Disclaimer: I
personaggi non mi appartengono e io non scrivo a
scopo di lucro.
Buon
Natale e buon anno nuovo a tutti quelli che passeranno da questa
storia. La
considero un piccolo e discreto regalo per il gruppo Johnlock fans e
soprattutto la mia adorata Collective. <3
Aggiungo
che l’ispirazione per questa breve one shot è nata
leggendo un post su Tumblr.
Siete
speciali e vi auguro uno splendido 2014! E soprattutto spero
sopravviviate
tutti alla terza stagione. *Fingers crossed*
When
It’s Cold Outside
Aveva perso il
conto di quante volte, da quando aveva conosciuto Sherlock Holmes, gli
avessero
– si fosse – posto la stessa domanda: come
puoi convivere con una persona così?
Non era mai stato
necessario rispondere,
e in tutta sincerità non possedeva una risposta,
né la cercava.
Dopotutto, una volta che impari a vivere nell’incertezza
dell’incessante
rischio…
Talvolta, in alcune
situazioni, spesso in
quei momenti di stallo, quiete assoluta,
time out, John sembrava sentirsi in grado di rispondere a quel quesito.
Quando
Sherlock fronteggiava la finestra del loro salotto e le sue mani
lavoravano
alle melodie più memorabili, e John osservava e sentiva
dalla cucina, dalla
camera da letto, dalla poltrona, dalle scale.
Nella sua mente,
forse a mo’ di un mind
palace per uomini comuni, scorreva una lista di motivi per cui non
avrebbe
avuto altra scelta se non condividere e donare la sua vita a Sherlock
Holmes,
perché era suo amico, nemico, amante, dominatore,
sottomesso, tutto e non
poteva non innamorarsene ed esserne sempre un po’
più dipendente di nota in
nota.
Nel bene o nel male,
senza un particolare
giuramento formale.
(Forse la stretta di
mano di fronte al
221?)
Come quella sera di
fine dicembre, quando
John, ore prima, aveva trovato un vecchio vinile tra le macerie che
stanziavano
perennemente nel loro soggiorno, come reliquie, intoccabili. E non
sapeva
davvero cosa ci facesse un vinile del 1949 nel 221B, né come
ci fosse finito.
Forse come tutti gli altri oggetti bizzarri che emergevano di tanto in
tanto.
Fortuna che tra di
essi non mancasse un giradischi
in condizioni accettabili. Lo aveva ripulito dalla polvere e restituito
un
aspetto dignitoso.
Dalla cucina
ascoltava Sherlock suonare
Mendelssohn con estrema destrezza, un perfetto accompagnamento per la
serata,
se non che John fremesse dal desiderio di smuovere le carte.
Versò
dello Scotch in due bicchieri a
pari altezza, ripose la bottiglia nel mobiletto e andò in
salotto, dove posò i
bicchieri per abbassare la puntina del giradischi sul vinile. Dopo un
breve
disturbo, della musica indiscutibilmente datata si sovrappose
all’imperterrito
violino di Sherlock, il quale, osservando ogni movimento di John dal
riflesso
della finestra buia, smise di suonare ma mantenne il mento appoggiato
allo
strumento ed abbassò l’archetto lungo il fianco.
“Cosa
significa?”
“Cosa vuoi
dire?” John recuperò i
bicchieri e si fece più vicino all’altro.
Sherlock
grugnì sommessamente,
infastidito. “L’ho chiesto io.”
John
scrollò le spalle. “Ho trovato
questo vinile e ho pensato di ascoltarlo.”
“Mentre io
suonavo,” il detective aveva
abbassato anche il violino e, sempre rivolto alla finestra, aveva
iniziato a
sfogliare convulsamente gli spartiti.
“Dovresti
rilassarti, Sherlock…”
“Lo stavo
facendo-”
“Con
me” lo interruppe John, avanzando di
un altro passo ancora. Finì con l’appoggiare la
punta del naso alla sua spalla
tesa, mentre una mano scivolava oltre il suo fianco a porgergli il
bicchiere di
Scotch. “Ogni tanto. Solo… una volta ogni tanto,
Sherlock.”
Lui si
voltò, abbandonando ciò che
stringeva tra le mani. Il bicchiere restò tra i loro petti
in attesa di essere
accettato.
“Ti
farebbe bene, trovare un altro modo
per svagarti. Il tuo cervello lavora sempre così
tanto,” disse John, il tono
pacato, uniforme. “Sediamoci sul divano, beviamo e ascoltiamo
questo vecchio
vinile,” spinse delicatamente il bicchiere contro il suo
petto.
Sherlock
sollevò discretamente un
sopracciglio, composto nella sua perplessità.
C’erano
cose che proprio era difficile
afferrare. Spesso una carezza inconsueta scatenava dubbi atroci, e
questioni
futili, e una cena da Angelo che non fosse un appostamento lo
confondeva,
perché la finalità gli era sconosciuta. A volte
la logica gli era nemica,
quando John desiderava che tra di loro qualcosa andasse oltre ad uno
schema
sistematico.
“Per quale
motivo dovremmo farlo, John?”
“Perché
no?”
Sherlock prese con
riluttanza il
bicchiere pieno per un quarto; John sorrise incoraggiante.
Intanto il cellulare
del detective
squillò nella tasca della sua giacca. Egli lo
afferrò, lesse il messaggio e
subito dopo posò lo Scotch e si scansò agilmente
da John per recuperare il
cappotto ed indossarlo con urgenza.
“Dove
vai?” domandò John vagamente
alterato.
“Lestrade
mi ha scritto un messaggio;
vogliono un mio consulto,” si avvolse la sciarpa intorno al
collo. “Ti unisci?”
John
corrugò profondamente la fronte.
“No, Sherlock, non ho intenzione- e nemmeno tu
dovresti…”
Sherlock lo
guardò duro, zittendolo con
la severità dei suoi occhi. “È il mio
lavoro. In nessun caso dovrei
trascurarlo. Nessuno.”
John
sospirò, lasciando che i suoi
muscoli contratti cedessero alla rassegnazione, mentre il detective
spariva
oltre le scale.
Frustrato,
scostò bruscamente la puntina
del giradischi dal vinile e si lasciò cadere sulla poltrona,
per infine mandar
giù in un sol sorso il suo Scotch.
Nella calda
incoscienza del sonno, udì un
fruscio.
Aprì gli
occhi nel buio e li fece vagare
per la stanza qualche volta per abituarsi
all’oscurità, finché non scorse una
sagoma appoggiata allo stipite della porta.
Una musica dal suono
antico, provato dal
tempo, giungeva dal salotto.
John
scostò le coperte spesse e scese dal
letto, stringendosi nella sua vestaglia, gli occhi assottigliati dal
sonno.
“Sherlock…
ma sono le tre e mezza…”
biascicò mentre si trascinava lungo il corridoio seguito
dall’altro. “Sei
appena tornato. Idiota.”
Sherlock
sbuffò un ghigno mentre si
sfilava la sciarpa e il cappotto e li gettava sulla poltrona.
“È
tardi, spegni questo affare o la
signora Hudson ci ucciderà” John stava inutilmente
tentando di scorgere i
componenti del giradischi per poter fermare la musica.
Sherlock lo
allontanò afferrandolo per
una mano, dopodiché accese le luci decorative con cui il
dottore aveva
addobbato l’appartamento.
Intanto il
giradischi suonava Baby, It’s Cold
Outside del 1949, un
duetto di Ella Fitzgerald e Louis Jordan, dei quali Sherlock ignorava
beatamente l’esistenza.
-
This
evening has been so very nice.
-
I’ll
hold your hands, they’re just like ice.
“Oh,
Sherlock…” sussurrò John, un piccolo
sorriso nascente sulle sue labbra sottili.
Sherlock lo condusse
al centro della
stanza, sgombero da qualsiasi impiccio, e portò le loro mani
unite all’altezza
delle loro spalle, mentre l’altra la impiegò sulla
spalla dell’altro. “Non mi
scuserò per quello che ho fatto.”
John
roteò gli occhi. “Devi sempre
rovinare tutto, vero?” fece scivolare la propria mano libera
dietro la sua
schiena.
“E’
una qualità che mi attribuiscono
frequentemente.”
-
So
really I’d better scurry.
-
Beautiful,
please don’t hurry.
Il dottore lo spinse
debolmente, quanto
bastava per avere una buona visuale di lui e decidere che fosse troppo
vestito.
Sbottonò
agilmente la giacca e la fece
scivolare lungo le sue braccia, lasciandola cadere.
“Meglio,”
i due si riavvicinarono, ondeggiando
ad un ritmo che non si addiceva particolarmente alla canzone, ma che
sapeva
della loro intimità.
Con i petti uniti e
i respiri sincronizzati,
si strinsero in un’impacciata danza.
-
I wish
I knew how…
-
Your
eyes are like starlight now.
-
To
break this spell…
John alzò
lo sguardo incontrando quello
di Sherlock già fisso sul suo volto.
Sorrise debolmente,
perdonandolo di tutto
ciò per cui, in fondo, non si era mai risentito sinceramente.
Le dita si
arricciarono alla camicia dell’altro,
aderente sulla schiena, mentre allungava il volto ad incontrare il suo.
Si
fermò quando i loro nasi si sfiorarono.
Quello di Sherlock
era freddo,
ghiacciato. Aveva appena corso per mezza Londra, ne era certo.
Un brivido gli
serpeggiò lungo tutto il corpo
a quel contatto.
“Sei un
pazzo. Vorrei avercela a morte
con te perché metti sempre te stesso e anche me in
pericolo,” respirò contro la
sua bocca. “E invece…”
Sherlock
abbozzò il suo tipicissimo
sorriso vagamente incrinato, colpevole. “Ami il pericolo
tanto quanto me, lo
sai…” disse mentre spostava il viso e il suo naso
sfiorava freddo la guancia di
John, che aveva sonnecchiato nel tepore del loro letto fino a pochi
minuti
prima.
-
I
ought to say no, no, no, sir.
-
Mind
if I move in closer?
-
At
least I’m gonna say that I tried.
-
What’s
the sense of hurting my pride?
“Amo anche
trascorrere una buona serata
in compagnia dell’uomo più strano di
Londra,” John premette Sherlock ancora più
vicino a sé. “E ad essere miserabilmente
scaricato, a quanto pare.”
Sherlock
aprì la mano che poggiava sulla
sua spalla. Era così grande, le dita così lunghe
da avvolgerla quasi
completamente. “Ora sono qui, no?”
John
annuì flebilmente, e continuarono ad
ondeggiare l’uno addosso all’altro, il naso di
Sherlock premuto contro la
guancia di John, il primo vigile, gli occhi aperti nella luce soffusa
della
stanza, e l’altro con le palpebre abbassate, tremanti.
-
My
maiden aunt’s mind is vicious.
-
Oh,
your lips look delicious.
“E stai
ballando una stupidissima canzone
natalizia con me.”
“Non
definirei ciò che stiamo facendo ‘ballare’,
data la mancanza di qualsiasi
figura tecni-”
“Zitto,”
John si allontanò e lo fece
girare su se stesso a tradimento. Sherlock lo guardò
perplesso e oltraggiato.
“Non farlo
mai più” pronunciò perentorio,
il tono grave e profondo.
John lo
schernì e lo riprese vicino a sé
per continuare quell’ondeggiamento che gli piaceva definire
ballo.
Stettero quieti per
un poco e il dottore
fece finta di non notare che Sherlock stava osservando con molta
attenzione la
sua bocca.
-
There’s
bound to be talked tomorrow.
-
Think
of my life long sorrow.
-
At
least there will be plenty implied.
-
If you
caught pneumonia and died.
John si
lasciò scappare un sonoro ghigno
contro la spalla di Sherlock, la cui bocca si deformò in una
smorfia incrinata
e alla fine non poté fare altro che unirsi alla risata.
“Ridicolo,”
sentenziò.
John rise ancora,
tentando di non fare
troppo rumore per non disturbare più del dovuto la povera
signora Hudson.
“Assolutamente.”
“John, non
capisco perché tu abbia
insistito tanto prima per ascoltare queste canzoni in mia compagnia,
né perché
avrebbe dovuto pregiudicare la mia partecipazione ad un inda-”
John lo
strattonò per il colletto
inamidato della camicia, stavolta per zittirlo con la propria bocca
sulla sua.
Sherlock
fece per rispondere esitante al bacio, quando John si
allontanò per
scuotere la testa.
Idiota,
certo che lo hai capito.
Era ormai rassegnato
all’idea di dover
attraversare interi deserti a piedi nudi pur di poter trasmettere a
Sherlock
messaggi elementari quali sei il mio compagno
di vita, posso portarti a cena fuori, o ti
amo, va bene se ti accoccoli nel mio grembo per tutta la sera, o
ancora questa sera è
così freddo, restiamo a casa a
bere Scotch, Lestrade può aspettare domani; aveva
tuttavia capito che, con
i debiti tempi di elaborazione, alla fine Sherlock avrebbe acconsentito
ad una
cena da Angelo che non fosse un appostamento,
avrebbe trascorso l’intera durata del film con
la testa appoggiata alle
sue gambe e sarebbe tornato a casa alle tre e mezza di notte per
azionare un
vecchio giradischi e ondeggiare con lui in mezzo al salotto.
Where
could you
be going
When
the wind is
blowing
And
it’s cold
outside?