Mai fidarsi del nemico
Slave life
Mi
svegliai grazie ad un leggero campanello che suonava fuori dalla mia cella.
Probabilmente
se fossi stata pigra come Ron non l’avrei mai sentito e avrei continuato a
dormire profondamente.
Sorrisi
a quel pensiero, ma sapevo che la mia felicità si mostrava più simile ad una
smorfia che ad un vero sorriso.
Mi
strinsi addosso i miei indumenti rovinati e mi sollevai dal mio materasso di
stracci, avvicinandomi alla porta della mia cella.
La
serratura scattò con un suono secco e mi trovai davanti Breedy che mi porse la
mia colazione, che consisteva in una semplice tazza di tè e un tozzo di pane.
Breedy
era l’unico essere vivente con cui entravo in contatto da giorni ormai, tranne
ovviamente i Mangiamorte durante la giornaliera seduta di tortura.
Studiai
il piccolo elfo domestico e le sue orecchie a punta, contraendo la mia faccia
in una smorfia mentre notavo che in fatto di vestiti lui era ridotto anche
peggio di me.
Mi
tornarono in mente le mie campagne per liberare gli elfi domestici e la mia
associazione: C.R.E.P.A. e, come mi era accaduto poco prima, una piccola
smorfia che non si avvicinava nemmeno lontanamente ad un sorriso comparve sulle
mie labbra.
Come
ogni giorno mi lasciai accompagnare silenziosamente fino alle cucine per poi
passare in lavanderia, dove lavoravo quasi tutti i giorni, tranne quando dovevo
pulire qualche stanza del castello.
Mi
sarei aspettata di tutto dalla mia prigionia, ma non che mi costringessero ai
lavori forzati.
In
effetti quando, dopo la mia prima ora di tortura con Bellatrix Lestrange, che
mi aveva lasciato una profonda cicatrice sull’avambraccio sinistro che
riportava la scritta: “Mezzosangue”, mi avevano scaraventata all’interno della
lavanderia avevo pensato fosse un pessimo scherzo e anche di cattivo gusto.
Poi
avevo capito che non lo era affatto e che se volevo sopravvivere dovevo
lavorare.
Ogni
giorno vedevo a pochi metri di distanza Luna ed altri sopravvissuti, ma non ci
era permesso di comunicare, quindi mi dovevo rassegnare a sentirmi solo un po’
meno sola del solito.
La
prima volta che avevo rivisto Luna mi ero letteralmente lanciata su di lei e
l’avevo stretta tra le braccia, piangendo e ridendo insieme.
Quando
Bellatrix Lestrange era venuto a saperlo mi aveva Cruciata per dieci minuti
interi in più rispetto al solito.
In
fondo le condizioni in cui vivevo non erano nemmeno troppo pessime...
Anche
se in realtà erano giorni che non mi sembrava più di vivere.
Continuavo
a rivivere nella mia mente le ultime settimane e a chiedermi come avevo fatto
ad essere così cieca da fidarmi di...
Non
riuscivo nemmeno a pensare il suo nome, tanto ero arrabbiata, anzi furiosa con
lui.
Se
me lo fossi trovata tra le mani gli avrei tirato un bel pugno, proprio come il
terzo anno e...
Strinsi
forte le dita intorno al mio misero tozzo di pane e per la centesima volta
ignorai il mio cuore sanguinante e ricacciai indietro le lacrime.
Poggiai
la mia tazza di tè vicino al lavello dove pulivo gli indumenti, mi rimboccai le
maniche ed afferrai alcuni panni, gettandoli nella tinozza d’acqua di fronte a
me.
Avevo
imparato a tenere lo sguardo basso per non attirare troppo l’attenzione, anche
se con la coda dell’occhio cercavo di notare più cose possibili.
Non
sapevo molto da quando la guerra era finita, ricordavo il risveglio, il dolore
delle torture inferitemi, ma per il resto sapevo solo di essere ancora
all’interno di Hogwarts che, da quello che avevo intuito dalle chiacchiere dei
Mangiamorte o dalle parole deliranti di Bellatrix Lestrange era diventata la
sede di Lord Voldemort e che ospitava al suo interno pochi giovani maghi che
erano pronti ad entrare a far parte dei suoi ranghi.
Insomma,
la scuola che era stata per me come una seconda casa per anni era diventata
l’equivalente di una accademia militare per i sostenitori di Voldemort ed una
prigione per tutti coloro che erano sopravvissuti a quella che era stata nominata
Guerra di Hogwarts.
Da
quello che avevo sentito alcuni professori erano stati rinchiusi come noi
studenti, mentre altri erano riusciti a fuggire, ma di loro non si sapeva
nulla.
Allo
stesso modo nessuno sapeva dove Harry Potter ed il suo amico Ronald Weasley
fossero finiti.
Infilai
la mano in tasca e strinsi per pochi istanti le dita intorno al mio galeone incantato,
cercando di trattenere la piccola smorfia-sorriso che mi stava nascendo sulle
labbra screpolate.
Breedy
lasciò cadere al mio fianco una grossa quantità di vestiti sporchi e io non
potei fare a meno di digrignare i denti, lanciando una veloce occhiata ad un
Mangiamorte che, incappucciato, se ne stava al centro della sala a dettare
ordini a destra e a manca, senza preoccuparsi di star dicendo una quantità
esorbitante di cose senza senso.
Provai
l’istinto di lanciarmi verso di lui e di affogarlo nel primo lavello vuoto, ma
venni distratta dalla mano ossuta dell’elfo domestico accanto a me: «Non ne vale la pena, signorina» disse
Breedy con la sua voce rauca, aiutandomi a districare tra loro gli indumenti.
Una cosa che avevo notato da quando ero
diventata una prigioniera era che perdevo molto più facilmente la pazienza e mi
ritrovavo sempre in uno stato d’allerta, come se da un momento all’altro avessi
dovuto tirare fuori la bacchetta e combattere…
Rischiai di rompere una camicia
scrollandola mentre ricordavo a me stessa che io, una bacchetta, non ce l’avevo
più.
Trattenni le lacrime e lasciai che la
camicia cadesse nella tinozza d’acqua, mentre prendevo dei profondi respiri e
provavo a ritrovare il controllo necessario sul mio corpo.
Tornai ai miei incarichi e ricevetti un
triste sorriso d’incoraggiamento da parte dell’elfo domestico accanto a me.
Breedy era un ottimo amico, soprattutto
quando si preoccupava di coprire i miei sbagli che, strano a dirsi per una
persona precisa come me, erano molti.
Il fatto di non aver mai dovuto lavare
nulla in vita mia all’inizio era un enorme ostacolo per me da superare, dato
che non avevo idea di come e cosa dovessi fare.
Breedy era stato un ottimo maestro e
molte volte se avevo sbagliato qualcosa aveva detto di esser stato lui. Gli ero
riconoscente per questo, oltre che debitrice.
Lanciai una veloce occhiata a Luna, che
come sempre si trovava poco distante da dove ero io e stava canticchiando
mentre divideva gli indumenti secondo il colore e il tipo di tessuto.
Mi chiedevo ogni giorno da dove
nascesse tutta la sua allegria o per lo meno quell’aria serena che sfoggiava.
Avrei tanto voluto essere come lei, per poter vedere il lato positivo di ogni
cosa, ma non ne ero capace.
Nacque sul mio viso la mia solita
smorfia-sorriso, mentre distoglievo lo sguardo e mi accontentavo di sentirla
vicina, anche se avrei tanto voluto correre da lei come la prima volta ed
abbracciarla, chiedendole una delle sue solite perle di saggezza che le
settimane prima mi avevano spesso aiutato.
Ebbi un leggero giramento di testa e mi
aggrappai al lavello per non cadere.
Era la prima volta che mi capitava, ma
sapevo che era causato dalla mancanza di pasti decenti e da un probabile calo
di zuccheri o di pressione.
Quando ero piccola avevo avuto problemi
d’asma che mi erano passati dopo mesi e mesi passati in piscina ad imparare a
nuotare e mi chiesi se un’incorretta nutrizione potesse provocarmi nuovamente
tali disturbi, ma scacciai subito il pensiero, concentrandomi sul mio compito
ed ignorando l’espressione preoccupata di Breedy.
Dovevo essere forte, era quello che mi
ero ripetuta sempre, fin dalla prima volta che avevo dovuto prendere il treno
per Hogwarts, fin dal primo insulto…
E in quel periodo dovevo esserlo più
che mai.
Svolsi la mia routine come ogni giorno,
smistando i vestiti e pulendoli uno ad uno a mani nude.
Mi capitava sempre più spesso di
chiedermi perché i maghi non avessero inventato qualcosa che assomigliasse ad
una babbana lavatrice per pulire gli indumenti, sarebbe stato di sicuro più
veloce che far pulire tutto a dei poveri elfi domestici e, in quel caso, a dei
ragazzini.
Bevevo ogni tanto un po’ di tè o
mangiucchiavo distrattamente dei bocconi di pane, cercando di smorzare i
borbottii del mio stomaco affamato ed ignorando le occhiate di Breedy e la sua
evidente preoccupazione.
Il Mangiamorte al centro della sala
venne sostituito da uno meno rumoroso, che se ne stava lì, impalato come una
statua e ogni venti minuti faceva un giro per la stanza, incutendo un po’ di
terrore ad elfi e ragazzi, ma senza mai pronunciare nemmeno una parola.
Sembrava un’ombra, scura, silenziosa
e...
Sussultai, sentendo il galeone che
avevo in tasca scottarmi la pelle attraverso la stoffa.
Avrei voluto saltare dalla felicità, ma
mi limitai a stringere forte i denti per il dolore alla gamba ed a tornare al
mio lavoro.
Con Ron ed Harry non ci eravamo ancora
sentiti dopo la nostra separazione, anche perché io, non avendo più la
bacchetta, non potevo compiere l’incantesimo necessario per poter comunicare
con loro.
Erano ormai quattro sere che andavo a
dormire tardissimo a causa delle mie continue esercitazioni nel tentativo di
compiere gli incantesimi elementari anche senza la bacchetta.
Inutile dire che ogni mio tentativo era
miseramente fallito, tratte che per un lieve spostamento di un calzino sporco
trovato a terra, grazie all’incantesimo Wingardium Leviosa. Anche se sospettavo
che fosse stato lo spiffero d’aria che da una crepa del muro entrava nella mia
cella ad averlo causato, continuavo a ripetere a me stessa di esser stata io,
certa che un po’ di autostima in più non mi avesse fatto male.
Alzai lo sguardo per pochi secondi dal
mio lavoro e vidi Luna farmi un cenno di saluto con la mano, gesto che
ricambiai sorridendo.
Invece di tornare al lavoro mi persi ad
osservare attentamente la stanza dove mi trovavo, non che dal giorno precedente
fosse cambiata, ma speravo sempre che fosse comparsa durante la notte una nuova
via d’uscita.
Analizzai con occhio critico l’unico
ingresso che fungeva anche da uscita: un portone alto due metri scarsi di legno
scuro, sul quale vi erano intarsiati dei bassorilievi floreali. Sarebbe stata
una bella porta se non fosse stata quella della mia prigione.
Lanciai una veloce occhiata al soffitto
basso lungo il quale facevano bella mostra di sé reti e reti di crepe sottili,
mentre negli angoli alcune ragnatele ospitavano ragni dalle dimensioni piuttosto
preoccupanti.
Se ci fosse stato Ron sarebbe già
scappato a nascondersi da qualche parte per evitare che i ragni lo attaccassero
e sbranassero senza pietà, urlando come una femminuccia.
Quel pensiero riuscì a migliorare di
poco il mio umore, mentre sentivo il galeone raffreddarsi poco a poco nella mia
tasca.
Promisi a me stessa di esercitarmi
ancora ad usare la magia senza la bacchetta quella sera, anche se una causa del
mio indebolimento poteva essere anche il dormire solo poche ore la notte.
Era da due giorni prima che mi capitava
di avere sempre più forti mal di testa accompagnati da stanchezza e spossatezza,
ma non avevo intenzione di diminuire i miei allenamenti durante la notte per
poter avere qualche ora di sonno in più, certa che non sarebbe comunque
cambiato nulla.
Tornai al mio lavoro, facendo finta di
non notare la pelle screpolata ed arrossata dei dorsi delle mie mani o i piccoli
calli che cominciavano a fare bella mostra di loro sui miei palmi.
Non sapevo chi aveva avuto l’idea di
far lavorare noi prigionieri, ma avrei voluto andare a complimentarmi con lui o
lei perché non c’era nulla di peggiore di saper di star aiutando il nemico e di
non poter fare altrimenti se si voleva sopravvivere.
E certamente colui che aveva avuto
quest’idea doveva saperlo perfettamente.
Il Mangiamorte al centro della sala
continuava a rimanere lì, impalato come una statua e mi chiesi se lo
conoscessi.
Studiai la sua statura e corporatura,
notando come dovesse essere all’incirca poco più alto di me e, a causa del
mantello non potevo dirlo con sicurezza, mi sembrava che fosse forse troppo
magro per la sua costituzione.
Breedy, che era scomparso pochi istanti
prima, tornò con un’espressione mortificata che conoscevo fin troppo bene e
presi un profondo respiro per darmi coraggio, capendo cosa stesse per succedere
ancora prima che lui me lo dicesse.
«Il signor Mangiamorte ha l’ordine di
portarla dalla Signora», disse l’elfo domestico, indicandomi un altro individuo
incappucciato, che fino a quel momento non avevo notato, vicino all’unico
portone della stanza.
Annuii fingendo indifferenza, ma dentro
di me ribollivo di rabbia e sentivo ogni organo interno contorcersi per la
paura.
Sapevo cosa aspettarmi, ogni volta era
più o meno simile alla precedente: domande su domande che mi venivano poste
dalla voce stridula della “Signora”, che altro non era che Bellatrix Lestrange,
il mio mutismo che la faceva andare su tutte le furie, minacce di morte,
torture, dolore... tanto dolore, ma poi finiva e io mi ritrovavo scaraventata
nella mia cella a leccarmi le ferite come un animale.
Sì, all’incirca era sempre la stessa
routine.
Era come andare dal dentista, ed io lo
sapevo bene dato che entrambi i miei genitori lo erano: ti sedevi sul lettino,
soffrivi un po’ nel momento del controllo o dell’impianto dell’apparecchio o di
qualsiasi altra “diavoleria babbana” per avere una dentatura perfetta, ma poi
finiva e tu sapevi che non sarebbe durato molto il dolore, che presto sarebbe
passato.
Non che la sofferenza causata dai
ferretti dell’apparecchio che ti scavano le guance fosse minimamente
paragonabile a quella della maledizione Cruciatus, ma il concetto alla base era
simile.
«Certo», risposi, avvicinandomi al
Mangiamorte e facendomi afferrare con poca grazie per il braccio, mentre venivo
scortata fuori dalla lavanderia e finivo in cucina, dove alcuni sopravvissuti e
molti altri elfi domestici erano affaccendati a cucinare.
Invece di andare verso le celle però
venni portata nei sotterrai della scuola, vicino alla vecchia aula di Pozioni,
in una stanza piuttosto ampia al cui interno si trovava Bellatrix Lestrange.
E per l’ennesima volta mi pentii di non
averla uccisa durante la guerra, quando ancora ne avevo l’occasione.
«Buon pomeriggio, Mezzosangue. Spero
che tu sia più disposta a parlare oggi», disse con la sua solita vocetta
stridula ed infantile, mentre giocava con la bacchetta, attorcigliandosela tra i
lunghi ricci scuri.
Il Mangiamorte mi lasciò il braccio e
chiuse la porta a chiave dietro di noi.
Il mio cuore accelerò ulteriormente i
battiti, ma cercai di rimanere il più impassibile possibile e forse funzionò,
perché il ghigno irrisorio della strega scomparse dalla sua faccia, sostituito
da una smorfia impaziente.
«Vedo che siamo di poche parole come
sempre...», sibilò la donna, avvicinandosi a me e cominciando a girarmi in
torno con un avvoltoio con la sua preda: «Tu puoi andare», disse all’uomo che,
senza dire nulla, scomparve oltre la porta, chiudendola nuovamente a chiave.
«Legilimens!»
Ma per quanto Bellatrix Lestrange fosse
forte non sarebbe mai riuscita a leggere i miei pensieri.
Ero in fondo la strega più brillante
degli ultimi tempi e non le avrei permesso di sbirciare nei miei ricordi,
inoltre l’occlumazia era una materia che mi aveva sempre incuriosita ed avevo
svolto molte ricerche al riguardo, tanto da sapere come proteggere la mia mente
senza aver bisogno di un bacchetta.
Sapevo però che a Bellatrix Lestrange
questa mia capacità non faceva altro che mandare in bestia.
«Brutta sporca Mezzosangue!», la sentii
urlare: «Crucio!»
Non riuscii più ad ostentare forza e mi
accasciai a terra, provando a sostenermi con le braccia ma non resistetti a
lungo ed alla fine mi arresi, cominciando a contorcermi ed ad urlare, sperando
che smettesse sempre.
Ogni volta pensavo che sarebbe stato
doloroso come la prima ora di tortura, ma mi dovevo sempre ricredere, la
sofferenza sembrava aumentare di volta in volta, tanto che temevo di essere ad
un passo dalla pazzia.
Centinaia di pugnali affilati e
bollenti mi si conficcavano nella carne, lasciando dietro di loro pelle
carbonizzata ed una sofferenza atroce che sembrava affettare più la mia anima
che il mio corpo.
Ed urlare non serviva a nulla, come non
serviva a nulla contorcersi, ma tutto quel dolore doveva trovare uno sfogo e
quello era l’unico modo possibile, dato che mi sembrava di essere immobilizzata
a terra da tutti quei pugnali che, trapassato il mio corpo parevano conficcarsi
profondamente nel pavimento, impedendomi una maggior scioltezza di movimenti.
Quando la maledizione finì mi toccai
involontariamente il corpo, come a volermi accertare di essere ancora tutta
intera e con nessun dei profondi solchi di pugnale che avevo sentito sulla
pelle e carne, anche se sapevo che le ferite fisiche erano sempre minime quando
si trattava di Bellatrix Lestrange.
«Allora?
Ti è venuta voglia di aiutarci? In fondo non chiedo molto, voglio solo sapere dove
è finito il tuo caro amichetto, Potter»
Rabbrividii nel sentire la sua voce e
gli innumerevoli picchi acuti del suo tono che da pacato poteva diventare un
urlo isterico in meno di un secondo.
«Parla, sudicia Mezzosangue, parla! Parla!
Crucio!»
I pochi respiri profondi che ero
riuscita a fare durante la breve pausa tra una tortura e l’altra erano stati
insufficienti e, oltre ai numerosi pugnali conficcati nel corpo, cominciarono a
farmi male addome e polmoni a causa della mancanza d’aria e delle urla che non
sarei riuscita a trattenere neanche se avessi voluto.
Questa volta la maledizione durò molto
meno, ma mi lasciò quasi più spossata rispetto a prima.
Mentre provavo a riprendere fiato
Bellatrix mi si avvicinò e mi tirò un doloroso calcio all’altezza dell’addome
che mi privò nuovamente di aria nei polmoni.
«Oggi sono di fretta, ma domani vedrò
di dedicarti più attenzioni, Mezzosangue»
Con quelle parole concluse la nostra
piccola sessione di tortura, facendomi trascinare di peso da un Mangiamorte
fino alla mia cella, al cui interno venni scaraventata con ben poca grazia.
Mentre la porta veniva chiusa a chiave
mi raggomitolai sugli stracci che fungevano per me da materasso, stringendo le
gambe al petto e permettendo finalmente a me stessa di piangere tutte le
lacrime che avrei voluto versare durante la tortura.
E mentre i singhiozzi mi scuotevano interamente mi chiesi se stessi piangendo per la mia situazione di prigionia o a causa del mio cuore spezzato che continuava ad illudermi che prima o poi Malfoy sarebbe arrivato a salvarmi.
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Ciao a tutti! :)
Come potete notare sono tornata con il
sequel tanto promesso di “Mai scommettere col nemico” (chi non l’avesse letto
gli consiglio di andare a farlo se no rischia di non capire molto di quello che
ha letto per il momento xD)!
Siete contente? ;3
Parlando del capitolo so già cosa mi
direte perché lo penso anche io: “Povera Hermione! Dove è finito Malfoy?”, ma perché
il nostro caro biondino torni ci vorrà ancora un po’, se no sarebbe tutto troppo
facile! xD
Ne approfitto per ringraziate tutte le
persone che hanno recensito la prima parte di questa ff, chi l’ha inserita tra
le seguite, chi tra le preferite e chi trale ricordate; vi adoro ragazze, siete
state delle sostenitrici fantastiche e spero che anche questa seconda parte vi
piaccia! ;)
Bene, ora dovrei dirvi quando posterò
il prossimo capitolo, giusto? Beh, ammetto di non saperlo ancora anche perché non
l’ho ancora scritto e domani non potrò farlo (dato che mio zio si sposa *-*),
quindi secondo i miei calcoli dovrei farcela entro il 30, 31... ma non vi
prometto nulla, se no rischio di deludervi di nuovo e non ci tengo per nulla...
Ok, direi che vi ho disturbato
abbastanza.
Un bacio a tutti e faccio che
augurarvi Buon 2014 (caso mai non riuscissi a scrivere il capitolo entro il 31,
anche se cercherò di fare il possibile) :-*
LazySoul
p.s. Mi piacerebbe sapere che ne
pensate di questo capitolo e se vi sembra abbastanza realistico, quindi
RECENSITE! xD