era agitato e stringeva il pomello d’ottone della porta con fare quasi disperato, doveva tenerci proprio a quella sorpresa).
Chiudendo gli occhi, Minho sospirò facendo segno al padrone di casa di muoversi perché doveva tornare da Taemin e torturare assieme a lui Kibum – era diventato un po’ il suo hobby preferito, lo spolverino era davvero permaloso e gli rendeva le cose più divertenti-.
Sentendo la mano enorme e pelosa di Jinki attorno alla propria, sospirò sorprendendosi di quanto fosse calda e di quanto provasse piacere a causa di quel piccolo contatto fisico: gli mancava fin troppo stare in mezzo alla gente, vero? Altrimenti non si spiegava come mai si sentisse contento nell’avere quelle dita strette alle proprie.

“Jonghyun mi ha detto che ti piace leggere e così… puoi aprire gli occhi, scusa.”

C’era insicurezza nella voce della bestia, qualcosa che Minho non aveva mai sentito fino a quel momento; di solito c’era rabbia, sarcasmo e persino odio nella voce di Lee Jinki ma non in quel momento. In quell’istante era parso vulnerabile, come se avesse puntato tutto su quella sorpresa e lui iniziava a sentirsi un bastardo per avergli risposto acidamente per metà ala del palazzo.

Aprendo gli occhi lentamente, rimase a bocca aperta non appena realizzò che la sorpresa del padrone di casa non era altro che un enorme libreria. Non una libreria qualunque, come quella nel paese, era praticamente mastodontica, sistemata su più piani e con delle bellissime scale di legno. Non riusciva a credere a quello che vedeva, perché nessuno lo aveva mai portato là dentro? Le parole gli erano praticamente morte in gola e l’unica cosa che riusciva a fare era guardarsi attorno ammirato e adorante: era la sorpresa migliore che potessero fargli.
Choi Minho era conosciuto per la sua passione per la lettura, si portava sempre un libro appresso e per quello spesso lo avevano preso in giro (come facevano Changsun e i suoi amici ogni volta che lo vedevano); non poteva crederci, Jinki aveva davvero fatto una cosa carina per lui.

“P-posso sul serio leggere qualcosa da qua?”

“Sono tutti tuoi, te li regalo.”

“Cosa?”

Jinki si grattò nervosamente la base del collo, gli occhi che si incollarono al pavimento a causa dell’imbarazzo che provava. Minho lo trovò carino, per un istante soltanto il suo cervello gli fece pensare che Lee Jinki avrebbe meritato di meglio che una maledizione del genere e la solitudine in cui viveva. 

VIII.

“Dov’è Minho?”

“In biblioteca, come al solito.”

“Oh.”

“Scacco matto, ho vinto di nuovo Taemin.”

Jinki si era appoggiato con il mento sulla zampa, guardando Taemin mettere il broncio e chiedersi come fosse possibile perdere così tante volte di seguito.
Iniziava a capire come mai Minho si divertisse così tanto a giocare con la tazzina, il più piccolo non era proprio capace di giocare a scacchi e vincere contro di lui era fin troppo facile. Ogni volta che doveva muovere si portava dietro almeno due o tre pedine e quello vanificava la sua mossa e metteva l’avversario in vantaggio; qualcuno lo avrebbe chiamato barare, insomma, giocare con una tazzina, che non aveva dita per muovere le pedine senza farne cadere tre di fila, non era decisamente di buon senso. 

Avvertendo ancora la presenza del candelabro, non che fosse così difficile considerando quanto stava sospirando disperatamente, si voltò verso di lui guardandolo con fare curioso.
C’era qualcosa che non andava in Jonghyun, lo poteva capire dal suo sguardo basso e dal suo rimanere lontano invece che andare a importunarlo come faceva sempre.

“Cosa c’è che non va?”

“Niente, è solo che… che credevo che Minho avrebbe passato più tempo con te dopo tutti quei libri.”

Oh, il problema era quello, credeva di essersi sbagliato, vero?
Pensava di aver consigliato l’ennesima cavolata, di aver dato una pessima idea al suo padrone perché Minho non stava con lui in quel momento – e nemmeno durante gli altri giorni -.
Jinki aveva scosso la testa dicendogli di non preoccuparsi; avrebbe voluto prenderlo un po’ in giro e fargli pesare l’isolamento dell’altro ragazzo, ma il candelabro era già abbastanza scosso e lui non voleva passare ore a sentire Kibum brontolarlo perché aveva un pessimo senso dell’umorismo e aveva fatto stare male Jonghyun.

“Non ti preoccupare Jonghyun, tra me e Minho le cose sono migliorate dopo il tuo consiglio.”

“Davvero?”

Annuendo, abbozzò un sorriso in direzione del servitore e lo vide rallegrarsi nel giro di pochi attimi. Jonghyun poteva essere fastidioso e ficcanaso, ma fondamentalmente era una persona sensibile ed empatica, si prendeva a cuore le sorti delle persone attorno a sé e cercava sempre di aiutare quando possibile (ecco perché gli aveva consigliato di fare un regalo a Minho).
Jinki aveva notato un piccolo miglioramento nel suo rapporto con l’umano, non erano ancora al livello di stare tutto il tempo assieme, come sarebbe piaciuto al candelabro, però non c’era nemmeno più quell’ignorarsi di prima. Era pur sempre un passo avanti.

“L’Inverno sta arrivando…”

“Già.”

Gli occhi di Jinki si posarono sul cielo chiaro dopo aver ascoltato l’osservazione di Jonghyun.
Alzandosi dalla poltrona, disse a Taemin di sistemare la scacchiera e di provare a giocare con il candelabro se voleva vincere. 
Si diresse verso il piano superiore del palazzo, quello dov’era situata la biblioteca che aveva regalato a Minho, salendo le scale lentamente per evitare di cadere – cosa che succedeva sempre quando era umano, figurarsi adesso che aveva la coordinazione di un animale -.
Come sospettava, l’altro ragazzo era seduto per terra con le gambe conserte e un enorme libro su di esse. Era piegato su quelle pagine, totalmente immerso in quello che stava leggendo che non si era nemmeno accorto dell’arrivo della bestia.
Jinki si era messo a osservarlo silenziosamente, non voleva disturbarlo perché lo trovava tremendamente carino tutto impegnato a quel modo, perso nel suo mondo di fantasia; al contrario del più piccolo, a lui non era mai piaciuto leggere, lo trovava noioso e poco interessante, mentre Minho adorava persino l’odore di quei libri.

Notando una pila di grossi volumi messi da una parte, sulla poltrona che avrebbe dovuto usare l’umano per leggere, alzò un sopracciglio sospettando che quelli fossero tutti libri che ancora doveva leggere e non quelli che aveva già letto.

“Ciao Jinki.”

“Oh, ti sei accorto di me… Credevo di aver fatto piano.”

“Ce l’avevi quasi fatta, ma poi il pavimento ha scricchiolato!”

Minho si era voltato verso di lui, sorridendogli mentre chiudeva il libro e lo appoggiava sopra tutti gli altri. 
Jinki non lo aveva mai visto così, non lo aveva mai visto con quel sorriso tranquillo e sereno sul volto, sembrava una persona completamente diversa, una persona che aveva appena ricevuto un bel regalo di Natale o qualcosa del genere.  Non pensava che degli stupidi libri, che non venivano letti da anni, potessero compiere un miracolo e trasformare una persona a quel modo.

“Quella torre di libri…”

“Finiti tutti! Sono così interessanti Jinki, sono tutti diversi e… Scusa, magari non ti interessa nemmeno.”

“No, no, continua. Non li ho mai davvero letti perché non mi piace molto passare ore su quelle pagine.”

L’altro ragazzo aveva scosso la testa, battendo la mano sul pavimento per segnalargli di mettersi seduto accanto a sé.
Il più grande si accucciò accanto a lui afferrando un libro dalla poltrona prima di passarlo a Minho: era davvero curioso di sapere cosa ci fosse scritto in quel mucchio di carta, chissà se sarebbe riuscito a immaginarsi lo stesso mondo dell’umano.

“Di cosa parla questo?”

“Di un principe che va alla ricerca dell’ultimo drago esistente sulla Terra. I draghi si sono estinti a causa dei cacciatori, il regno di questo principe aveva il compito di proteggerli, di usarli durante la guerra per poter vincere, ma i loro nemici sono stati più furbi e hanno sterminato tutta la razza di queste lucertolone da combattimento.”

“Ma i draghi non esistono!”

Minho aveva lasciato andare uno “Tsk” ribadendo che non poteva saperlo se fossero reali o meno, potevano essersi estinti esattamente come nel racconto!
Jinki aveva ridacchiato e poi gli aveva fatto segno di continuare con il suo riassunto.

“Comunque, tutto il libro è incentrato sull’avventura di questo principe che deve recuperare questo drago, farlo crescere e poterlo cavalcare per condurre il proprio esercito alla vittoria. E’ molto più bello di quello che sembra, il rapporto tra il ragazzo e il drago è interessante da leggere.”

La bestia aveva annuito fissando gli occhi sul libro che l’altro aveva in mano, gli sarebbe piaciuto sapere ogni dettaglio, ogni avventura descritta. L’entusiasmo che aveva mostrato l’umano mentre gli descriveva di quel principe e del suo drago, di come i suoi occhi brillavano mentre raccontava in breve quello che aveva appena finito di leggere, gli aveva fatto venire voglia di conoscere ancora di più.
Lo aveva messo nella posizione di provare curiosità verso qualcosa che aveva sempre ignorato, qualcosa che lo aveva sempre annoiato in gioventù. 

“Vuoi che te lo legga? Mi sembri curioso e, uhm…”

“M-mi piacerebbe.”


“E vissero per sempre felici e contenti.”

Chiuse il libro con un grosso sospiro di sollievo, quella storia era una delle sue preferite e sperava di poterla leggere a Jinki quando sarebbe arrivato in biblioteca quel pomeriggio.
Passavano le giornate così ormai, lui che leggeva e la bestia che ascoltava ogni singola parola provando a immaginare quel mondo di fantasia che Minho gli descriveva. Di tutti i libri che avevano letto insieme, quello del drago e del principe era rimasto particolarmente impresso nella mente del più grande e lui si ritrovava spesso a rileggerlo pur di far contento il padrone di casa. 
Era strano come dei semplici libri, delle semplici parole scritte su carta, potessero farlo sentire legato a un’altra persona, farlo arrivare addirittura a credere di avere qualcosa di speciale da fare insieme a lui; ogni giorno aspettava che Jinki finisse la sua partita a scacchi con Taemin e lo raggiungesse in biblioteca di modo da poter passare quelle due ore persi nella lettura.

Posando il libro al proprio posto, non poteva di certo continuare a metterli in fila sulla poltrona, sorrise vagando con gli occhi alla ricerca di qualcosa di nuovo da leggere.
Da quando aveva quella biblioteca tutta per sé, non usciva più da quella stanza. A volte capitava che si addormentasse là dentro, la testa piegata sul libro che stava leggendo, per poi risvegliarsi nella propria camera; qualcuno lo trascinava ogni sera, sospettava fosse Jinki considerando che nessun altro servitore era grande abbastanza da poterlo spostare.

“Adesso tocca a te… libro verde.”

Si era appena messo seduto a terra, il libro sulle ginocchia, quando Jinki era entrato nella stanza avvisandolo della sua presenza.
La bestia era completamente ricoperto di neve, stava gocciolando per terra e alcuni fiocchi bianchi gli erano rimasti tra i peli.

“Che ti è successo?”

“Kibum, Jonghyun, e gli altri hanno deciso di usarmi come bersaglio per le loro palle di neve.”

“Sta nevicando?”

“Da tutta la notte, il giardino è completamente bian-“

Minho non diede il tempo necessario a Jinki di finire la frase, lo aveva preso per il polso peloso e lo aveva trascinato velocemente giù per le scale, fino al giardino di casa.
Il prato verde era completamente ricoperto di neve fresca, poteva scorgere un pupazzo di neve nel bel mezzo del giardino e alcune piccole decorazioni di Natale appese a un abete. Non si era accorto di niente in quei giorni, troppo preso a leggere libri su libri, si era perso l’arrivo dell’Inverno e l’arrivo della neve.

“Quell’albero dovrebbe avere più addobbi.”

“Che vuoi di-?”

Ridacchiando, mentre Jinki lo guardava cercando di chiedergli cosa volesse dire con quell’affermazione, lanciò una piccola palla di neve contro la bestia.
Lo aveva colpito al petto, i fiocchi freddi e gelidi di neve che si schiantavano contro il corpo imponente dell’altro e lo bagnavano formando un piccolo alone umido. Minho si era già abbassato per poter raccogliere altra neve da lanciare, ignorando il fatto che non avesse un paio di guanti adeguati e che le sue mani si sarebbero di certo congelate continuando a quel modo, ma la bestia non rimase a guardarlo aspettandosi un’altra pallonata: prese un bel cumolo di neve e la lanciò dritta dritta contro il corpo dell’umano.

“Yah, così non vale! Hai le zampe grosse, puoi prendere più neve di me!”

“Tu attacchi a sorpresa, siamo pari!”


La sera, dopo aver fatto una bella doccia e mangiato un sacco di roba deliziosa, Minho si sdraiò sul letto sentendosi accaldato.
La sua testa pulsava, aveva la sensazione che qualcuno tamburellasse sulle sue tempie, e si sentiva gli occhi bagnati e pesanti. 
Lui e Jinki avevano giocato tutto il pomeriggio in giardino, avevano fatto a palle di neve per ore e si erano ritrovati coi vestiti inzuppati e con le ossa congelate (anche se il freddo lo aveva avvertito più lui della bestia).

“Ugh…”

Stava mugolando contro il cuscino, strusciandocisi contro pur di alleviare quel dolore che provava: perché si sentiva a quel modo? 
Si era preso la febbre per caso?
Considerando che la sua temperatura sembrava essersi fatta più alta del normale e che continuava ad avere brividi di freddo alternati a vampate di calore, si era preso sicuramente qualcosa.

“Ti ho portato un po’ di cioccolata calda, dopo il freddo di oggi… Ehi, stai bene?”

La voce di Jinki gli risultava lontana, nonostante fosse a qualche centimetro da lui.
Cercò di tirarsi su per afferrare la tazza di cioccolata, ma un giramento di testa lo fece ricadere sul materasso e sospirò frustrato: non aveva mai sopportato avere la febbre! 

“Credo di avere la febbre…”

Jinki posò la sua grossa zampa sulla sua fronte, aggrottando le sopracciglia con fare preoccupato.
La mano della bestia era fredda rispetto a lui, un toccasana in quel momento, e gli afferrò il polso per evitare che si allontanasse e gli togliesse quella fonte di freschezza dalla pelle.

“Scotti. E’ colpa mia, se non ave-“

“Ehi, n-non dire così… con qualche ora di riposo me la cav-caverò.”

Non era colpa di Jinki se si era ammalato, ma del suo sistema immunitario che aveva sempre fatto i capricci.
Quel pomeriggio era stata sua l’idea di giocare con la neve. Quando il più grande gli aveva detto che fuori stava nevicando, la sua mente aveva elaborato immediatamente il pensiero di poter fare a palle di neve per tutto il giorno; non aveva più avuto l’occasione di fare una cosa del genere perché non era più un ragazzino e, purtroppo, non aveva nessun amico con cui fare cose così stupide (e non aveva mai avuto qualcuno che lo ascoltasse leggere o semplicemente parlare dei libri che leggeva).
Era stato contento nel vedere la bestia sorridere e ridacchiare mentre tentava di evitare i suoi colpi, si erano divertiti e Minho aveva sentito il proprio cuore scoppiargli nel petto alla visione dell’altro davvero felice.

“V-vado a chiedere aiuto a qualcuno, tu… tu rimani qua.”

Dove vuoi che vada?
Glielo avrebbe detto con fare sarcastico se solo non si fosse sentito così tanto debole, non aveva nemmeno la forza di fare una battuta stupida… era messo proprio male, eh?
Jinki gli aveva lasciato la tazza di cioccolata calda sul comodino, che aveva camminato fino ad arrivare al suo letto, e poi era corso fuori dalla stanza chiamando a gran voce Jonghyun e Kibum. Quando tornò con un vassoio pieno di roba da mangiare e qualche intruglio di erbe, che puzzavano fin troppo, Minho sorrise rendendosi conto che la bestia era davvero preoccupato per lui. Preoccupato e terrorizzato.

“Jonghyun mi ha detto che queste erbe ti faranno bene, devo solo metterle in quest’acqua calda e mescolare. Qualcosa del genere.”

Jinki gli sistemò il cuscino dietro la testa, lo fece mettere in una posizione più comoda, e poi cominciò a mischiare le erbe dentro una ciotola d’acqua calda.
Minho osservava tutto affascinato, provava una strana sensazione di tenerezza nel vedere il più grande così impegnato e deciso a prendersi cura di lui. 
Con la coda dell’occhio, l’umano, aveva notato uno dei libri della biblioteca al lato del vassoio e abbozzò un sorriso riconoscendolo immediatamente: era il racconto del principe e del drago.

“Ti piace proprio quel racconto, eh?”

Jinki aveva scrollato le spalle in risposta alla sua domanda e, con fare impacciato, gli fece bere quell’intruglio di erbe medicinali e dall’odore disgustoso.
Da bravo ammalato, Minho, obbedì e buttò giù tutta quella roba senza lamentarsi (perché non ne aveva la forza) mentre il più grande lo guardava controllando che non lasciasse niente dentro la ciotola.
Una volta finito di prendere le sue medicine, si sdraiò per bene sul letto lasciando che la bestia gli rimboccasse le coperte e gli posasse un panno umido sulla fronte, cosa che fece mugolare l’umano di piacere.

“Se dovesse venirti fame, ti farò riscaldare qualcosa da mangiare più tardi.”

“Grazie, sei gentile….”

Sorrise nel vedere Jinki abbassare lo sguardo e mettersi seduto nel letto accanto a lui.
La bestia iniziò a passargli il panno bagnato su tutto il volto, rinfrescandolo più e più volte, mentre canticchiava una specie di ninna nanna.
Minho non si era mai accorto della bella voce che possedeva l’altro, lo aveva sentito ringhiare e basta in fin dei conti, e rimase sorpreso quando, cullato dalle note di quella bella voce calda e dolce, si addormentò tranquillamente.

IX.

La nevicata si era fatta più copiosa quel giorno, il giardino del palazzo era ricoperto di soffice neve bianca dove il cane di famiglia, il poggiapiedi, saltellava sporcandosi e bagnandosi tutti i pennacchi. La scopa si era lamentata più di una volta con Minho e Jinki, che non avevano fatto altro che passare tutto il giorno fuori a giocare, perché non si erano mai puliti le scarpe prima di tornare dentro e lei era sempre stata costretta ad asciugare tutto perché altrimenti qualcuno si sarebbe fatto male (probabilmente Jinki stesso, considerando quanto era maldestro).
Il periodo di Dicembre era il preferito di Minho, gli piaceva osservare la neve cadere dal cielo mentre suo padre costruiva l’ennesima invenzione e lui si beveva una tazza di cioccolata bollente per potersi riscaldare. Non era solo l’imminente Natale a farlo sentire elettrizzato, tra poco sarebbe stato anche il suo compleanno e aveva intenzione di chiedere a Jinki di farlo uscire almeno una volta; voleva tornare a casa dal genitore, passare il giorno del suo compleanno assieme a lui e poi tornare al palazzo. 
Aveva accettato il fatto di non poter essere libero, non era più un peso per lui quella specie di schiavitù che si era autoimposto quando aveva preso il posto del padre mesi prima: aveva imparato a godere della compagnia di quegli strani servitori e, cosa più importante, aveva imparato ad apprezzare il padrone di casa.
Non credeva ci sarebbe mai riuscito, ma dopo aver ricevuto una libreria tutta per sé e aver visto il lato più umano di quella bestia quando il ragazzo più piccolo aveva avuto la febbre, aveva smesso di considerarlo un mostro e aveva cominciato ad apprezzarlo.
C’erano ancora delle volte in cui avrebbe voluto sbattergli qualcosa su quel brutto muso che si ritrovava, ma almeno il loro rapporto era migliorato e poteva vedere del sollievo nelle facce di Jonghyun e gli altri.

“Fra poco sarà il mio compleanno e mi chiedevo se-“

“Oh? Anche il tuo? Siamo nati nello stesso mese.”

Questo vuol dire che un altro anno è passato e la maledizione non si è spezzata.
Minho aveva saputo qualcosa in più sulla maledizione che aveva colpito Jinki e tutti gli abitanti del palazzo, non era molto ma aveva capito che al compimento dei ventuno anni di Jinki, se il ragazzo non avesse imparato ad amare e non avesse trovato qualcuno che lo amava per com’era dentro e non per l’aspetto fisico, l’incantesimo non si sarebbe mai più spezzato. Jonghyun aveva accennato a una rosa, una rosa tenuta sotto una campana di vetro dal padrone Lee, che stava appassendo con il passare degli ultimi mesi.

“Quanti anni compi, Jinki?”

“Ventuno.” 

Gli occhi di Minho divennero ancora più grossi a causa della sorpresa, la risposta di Jinki era giunta inaspettata.
La rosa doveva aver perso un sacco di petali in quell’ultimo anno, lo scoccare del termine della maledizione era quasi giunto e Jinki non aveva ancora trovato nessuno in grado di spezzarla; sarebbe rimasto sempre una bestia?
Jonghyun avrebbe dovuto rinunciare per sempre a toccare Kibum? Come caldamente ricordava a chiunque capitasse tra le sue grinfie.
Tutta quella gente, quelle persone innocenti, non avrebbero più avuto indietro la loro vita. Non avrebbero più potuto vivere come esseri umani e probabilmente sarebbero stati condannati alla vita eterna sotto forma di coltelli e forchette.


Il suo stupore e la sua pietà non erano passati inosservati agli occhi attenti di Jinki, la bestia sapeva cosa sarebbe successo di lì a pochi giorni e si era rassegnato a quello che pareva essere il suo destino – meritato avrebbe aggiunto -.
Era stata tutta colpa sua, se non avesse trattato male quella mendicante, se non avesse dato peso ai vestiti sporchi e rovinati della donna e l’avesse fatta entrare comunque in casa, niente di tutto quello sarebbe successo. 
I suoi genitori sarebbero stati ancora vivi (la delusione e la trasformazione li avevano uccisi), i suoi servitori avrebbero avuto ancora la vita tranquilla e felice di un tempo (Jonghyun e Kibum avrebbero potuto fare i loro porci comodi come al solito).
Jinki avrebbe voluto rassicurare Minho e dirgli che non importava, che già da tempo aveva capito di non poter tornare normale, perché gli dispiaceva vedere l’altro ragazzo così in pena per lui (e la cosa era strana, per mesi si erano ignorati, trattati male, mentre in quel periodo andavano d’amore e d’accordo come se niente fosse successo prima).

“Cosa volevi chiedermi?”

Non voleva parlare della maledizione, della rosa, del fatto che non avesse ancora capito come mai la presenza di Minho sembrava aver rallegrato tutta la casa e non solo quello.
C’erano delle volte in cui Jinki si fermava a guardare l’altro ragazzo, lo guardava e studiava i suoi lineamenti decisi, gli occhi grandi a rana, e pensava a quanto fosse bello per essere un campagnolo qualunque. 
Lo guardava e pensava a quanto gli sarebbe piaciuto poterlo tenere per sempre nel suo palazzo, cosa impossibile perché Minho prima o poi si sarebbe stancato e lo avrebbe lasciato da solo (lo facevano tutti in fondo).

“Vorrei festeggiare il mio compleanno con mio padre, sono mesi che non lo vedo e so che ho scelto io di stare con te per tutto il resto della mia vita, ma vorrei vederlo almeno una volta…”

Jinki notò Minho mordersi il labbro nervosamente, mentre giocava con le posate e abbassava lo sguardo imbarazzato.
Chiedergli quella cosa gli era costata davvero tanto, lo capiva dalla sua insicurezza e da come cercava di non guardarlo mai negli occhi mentre aspettava la sua risposta; capiva alla perfezione la titubanza che provava l’altro ragazzo a chiedergli una cosa del genere, anche se il loro rapporto era migliorato non voleva dire che Minho non si sentisse più un prigioniero.

“Certo, va bene se vuoi trascorrere del tempo con tuo padre.”

Pensò di doversi pentire per quello che aveva detto,  tutta quella libertà poteva portare il più piccolo a non voler più tornare nel palazzo, ma quando vide quel bel sorriso stampato sul volto di Minho, così sincero per la prima volta da quando lo conosceva, cacciò via quel ripensamento e avvertì il suo cuore battere più forte.

“Vieni con me, voglio farti sentire una cosa.”

Con la coda dell’occhio, quando si alzò dal tavolo per poter lasciare la sala da pranzo, notò Jonghyun e il suo stupido ghigno da candelabro: prima o poi lo avrebbe fatto sciogliere del tutto, uccidendolo in maniera lenta e dolorosa.

Guidò Minho fino a uno dei saloni che dava verso il giardino, le grosse vetrate che davano sul giardino lasciavano intravedere l’erba imbiancata e la neve che scendeva posandosi sul terreno con fare delicato e continuo. Quella scena gli portò alla mente un ricordo di quando era piccolo: nevicava, esattamente come quel giorno, e suo padre suonava una di quelle melodie natalizie al pianoforte. Il Natale gli era sempre piaciuto per quel motivo, ma da quando era un mostro aveva perso ogni gioia di festeggiare, specialmente in quel periodo.

Jinki si mise seduto davanti al piano, guardandolo con aria angosciata e piena di malinconia, gli mancava la presenza dei suoi genitori, gli mancava vedere sua madre cucinare assieme a Jonghyun, che in fondo era il cuoco, e suo padre suonare al piano od occuparsi degli affari di famiglia (che ancora non aveva ben capito in cosa consistessero).
Iniziò a premere qualche tasto dello strumento, mugolando leggermente una canzonetta di buon compleanno e Minho si era messo seduto accanto a lui notando ogni più piccolo movimento delle dita del mostro; si stava chiedendo come facesse a non premere più di una nota con quegli artigli enormi, giusto?

“Suono il piano da quando ero un bambino, posso usare solamente le unghie e non sbagliare comunque. Sai suonare qualche strumento?”

“No, io e mio padre non siamo mai stati così ricchi da poterci permettere uno strumento musicale, in più li avrebbe usati tutti per inventare qualcosa. E’ un inventore, più o meno.”

Continuando a suonare, più per distrarsi che altro, avvertì una mano di Minho posarsi su una delle sue e scattò con la testa per poterlo osservare: perché lo guardava a quel modo strano?
Aveva gli occhi puntati su di lui, ma il suo sguardo non era più di disgusto o pieno d’odio, c’era qualcosa di vicino all’affetto, forse, e alla pietà.
Provava pena per lui, vero? Tutto quello che faceva in quei giorni, il suo essere gentile, il suo passare del tempo assieme, era dettato dalla pena che provava. 
“Povero Lee Jinki, tutto solo e trasformato in un mostro per tutto il resto della sua vita.”, pensava quello ogni volta che lo guardava, ne era sicuro.

“Sei libero di andare.”

“Che vuoi dire?”

“Puoi lasciare il palazzo e tornare al tuo paese, assieme a tuo padre.”

Premeva le chiavi del pianoforte con leggerezza, una melodia malinconica e stucchevole che echeggiava per tutta la stanza mentre il suo cuore si fermava e la tristezza per la propria decisione lo prendeva alla sprovvista. 
Doveva lasciare andare l’altro, doveva liberarlo da quella prigionia perché non era giusto costringere una persona a vivere con lui. Minho era una persona bellissima, era una persona piena di vita e sicuramente aveva ben altri progetti per il futuro.

Non si accorse dello sguardo stupito del più piccolo, non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia da quanto si sentiva uno stupido per aver preteso che una persona rimanesse per sempre con lui: chi avrebbe mai potuto amare una bestia?

X.

“Stai ancora fissando quello specchio?”

“No, io…”

Tenendo stretto lo specchio magico che Jinki gli aveva donato il giorno in cui lo aveva lasciato libero, Minho  lo nascose dietro la schiena sperando che suo padre lasciasse cadere il discorso.
Ormai erano passati dei giorni da quando aveva abbandonato il palazzo di Jinki e, per quanto sconvolgente, stava sentendo la mancanza di quel posto e dei suoi abitanti: sì, persino della bestia. La solitudine che provava, nonostante la vicinanza di suo padre e di tutti i libri che aveva letto almeno una decina di volte, lo portava a fissare quello specchio ogni ora, lo stava facendo diventare ossessionato con il riflesso di Jonghyun (quando gli andava di vedere cosa combinava il candelabro) per esempio, oppure si perdeva a osservare ogni mossa di Jinki cercando di capire come se la stesse passando.
Non sapeva nemmeno perché fosse così interessato a quello che stava succedendo nel castello, era stato lui a volersene andare, a ringraziare il padrone di casa e a prendere qualcosa da mangiare prima di andarsene per sempre da quel posto. Ricordava l’espressione triste di Taemin, quella delusa di Jonghyun e quella piena di rimorsi di Jinki (e non capiva come mai si sentisse a quel modo, si era comportato come era abituato a fare ed era stato proprio quel comportamento a trasformarlo nel mostro che era diventato). Forse il più grande si era affezionato a lui, in fondo gli aveva regalato una libreria e gli aveva suonato una bellissima melodia al pianoforte, guardandolo con uno sguardo che non aveva mai usato da quando si conoscevano.
Kibum gli aveva assicurato che Jinki si era pentito di averlo costretto a rimanere nel palazzo contro la sua volontà, ma che lo aveva fatto per proteggersi e per proteggere tutti quelli che abitavano là: se qualcuno avesse saputo della loro esistenza probabilmente avrebbero provato a cacciarli e ucciderli, qualcosa del genere.

“Minho… non sei mai stato bravo a mentirmi, sai? Posso anche essere mezzo stralunato, ma non sono stupido e, soprattutto, ti conosco. Ti manca quel posto, vero? Anche se non capisco come possa essere possibile, quella bestia…”

Scuotendo la testa, Minho posò lo specchio sul tavolo della cucina e si mise seduto su una delle sedie, il padre fece lo stesso e cominciò a osservare il vetro di quello strano specchio.
Jinki gli aveva spiegato che quell’oggetto era magico, non aveva idea di dove lo avesse trovato e del perché lo avesse, e che gli avrebbe permesso di osservare tutto quello che desiderava: gli bastava pensare a un luogo, a una persona, per far sì che lo specchio riflettesse quello che aveva desiderato vedere.

“Non è così male dopo un po’ che lo frequenti. Mi ha regalato una libreria e mi ha permesso di tornare a casa.”

“Ti ha tenuto prigioniero per mes-“

“Sono stato io a chiederglielo, tutto per liberare te. Papà, non è come pensi, ok? Jinki non è così cattivo e negli ultimi tempi ci siamo avvicinati molto e ho notato altro oltre che le zanne e l’aspetto spaventoso.”

Se non avesse dato una possibilità a Jinki, se non si fosse sforzato di passare del tempo con lui e non avesse accettato la sorpresa che gli aveva fatto, si sarebbe perso tutti i lati positivi del più grande.
Non avrebbe capito la solitudine e il senso di colpa che albergavano nell’animo dell’altro ragazzo e l’avrebbe considerato per sempre un egoista, superficiale e del tutto incapace di amare. Kibum aveva avuto ragione quando gli aveva detto che c’era molto di più in Lee Jinki, ma Minho lo aveva realizzato troppo tardi e adesso Jinki lo aveva mandato via con la scusa di volere solamente il meglio per lui (si era sentito come un figlio abbandonato dai propri genitori, la scusa era la medesima in fondo).

“Voglio solo assicurarmi che stia bene, tra poco è il suo compleanno e la maledizione…”

E la maledizione stava per divenire permanente.
Tutti gli abitanti di quel palazzo sarebbero rimasti per tutta la vita ornamenti, mobilia varia, soprammobili e quant’altro; Taemin non sarebbe mai cresciuto, non avrebbe mai vissuto come un ragazzino della sua età, per non parlare di Jonghyun che non avrebbe più potuto toccare il suo Kibum (e Minho lo aveva sentito lamentarsi di questo per ore e per giorni).
Erano tutti condannati a una vita eterna, o almeno così pensava, in un corpo che non era il loro. In un corpo che non sarebbe mai stato il loro.

“Sei davvero strano ragazzo mio, hai preso la compassione da tua madre.”

“Non è compassione… è affetto.”

L’ho detto sul serio?
Si era davvero affezionato a Jinki? 
A tutti gli abitanti del castello dei Lee?
Non era mai riuscito ad ammettere con se stesso quanto volesse bene a quello che un tempo considerava una bestia, non aveva mai fatto caso al proprio arrossire per uno sguardo più lungo su di sé o per un complimento fatto con sincerità. Era sempre stato troppo occupato a lamentarsi della sua prigionia, a lamentarsi di quanto gli mancava suo padre, non c’era mai stato un giorno in cui avesse apprezzato davvero la compagnia di Jinki e questo gli faceva male. Gli faceva capire quanto era stato egoista e cieco per non aver capito prima.

“Devo tornare da lui, papà, non posso rimanere qua sapendo che… che quella maledizione…”

“Quale maledizione? Cosa stai dicendo?”

Suo padre lo stava guardando esattamente come faceva ogni singola persona in quel paese, lo credeva pazzo vero?
Stava parlando di maledizioni, di tornare dalla bestia che lo aveva catturato – e poi  liberato -, se non era pazzia quella! Ma Minho non era pazzo, lui voleva solamente accettarsi che Jinki stesse bene, che vivesse il suo compleanno in tranquillità nonostante lo scadere della maledizione. Voleva che si rendesse conto di avere qualcuno accanto, anche se non aveva trovato la persona che lo amava incondizionatamente, perché Minho gli sarebbe rimasto amico comunque. 

“Mi dispiace papà, non posso rimanere qua e fare finta di nulla.”

“Minho, ragiona, è una bestia! Ti ucciderà.”

Scuotendo la testa, il ragazzo prese le proprie scarpe e il proprio mantello di lana, guardò un’ultima volta il padre mugolando quanto gli dispiaceva di essere stato un pessimo figlio e di averlo messo spesso in imbarazzo a causa della sua fervida immaginazione, e poi se ne andò convincendosi di stare facendo la cosa più giusta.
Jinki poteva essere un mostro, poteva essere una persona superficiale, ma aveva visto del buono in lui e non poteva lasciarlo da solo proprio quando aveva bisogno del suo aiuto e del suo sostegno (era un modo per ripagarlo delle volte in cui era stato gentile con lui).

XI.

“Padrone…”

“Non ora Jonghyun, non sono dell’umore adatto per sentire le tue paternali.”

Quel candelabro non perdeva mai occasione di rimarcare su quanto era stato stupido a lasciar andare Minho, non faceva altro che dirgli di aver sbagliato, di aver preso una decisione in preda alla paura dei propri sentimenti (come se quell’idiota sapesse sul serio cosa provava Jinki per quel ragazzino). 
Era vero che si sentiva sempre più triste da quando quell’umano se n’era andato, ma non significava di certo che ne fosse innamorato! Quel Choi Minho era semplicemente stato un bel passatempo, quando avevano smesso di scannarsi a vicenda, non aveva mai sperato in qualcosa di più come alludeva quel pezzo di cera. 

“La male-“

“Puoi stare zitto?! Ti ricordo che sei ancora un mio servitore e se ti dico di non parlare, non lo devi fare. Capito?!”

Aveva ringhiato contro l’altro ragazzo, le zanne che si facevano più minacciose del solito e le unghie che si allungavano come se volesse fare a brandelli il povero candelabro.
Era stanco e stufo delle sue parole, non sopportava il suo rinfacciargli ogni secondo che la causa della maledizione era stata la sua superficialità, lo sapeva anche da solo e non aveva di certo bisogno che uno stupido cuoco ribadisse il discorso almeno venti volte al giorno. 
Jinki era stato un bastardo a rifiutare di dare aiuto a quella strega, era stato un cretino a lasciarsi condizionare dal suo aspetto vecchio e decrepito, dai suoi vestiti stracciati e sporchi, ma non poteva davvero sapere che quella donna lo avrebbe maledetto. 
Non poteva sapere di stare sbagliando a giudicare un libro dalla copertina, era cresciuto a quel modo e i suoi genitori gli avevano insegnato a guardare le persone dall’apparenza e di non preoccuparsi del resto (era sempre una scusa ottima quella di incolpare i genitori e come lo avevano educato).

Jonghyun aveva alzato le sue fiamme, come se potesse spaventare uno come Jinki, guardandolo con odio. Non aveva mai visto l’altro così arrabbiato, sicuramente stava per dirgli di nuovo quanto il suo comportamento aveva condannato tutti a un’esistenza priva di ogni umanità, lo faceva in continuazione.

“Se vuoi scusarmi, padrone.”

“Jonghyun…”

Lo vide saltellare fuori dalla stanza, non degnandolo nemmeno di uno sguardo.
Jinki rimase a fissare la figura dell’amico che si allontanava, l’unico che gli rimaneva in quel palazzo, e sospirò dandosi dello stupido.
La sua rabbia aveva vinto di nuovo, non riusciva proprio a comportarsi bene con le persone che gli stavano attorno, non c’era mai riuscito in fin dei conti.
Aveva trattato male il padre di Minho solamente perché lo aveva trovato nella sua poltrona, nel suo palazzo.
Aveva trattato male Minho stesso perché quel ragazzino aveva osato mettersi a suo pari. 
Poteva sopportare l’idea di una persona estranea che lo odiava e che aveva paura di lui, ma i suoi servitori sarebbero rimasti nel palazzo fino alla fine dei loro giorni e discuterci a quel modo non gli avrebbe portato nulla di buono.

“Padrone?”

“Taemin, cosa ci fai qui?”

La tazzina entrò nella stanza guardandosi attorno.
La stanza di Jinki era scura, tutti i ritratti di famiglia e di Jinki stesso erano graffiati e rovinati, mentre la rosa con un ultimo petalo era sotto la sua teca, vicino al balcone. Faceva tristezza quella camera, non solo perché Jinki aveva rovinato ogni cosa durante i suoi attacchi di ira, ma perché c’era decisamente un’aria cupa che aleggiava dentro quella stanza.

“Ho visto Jonghyun uscire dalla tua camera e stava borbottando cose senza senso, come al suo solito. Avete litigato?”

“Non ho voglia di parlarne e in più sai com’è fatto quello scemo, devi per forza dire le cose che vuole lui altrimenti mette il broncio.”

Anche se quella discussione era nata per colpa del suo carattere burbero.
Era anche vero che Jonghyun lo stava stressando e tormentando con quella storia della maledizione, con l’ultimo petalo di rosa e le ultime ore del suo compleanno, che cadeva esattamente in quel giorno, se non avesse insistito così tanto a quest’ora non avrebbero discusso a quel modo e Taemin non avrebbe sentito il bisogno di andare a disturbarlo per dirgli che Jonghyun si comportava come suo solito.

La tazzina si avvicinò a lui cercando di farsi afferrare per poter almeno essere ad un’altezza normale piuttosto che sul pavimento, Jinki lo posò sul tavolo davanti alla sua poltrona (aveva una poltrona anche in camera) e sospirò notando lo sguardo preoccupato di quel ragazzino. Possibile che nessuno sembrava volerlo lasciare in pace?

“E’ solo che credevamo tutti che Minho sarebbe rimasto, o sarebbe tornato dopo un po’. Andavate d’accordo e… avevamo sperato nella fine della maledizione, tutto qui. Non dovresti essere così arrabbiato con Jonghyun, tentava solamente di farti capire quanto ti manca Minho.”

“Lo so anche da solo quanto mi manca, non ho bisogno di quello stupido per rendermene conto!”

Allargando gli occhi, si stupì di quello che aveva appena ammesso: gli mancava sul serio quell’umano?
Per la prima volta, dopo anni passati in isolamento, era riuscito ad affezionarsi a qualcuno che non fosse un armadio o una forchetta. 
Era riuscito a vedere oltre l’apparenza, non che trovasse Minho brutto o insipido, era riuscito a godere della compagnia di una persona ignorando il fatto che si vestisse in modo troppo strano per i suoi gusti (con quei pantaloni assurdi e quelle mantelline che non si potevano apprezzare sul serio).
Da parte sua quella stupida maledizione si sarebbe potuta spezzare, giusto? Aveva trovato qualcuno di cui si fidava e per cui provava affetto, ma Minho? Minho non provava lo stesso per lui, era ovvio.

“Perché l’hai lasciato andare via allora?”

“Non era giusto farlo rimanere con noi con la forza, non credi?”

Taemin aveva annuito, abbassando lo sguardo sconsolato. 
Il più piccolo si era affezionato a Minho, giocavano spesso a scacchi insieme e passavano del tempo a parlottare davanti al camino, rendersi conto che non avrebbe più potuto vederlo era stata dura anche per lui e Jinki lo capiva eh, ma cosa avrebbe dovuto fare?
Avrebbe dovuto costringere una persona a stare con loro sul serio? Dubitava che a quel modo Minho si sarebbe sentito ben accolto in quella casa piuttosto che prigioniero. 
Mandarlo via era stata la cosa più giusta da fare, per quanto doloroso fosse stato vederlo montare a cavallo e andarsene dal cancello del palazzo. 
Doveva ammettere di aver sperato di rivederlo, poteva pur sempre andare a trovarli, ma l’altro ragazzo non si era mai presentato e Jinki si era sentito sempre più abbandonato.
Gli aveva dato il suo specchio magico però, magari Minho di tanto in tanto curiosava in quella casa.

“Mi dispiace tanto, padrone.”

“Per cosa?”

Seguendo lo sguardo di Taemin, si accorse che l’ultimo petalo della rosa stava cadendo unendosi a tutti gli altri. Nell’ultimo anno i petali erano caduti uno dopo l’altro, al compimento dei suoi ventuno anni la rosa sarebbe appassita e lui sarebbe rimasto un mostro per tutta la vita.


Minho era arrivato al palazzo di Jinki trovando il cancello ancora aperto. 
La neve ricopriva tutto il giardino, ma non si sentiva più allegro come quando aveva fatto a palle di neve con Jinki qualche giorno prima della sua partenza. 
L’intero palazzo sembrava triste, tetro più di quello che si ricordava, e una brutta sensazione aveva pervaso il corpo di Minho non appena messo piede sul terreno, il cavallo che se ne andava come la prima volta che erano arrivati in quel posto.
Sperava che stessero tutti bene, aveva lasciato lo specchio a casa e non poteva usarlo per prepararsi a quello che avrebbe visto una volta dentro il castello; poteva solamente sperare che tutto andasse bene, che la maledizione non fosse scattata definitivamente perché non se lo sarebbe mai perdonato.
Mentre raggiungeva la porta, che si aprì immediatamente, notò Jonghyun e Kibum davanti a sé: dove stavano andando?
Il candelabro aveva una faccia decisamente lunga, sembrava furente di rabbia e lo spolverino pareva tentare disperatamente di calmare l’altro ragazzo.

“Oh, Minho… Che ci fai qua?”

“S-sono tornato per vedere Jinki... E’ ancora in casa, vero?”

“E dove vuoi che vada quello? Adesso scusami, ma devo andare.”

Kibum stava scuotendo la testa, Jonghyun che si incamminava come meglio poteva in giardino e si malediceva perché faceva freddo e sarebbe congelato prima di varcare anche solo il cancello. Rientrò qualche secondo più tardi ordinando a Kibum di non dire una sola parola, di non azzardarsi nemmeno a ridacchiare per quello che aveva visto.

“Che gli è successo?”

Minho lo chiese allo spolverino quando Jonghyun si era allontanato abbastanza, bofonchiando cose senza senso e lasciando che le sue fiamme lo riscaldassero come meglio potevano. 

“Ha litigato con il padrone e si è messo in testa di volersene andare dal palazzo, come se un candelabro potesse cavarsela là fuori.”

“Ma tu stavi per seguirlo comunque, giusto?”

“Che avrei dovuto fare? Lasciarlo solo nonostante l’idea idiota? Lo amo, quindi lo avrei seguito.”

Aveva annuito mentre lo spolverino abbozzava un sorriso e si scusava con lui, doveva assolutamente andare a cercare Jonghyun e provare a farlo calmare per l’ennesima volta.
Minho aveva ricambiato il sorriso, guardando come l’altro ragazzo se ne andava per i corridoi del palazzo e spariva nella stessa direzione che aveva preso Jonghyun. Quei due erano sempre stati attaccati l’uno all’altro, nemmeno la maledizione aveva scalfito il loro rapporto e quello era davvero un miracolo: si amavano incondizionatamente, erano i rappresentati di quello che la strega voleva far capire a Jinki… in un certo senso.

“Minho?”

La voce sorpresa di Jinki lo fece voltare velocemente e quasi perse l’equilibrio; se non fosse stato per i riflessi del più grande che lo aveva afferrato al volo, sarebbe sicuramente caduto per terra come un idiota.
La bestia sembrava meno bestia del solito, il volto era stanco e lo sguardo triste, sembrava una persona completamente diversa da quella ricordava e non sapeva se collegare il tutto alla sua lontananza o semplicemente allo scadere del suo compleanno. 

“Perché sei tornato?”

“Dovevo vederti. Il tuo specchio… lo usavo per capire come stavi, ma è un po’ difficile scorgere il tuo stato d’animo sotto tutti quei peli.”

Aveva ridacchiato mentre il più grande lo lasciava e gli sistemava i vestiti, stando attento a non strapparglieli con gli artigli. 
Più di una volta gli aveva detto che si vestiva in modo strano, che non riusciva a capire come potesse stare comodo con quei pantaloni dal colore strano e dal tessuto che non conosceva (suo padre gli aveva inventati e gli aveva chiamati “jeans”), per non parlare delle mantelline con strano pelo di animale. L’ultima cosa infastidiva Jinki perché ci si rivedeva parecchio considerando quanto fosse peloso e, beh, fosse un animale fondamentalmente.

“Non capisco, credevo volessi stare con tuo padre.”

“Sì, è così, ma non… Non lo so, sentivo di non poterti lasciare da solo, capisci?”

Jinki scosse la testa, come poteva capire se neanche Minho sapeva cosa stava dicendo e cosa voleva dire?
Era confuso, dentro di sé c’erano tutti quei sentimenti che non aveva mai considerato, che non aveva mai provato per qualcuno così diverso da sé, per qualcuno così spaventoso. Aveva odiato Jinki, aveva detestato il suo modo di fare e come lo aveva trattato, ma poi si era sforzato di essere gentile, gli aveva mostrato la biblioteca e, in generale, il suo comportamento era migliorato nei riguardi del suo prigioniero; aveva iniziato a trattarlo come una persona e non come uno stupido. Non pretendeva più che andasse a cena con lui, ma glielo chiedeva gentilmente.
Aveva smesso di mangiare con le mani e di sbavare come l’animale che era, recuperando un po’ di quella umanità che se n’era andata a causa della maledizione.
Minho era riuscito a vedere oltre il suo aspetto fisico e adesso si trovava davanti a lui, con suo padre che lo riteneva pazzo, guardando quella bestia con il cuore che gli scoppiava nel petto.

“Se è per la maled-“

Mettendogli una mano davanti alla bocca, scosse la testa dicendogli che non era solamente per la maledizione che era tornato indietro.
Aveva capito troppo tardi quello che provava per il più grande, aveva capito dopo giorni di separazione che quello che provava nei suoi riguardi non era semplice amicizia, anche se ancora doveva capire bene quando aveva realizzato i suoi sentimenti per lui. Non era ancora amore, di quello era sicuro, ma c’era qualcosa in più del semplice affetto e quella era la spiegazione al suo comportamento da pazzoide. La spiegazione alla sua idea malsana di tornare al palazzo dei Lee.

“Non sei solo, qualunque cosa succeda da ora in poi, qualunque posto tu voglia darmi nel tuo cuore… io sarò con te. Voglio stare al tuo fianco, farti imparare a stare a tavola e sentirti suonare nuovamente il piano, voglio continuare a essere tuo amico e farti sentire meno solo.”

“Minho…”

“Devi permettermi di farlo e non per il nostro accordo, no, voglio sul serio stare con te.”

Jinki gli accarezzò una guancia prima di ringraziarlo e dirgli che apprezzava davvero tanto quello che voleva fare per lui.
I loro volti si avvicinarono senza che nessuno dei due se ne accorgesse, i loro respiri si mischiarono e l’umano chiuse gli occhi cercando di non aspettarsi troppo da quell’avvicinamento inaspettato.
Credeva che la bocca di Jinki sarebbe stata ruvida, screpolata, pensava che i peli presenti sulla sua faccia gli avrebbero dato fastidio facendogli persino il solletico, ma contro le sue labbra c’era qualcosa di morbido e carnoso. E caldo. 

Aprendo gli occhi, era curioso di vedere la faccia della bestia dopo quel piccolo bacio, si ritrovò tra le braccia di un ragazzo. Un ragazzo bellissimo dai capelli biondi e gli occhi scuri.

“C-chi sei?”

“Jinki…”

Com’era potuto succedere?
Credeva che la maledizione non potesse essere più spezzata ormai, Jinki gli aveva fatto capire che era tutto finito e che non avrebbe mai più riacquistato il suo aspetto umano… eppure era là, davanti a lui, con due braccia e due gambe e quel viso dai lineamenti delicati (cosa che non si aspettava considerando il volto marcato che aveva da bestia).

“Hai spezzato la maledizione, sei riuscito a-“

Jinki non riuscì a finire la frase perché Minho catturò nuovamente le sue labbra, portando le braccia attorno al suo collo per poterlo spingere ancora di più verso di sé. 
Aveva fatto bene a seguire i consigli degli abitanti della casa, aveva fatto bene a mettere da parte il suo pregiudizio e la paura verso quella bestia che lo aveva reso prigioniero perché aveva conosciuto una persona completamente diversa. 
Aveva conosciuto un ragazzo gentile, un ragazzo malinconico e sensibile, una persona in preda alla solitudine e ai sensi di colpa. 

“Sono contento di essere tornato.”
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > SHINee / Vai alla pagina dell'autore: coldfingergurl