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Autore: Ireth_Mezzelfa    22/12/2013    5 recensioni
Cheyanne non ci voleva andare a quella stupida festa.
Tutta colpa di Chad se si trovava ad una festa in maschera alla Vigilia di Natale, con gente noiosa e sconosciuta.
Cheyanne non ci voleva andare, ma a volte la più brutta delle serate, può portare a una delle più inaspettate situazioni in cui Cheyanne potesse capitare.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Daydreamers' Carol
Guess who?


Questa piccola fanfiction fa parte di una raccolta di storie sul Natale che abbiamo deciso di scrivere io e altre fantastiche scrittrici, le Daydreamers, per entrare nello spirito natalizio!
Spero vi piaccia questa cosa che mi è venuta fuori non so nemmeno come, buona lettura! :)




“Una festa in maschera, Chad, seriamente? Una festa in maschera la Vigilia di Natale?”
“Sono serissimo, Peggy. Ho già confermato la nostra presenza, quindi adeguati.”
“Non chiamarmi Peggy! Per la centocinquantunesima volta, il mio nome è Cheyanne! E comunque non voglio venirci a quella stupida festa! Perché dovrei?”
“Perché, Cheyanne, dobbiamo incontrare persone giuste se vuoi avere una qualche possibilità di ingaggio, e le persone giuste vanno alle feste giuste. E questa è una festa giusta.”
“Che diamine di persone giuste rinunciano a stare con la loro famiglia, per andare a una festa in maschera?”
“Le persone che tengono alla loro carriera.”

Questo, più o meno, era stato il dialogo che due settimane fa si era svolto tra me e Chad, il mio stupido manager tuttofare, in un bar di Manhattan, attorno alle ore tre del pomeriggio.
E proprio questo maledettissimo dialogo sopra citato, mi ha portata qui, davanti a questo immenso grattacielo, con un broncio lungo un chilometro sotto la maschera veneziana dorata che mi fa sentire terribilmente fuori luogo: non è Halloween, è il 24 dicembre, che diavolo!
“Allora, hai già suonato?” mi chiede Chad, arrivando di corsa, dopo aver pagato il tassista, e sistemandosi la mascherina nera stile Zorro sul viso.
Non so come abbia potuto pensare di essere uno Zorro decente, allampanato e scoordinato com’è, con quei capelli rossicci, il completo elegante e l’aria agitata che lo fa sembrare costantemente in ansia, ma non voglio smontare le sue velleità di paladino della giustizia: lo conosco da troppo tempo, se la prenderebbe a morte.
“Chad,spero tu ti renda conto dell’assurdità di questa festa.” brontolo inutilmente agitandomi sulle scomodissime scarpe tacco 12 scelte chiaramente da Chad, soprannominate da me medesima ‘Trampoli Mortali’.
“Cioè, mi sto perdendo l’arrosto di mamma e…”
“Senti, anch’io mi sto perdendo la Shepherd's pie e tutto il resto, ma dobbiamo farlo! Ci sarà gente importante e, mentre tu te ne starai lì a sorseggiare Martini, possibilmente senza ubriacarti, e a parlare amichevolmente- amichevolmente, Cheyanne,ok?-  con tutti gli ospiti, io ti procurerò provini e occasioni ghiotte che daranno tanti soldini a entrambi!”
“Bla bla bla…”
“A proposito, ti sei vestita in modo adeguato all’occasione, vero?” domanda improvvisamente preoccupato, allungando una mano per scostarmi il cappotto.
“Oh sì, sai, un paio di jeans e un maglione…scherzo!”esclamo, vedendolo sbiancare sotto la maschera “Mi sono messa in ghingheri come volevi tu.”
Sbuffo pensando al vestito lungo, leggero e fluttuante che ho sotto il cappotto e, nonostante il rosso stia veramente bene sulla mia pelle ambrata, di certo non tiene minimamente caldo. Welcome, polmonite!
“Grazie a Dio, stavolta almeno non ti sei vestita come un senzatetto. Dai, suoniamo il campanello.”
Obbedisco alzando gli occhi al cielo e il portone, con un clack!, si apre.

E’ passato solamente un quarto d’ora e sono già nauseata: una delicata musica ‘fusion-jazz-qualcosa’ fa da sottofondo alla festa che si tiene in un immenso salone arredato in stile minimal-chic, o roba del genere, e sono sicura che anche il tappetino per pulirsi le scarpe che ho trovato in atrio, valga più o meno il doppio della mia stessa assicurazione sanitaria.
Ovunque ci sono tavolini arzigogolati con cibo sofisticato, che non so come mangiare, e non c’è verso di trovare una sedia o una poltroncina libera, dato che ci saranno almeno cinquecento persone, anche se mi pare di non riconoscere nessuna faccia degna di nota.
Fantastico: sono circondata da gente noiosa, con stupide maschere sulla faccia e vestiti da trilioni di dollari addosso.
Sono terribilmente a disagio.
“Chad, sappi che prima o poi me la darò a gambe.” Sibilo all’orecchio del mio prode cavaliere mascherato, che in risposta acchiappa da uno dei vassoi dei camerieri un drink e me lo porge per farmi tacere.
“Non ti azzardare… E guarda chi c’è!” esclama poi tutto estasiato, dirigendosi come un siluro verso un uomo di mezz’età con un grosso pancione e di cui non riesco a sentire il nome.
Butto giù il contenuto del bicchierino tutto d’un fiato e mi avvicino, sconfortata e con la gola in fiamme.
“Lei e Cheyanne Davis, l’avrai di sicuro sentita nominare…” sta blaterando Chad, mentre porgo cortesemente la mano al panciuto ometto che no, dall’espressione sotto la sontuosa maschera viola e oro, non mi ha mai sentita nominare neanche da lontano.
“Uhm…mi sembra di ricordare…” borbotta in evidente imbarazzo.
So cosa sta per succedere.
Mi volto verso Chad, che ha quella sua espressione, L’espressione, che lo fa sembrare un po’ psicopatico, convinto com’è del suo asso nella manica, e vorrei ucciderlo prima che dica quello che sta per dire, ma non posso farlo in pubblico, almeno non a questa festa, così mi limito a sospirare.

Probabilmente, se siete persone che negli anni novanta avevano il cervello già almeno parzialmente formato, vi ricorderete sicuramente di me… dite di no? Oh, invece sì, perché di sicuro avrete visto quel famoso film di Natale: ‘Peggy e la slitta di Santa Claus’.
Ecco, vi vedo già tutti illuminati e sorridenti, pronti a cantare il motivetto del film; sapevo che l’avreste conosciuto, passa tutti gli anni in tv a dicembre.
E indovinate un po’ chi è quell’adorabile bambina dal visino color caramello e un’amabile vocina da scoiattolino che fa ritrovare a tutta la città lo spirito del Natale? Eccomi lì.
 Vedete che vi ricordate di me? A meno che non siate senza televisore, non viviate in America e non odiate i film di Natale. Allora sarebbe tutta un’altra storia.
Comunque vi perdono se non ci eravate arrivati subito, non ho fatto molto altro dopo il mio gran successo a cinque anni, a parte una pubblicità su una nota marca di biscotti andata in onda una decina di volte, qualche anno fa e qualche comparsata in film trascurabili.
Ma in ogni caso, a venticinque anni, vengo sempre e solo ricordata per il mio ruolo di Peggy Stardust, e Chad non manca di ricordarlo. Ogni. Singola Volta.
“Peggy Stardust! In ‘Peggy e la Slitta di Santa Claus’!” cinguetta sull’orlo dell’isterismo, come volevasi dimostrare, subito dopo un attimo di suspense e imbarazzo totale.
Il mio di imbarazzo, intendo.
“Ooh! Ma certo! Oh, quell’adorabile bambina! Scusa, sai, non ti avevo riconosciuta…”
“Non si preoccupi…” sospiro, rassegnata ad altre mille scene di questo tipo e voltandomi ad afferrare un altro bicchierino da uno di quei vassoi volanti.

Ok, forse sono un po’ brilla.
Guardo fisso davanti a me cercando di ascoltare le parole di un tizio con una maschera da Guy Fawkes, che sta blaterando di macchine ibride a me, a un tipo strano dall’aria viscida e a due ragazze che, dalle chilometriche gambe snelle, potrebbero essere due modelle o aspiranti show-girls.
Non so come sono finita qui, non so nulla di macchine ibride e so solo che devo trovare un modo per trovare un bagno, perché ho veramente bevuto troppo, ma questo posto è immenso e pieno di gente!
Ho persino perso quell’inutile uomo chiamato Chad, così decido di assentarmi gentilmente –anche se credo di aver solo emesso un grugnito e di essere fuggita barcollante dall’interessante conversazione-  e di placcare un cameriere qualsiasi.
“Scusami…il bagno?” Biascico.
“Salga le scale e giri a destra, signorina.”
“Grazie, sei veramente…gentile, sai? Un bravo, bravo cameriere!”
Sto davvero ridacchiando attaccata alla spalla di un povero cameriere spaventato, visibilmente ubriaca? Sì, eccome.
Perdonami, Chad.

Riesco finalmente a fare pipì senza causare troppi danni a me, al mio vestito e agli ospiti, ora devo solamente trovare un posto tranquillo dove riprendermi un attimo, prima di tornare tra la gente, trovare Chad e andarmene da questo inferno.
Esco furtiva dal gabinetto e mi lavo le mani con una buonissima saponetta alla lavanda, che sono tentata di intascare, ma non lo faccio, dato che ci sono altre due ragazze con me nel bagno.
“Sai, mi pare di aver visto Ben Barnes, prima, al bancone dei rinfreschi!” sta cianciando una delle due, che ha una maschera coperta di piume rosa di pessimo gusto.
“Ma dai, io ho sentito dire che da qualche parte c’è anche Liam Hemsworth, dovrebbe essere quello con la maschera blu e argento che…”
Le due se ne vanno e io sbuffo scettica: sono sicura al cento per cento che né Ben Barnes, né Liam Hemsworth siano a questa orribile festa.
La testa mi gira terribilmente, devo assolutamente uscire e prendere una boccata d’aria, o trovare una saletta vuota e sedermi per un po’, perché i ‘Trampoli Mortali’ mi stanno massacrando, così torno sui miei passi e, al posto di tornare al piano di sotto, salgo una seconda rampa di scale, dove però un altro cameriere mi blocca, chiedendomi cortesemente se stessi cercando la terrazza panoramica.
“Oh sì! Sto cercando proprio quella!” esclamo, grata del colpo di fortuna.
“E’ in fondo al corridoio sulla destra, l’abbiamo allestita con deliziose poltroncine e tavolini, se vuole posso chiedere di portarle da bere fuori, anche se per ora nessun ospite è salito a causa del fred…”
“Non c’è problema, non ho bisogno di niente!” lo interrompo subito barcollando in direzione terrazza.

Raggiungo la porta a vetri in fondo al corridoio senza problemi, a parte il fatto che fatico a camminare diritta, e finalmente riesco ad uscire dal caldo soffocante del riscaldamento di questo palazzo, per finire nel freddo pungente della notte.
“Oh, grazie a Dio!” esalo tra me e me, afflosciandomi su una delle ‘deliziose poltroncine’ e dandomi un breve sguardo intorno: la terrazza è enorme,con tante file di poltrone, come al cinema e piccoli tavoli su cui è stata collocata una lanterna .
Mi sento già molto meglio senza quella musica strana, mi piace il rumore del traffico rombante che viene dalla strada e questo stare qui in pace da sola davanti al panorama sullo skyline illuminato che riesco a vedere oltre il vetro di protezione.
 Mi sfilo con estrema gioia i ‘Trampoli Mortali’ e sgranchisco le dita dei piedi: che bellezza! Questa sì che è vit…
“Bella serata, eh?”

Dire che salto in aria per la paura è poco: chi diavolo ha parlato?!
Mi volto di scatto, con gli occhi sbarrati e per poco non urlo vedendo che, su una delle poltroncine dietro la mia, c’è  una persona mascherata intenta a fumare una sigaretta, che non ho minimamente visto entrando.
“Scusa, ti ho spaventata!” ride questi, alzandosi e venendomi incontro.
Ora che si è avvicinato, la luce delle lanterne mi rivela un uomo parecchi centimetri più alto di me, con un completo nero molto elegante e una discreta maschera bianca che gli copre metà del volto, lasciandogli scoperta solo la bocca aperta in un bel sorriso gentile.
“Dio, mi hai fatto fare un colpo!” esclamo, ancora sconvolta, con il cuore che galoppa ancora dallo spavento.
“Pensavo mi avessi visto mentre entravi, scusami…” continua il tizio misterioso, sedendosi di fianco a me, trattenendo un sorriso.
“No che non ti ho visto, eri nascosto dallo schienale! E non ridere!” Sbotto io, irritata e cercando di convincere la mia testa di smettere di barcollare e di trovare un po’ di lucidità per sostenere un dialogo, o un litigio.
“Scusami, davvero! Non volevo!”
Lo scruto da sotto la maschera riconoscendo nella voce un accento decisamente inglese che ha un che di familiare, ma non riesco a focalizzare nient’altro che delle belle labbra, un bel mento, capelli castani mossi, piuttosto lunghi e occhi sicuramente scuri…o forse no, non riesco a capire molto con quella maschera.
“Va beh, ti perdono.”  Dico dopo un po’.
“Grazie. Sigaretta?”
Lo guardo mentre mi allunga gentilmente il pacchetto, ma alzo una mano e scuoto la testa lentamente.
“No, grazie. Non fumo.”
Torno a guardare i palazzi illuminati, ignorando lo straniero e concentrandomi sul ricacciare indietro il senso di nausea che mi sta strapazzando lo stomaco: che meraviglia, spero di non vomitare proprio ora.
“Ti senti bene?” sento chiedere dalla mia destra, con tono un po’ preoccupato..
“Non proprio, sono un po’ brilla, credo. Questa festa non è stata proprio il top per me…”
Mi esce una strana risatina sommessa e mi sento come quelli che alle feste del College facevano pena a tutti perché si ubriacavano con una mezza pinta di birra. Devo sembrare una perdente di dimensioni galattiche: quale adulto si ubriaca a una festa così chic?
“Tieni, bevi un po’ d’acqua, è il mio bicchiere, spero non ti schifi troppo.”
Ruoto la testa per vedere davanti alla mia faccia un bicchiere mezzo pieno d’acqua che riesco ad afferrare e portare alle labbra con immane fatica.
“Grazie.”
“Figurati.”
Cala nuovamente il silenzio e restiamo per qualche minuto fermi come due pesci lessi a guardare le insegne luminose dei palazzi di fronte e il loro effetto caleidoscopico.
“Questa festa fa schifo.” Butto lì di punto in bianco senza ben sapere perché.
Chiaramente l’alcool si sta facendo sentire.
“Ne ho viste di meglio, effettivamente.”
Il tono di voce dello sconosciuto sembra ancora divertito dalla povera ubriaca di fianco a lui -come dargli torto!-, ma non mi pare scocciato, e continua a sembrarmi familiare, così cerco nuovamente di riconoscere chi si nasconde sotto la maschera.
“Hmm, ci conosciamo, per caso?”
“Non saprei, ma è una festa in maschera, non vale rivelare l’identità così facilmente.” Replica lui sorridendo e spegnendo il mozzicone di sigaretta per terra.
Quasi mi metto a ridere.
“Questa è bella! Quindi non potrò mai scoprire con chi ho l’onore di chiacchierare stasera?”
“Certo che no, ci sono mille modi per scoprire l’identità di qualcuno.”
Inarco le sopracciglia un po’ incuriosita.
“Tipo?”
“Fare domande, trovare indizi, cose del genere.” Risponde lui, sollevando le spalle e ruotando le gambe in modo da potermi guardare meglio, di fronte.
“Fammi un esempio.”
“Non so…” inizia con aria ispirata “per esempio già so che non fumi. Poi vedo che sei una ragazza molto bella, sei in forma e sembri sui venti e qualcosa anni. ”
Nonostante la mia situazione mentale poco lucida, mi sento un po’ arrossire, ma fortunatamente ho il viso abbastanza coperto. Questo tizio ci sta velatamente provando, o sono io che penso male?
“Ne ho ventiquattro, infatti.” Ribatto con qualche secondo di ritardo rispetto a una persona sobria, focalizzando l’attenzione sull’ argomento ‘età’.
“Ecco, visto, so qualcosa in più di te!”
Il tizio schiocca le dita come un mago dopo una meravigliosa magia e continua a offrirmi il suo sorriso di splendenti denti bianchi.
“Hmm, va bene, ora provo io.” Borbotto, cercando di sollevarmi dallo schienale per stare ben dritta e fissarlo con attenzione. “Tu sei sicuramente inglese, l’accento non mente.”
“Eh sì, mi hai beccato. Sono di Canterbury.” Ammette sottolineando la sua cadenza britannica parlando come un lord d’altri tempi  e ghignandosela sotto i baffi.
Sì, ho appena notato che ha un accenno di barba e baffi ben curati.
“E sei più grande di me, sei sui trenta più che sui venti, credo.” Continuo intanto io, notando come il concentrarmi su questo strano gioco, mi distragga dalla nausea.
“Ah, hai di nuovo ragione! Come sono vecchio, cavolo!”
Accenno un sorriso perché, da quel che vedo, non sembra per niente vecchio, anzi, sembra davvero in gran forma, è snello e ben munito di belle spalle, muscoli, e tutte quelle cose che me lo fanno etichettare come: ‘Ometto Fisicamente Interessante’.
E’ davvero strano non poter vedere il suo viso, parlare con qualcuno senza sapere chi diavolo sia, ma allo stesso tempo mi sta piacendo, è qualcosa di diverso, la festa al piano di sotto mi sembra già lontana chilometri e chilometri.
Cerco di pensare a qualcos’altro da dire, ma non so più a cosa appigliarmi, così mi arrendo incrociando le braccia.
“Mi fermo qui, non so quali altri indizi ricavare su di te.”
Il bel mascherato resta un attimo in silenzio, poi si alza dalla poltrona all’improvviso.
Non se ne starà mica andando via?
“Ci sono altri modi.” Dice infine, fermandosi di fronte a me, con le mani sui fianchi. “Su, alzati!”
A fatica, mi isso sui braccioli e riesco a trovarmi in piedi, con la testa che gira come un lunapark.
Senza ‘Trampoli’ mi sento proprio bassa confronto a lui, e io non sono propri una nanetta con il mio metro e settanta, quindi questo tipo sarà almeno uno e ottanta.
“Dammi le mani.”
“Che cosa? Perché?”
Il mio sguardo insospettito deve averlo raggiunto anche da sotto la mia maschera, dato che scoppia a ridere e mi tende entrambe le sue mani.
“Coraggio dai, dalle mani si capiscono varie cose.” Mi spiega con tono incoraggiante.
“Pff, vuoi solo controllare che non abbia la fede!”
Un altro scoppio di risa compare sul volto del mio interlocutore misterioso.
“E dai, sei proprio sospettosa tu, non farti pregare!”
Sbuffando appoggio entrambe le mie mani congelate sul palmo delle sue, che sono piacevolmente calde e grandi.Il contrasto tra le nostre carnagioni, la mia molto scura, la sua molto pallida, mi strappa un sorriso senza motivo.
“Allora…” inizia lui, carezzandomi gentilmente le dita, con aria meditabonda “Probabilmente non fai la modella, hai le unghie tutte mangiucchiate, e poi ti sei tolta le scarpe, quindi non sei così abituata ai tacchi alti e alle lunghe sfilate.”
“Uhh, come siamo perspicaci!”
“Grazie! E non ho ancora finito!” esclama lui senza smettere di fissarmi “Secondo me fai l’attrice, hai una dizione perfetta, si vede che hai studiato recitazione.”
Lo scruto di sottecchi, un po’ contrariata: è così facile decifrarmi?
Uno strano spirito di agonismo comincia a salire in me: voglio essere io a scoprire più cose!
“E va bene, ci hai preso. Ora tocca a me!” esclamo sbrigativa, senza lasciargli il tempo di esultare troppo.
Abbasso lo sguardo e mi concentro sulle mani: sono ben curate, ma vigorose e vissute, le dita sono abbastanza lunghe e dalle unghie rotonde, niente anelli particolari, niente tatuaggi: cosa posso ricavare da tutto ciò?
“Hm, non sei sposato.”
“Non più…” conferma lui, con una vaga nostalgia nella voce che mi fa alzare lo sguardo sulla maschera bianca, alla ricerca di un qualche segnale di tristezza, che però non trovo: sorride ancora.
“Mi dispiace.”
“Non importa, vai avanti…”
Mi sento un po’ in colpa nell’aver toccato un argomento delicato, ma è chiaro che non ne vuole parlare, così decido di proseguire nella mia caccia all’indizio.
“Ehi, aspetta, hai un sacco di cicatrici!” esclamo dopo un po’ “Pratichi qualche sport strambo …tipo arrampicata, o cose pericolose?”
L’uomo si lascia sfuggire un colpetto di tosse colpevole.
“Beh, non pratico solo uno sport: pratico qualsiasi sport che mia mamma disapproverebbe! Gli sport estremi sono il massimo, anche se mi sono spaccato un bel po’ di ossa!” spiega, con un alzatina di spalle.
“Wow, uno spericolato, insomma!” commento io, cercando di non mostrare troppa ammirazione: non sono una fifona, ma rischiare di spaccarmi un braccio per divertimento non è il mio genere!
Torno alle mani, controllo il dorso, sentendomi un po’ strana: questo contatto prolungato con la sua pelle sta sembrando sempre più, non so, intimo e…piacevole?
Sento che sto decisamente cominciando a sconcentrarmi quando, tastando il polso, sotto la camicia, tocco un qualcosa di metallico che risveglia la mia attenzione.
“Hai un braccialetto con su incisa la lettera ‘F’!” noto emozionata “Il tuo nome inizia per ‘F’?”
Lui sorride, ma scuote la testa divertito.
“Sbagliato!”  canticchia allungando una mano per pizzicarmi il naso, come un bambino dispettoso.
“Eh, rimetti qua la zampa!” lo rimprovero io, prendendogli il polso e tornando a guardare il braccialetto di cuoio con un una targhetta di metallo con su la misteriosa ‘F’.
Di chi altro può essere l’iniziale, se non è di sua moglie, né la sua? Pensa Cheyanne, pensa!
Ed ecco l’illuminazione:
“Tuo figlio! Hai un figlio o una figlia, giusto?”
Capisco subito di averci azzeccato dato il sorrisone che illumina la faccia del mio interlocutore.
“Un figlio, ha due anni, è il migliore.”
“Si vede lontano un chilometro che lo adori.” Sorrido anch’io, riuscendo a distinguere uno scintillio negli occhi, dalle fessure della maschera bianca.
“Eccome! Sta al primo posto, sempre.”
“Ti deve mancare un bel po’ stasera.” Osservo io, capendo perfettamente la sensazione di stare lontani dalla propria famiglia la Vigilia di Natale, soprattutto per colpa di questa stupida festa.
“Moltissimo, ma festeggeremo domani, stasera è dalla mia ex moglie, andiamo d’accordo, ma è dura averlo solo pochi giorni…”
Lo vedo sospirare pensieroso e cambiare espressione, così mi viene spontaneo, stringergli un po’ più forte le mani, per fargli coraggio, credo, e probabilmente funziona, perché lui torna a guardarmi un po’ meno triste.
“E tu, invece?”domanda dopo un po’, con il chiaro intento di cambiare discorso “non penso tu abbia figli, sei giovane. Ma di sicuro ti mancano i tuoi. Abiteranno distanti, vedo che hai la pelle piuttosto scura…tua mamma o tuo papà, o entrambi, sono latino-americani, o qualcosa del genere?”
“Non proprio, mamma e papà sono bianchi come lenzuoli, vengono dal Connecticut e si chiamano David e Caroline.” Rispondo io, lasciandolo stupito “Mi hanno adottata quando avevo sei mesi!” aggiungo, notando la sua espressione sorpresa attenuarsi.
“Beh sì, intendevo, i genitori veri, insomma…quelli naturali.”
“Caroline e David sono i miei genitori veri! Che importa se non sono stata dentro la pancia di mamma?! Non me lo sarei nemmeno ricordato, sai che roba!”
Ritraggo le mani infastidita, odio sentirmi dire le solite tiritere sulla mia adozione e odio la faccia mortificata che tutti fanno quando racconto questa cosa: io ce li ho dei genitori e sono fantastici.  Che importa tutto il resto?
“Scusami, non volevo offendere.” Mormora mortificato il tizio, appoggiandomi delicatamente una mano sulla spalla, visibilmente dispiaciuto: quasi quasi mi intenerisce un po’.
“Non importa.” Brontolo io “Solo che mi mancano e sono qui a questa stupida festa e mi sto perdendo tutta la cena, tutto quanto. E il cibo qui fa schifo, hai visto che cose strane ci sono da mangiare?”
“Sai una cosa? Hai proprio ragione, non ho mai sopportato il cibo raffinato.” Annuisce lui con forza, mentre io, con tutto questo parlare di cibo, sento che la nausea ha lasciato il posto a una gran fame.
“Ci vorrebbe proprio qualcosa di sostanzioso…” sospiro, sognante.
“Un bel hamburger…” aggiunge lui con lo stesso tono.
“E le patatine fritte.”
“E un bel gelato da dessert!”
“Precisamente!” esclamo io, trattenendomi dal battere il cinque “Sono del partito ‘gelato anche in inverno’! Che importa se fa freddo?”
“Diavolo, sì, l’ho sempre pensato! E’ sempre il clima giusto per un gelato!”
Ci guardiamo per qualche secondo e poi scoppiamo a ridere contemporaneamente: comincia a starmi simpatico quest’uomo mascherato di cui non so praticamente nulla!
“Che ne dici se ce ne andiamo di qui e troviamo il Mc Donald più vicino?” lo sento domandare qualche secondo dopo.
“Ma la festa? Io dovrei restare qui, c’è il mio manager che…”
Mentre sto parlando mi rendo conto dell’assurdità del mio discorso: al diavolo Chad! Una fuga a un fast food con quest’uomo interessante è di gran lunga più emozionante di questa festa da ricconi.
“Sai cosa? Ci sto!”

Non so nemmeno come abbiamo fatto a uscire indisturbati dalla ressa della festa, fatto sta che sono appena salita su un grosso fuoristrada nero, ancora un po’ frastornata dall’alcool, e a fianco a me, il mio nuovo amico, sta avviando il motore: di profilo, alla luce dell’abitacolo, riesco a notare meglio il taglio deciso della maschella, le labbra delicate e i baffetti corti e la barba che le incorniciano, i capelli ondulati tenuti all’indietro con qualche ciuffo ribelle qua e là.
“Scusa se trovi qualche pelo di cane qua e là, ma sono dovuto venire con la macchina che uso tutti i giorni!” mi dice, mentre è impegnato nella manovra per uscire dal parcheggio.
“Quindi hai un cane, so qualcos’altro su di te, uomo misterioso!”
Si volta a guardarmi son un sorriso da mozzare il fiato.
“L’alunna sta superando il maestro, vedo.”
Sto per controbattere, quando il cellulare nella mia borsetta comincia a vibrare: è Chad, ma decido di ignorarlo bellamente.
“Devi rispondere? Vuoi che ti riporti alla festa?” domanda Mr. Maschera Bianca, rallentando un po’, e dal suo tono sommesso, capisco che stiamo sperando entrambi che la mia risposta sia una soltanto.  
“No no, voglio stare qui.”
Non so cosa sia, ma sta succedendo qualcosa. Sì, proprio adesso, in questa macchina, è scattato qualcosa, c’è un’atmosfera diversa, come se fossimo entrati in una bolla d’aria più rarefatta, più calda e dolce.
“Bene. E’ solo per l’hamburger, o sei ancora decisa a indagare su di me?”
Lo guardo, mentre le luci dei lampioni disegnano scie colorate sulla sua maschera: chissà se il suo viso è bello quanto la sua voce?
“Chiaro che è per l’hamburger.” Rispondo, mentre ci fermiamo a un semaforo “Ma ovviamente non mi arrendo con te. E tu, ti arrendi con me?”
“Non mi arrenderei mai con una come te.” Dice lui piano, voltandosi a guardarmi e rivelandomi finalmente il colore dei suoi occhi: color cioccolato.
Cala uno strano silenzio, ma è tutt’altro che pieno d’imbarazzo, mi sento leggera, ma non sono più i Martini ora.

Venti minuti dopo siamo seduti su una panchina, al parco, e ci stiamo gustando in silenzio un enorme, malsano e buonissimo hamburger, sotto le lucine di un albero di natale enorme e quelle lontanissime delle stelle.
Non c’è molta gente e nessuno fa caso a due tizi mascherati seduti a mangiare, un ragazzo suona un motivetto natalizio con il sax, fa freddo, per terra c’è qualche cumulo della neve che è caduta ieri e io sto da Dio.
“Davvero buono.” Esclama il mio amico sconosciuto appallottolando la carta del sacchetto, una volta finito il panino.
“Puoi dirlo.” Concordo, imitandolo e appoggiandomi allo schienale, piena come un uovo.
Restiamo ancora un po’ immobili, così vicini da toccarci, ascoltando il sax intonare ‘Santa Claus is coming to town’, e vorrei non dovermi muovere più da questa panchina, ma poi mi viene in mente una cosa.
“Che ore sono?”
“Quasi le una.”
“Quindi è Natale, quindi la festa della Vigilia è finita!”
“Direi di sì.”Assente a voce bassa, quasi tra sé e sé.
Mi sollevo a guardarlo, so che sa cosa sto per dire.
“Allora, se la festa è finita, è l’ora di togliersi la maschera.”
Deglutisco,sentendomi all’improvviso emozionata e un po’ in ansia: dopotutto anche lui non conosce il mio aspetto, potrei deluderlo e non voglio, non so perché, ma vorrei che mi trovasse bella.
“D’accordo.” Dice infine, dopo un momento di esitazione. “Ma prima c’è un’altra cosa da fare.”
Accigliata, lo guardo alzarsi e tendermi la mano, proprio come prima, sulla terrazza.
“Balla con me.”
Accetto l’invito, senza dire nulla, intrecciando le mie dita alle sue e appoggiando la testa sulla sua spalla.
Dondoliamo piano girando su noi stessi, al ritmo delle note stiracchiate del sax, io tengo gli occhi chiusi, non so perché, e mi lascio stringere ancora un po’, in attesa della fine della canzone.
Prima che l’ultima nota si spenga, però, sento che il mio cavaliere si è allontanato leggermente, per guardarmi in faccia, così, sollevo la testa per ricambiare lo sguardo a mia volta.
“Ciao, sconosciuta.” Sussurra lui, con un gran sorriso.
“Ciao, sconosciuto.”  Rispondo a mia volta, quasi scoppiando a ridere per ciò che sta per succedere.
E’ un bacio buffo il nostro, perché stiamo entrambi trattenendo una risata per la follia della situazione, ma non importa, perché va bene così, il mio cuore batte sempre più forte, e va bene così.
E quando ci separiamo, sappiamo che è il momento: contemporaneamente portiamo le mani dietro la testa e lasciamo cadere la maschera.
Ci guardiamo finalmente negli occhi, faccia a faccia, e lasciamo andare la risata tanto trattenuta, come un sospiro liberatorio: mi sento proprio una stupida, come ho fatto a non averlo riconosciuto per tutto il tempo?!
“Credo di aver bisogno di un altro indizio!” esclama lui, senza staccarmi di dosso quegli occhi color nocciola che scintillano così belli e così ben visibili, ora.
“Mi chiamo Cheyanne.” Ammetto io, ancora senza fiato, senza stancarmi di fissarlo, come se potesse scomparire da un momento all’altro. “e non credo proprio che tu mi conosca, signor Orlando Bloom.”
“Beh ora conosco il tuo nome, so che ti piacciono gli hamburger, che odi le feste in maschera e che sei un po’ permalosa. So che sei piombata in una serata piatta e che mi incuriosisci da morire, sei strana e bellissima. E questo mi basta.” Dice semplicemente.
Mi avvicino ancora alle sue labbra, e stavolta è decisamente meno goffo il tutto, anzi, per nulla, ma nonostante non abbia nessuna intenzione di interrompere questo bacio, ho ancora una cosa molto importante da annunciare.
“Comunque credo di aver vinto a questo gioco.”
“Credo sia più un pareggio, che dici?”
“Sei noiosamente diplomatico.”
“E tu sei noiosamente matta.”
Ridacchio e torno ad abbracciarlo ad occhi chiusi, finché il sax continua a suonare, finché la notte continua a brillare e le maschere restano a terra, inutili e splendenti.

 

The end!
Spero vi sia piaciuta, ma ci tenevo a dire che non conosco super ultra benissimo i particolari della vita di Orlando Bloom, quindi se c'è qualche cosa che non coincide, non uccidetemi ç.ç

PS. Girate per la sezione attori alla ricerca di fanfiction con la sigla “Daydreamer’s Carol” nel titolo. Vi aspetteranno ff meravigliose su tanti talentuosi attori, quali:
Simon Baker
Sam Claflin
Robert Downey Jr
Jared Leto
Neil Patrick Harris
Liam Hemsworth
Chris Hemsworth
Christian Bale
Josh Hutcherson
Matthew Fox
Christopher Robert Evans

Passate e leggete, ne varrà la pena!
Un bacione,

Ireth

 
  
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