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Autore: Ottachan    20/12/2013    0 recensioni
In un tempo remoto, in un castello costruito su di una collina isolata, viveva un mite signore. Fin da quando aveva memoria, la sua esistenza era sempre trascorsa in quel luogo desolato. [...] Non era mai uscito da quella dimora, o meglio, non poteva. La porta principale era sigillata ed il castello non possedeva uscite secondarie.
Genere: Fluff, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le favole dell'Inizio'
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Questa one shot è la primissima storia in assoluto che io abbia mai scritto *Otta lancia coriandoli* e ha visto la luce nella primavera del 2008 insieme ad altre due cosette, tutte accomunate dall'immensa gioia che emanano (che felicità <3). All'epoca ne ero molto orgolgiosa ma rileggendola ora a distanza di tempo l'ho trovata (ovviamente xDDD) piena di errori che mi sono messa a correggere superficcialmente cercando di non stravolgere nulla e resistendo alla terribile tentazione di cestinare tutto xD. Vi avverto, è un papiro abnorme O_O!
 
Il silenzio della solitudine

In un tempo remoto, in un castello costruito su di una collina isolata, viveva un mite signore. Fin da quando aveva memoria, la sua esistenza era sempre trascorsa in quel luogo desolato. Il castello era immenso: i labirintici corridoi si snodavano in stanze l’una diversa dalle altre, ognuna con la propria utilità: un magazzino pieno di cibo, una grande cucina, una bella sala da pranzo, un bagno con una vasca dalle dimensioni enormi e dall’acqua sempre calda, una biblioteca vastissima e ricca di libri di ogni genere, tante camere da letto arredate ognuna in maniera differente ed una sala vuota dall’alto soffitto decorato con molti affreschi sciupati dal tempo. Il signore passava sempre lì le sue giornate ad immaginare cosa fosse raffigurato in origine in quei dipinti… Cieli limpidi rischiarati dalla luce del sole, distese d’erba carezzata dal vento, campi di fiori dai profumi inebrianti, alberi dai rami nodosi che si protendevano verso l’alto… La sua fantasia gli permetteva di percepire solo questo. Dalle piccole finestre del castello l’uomo poteva ammirare da ogni lato sempre lo stesso paesaggio: campi verdi che si stendevano a perdifiato fino a mescolarsi con l’azzurro della volta celeste, solo questo. Di giorno era solito sdraiarsi supino nella stanza dell’affresco, di notte si rintanava nella biblioteca a divorare pagine e pagine a lume di una fioca candela. Non era mai uscito da quella dimora, o meglio, non poteva. La porta principale era sigillata ed il castello non possedeva uscite secondarie. Questa era la sua vita. Poiché non aveva mai incontrato un altro essere vivente simile alla propria persona, non aveva coscienza della solitudine. Le sue giornate trascorrevano sempre nello stesso modo, seguendo quella solita cadenza monotona e fin troppo regolare; non ricordava di avere fatto altro in quella sua misera vita.
Aveva fame? Scendeva in magazzino, scaldava qualcosa in cucina e mangiava il tutto nella sala da pranzo. Si sentiva sporco? Saliva le scale, percorreva un lungo corridoio, si ritirava nel bagno dove, con un solo gesto della mano, poteva aprire il rubinetto dell’acqua per riempire la vasca. Si annoiava? Di giorno gli bastava entrare nella grande sala dell’affresco, sdraiarsi tenendo le braccia incrociate dietro alla nuca e lasciare galoppare libera la fantasia fino a quando i suoi sensi non fossero stati appagati del tutto; al calare del sole accendeva una candela, scendeva in biblioteca dove poteva disporre di un’infinita scelta di libri. Aveva sonno? A seconda del proprio gusto, poteva andare a dormire ora in una stanza, ora in un’altra. La sua vita era completa così com’era. Un cerchio infinito che non si poteva rompere.
O quasi…
Un giorno, mentre era assorto nei suoi soliti pensieri nella stanza dell’affresco, sentì un rumore provenire dall’ingresso del castello. La sua sorpresa fu grande: fin da quando potesse ricordare, aveva solo trovato il silenzio attorno a lui, rotto qualche volta dal potente grido del vento o dal picchiettio insistente della pioggia. Incuriosito si alzò, si tolse la polvere dai pantaloni dandosi delle pacche sulle gambe e si diresse verso quella stanza. L’ingresso era in penombra, ma gli occhi del signore erano abituati a quella condizione di semioscurità. Difatti si accorse subito che una finestrella era aperta e che sotto di essa un qualcosa di bianco stava rannicchiato a singhiozzare. L’uomo si avvicinò a quella creatura che, sentendo i suoi passi, alzò la testa fissando il padrone di casa con un poco di timore. Il signore, però, era il più sorpreso tra i due: davanti ai propri occhi, infatti, si trovava una bambina dai capelli folti e dallo sguardo limpido con addosso un vestitino candido lungo fino alle ginocchia, i piedini nudi. La piccola parlò.
 
‘Scusa signore, il mio gattino è entrato nel castello da questa finestra… Io volevo riprenderlo ed andare subito via, ma sono caduta…’
 
Un verso particolare, simile ad uno strano lamento, si stagliò alle spalle dell’uomo il quale, sorpreso una seconda volta, si girò di scatto. Una creaturina agile e snella, ricoperta totalmente da del pelo morbido di colore grigio e bianco miagolava soddisfatta. I suoi occhi dorati sembravano raccogliere la poca luce di quella stanza.
 
‘Vieni qui!!!’
 
La bambina aprì le braccia e l’esserino le corse incontro. L’uomo, dopo un momento di smarrimento e di confusione, per la prima volta aprì la bocca e provò a dire qualcosa. All’inizio gli uscirono versi gutturali privi di senso. Come era strano sentire la propria voce… Era come se i propri pensieri prendessero vita ed uscissero dalla propria mente sotto forma di suono. E così si rivolse alla fanciulla.
 
‘…Chi sei… tu?’
 
La bambina, che frattanto si era asciugata le lacrime ed aveva tirato fuori un dolcissimo sorriso, fissò per un momento l’uomo con timore, poi rispose delicatamente…
 
‘Sono una piccola abitante del villaggio che si trova sotto questa collina, dopo la foresta…’
 
‘Villaggio… Ho letto in un libro che è un insieme di abitazioni e di strutture che convivono sotto un sistema di leggi’
 
‘Si, ed è lì che devo tornare subito… Mia madre e le altre persone mi aspettano, il sole sta per tramontare, ho paura di non arrivare in tempo…’
 
‘…Madre …Persone?’
 
Il signore guardò la bambina con sguardo interrogativo, ma la piccola non se ne curò…
 
‘Senti signore, non è che puoi aprire la porta per farmi uscire?’
 
‘…È bloccata…’
 
‘Ah… Allora puoi darmi una mano per risalire sulla finestra? Da fuori riuscivo a raggiungerla alzandomi in punta di piedi… Ma qui dentro è molto più in alto!!!’
 
L’uomo obbedì: si avvicinò alla piccola, prese in braccio il suo corpicino esile e la avvicinò alla stretta apertura dalla quale era entrata. Le sue mani per un momento percepirono il calore della pelle della bambina. Quello strano contatto lo fece rimanere quasi di stucco: non aveva mai provato in tutta la sua vita quella strana e particolare sensazione, era sempre stato abituato al freddo pavimento della stanza dell’affresco, alla consistenza rugosa e leggera delle pagine del libro. La piccola, prima di scendere sull’erba del giardino esterno si girò verso l’uomo per ringraziarlo, e gli domandò…
 
‘Signore, come ti chiami?’
 
‘Non lo so, non me lo ricordo… O forse non ho mai avuto un nome…’
 
Il silenzio calò per un istante tra i due. Poi il padrone del castello alzò il viso e guardò negli occhi la ragazzina…
 
‘E tu? Quale è il tuo nome?’
 
La piccola gli sorrise gentilmente…
 
‘Se tu non ne hai uno non voglio metterti a disagio dicendoti il mio… Da oggi in poi ti chiamerò ‘signore’! Tu puoi chiamarmi come preferisci!’
 
La bambina fece un segno di saluto continuando a sorridere dolcemente; prese il suo gatto in braccio e corse via. Prima che l’uomo potesse rendersi conto di essere entrato in contatto con una creatura tale e quale a lui, la notte era già calata da un pezzo. Non aveva voglia per quella sera di mangiare quindi andò subito a coricarsi. Ma non riuscì a prendere sonno: ripensava sempre e soltanto a quel fugace incontro, a come aveva parlato con qualcuno per la prima volta, a quella sensazione mite del calore del contatto umano. Si alzò di scatto e si sedette sul letto. Era confuso. Si guardò le mani: il tepore di quella bambina era andato via da un pezzo. Strinse i pugni fino a farsi quasi male e si girò, lasciò cadere i piedi sul pavimento e, accesa una candela, si rifugiò in biblioteca dove andò alla ricerca di alcuni libri che potessero spiegargli cosa avesse provato in quell’unico istante. Dopo un’ora di documentazione gli capitò sotto mano un atlante degli animali dove riconobbe la bestiola della piccola: un gatto non di razza, una specie assolutamente comune. Solo quando una vocina familiare lo svegliò all’improvviso l’uomo si accorse di essersi addormentato sul libro. Nell’ingresso del castello la bambina sedeva sulla finestra dondolando ritmicamente i suoi piedini scalzi. Sul suo grembo il gatto, rannicchiato su se stesso, faceva le fusa.
 
‘Salve signore! Come stai?’
 
‘…Mi sono appena svegliato… Mi sono addormentato in biblioteca…’
 
‘Oh, scusami! Ti ho disturbato?’
 
‘No. Non sono abituato alle voci…’
 
‘Dov’è la biblioteca?’
 
‘Al piano di sotto…’
 
‘E sei riuscito a sentire la mia voce da laggiù????’
 
‘Di solito qui regna sempre il silenzio…’
 
La bambina guardò quasi con compassione l’uomo. Poi sorrise dolcemente.
 
‘Posso vederla? Mi aiuti a scendere?’
 
L’uomo si avvicinò e prese la piccola all’altezza della vita. Di nuovo quel calore che aveva percepito il giorno precedente. Dopo averla posata a terra, sentì qualcosa di morbido stringergli la mano: era la bambina che aveva messo la propria manina nella sua ed aspettava di essere guidata da lui nel luogo tanto agognato. Un piccolo gesto, uno sguardo…
 
‘Andiamo?’
 
Questo fu l’inizio di una tenera amicizia. La bambina si faceva trovare sempre sulla solita finestra alla stessa ora del primo pomeriggio e se ne andava pochi istanti prima del tramonto.
 
‘I villaggi sono fatti di tante case come è scritto in questi libri?’
 
‘Si, certo, ma oltre alle case c’è anche una chiesa, un mercato, un edificio comunale… E sono tutti collegati da grandi strade dove ci passano anche le carrozze trainate da cavalli’
 
‘Cavalli?’
 
‘Sono animali molto più grossi di lui – indicò il gatto – hanno zampe lunghe e magre che terminano con degli zoccoli, il pelo corto corto, una criniera bella folta ed il muso lungo… Aspetta, se in questo libro c’è l’immagine del mio gattino, di sicuro ci sarà anche quella di un cavallo!!’
 
Parlavano molto… O meglio, la bambina, dopo aver preso confidenza, aveva iniziato a raccontargli tutto sul villaggio, sugli animali domestici, sulle persone che vivevano laggiù, su cosa facessero, su come si divertivano, su come stavano insieme…
 
‘Scusa signore, posso chiederti una cosa?’
 
‘…Certo!’
 
‘Non ti senti solo qui, in questo castello buio?’
 
‘Solo?’
 
‘Quando non hai nessuno accanto e soffri perché il silenzio è troppo forte da sopportare!’
 
L’uomo non sapeva cosa rispondere…
 
‘Sembri conoscere bene questa sensazione… Sei mai stata sola?’
 
La piccola scosse la testa.
 
‘Me l’ha raccontato la mamma quando il mio papà se ne è andato via lassù… Ma mi ha anche detto che grazie a me ed agli altri abitanti del villaggio è riuscita a sollevarsi! Io non sarò mai sola! C’è la mamma, il mio gatto, le persone del villaggio e poi ci sei tu!’
 
Il signore rimase sorpreso…
 
‘Io?’
 
‘Certo!!!! E poi voglio trovare un modo per farti uscire da qui, e portarti con me al villaggio!!’
 
‘Al villaggio… Con le altre persone?’
 
‘Si si!!!’
 
Dopo una pausa…
 
‘Ma le persone hanno un nome… Io…’
 
‘Quando sarai uscito da qui voglio chiedere alla mamma di darti il nome del mio papà!! Così poi potrò rivelarti il mio! E vivremo tutti insieme! E tu non sarai mai più solo in questo posto!!!!’
 
Detto questo la bambina abbracciò il suo amico. Oltre a quella dolce sensazione di calore, l’uomo riuscì a percepire un delicato battito all’interno del petto della piccola. Rimase in silenzio ad ascoltare quel ritmico rumore non capendo bene di cosa si trattasse, chiuse gli occhi e si lasciò avvolgere da quella fragranza infantile. In quell’istante riuscì a sentire per la prima volta, nel proprio petto, un rumore simile a quello che si trovava all’interno della bambina e quei battiti divennero musica e, al ritmo di quella cadenza, il padrone del castello sollevò istintivamente quella bambina ed iniziò a cullarla delicatamente fino a quando la piccola non si addormentò avvinghiata alle sue spalle. Vegliò su di lei per tutto il pomeriggio e la svegliò che era quasi il tramonto.
 
I giorni intanto passavano e la bella stagione stava per volgere al termine. Era trascorso più di un mese da quando il signore aveva incominciato a ricevere le visite dalla bambina e qualcosa in lui era cambiato: non si metteva più sdraiato nella sala dell’affresco a fantasticare; adesso ripercorreva con la mente le giornate che aveva trascorso in dolce compagnia. Non leggeva più in biblioteca di sera; ora studiava e faceva ricerche su tutto quello che la piccola gli insegnava sul villaggio ed in generale sulle persone.
Oramai, durante l’ora di pranzo, mangiava in fretta e si preparava sotto la finestra, pronto ad accogliere la propria ospite.
Ma un pomeriggio la bambina non si presentò al castello.
E non venne nemmeno i due giorni seguenti.
Il signore, comunque, non si mosse dal proprio posto: non andò mai a dormire, né a mangiare, non si ritirò nemmeno in biblioteca o nella sala dell’affresco.
Dentro di se aveva il vuoto.
Una sensazione mai provata prima di allora.
Un freddo che stringeva il cuore in una morsa crudele.
Percepiva solo la speranza di vedere apparire quel viso familiare, di riammirare quel vestitino bianco, di tenere tra le braccia quel corpicino esile ma ricco di tepore…
Forse era proprio questa la solitudine, l’unico argomento sul quale non era riuscito a documentarsi sui libri, l’unico sentimento a lui sconosciuto.
Il signore capì tutto ciò e, per la prima volta nella sua vita, pianse calde lacrime di dolore, per la prima volta provò la terribile bramosia di fuggire da quella prigione buia, di vedere quel piccolo sole dai candidi piedi nudi.
Il giorno seguente, sentì una vocina debole, provenire dalla finestra, che lo chiamava. Quasi si commosse nel vedere il viso della piccola bambina sorridere però a fatica, del gatto non c'era l'ombra.
 
‘Scusa se non sono più venuta…’
 
‘Non importa, ora sei qui! Dimentichiamoci di questi ultimi giorni!’
 
L’uomo sollevò la bambina dalla finestra per portarla all’interno. La piccola aveva perso molto peso, era più leggera, la sua carnagione si era fatta più pallida ed il suo corpicino non emanava quel delizioso tepore di sempre.
 
‘Tutto bene piccola?’
 
L’uomo era visibilmente preoccupato.
 
‘Ora sto meglio… Al villaggio è scoppiata un’epidemia. Molti si sono ammalati, anche la mia mamma. Alcuni sono andati lassù
 
Detto ciò indicò verso l’alto.
 
‘…Lassù?’
 
‘In cielo… Quando il cuore delle persone smette di battere, esso va in cielo e si trasforma in stella…’
 
Il sorriso dolce e triste allo stesso tempo della bambina strinse lo stomaco del padrone del castello.
 
‘Senti, non posso portarti al villaggio adesso… Ho paura che ti ammali anche tu, ed io non voglio che tu vada lassù… Puoi aspettare fino a quando non saranno guariti tutti?’
 
‘Ma che domande, certo! Non devi preoccuparti, sono stato non so quanto tempo in questo posto, non mi cambierà nulla andare via ora oppure domani, fra un anno, fra dieci…’
 
‘E poi così potrò chiedere alla mamma di darti il nome di papà! Spero sia contenta!!’
 
La piccola abbracciò l’uomo e lui si lasciò sprofondare nella dolcezza di quel momento. Anche se le scapole della bambina fuoriuscivano visibilmente dalla pallida schiena, anche se il suo battito vitale era più debole, l’uomo non poté fare a meno di pensare egoisticamente solo al piacere di quel tenero istante… Ma la bambina si scostò presto.
 
‘Scusa signore, devo tornare al villaggio adesso…’
 
‘Di già?’
 
‘Si… Devo andare a comprare le medicine per mamma, devo assisterla. Sono solo passata per salutarti e per chiederti scusa dell’assenza… Ma domani spero di stare di più!!!’
 
Il signore la aiutò a scavalcare la finestra e la guardò correre via fino a quando non sparì all’orizzonte. Quella notte non andò a documentarsi in biblioteca, per una volta aveva paura di scoprire qualcosa che non avrebbe voluto assolutamente sapere e così andò a dormire, stanco per le notti insonni passate precedentemente. Ma quella sera fu colto da terribili incubi che gli resero insopportabile il sonno. Ad un tratto una vocina lo svegliò…
 
‘Signore, va tutto bene?’
 
La bambina era seduta accanto al suo letto, sorridente, dolce e gentile, così, proprio come l’aveva conosciuta.
 
‘Che ci fai qui a quest’ora?’
 
‘Sei tu che hai dormito troppo! Non ti ho svegliato prima, ma avevi degli incubi…’
 
Per un istante calò il silenzio.
 
‘Senti signore, ho trovato un modo per farti uscire! La mamma sta meglio, ho deciso di portarti al villaggio!!!’
 
‘Davvero?’
 
‘Assolutamente! Il castello ha una terrazza? O un posto all’aperto dove si può salire per vedere il cielo?’
 
‘Credo di si, anche se non ci sono mai stato…’
 
‘Alzati, sbrigati!!! Dobbiamo andare lì!!!!’
 
La piccola prese la mano del signore e lo trascinò fuori dalla stanza. Con stupore e con quasi angoscia, l’uomo non percepì nulla in quel contatto. Dopo che i due arrivarono in cima alle scale si trovarono davanti ad una porta di legno molto più piccola rispetto a quella dell’entrata…
 
‘È bloccata…’
 
‘Prova a romperla!!!!!!!’
 
Il padrone del castello, incoraggiato dalla bambina, indietreggiò di pochi passi e caricò l’uscio; la porta venne spaccata e l’uomo cadde pesantemente a terra con la luna che lo illuminava tutto per la prima volta. Il cielo si estendeva oltre i limiti dei propri occhi come un grande drappo di velluto scuro tappezzato da una miriade di stelle luminose. La brezza della sera soffiava piacevolmente sul suo viso, l’uomo si girò verso la bambina ed ella gli sorrise come non aveva mai fatto fino a quel momento.
 
‘Respira!! Questa è la libertà!’
 
Il signore chiuse gli occhi ed i suoi polmoni vennero inebriati da quella frescura che sembrava a dir poco paradisiaca essendo lui abituato alle stanze chiuse e polverose del castello. Si alzò in piedi e si avvicinò al ciglio della terrazza: la luna brillava delicatamente sulle cime degli alberi e sul terreno molti metri più in basso. Si voltò verso la piccola ed ammirò il suo vestito bianco reso ancora più candido dalla luce del pallido astro.
 
‘Ed ora? Come facciamo a scendere?’
 
‘Fai come me…’
 
La bambina iniziò a camminare fino alla fine del pavimento di pietra, delicatamente e senza fare rumore, arrivata al limite della terrazza spiccò un piccolo salto, si mosse di un altro paio di passi e rimase così sospesa nell’aria.
Gli porse la mano con il suo solito fare tenero.
L’uomo, spaventato, non si mosse.
La bambina replicò il gesto in maniera più insistente.
Il padrone del castello non si mosse.
La fanciulla allargò leggermente le braccia e divaricò appena le gambe, il suo corpo iniziò a fluttuare all’indietro allontanandosi pian piano dall'amico. Una lacrima le scese lungo la guancia, il suo vestito divenne sempre più candido, la sua carnagione più pallida, il suo corpo sempre più piccolo. L’uomo iniziò a gridare…
 
‘Ferma, aspettami!!! Non lasciarmi da solo, non abbandonarmi!!!! Non voglio stare più chiuso qui dentro, voglio venire con te al villaggio, voglio avere il nome di tuo padre! Voglio essere tuo padre!!!’
 
La bambina si allontanava sempre di più. Preso dal terrore della solitudine, il signore spiccò un salto tendendo il braccio verso la sua amica la quale, nel frattempo, si era andata ad aggiungere alle piccole stelle del firmamento…
 
‘Eccomi, vengo con te, ora non ti lascio più…’
 
Un istante.
Un volo durato pochi secondi.
Il forte peso dell’aria sul proprio corpo.
Un tonfo sordo.
E poi di nuovo silenzio.
Il silenzio al quale era abituato, il silenzio che era stato interrotto dall’arrivo della bambina, quel silenzio che adesso sarebbe durato per sempre.
 
Perché la solitudine era diventata una tortura impossibile da sopportare.
 
Perché aveva capito di non poter più vivere in quella maniera.

 
   
 
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