Un solo colpo.
Spazzò via, rabbioso e violento e divertito, una civiltà. Una storia. [Una stella].
Dolce polifonia ascoltava più volte nella propria [vuota] vita.
Una crudele e atavica soddisfazione che si permetteva sempre.
Il braccio teso [nel buio], i nervi percossi dall’energia [senza senso].
E luce, bianca e folgorante, oscurava ogni cosa. [Anche la coscienza].
Poi, il raggio. Di una lentezza esasperante, lampo morto nell’oscurità danzante.
Concentrato in due dita, si specchiava sinistro e tetro e lugubre, nei suoi occhi celati dal buio.
Due profonde pozze d’inchiostro, accese dall’orgoglio caratteristico della loro stirpe.
Il principe Vegeta scagliò l’energia contro il pianeta. [Sconosciuto].
Il boato, il fragore furono aspri requiem suonati nel buio.
La luce accecante, il fuoco e le fiamme, fuochi d’artificio che squarciarono violentemente il nero velo delle tenebre.
Perché,
pensò
Vegeta, in un modo o nell’altro
bisognava
sentirsi vivi, anche da morti.
In
un modo o
nell’altro, bisognava
portare, fosse anche per un solo
istante, luce nella propria anima,
distesa infinita
di sogni infranti nel buio.
Ma la struggente sinfonia di miriadi di speranze spezzate non la sentì nessuno.
Forse perché nessuno sapeva ascoltare, qualcosa che non fosse la propria musica.
[Tutto
il resto, era
solo rumore].