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Autore: ___Kenji__    29/12/2013    1 recensioni
Il tempo passa così in fretta riuscendo a cancellare molto di quello che la nostra memoria non vuole dimenticare.
Si scandisce in secondi, minuti, ore passa da mese a mese, da stagione a stagione e con l'aiuto della pioggia d'autunno riesce a purificare. Il tempo è denaro, il tempo cura le ferite... Lui avrebbe pagato per rendere reali questi proverbi che gli rimbombavano in testa da più di 7 anni, che ogni volta in cui si sentiva male si ripeteva.
Ma ogni volta a cui ci pensava tornava la voce saggia del padre che glieli diceva e questo nemmeno i secoli avrebbero potuto farglielo dimenticare.
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Billie J. Armstrong
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la mia prima ff! La definerei un esperimento, che viaggiava nella mia mente già da un po' di tempo, in cui ho scelto tre canzoni dei Green Day (in modo casuale: Wake me up when september ends, Boulevard of broken dreams e Minority).

Le ho ascoltate mentre scrivevo, ho letto i testi e ho cercato di creare una sorta di trama collegandole, spero lo apprezziate!
Vi lascio subito alla storia e non mi dilungo troppo, un bacione e buona lettura!!
(un commentino sarebbe gradito >.< e scusate gli errori di ortografia/ sintassi/ grammatica/ everything )

xoxo C.


*La persistenza della memoria*


Il tempo passa così in fretta riuscendo a cancellare molto di quello che la nostra memoria non vuole dimenticare.
Si scandisce in secondi, minuti, ore passa da mese a mese, da stagione a stagione e con l'aiuto della pioggia d'autunno riesce a purificare. Il tempo è denaro, il tempo cura le ferite... Lui avrebbe pagato per rendere reali questi proverbi che gli rimbombavano in testa da più di 7 anni, che ogni volta in cui si sentiva male si ripeteva.
Ma ogni volta a cui ci pensava tornava la voce saggia del padre che glieli diceva e questo nemmeno i secoli avrebbero potuto farglielo dimenticare.
Era il tono di voce, il volto sereno, del padre, la postura corretta e i suoi occhi che lo leggevano squadrandolo con un sorrisino nascosto nelle iridi, quello che ormai era incastrato in uno spazio non definito nella sua memoria. Billie riusciva a dimenticarsi di tutto, a volte era davvero sbadato, ma quello beh quello magari lui se lo sarebbe dimenticato, ma la sua memoria no.
Di conseguenza neanche lui poteva, pur a volte volendolo, dimenticarsi di ciò che la sua memoria aveva perso. Era una ferita troppo grande, un pezzo troppo grande da esportare senza conseguenze.

La pioggia, la sua amica pioggia continuava a sbattere violentemente su quel vetro. Sbatteva forte provocando rumori facendolo entrare quasi in trans. Arrivava forte e decisa sul vetro quasi a volerlo sfidare a duello, le nuvole contornavano il tutto nascondendo qualsiasi raggio di luce, sole, nascondevano tutto creando una sorta di barriera impenetrabile dall'esterno. Beh, anche lui era così.
Da sette anni, da quel giorno in cui si era chiuso in camera sua isolandosi e dimenticandosi di quello che lo circondava era cambiato.
Aveva iniziato a sbagliare, su praticamente tutto, e quella barriera che inizialmente era semplicemente un velo di tristezza che lo ricopriva dalla testa ai piedi come un bambino vestito da fantasma ad Halloween era diventata delle vere e proprie mura di cinta che lo cirondavano; facevano rimbalzare via le persone che gli si avvicinavano e per la loro pesantezza distruggevano tutto quello che lo circondavano per far passare lui, solo lui.

Non voleva realmente allontanarsi così tanto da quello che c'era al di fuori ma nessuno gli aveva segnato un lieto fine, nessuno aveva cercato di distruggere quelle mura.

E quindi rimaneva lui, nelle sue mura che lo liberavano solo quando era nella sua stanza ma era lì la parte peggiore, soprattutto in quel momento. La pioggia continuava a battere freneticamente, sembrava un rullo di tamburi infinito che coduceva alla fine che paradossalmente era piena di gente in maschera che lo aspettavano per conferirgli una medaglia come se fosse stato un eroe ma che in realtà teneva solo il conto del tempo in cui era riuscito a vivere.

Si era alzato piano dal letto, aveva aperto la finestra e si era fatto invadere dall'aria fredda e accoglieva la pioggia in pieno viso, la pioggia che lo ricopriva di dolore. Si immaginava in quel momento disteso a terra per la strada, agonizzante e con tutto il dolore che veniva aumentato dalla pioggia che tanto amica non sembrava più, che cadeva come proiettili destinati unicamente a lui.
Ma era solo semplice pioggia, che in realtà non faceva altro che permettere alle piante di bere. Nessuno oltre lui, però, sapeva quanto quella pioggia poteva far male.

La pioggia di settembre che inmancabilmente andava a fargli visita ogni anno.
Sperava sempre di poter evitare quel mese da quando quel fatto tempo prima successe.
Da quando si chiuse la porta della cameretta con un grande tonfo alle spalle, da quando i mattoni che costituivano la sua barriera si erano uniti intorno a lui per esserne attratti come calamiti.

Da quando in un sospiro l'unica cosa sensata da dire gli sembrò ''Svegliami quando settembre finisce''.

***

Camminava da ore senza realmente sapere dove quella strada portasse, pur conoscendola bene. Si sentiva a casa.

Camminava per una strada vuota che segnava il tragitto del viale dei sogni infranti, dove ogni lacrima costituiva una crepa nell'asfalto che da nero era diventato grigio topo. Usato, scavalcato, calpestato da persone che camminavano a testa bassa senza realmente guardare ai loro piedi ma chiudendosi anche loro nei proprio mondi. Peccato, però, che quella strada non fosse più tanto utilizzata proprio per le troppe crepe che costituivano l'asfalto che aveva anche alcune dune a caraterizzarlo.
Era tutto silenzioso, tutto dormiva attorno a lui e l'unico che si vedeva su tutta la strada era appunto lui, camminava da solo o quasi, l'unica cosa che l'accompagnava e che non l'avrebbe lasciato per nessuna ragione al mondo era la sua ombra che lo seguiva silenziosamente.
Tutto ciò che si sentiva era il suo cuore debole che pulsava e pompava sangue rosso, come quello che spesso colava dalle sue mani. Quelle mani che ora erano chiuse in due pugni che tagliavano l'aria all'estremità delle braccia aperte.
Camminava come un bambino sull'orlo della strada tenendo gli arti spalancati e guardando dritto davanti a lui, sembrava un giocoliere elevato ad una altezza di 30 metri da terra che da solo doveva camminare su un filo sottile, trasparente.
Il filo che lo divideva dalla sua vita alla sua morte. Che divideva la sua mente dalla parte razionale e quella irrazionale.
Quella sottile linea che lo attraversava tutto dividendosi in tante altre piccole linee come le vene che costituiscono un corpo.

Leggeva tra quelle linee, che dal suo corpo si staccavano per raggiungere l'asfalto e cercare di tappare le crepe, tutti i sogni infranti, tutte le delusioni e tutte le cose che aveva lasciato disintegrare col passare degli anni.

Camminava da solo nel buio dove nemmeno i gatti avevano il coraggio di passare, dove i rumori erano ovattati ed era tutto spento era tutto decomposto e morto, o forse era solo la sua visione che lo portava a pensare a quelle cose.
Forse, meglio ancora, era quella stupida barriera che per la sua poca altezza non gli permetteva di vedere oltre. Nemmeno in punta di piedi o se provava a sporgersi.

Non riusciva proprio a guardare oltre, era impossibile tutto era scuro i suoni ovattati per colpa di quello che la barriera gli aveva tolto per anni, dei suoni puri di cui lo aveva privato facendogli credere di essere al sicuro.
Gli aveva affidato una finta autorità da seguire, gli aveva affidato una finta speranza che serviva solo a farlo illudere e portalo sempre di più a sprofondare nella sua stessa disperazione che l'aveva portato sotto terra, dove si sentiva freddo e solo.

In effetti lo era.

Ma quella barriera era così difficie da rompere! Quelle mura troppo pesanti per essere spostate da uno come lui ma ormai aveva allontanato tutti, anche i suoi amici, i suoi fratelli, i suoi genitori e qualsiasi persona che consocesse il cognome ''Armstrong''.
Camminava su quella linea che pareva infinita, camminavano lui e la sua ombra che era l'unica che non era ancora arrivata ad abbandonarlo. Perché era l'unica che realmente non poteva farlo.

***

Aveva creato una sorta di alleanza con il ''mondo sotteraneo'' in cui si trovava. Per questo non era nient'altro che un viso tra la folla, sempre da solo là fuori tra luoghi sereni e pericolosi.
Ma si stava abituando a tutto quello, lo stava capendo... Di non essere l'unico e di non costituire la maggioranza ma non era questo ciò di cui si preoccupava andava bene così, andava bene essere un pezzo della minoranza.

Gli andava bene oltrepassare il limite senza calcolare le conseguenze come una pecora fuori dal gregge, che scappava da esso, che non aveva ambizione e che si lasciava facilmente comandare.

Camminava come voleva lui, con il passo che voleva lui e la pioggia non gli faceva neanche più male perché ormai si era fusa con il suo dolore e non faceva altro che fargli compagnia, se fosse tornato a qualche ora prima avrebbe solo apprezzato quel rumore insistente e regolare sul vetro e l'avrebbe visto come una sfida, già persa in partenza.
Un mattone di quelle mura si era sgretolato in un angolo e gli aveva permesso di poter vedere quella minoranza come lui e una luce che lo aveva accecato e fatto rimanere senza parole.

La luce provocata da milioni di cuori spezzati, una luce per piangere disfandosi di ogni preoccupazione o macigno sullo stomaco, una luce che sapeva di libertà per tutti seguendo ognuno con il proprio ritmo e la propria andatura.
Una luce che era una mente una memoria che risplendeva sulle altre per poter costituire una minoranza, quella di cui aveva appena capito l'esistenza e di farne parte, ma andava bene voleva essere la minoranza e non aveva bisogno dell'autorità di nessuno.
Non aveva bisogno di regole dettate per creare fotocopie, per vestire folle di manichini con colori spenti, bugie e ignoranza per poter far comandare qualcuno in alto, dentro una società piramidale, che a sua volta faceva parte di una genarazione che dalla prima,dai generatori della vita, si era sempre di più spogliata dei colori per permettere ai grigi di coprire tutto.

Grigi, non facevano parte nè dei neri nè dei bianchi.

Facevano parte solo di una schiera di indecisi che seguivano la corrente come rifiuti gettati in un lago, come pecore in un gregge, come impiegati in uffici che dipendevano da un numero uno che valeva molto meno dell'ultimo che stava in ginocchio.

Se per sentirsi finalmente libero, abbattere quella barriera insopportabile e tornare ad apprezzare la pioggia il ''prezzo da pagare'' era quello di far parte di una piccola minoranza avrebbe accettato a braccia spalancate, proprio nel modo in cui stava camminando da ore, proprio come aveva sempre fatto inconsapevolmente.

Finalmente aveva capito che il tempo non medicava nulla, che non faceva dimenticare nulla ma era perfetto così perché ogni ricordo, ogni ferita non faceva altro che mantenerlo in vita.
Cancellare tutti i ricordi voleva dire ripartire da zero ma perché avrebbe dovuto accettare tutto quello se bastava semplicemente alzare la testa per accoggersi di tutta la meraviglia e luce che lo circondavano?

Aveva deciso ormai, sarebbe andato avanti custodendo ogni singolo ricordo e portandosi il padre sempre dietro... Anche ora, che sono passati più di vent'anni.
  
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