Possibilità
mancate
Will
C’erano
cose di lei che non aveva avuto modo di conoscere, che non avrebbe avuto mai: tante
possibilità venute a mancare.
Ce
n’erano altre, però: l’odore della sua pelle, agrodolce e pungente come i
ricordi che si era lasciata dietro; la sensazione ardente e acuta nello
stringerla a sé, sentendola calda, pulsante di vita contro di lui; i capelli morbidi
a fare da intralcio ai loro baci frettolosi, le spalle ossute a cozzare tra
loro nell’irruenza della presa. Il tempo
che si dilatava, ora lento ora veloce. Relativo al desiderio che ne
accompagnava lo scorrere.
Queste
cose Will le sapeva a memoria, le percepiva ancora con la stessa intensità con
cui aveva coscienza del vento inglese che gli sferzava le guance, la stessa
violenza che impazzava sottopelle, condensata in grumi di rimpianti e macchie
di sentimenti scuri.
Le
sentiva per averle incise a fuoco nelle cavità più profonde di se stesso.
Anche
adesso che erano lontane e perdute, memorie di un tesoro smarrito, anche ora
erano cose che gli appartenevano di diritto, solo sue e, assieme a lui, di Lyra
soltanto.
Ma
c’era anche altro oltre a quello, molto e molto altro. Un altro che non fosse
il suo corpo acerbo o il suo sorriso audace, il bagliore temerario e ferino che,
ricordava, i suoi occhi assumevano a ogni idea nuova e intrepida, o quella sfumatura
infinitamente vulnerabile che avevano preso poco prima che lui chiudesse per
sempre la finestra tra i loro mondi.
In
quel momento, nel vedere il proprio riflesso attraverso gli occhi di Lyra, gli
si era come spaccato dentro qualcosa. Nel risanare la ferita dello spazio, allora,
un’altra tanto più intima gli si era aperta dentro, definitiva. Una crepa
piccola e poco appariscente, appena una breccia nel muro, ma comunque una
spaccatura comparsa ad incrinare l’insieme compatto che la circondava.
Di
Lyra aveva conosciuto le corde del cuore oltre che dell’anima, le bugie e le
maschere, un presente troppo breve per poter essere definito tempo e troppo
prezioso per definirlo in qualsiasi modo.
Di
Lyra aveva il ricordo, presente e passato, a perseguitarlo come un fantasma
amico. Aveva l’assenza nociva, il posto accanto a sé vuoto o invece occupato
dalla persona sbagliata.
Di
Lyra aveva i segreti, anche quelli più nascosti, quelli che lei non aveva avuto
occasione di confessargli, ma che lui ugualmente aveva intuito.
Di
Lyra aveva ogni cosa, tutto e niente.
Non
aveva il suo futuro tanto per cominciare. Non aveva la sua realtà. Aveva
l’immagine sfocata di un rimpianto che bruciava come sale su una ferita aperta,
sempre uguale, sempre lo stesso.
Non
aveva l’adesso, l’immediatezza del “qui e ora”.
Aveva
una panchina di legno troppo grande per una persona sola, il profumo penetrante
di piante dell’orto botanico che avrebbe voluto respirare direttamente tra i
suoi capelli, la luce abbacinante di mezzogiorno a fargli socchiudere lo
sguardo come nel dormiveglia.
Aveva
mille e mille desideri senza possibilità di avverarsi.
Aveva
tutto ciò che lei era stata e che probabilmente non era più ormai.
E
Lyra aveva lo stesso. Provava lo stesso. Lo stesso senso di vuoto, gli stessi
sentimenti inesprimibili e intensi, la stessa voragine nel cuore.
Quello
che aveva e provava per Lyra non subiva cambiamenti.
Il
suo corpo cresceva, si allungava, si irrobustiva. Il suo cuore per contro si
assottigliava, si snervava nella ricerca dell’impossibile. Ininterrottamente
teso altrove.
Will
non credeva nei miracoli. Non ci aveva creduto neppure quando sua madre, dopo
mesi e mesi di mutismo, un giorno si era come svegliata dal torpore indotto della
malattia e lo aveva riconosciuto. Non era mai più andata via da allora.
Eppure
ancora oggi, ad anni di distanza, Will si ritrovava di quando in quando a
lanciarle sguardi indecifrabili. Era come se si aspettasse di perderla di nuovo
se avesse allentato la presa su di lei. Era la stessa sensazione provata una
vita fa con Lyra sul bordo dell’abisso, subito dopo che era caduta ed era stata
salvata dall’arpia Senzanome.
In
lontananza le campane incominciarono a suonare. Kirjava gli sfregò il muso
contro il dorso della mano serrata e Will si riscosse a stento.
-
È passato un altro anno - disse stancamente e si costrinse ad un sorriso
doloroso. Aprì le dita contratte per sgranchirle, ma ancora non si alzò.
Un’ora
soltanto per perdersi e ritrovarsi. Un’ora appena per ricordare e poi fingere
di dimenticare fino all’anno successivo. Di fronte ad una vita intera cosa
contavano pochi altri minuti? Che differenza potevano fare?
Lyra
-
Ce la faremo, vero Pan? –
Non
era da Lyra andare in cerca di rassicurazioni, ma in quel momento Lyra non era
Lyra, o meglio era una Lyra diversa, bella come mai, con lo sguardo assorto,
l’espressione greve e una luce, nei capelli e nel sorriso rivolto al nulla, che
era insieme pesante e dolce come miele d’acacia.
Pantalaimon
era accucciato non lontano da lei, tra le radici nodose di un vecchio olmo dove
si era divertito a immergere il muso nei mucchietti di foglie raccolte dai
giardinieri. Una, piccola e ondulata, gli era rimasta incastrata nel pelo
fulvo. Sollevò gli occhi scuri e scintillanti su di lei e tutto il corpo ebbe
un tremito in risposta a quello che percepiva dentro Lyra. - Nessuno che non
sia tu potrebbe riuscirci – rispose.
Lyra
annuì, quasi serenamente, ma il daimon sapeva che avrebbe preferito urlare. Una
delle cose più incredibili della Lyra adulta era l’autocontrollo. Lui la
considerava l’altra faccia della medaglia di quella che era stata la sua vena
di bugiarda incallita da ragazzina.
-
A volte… - disse lei dopo un po’, - non credi che sarebbe stato meglio essere
una qualunque? Una bambina come le altre: con una famiglia, una casa e tutto il
resto, tanto per cominciare. –
Pan
piegò la testa su un lato, scrutandola negli occhi con attenzione. - Ma non
saresti stata più tu allora - le fece notare. - E neppure io sarei stato più me
stesso e i bambini che hai salvato sarebbero morti e… -
-
Roger sarebbe vivo - lo interruppe lei con un cipiglio deciso. - Non saremmo
mai diventati amici, non avremmo mai giocato a rincorrerci per i giardini del
Jordan o a gettare i noccioli sulle teste dei passanti dai tetti. Un giorno, da
grandi, forse ci saremmo incrociati per strada. Io mi sarei voltata a guardarlo
un attimo, uno soltanto, credendo di conoscerlo, sentendolo da qualche parte
dentro di me, ma poi l’attimo sarebbe passato e sarei tornata ai miei pensieri,
a decidere se indossare l’abito pervinca o piuttosto quello turchese per il
ballo del Duca di quella sera. Perché sarei stata invitata, ovvio, e avrei
sempre saputo cosa dire o come comportarmi. Sarei stata una di quelle donnine
frivole e un po’ superficiali che non vanno mai oltre l’apparenza, non si
pongono alcuna domanda, che ritengono la curiosità un abominio della natura.
Sarei stata noiosa e… - la voce di Lyra si spezzò e lei fece un respiro
profondo.
Per
qualche minuto rimase in silenzio e il viso tradiva che la conversazione
intanto continuava, anche se nascosta, profonda. Era come quando formulava delle
domande all’aletiometro, solo che questa era un tipo di verità diversa, più
preziosa e fragile, più difficile da scoprire e soprattutto da accettare. Alla
fine lei parve venire a patti con se stessa perché riaprì gli occhi e si
concesse un sorriso minuscolo, negli occhi il riverbero che la risposta le
aveva lasciato.
-
Will non avrebbe mai amato una Lyra del genere così come questa Lyra non avrebbe
mai potuto amare il mio Will - rivelò, risoluta, come se la scoperta la
rendesse soddisfatta, ma non felice. - Non lo avrebbe capito, non davvero. Non
avrebbe mai conosciuto la sua mancanza o forse sì, ma non sarebbe mai riuscita
a spiegarsene la ragione. Avrebbe vissuto nell’ignoranza, speso la vita nella
ricerca senza mai trovare una risposta. Non avrei avuto lo stesso Will, ma
comunque mi sarebbe mancato come l’aria. Io so dare un nome a tutto questo, so
come chiamarlo, so riconoscerlo. Posso vivere il dolore allo stesso modo in cui
avrei vissuto il mio amore. –
Lyra
allungò una mano per permettere al suo daimon di poggiarci sopra il muso. Sull’indice
e sull’interno del pollice c’erano residui dell’inchiostro usato quella mattina
per ricopiare degli appunti, la pelle conservava ancora l’odore sottile di
polvere dei libri da cui quasi mai si staccava, ma Pan non ci badava e così
Lyra. Quando ebbe Pan vicino, l’espressione di Lyra si fece meno remota, si
addolcì. Tra tante cose spiacevoli, averlo accanto serviva sempre a ricordarle
quanto fosse fortunata, che avesse sì perso tanto, ma che le rimanesse anche
tanto altro di cui essere grata.
-
In fondo, sai Pan - disse, - credo che quella Lyra ci avrebbe rimesso ben più
di me. –
N/A:
Quando
ho scritto quanto avete letto sopra, avevo da poco concluso la saga e la
voragine che avevo al posto del cuore era niente se paragonata alla tristezza
che provavo.
Ci
sono libri, a volte, da cui quando arrivi alla parola fine ti risvegli come da
un sogno e occorrono ore, giorni, mesi per scrollarseli di dosso. Nel caso di
altri, invece, il sogno ti resta dentro più a lungo fino a diventare parte di
te, una parte essenziale.
Ci
sono libri che si trasformavano in schegge di luce e carattere, in ricordi
dolcissimi o agri. Ci sono libri che al solo nominarli ti riempiono di
nostalgia, ti riportano a quel tempo
andato, scavano fino al centro dell’animo per ritrovare la bambina che su
quelle pagine ha pianto e riso, la ragazzina che ha imprecato e stretto i pugni
e preso a morsi il cuscino per non urlare a pieni polmoni la propria rabbia in
una notte d’estate.
Ci
sono libri che sono stati con te, ti hanno fatto compagnia e accompagnato,
fedeli e leali, fino alla fine, fin quando è stato loro possibile e permesso.
È
a quei libri che apparteniamo per sempre, è a quei libri a cui doniamo noi
stessi, cuore e anima, in cui riversiamo le nostre paure e speranze, è in quei
libri che sono custoditi i nostri Daimon, credo. Pezzi piccoli, enormi,
indefinibili, ma sempre Daimon.