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Autore: Love_My_Spotless_Mind    29/12/2013    1 recensioni
Una storia d'amore sospesa tra passato e presente, tra morte e vita, tra gioia e sofferenza.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hongbin, Hyuk
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L’amore nacque senza preavviso. Semplicemente quando ce e accorgemmo era già lì e ci univa. Non abbiamo avuto modo di proteggerci, lo sai, è accaduto senza che sapessimo potesse accadere. Io non conoscevo l’amore, ero troppo giovane per sapere di lui, ma divenne parte della mia vita, anche se non lo comprendevo. Tu eri l’amore, Hyuk, tu eri ciò che ho aspettato per tutta la vita e sei arrivato come un vento caldo, come un regalo inaspettato.
Quando ti ho visto sorridere, per la prima volta, ho capito che avrei voluto restare per sempre al tuo fianco. È stato qualcosa di speciale che non mi ha mai abbandonato e a cui ho continuato a pensare, desiderando di innamorarmi di te ogni giorno, come la prima volta.
Forse il nostro amore era impossibile fin dall’inizio, avremmo dovuto comprenderlo e fermarci, finché eravamo in tempo, ma non è accaduto. Probabilmente non siamo mai stati in tempo. Noi amavamo, amavamo senza desiderare che finisse e senza pretendere troppo per il futuro.
Ho scritto questa lettera per permettermi di ricordare quando non ci sarei più riuscito. Ultimamente i miei ricordi sono sempre più deboli e sbiaditi, ho sempre il terrore di perderli e di non riuscire più a recuperarli. Sarebbe imperdonabile. Sono l’unico che può custodire la nostra memoria e voglio farlo con tutte le mie forze, per quanto mi sia possibile.
 Da quando non ci sei più, per la prima volta, ho paura. So che il mio dolore è troppo grande e finirà con il risucchiarmi e condurmi chissà dove. Nessuno crederebbe a quel che dico ma so che sta per accadere. Un luogo che non conosco mi sta richiamando a sé esattamente come la morte ha richiamato te.
Non so di che luogo si tratti, se sia la morte o qualcos’altro di ignoto. L’unico modo per scoprirlo è abbandonarmi, devo lasciarmi cadere nel baratro del mio “Io”, fidandomi ciecamente. Non ho più nessuno da aspettare né nulla da perdere, posso semplicemente lasciarmi  condurre dal mistero e sparire, senza che nessuno mi rimpianga.
Spero che tu possa sorvegliarmi anche nel luogo dove mi troverò e che tu possa continuare ad amarmi, come io farò.
Hyuk, vorrei abbracciarti ancora e dirti tutto questo con la mia voce. Vorrei che tu mi ascoltassi ad occhi chiusi e mi dicessi che non devo temere, perché tu ci sarai. Ma so che se potessi abbracciarti anche soltanto un’altra volta, non sarei più capace di lasciarti andare. Non sono così forte, lo sai. Se avessi potuto ti avrei tenuto stretto a me per il resto della vita ed anche oltre, senza preoccuparmi del resto. Avrei voluto che il tempo passasse ma che noi non potessimo cambiare. Invece tu sei diventato pioggia ed io sono restato un fiume.
Ti amo.
 
Il sole venne improvvisamente coperto ed il limpido cielo mattutino si oscurò completamente. HongBin smise di leggere il vecchio manoscritto che teneva tra le mani e si avvicinò alla finestra. Tirò con forza la grossa maniglia d’oro, sentì un rumore sordo provenire dalle assi di legno che sorreggevano la vetrata e continuò ad esercitare altra forza. In fine, a seguito di un immane sforzo, la vetrata si aprì ed a HongBin fu possibile scorgere il cielo.
Ciò che vide era a dir poco sorprendete, stava avvenendo un’eclissi. Era un fenomeno di cui aveva semplicemente letto in alcuni libri, ma ora se lo trovava davanti, in tutta la sua magnificenza. Trattenne il respiro, ascoltando il soffio del vento che batteva contro le vetrate del piano superiore. Il vento era diventato talmente forte che il suo soffio era simile a delle urla. Urla strozzate e pesanti, che si espandevano lungo la vallata.
Si sporse sul davanzale di pietra ed ammirò il fianco del castello, illuminato da qualche sottile raggio di sole che sfuggiva faticosamente alla copertura della luna. Il cespuglio di rose cresceva rigoglioso lungo il fianco ovest dell’edificio e, guardandole da quella penombra, sembravano dipinte da un blu intensissimo. I fianchi della collina all’orizzonte sembravano più tondi ed il lago era come una macchia d’inchiostro.
La scena aveva in sé un messaggio romantico e misterioso a cui HongBin non poteva resistere. Il fascino di quell’avvenimento lo aveva immobilizzato e non riusciva più a riprendere la lettura che aveva interrotto. A dirla tutta, non ricordava nemmeno più di cosa parlasse il manoscritto che stava leggendo. Questo voleva significare che la sua lettura non era poi così attenta.
 Il sole e la luna apparivano come due amanti a cui era stato proibito il lieto fine. Chissà quale legge dell’universo e della vita aveva obbligato loro a questo supplizio eterno, ad HongBin sembrava una punizione troppo dolorosa, che nessuno avrebbe mai dovuto soffrire.
 I due non potevano far altro che immaginarsi, far parte l’uno del contrario dell’altro ed essere felici così, almeno in apparenza. Probabilmente avevano così tanta voglia di incontrarsi da non riuscire a resistere per sempre. Quegli avvicinamenti furtivi accadevano raramente, ma erano speciali. Ad HongBin sembrava di sentire le loro grida disperate, i sospiri, le promesse pronunciate tra le lacrime.
La luna stava mostrando al sole il suo volto nascosto e gli stava tendendo le mani. La luce tremolava d’emozione, non riuscendo a reggere quelle forti emozioni. Era come se il sole le stesse stringendo un po’, per darsi forza , per essere in grado di lasciarla andare. Se le avesse chiesto di restare al suo fianco, il loro amore avrebbe distrutto qualsiasi altro esistente sulla terra. Era un triste destino, al quale era impossibile sottrarsi.
HongBin continuò ad osservare la scena, con gli occhi colmi di lacrime. Sembrava star dicendo: “Fate pure, io conosco il vostro segreto.”
Lentamente la luna iniziò ad allontanarsi, il sole sembrò essere sul punto di cadere nelle acque del lago, accecato dalla disperazione. HongBin tese l’orecchio, cercando di sentire le frasi che i due si stavano scambiando. Gli sembrava di poterle udire con estrema chiarezza.
-Non andare! – sembravano dire.
-Devo, lo sai –
-Ti prego, resta. Voglio scaldarti per sempre con la mia luce. –
-Gli uomini hanno bisogno di questo, non io. –
-Ma io ho bisogno di te –
La luna si era quasi completamente allontanata ed il cielo era tornato azzurro. HongBin avrebbe voluto che i due potessero stingersi ancora un po’, ma gli era impossibile. Lui era soltanto un essere piccolissimo, sotto l’immensità del cielo e dell’amore.
Appena la luna scomparve completamente dal cielo, HongBin si sentì svuotato della sua energia. Si lasciò cadere a terra, stringendo ancora tra le dita i fogli ingialliti di cui non ricordava più il messaggio. Avrebbe impiegato parecchio tempo prima di riprendersi completamente da quel che aveva visto. Sentiva il bisogno di chiedere a qualcuno se non era stato il solo a vedere quanto accaduto, ma lui era solo nella fortezza.
Arrivò l’invernò, la superficie del lago si ghiacciò e l’erba venne completamente nascosta dalla neve. HongBin in quei giorni era particolarmente impegnato. Ogni mattina, appena sveglio, usciva nel bosco e tagliava della legna che lasciava essiccare nello scantinato. Poi accendeva il fuoco nel caminetto all’ingresso ed iniziava a preparare il pranzo.
Era molto tempo che si trovava in quel luogo ed era tanto che non si chiedeva se la sua esistenza possedesse un senso. Ormai i suoi gesti erano meccanici e ripetitivi, non aveva più bisogno di farsi domande. Il senso del mondo, del susseguirsi dei giorni e delle stagioni sembrava sfuggirgli ogni giorno di più.
Non sapeva, o forse non si domandava, per quale motivo fosse il solo ad abitare una fortezza enorme, costruita su un’altura dalla quale era possibile sorvegliare tutto il territorio. La solitudine non lo demoralizzava troppo e trovava sempre qualche passatempo con cui occupare le giornate. Aveva letto tutti i libri della biblioteca, contato tutte le scale, rammendato tutte le tovaglie, le tende e le coperte che aveva trovato. Non poteva dire che quella esistenza lo appagasse, ma non aveva alternative. Non gli importava da quanto si trovasse in quel luogo e fra quanto se ne sarebbe andato. Non sapeva quale era il suo compito ma non se ne preoccupava. Un giorno tutto avrebbe improvvisamente conquistato del senso e se non l’avrebbe fatto, voleva dire che non lo possedeva.
HongBin stava camminando lungo il perimetro della fortezza poiché non aveva alcuna voglia di fare altro. Vide giungere all’orizzonte una piccola ombra tremolante, dai contorni sbiaditi. L’avvenimento suscitò in lui un leggero senso di curiosità. Attese che l’ombra si facesse più vicina e riconobbe il profilo d’un essere umano. Non riuscì a trattenere un sorriso.
La persona che si stava avvicinando procedeva con estrema lentezza, come se fosse trascinata dal vento. Appena giunse di fronte al cancello d’oro massiccio, si bloccò ed attese che qualcuno gli permettesse di entrare. HongBin si avvicinò, strinse una sbarra del cancello e la tirò verso di sé. Il cancello si aprì senza troppo sforzo, facendo seguitare un cigolio.
HongBin lasciò entrare lo sconosciuto senza nemmeno osservarlo, richiuse il cancello e gli fece cenno di seguirlo. Camminarono lungo il vialetto che HongBin aveva appena liberato dalla neve ed entrarono nell’atrio.
Solo a quel punto, dopo che la persona fu entrata e lui ebbe richiuso il portone, lo guardò. Era un ragazzo giovane, con i capelli d’un biondo quasi irreale. HongBin comprese che quel ragazzo doveva essere lo scopo per cui lui era lì.
Il ragazzo guardò il riverbero del fuoco con estrema sorpresa, sembrava essere trascorso molto da quando aveva sentito del calore.
Restarono entrambi in rigoroso silenzio ad ascoltare lo scoppiettio della legna del fuoco e le grida del vento. Si udirono dei tonfi, era il vento che colpiva le vetrate delle finestre. Il ragazzo ero intimorito, non osava pronunciare parola, né si muoveva dalla sua posizione.
Appena ebbe ripreso un po’ di colorito, HongBin si alzò a preparare del thè. In un barattolo erano restati dei fiori di ibisco. Prese i fiori rossi essiccati e lasciò che il loro forte aroma si diffondesse nell’acqua calda. Il profumo invase tutta la stanza ed HongBin ne era soddisfatto.
Portò l’infuso al ragazzo che si era seduto di fronte al caminetto. HongBin adagiò il vassoio sul pavimento ed invitò il ragazzo a bere.
Il ragazzo strinse l’impugnatura della teiera e versò il thè rosso nella tazzina. Ne bevve un sorso e lo lasciò scorrere lungo la gola. Il sapore era così forte da stordirgli le papille gustative.
-La ringrazio – disse. Quelle furono le sue prime parole.
Quando ebbe finito di bere, HongBin riportò il vassoio, la teiera e la tazzina in cucina, sciacquò tutto e lo ripose esattamente dove li aveva presi. Quando tornò nell’atrio, l’ospite si era addormentato sdraiandosi per terra.
HongBin iniziò a temere che fosse svenuto, si avvicinò al suo viso e lo sentì respirare. La frequenza del respiro era normale, non c’era nulla da temere. Prese in una stanza del piano superiore una coperta e la adagiò sul corpo esile dell’ospite. Restò ad osservarlo per qualche minuto, accertandosi che stesse bene.
Prima che il ragazzo si svegliasse uscì per tagliare altra legna e preparò una cena più abbondante del solito. Era felice di non essere più solo in quell’enorme castello. Se il forestiero fosse arrivato prima il suo carattere ne avrebbe giovato, forse era troppo tardi per migliorarlo.
Il ragazzo distese le braccia e fece sbarrò gli occhi. Si guardò attorno confuso, poi sembrò ricordarsi del viaggio che aveva intrapreso. Si stropicciò gli occhi e si avvicinò ad HongBin.
-La ringrazio per l’ospitalità – disse dopo aver fatto un inchino.
HongBin annuì.
I due cenarono seduti nel lungo tavolo della sala da pranzo. Ad HongBin intristiva mangiare in un tavolo che sarebbe bastato per una quarantina di persone, anche se ora erano in due la situazione non era migliore. Si era domandato parecchie volte come mai in quel luogo vi fossero ovunque tavoli enormi, armadi giganteschi, letti a due piazze. Chissà chi aveva abitato quel luogo prima di lui.
Il ragazzo mangiò con  gusto il pollo e la zuppa che HongBin aveva preparato. Divorò tutto con una foga disarmante, tanto che era impossibile credere che in un corpo così piccolo potesse entrare tanto cibo.
Ad HongBin non dispiaceva, lui non mangiava molto e sapere che qualcuno apprezzava la sua cucina era soddisfacente. Il ragazzo sollevò il viso dal piatto, ormai vuoto, e guardò perplesso il volto di HongBin.
-Hai ancora fame? – chiese.
Il ragazzo annuì, facendo sventolare i capelli biondi.
I due entrarono in cucina. Il nuovo arrivato si accomodò sul tavolo ed HongBin accese con un fiammifero il fornello. Il fuoco era debole e ci sarebbe voluto un bel po’ prima che quel che voleva cucinare fosse pronto. Prese un pentolino di ferro e ruppe due uova. Il ragazzo osservava tutto con ammirazione.
Appena l’uovo fu pronto il ragazzo lo mangiò in fretta, come se avesse ancora una fame infinita.
-Non mangi da parecchio, non è vero? – chiese HongBin cercando di moderare la sorpresa nella sua voce.
Il ragazzo annuì e si pulì gli angoli della bocca con il dorso delle mani.
Appena ebbe finito di mangiare tornarono a sedersi di fronte al fuco. Il viso del ragazzo, illuminato dalla luce rossastra, sembrava ancora più piccolo. HongBin si chiese come avesse fatto il suo fisico fragile a reggere alla scalata della collina. Di sicuro la traversata era molto difficile, con la neve doveva essere particolarmente ardua.
Avrebbe voluto porgli tante domande ma non ci riusciva. Passare tanto tempo senza mai parlare con nessuno aveva reso il suo carattere ancora più chiuso di quanto non lo fosse in precedenza.
Il ragazzo osservò a lungo il movimento del fuoco, il suo modo particolare di danzare tra la cenere. In quel normalissimo movimento sembrava star leggendo un messaggio nascosto che anche HongBin avrebbe voluto conoscere. I suoi occhi erano così seri, mentre seguiva l’ondeggiamento delle fiamme.
HongBin lo guardava, restando in silenzio. La persona che aveva di fronte sembrava particolarmente misteriosa, anche se era così giovane.
Avrebbe dovuto avere paura ad accogliere uno sconosciuto nel luogo dove abitava, ma era come se attendesse il suo arrivo dal primo momento in cui era arrivato. Quel ragazzo, forse, era un messaggio nascosto, la chiave segreta che poteva svelargli il suo passato.
Gli occhi del ragazzo erano scuri ed intensi, d’una profondità disarmante. HongBin voleva sapere chi fosse, da dove venisse, cosa ci fosse al di là del paesaggio che vedeva dalla fortezza. Non poteva porre tutte quelle domande a qualcuno appena arrivato. Chiuse gli occhi e respirò lentamente, doveva calmarsi un po’.
 -Se lei non mi avesse lasciato entrare non avrei saputo dove andare. – affermò il ragazzo, restando ad osservare il fuoco.
-Sapevi che c’era questa fortezza, dove avresti potuto trovare riparo? –
Il ragazzo si voltò verso HongBin e lo osservò a lungo. HongBin non era più abituato ad essere osservato da qualcuno con quella attenzione. Sentì qualcosa bollirgli dentro, i suoi muscoli si tesero per il turbamento. 
-Non lo so. – rispose semplicemente.
HongBin si avvicinò a lui.
-Hai perso la memoria anche tu, arrivando qui? –
Il giovane annuì ed i suoi occhi divennero lucidi.
HongBin sapeva come fosse quella sensazione. Un bel giorno aveva aperto gli occhi e si era trovato in quel luogo senza saperne la motivazione. Chissà, magari era lì da tantissimo tempo e la sua memoria era andata via all’improvviso, o magari qualcuno ce lo aveva portato. I primi tempi HongBin si sentiva un estraneo al suo corpo, non riconosceva quel mondo, non si sentiva di appartenergli. Anche guardando il paesaggio al di fuori della finestra, non riusciva a riconoscere nulla di famigliare.
-Il mio nome è Hyuk, ricordo solo questo. – cercò di spiegare il ragazzo.
-Io sono HongBin – disse il più grande.
Una lacrima sottile solcò il viso del ragazzino. HongBin provò ad indovinare i suoi pensieri, magari era sorpreso dal fatto che anche lui avesse perso la memoria. Lui e quello sconosciuto erano accomunati da un vuoto incolmabile che li rendeva particolarmente vulnerabili.
Da quando HongBin aveva perso la memoria si sentiva sempre come se fosse sul punto di rompersi, di cadere in mille pezzi. Probabilmente anche Hyuk si sentiva allo stesso modo.
Il giorno seguente HongBin si svegliò all’alba, sbrigò le solite faccende e preparò la colazione. Hyuk si svegliò sentendo l’odore del riso che friggeva insieme alle verdure. Mangiarono insieme seduti al grande tavolo della sala da pranzo. Il rumore delle bacchette d’acciaio che battevano contro il piatto riecheggiava nella stanza.
Dal cortile proveniva soltanto un leggero fruscio di foglie scosse dal vento. In estate si potevano sentire gli uccellini cantare, ma ora il vento soffiava troppo forte per permettergli di scegliere un bell’alberello su cui costruire il proprio nido.
Appena ebbero finito, dopo aver pulito, HongBin decise di voler mostrare al nuovo arrivato la biblioteca. Salirono insieme le ampie scale di marmo che portavano al piano superiore. Raggiunsero il quarto piano dove si susseguivano quasi una decina di camere da letto. HongBin camminò fino alla fine del lungo corridoio ed aprì  l’ultima porta, l’unica chiusa a chiave. Appena Hyuk vide che vi erano altre scale da salire sospirò disperato. Questa rampa saliva per quasi una ventina di metri, a chiocciola, facendosi sempre più stretta e ripida. 
HongBin proseguiva a passi lenti, tenendo una mano contro la parete e guardandosi più volte indietro per accertarsi che Hyuk lo stesse seguendo.
-Siamo arrivati! – proferì HongBin salendo l’ultimo scalino ed entrando nella biblioteca.
Hyuk restò sbigottito da quanto vedeva. Uno scaffale ricopriva interamente la vasta parete sul fondo ed era fitta di volumi, tutti rilegati allo stesso modo, con copertine di cuoio rosso. Allo stesso modo erano adornate le altre tre pareti. Il soffitto era particolarmente alto ed una vetrata filtrava la luce del sole, illuminando i due grossi tavoli in legno massiccio posizionati al centro della stanza.
Nessuno sapeva chi avesse creato tanta perfezione, né per quale ragione lo avesse fatto. Se la fortezza era stata abbandonata, allora perché era in così perfette condizioni? Nulla era andato distrutto, i mobili non avevano nemmeno una scheggia. Difficile dire se quel che vedevano fosse datato o meno, visto che non sapevano in che dimensione temporale stessero così faticosamente galleggiando.
-Ho letto tutti questi volumi. – spiegò HongBin attraversando la stanza a grandi passi. – Eppure di nessuno di essi ho un ricordo preciso. Appena smettevo di leggerli li avevo dimenticati e di loro non mi restava assolutamente nulla. –
Hyuk guardò sbigottito il gran numero di copertine che si susseguiva ovunque volgesse lo sguardo. Sentiva il respiro mancargli solamente pensando a quante parole potessero essere contenute in quelle pagine. Leggerli era, quindi, stata tutta fatica sprecata, tutto tempo perso?
-Che senso ha tutto questo? – domandò con un filo di voce.
HongBin aprì un volume a caso, lesse alcune parole senza riuscire a comprenderle ed, appena lo chiuse, le aveva già dimenticate.
-Non lo so. – rispose.
-Come puoi accettare di vivere così? Non ti sembra tutto così inutile? –
-Non lo so – ammise – Non so nemmeno da quanto tempo vivo così. –
-E perché lo fai? Non lo capisco! –
HongBin scorse nuovamente con lo sguardo tutta la stanza e sentì una specie di sussulto. Gli bastava chiudere gli occhi per dimenticarsi completamente come fosse quel posto.
-Stavo aspettando che arrivasse qualcuno che chiarisse tutto questo. –
Hyuk sospirò in preda alla disperazione.
-Allora non sarò io, perché non capisco assolutamente nulla di questo posto. –
Che senso aveva la memoria? Quella fortezza sembrava un luogo trasparente, sempre sul punto di scomparire chissà dove. Tutto questo appariva estremamente incomprensibile agli occhi di Hyuk, ma HongBin, ormai, si era abituato a stare in equilibrio in quella dimensione così incerta.
HongBin scelse un libro, lo prese e si mise a sedere nel tavolo a destra. Scorse con attenzione le pagine ed analizzò quella fitta rete di parole che si ammassavano tra le righe. Continuò meccanicamente la sua lettura, senza sentirsi più rattristato dalla limitatezza delle sue capacità.
Anche Hyuk scelse un libro, dopo aver esaminato tutte le copertine dello scaffale che aveva di fronte ai suoi occhi. Lo aprì e provò a leggere. La sua mente non recepiva assolutamente nulla, come se quelle parole non possedessero alcun significato.
Sentì il vuoto e la confusione che aveva dentro di sé accrescersi e divenire sempre più profondi. Iniziò a respirare affannosamente e, senza che potesse trattenersi, pianse. Una lacrima scivolò su una parola e la attraversò completamente, sbiadendola un po’.
Pensò alla traversata che aveva affrontato il giorno precedente, le cui immagini andavano quasi del tutto scomparendo. Ricordò la sensazione di smarrimento e di disperazione. Ma come poteva conoscere la strada per arrivare alla fortezza? Non aveva camminato seguendo l’istinto, ne era certo, era stato guidato verso una via precisa.
Trascorsero altri giorni e HongBin mostrò a Hyuk i segreti della fortezza. Entrarono in ogni stanza e la esaminarono insieme da cima a fondo. Scoprirono qualcosa di molto strano: tutti i mobili delle camere da letto erano completamente vuoti, non vi era nessun oggetto personale che potesse far risalire a chi le occupava in precedenza. La dispensa era sempre piena di cibo senza che nessuno la rifornisse e sia la cucina sia la sala da pranzo erano dotate di tutti gli utensili che potessero servire. Ma nulla più di questo. La fortezza era completamente e misteriosamente impersonale. Sembrava che chi l’aveva costruita ed arredata non avesse voluto far altro che questo. Era una particolarità del tutto innaturale. Eppure, nessuno dei due provava il desiderio di fuggire e cercare ospitalità altrove.
-Credi che le risposte alle nostre domande cadranno dal cielo? Non pensi che dovremmo ricercarle, in qualche modo? – domandò Hyuk mentre preparava la cena.
-Dove vorresti cercarle? Ti ho mostrato tutto e, come vedi, non c’è nulla che possa esserci d’aiuto. –
Hyuk ci rifletté restando in silenzio e continuando a tagliare la verdura. Lui non era affatto come HongBin, non avrebbe mai resistito in un posto come quello, senza conoscere nulla di sé stesso. Era qualcosa che non poteva assolutamente concepire.
Sentiva dentro di sé un terribile bisogno di risposte e di conoscenza. Non sapeva chi esattamente HongBin stesse aspettando, ma non poteva attendere in eterno.
Improvvisamente il sole iniziò a riscaldare con estrema energia e la neve si sciolse nel giro di pochi giorni. In quel periodo HongBin e Hyuk trascorsero del tempo passeggiando all’ingresso del bosco, dove la vegetazione non era ancora fitta. La neve appariva come un sottile tappeto al di sotto del quale si estendeva una fragile lastra di ghiaccio. Hyuk ed HongBin avevano osservato le loro impronte impresse sulla neve, pensando che quella fosse l’unica testimonianza della loro presenza in quel luogo.
Appena la neve fu completamente sciolta ricominciarono a fiorire i fiori e le piantine. HongBin fu felice di notare che il suo cespugli di rose preferito avesse resistito all’inverno. Si avvicinò alla piantina e si accertò che nessun ramo si fosse spezzato. Le rose avevano perso quasi del tutto i petali ed anche le foglie erano indebolite, ma i rami erano incredibilmente resistenti.
-Questa piantina è sbocciata il giorno in cui sono arrivato. – spiegò HongBin come se stesse parlando a sé stesso – Era un giorno freddo e piovoso ed io ero così confuso, impaurito. Mi sono svegliato di fronte al cancello, senza ricordare da dove provenissi, chi fossi, quanti anni avessi, per quale motivazione mi trovassi in questo luogo. Non so come sia accaduto, ma ho immediatamente compreso che dovevo entrare. Ho visitato la fortezza ed ho immediatamente capito quanto questo luogo fosse desolato, eppure non ho provato il bisogno di fuggire, io dovevo restare. Sono uscito, il vento aveva smesso di soffiare e l’aria era immobile. Ho camminato lungo il perimetro della fortezza ed ho visto questa pianta. Era così piccola e fragile, non so nemmeno io come abbia fatto a notarla, appena mi sono avvicinato è nata una minuscola rosa, di un rosso sgargiante. La pianta mi stava chiedendo di restare. –
Hyuk restò in silenzio.
-Se la persona che stai aspettando non dovesse mai arrivare? – chiese cambiando discorso.
HongBin si inginocchiò a terra ed iniziò a sistemare la terra.
-Credo che me ne farei una ragione. –
Hyuk non poteva credere che HongBin potesse arrendersi con tanta facilità. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non riuscì a trovare le parole.
HongBin, dopo aver sistemato la piantina per qualche minuto, si voltò verso Hyuk e lo guardò.
-Sono certo che arriverà qualcuno. Tutto ha un senso ed anche questo luogo lo ha. –
Hyuk annuì tremando per il freddo.
-Spero che tu abbia ragione –
HongBin sorrise, fu un sorriso caldo e dolce dal quale Hyuk si sentì rincuorato. Il suo sorriso sembrava dire “fidati di me.”
Appena il sole tramontò i due rientrarono . Cenarono tenendosi addosso le coperte, poiché la sala da pranzo era particolarmente fredda. Quando ebbero finito di sistemare e di pulire tutto, andarono a sedersi di fronte al fuoco del camino, come al solito.
-Hyuk, io ti ho raccontato quello che potevo, vorrei sapere di più su di te. –
Hyuk si avvolse alla coperta, non riusciva a smettere di tremare per il gran freddo.
-Se avessi ancora la mia memoria potrei raccontarti molto di me, probabilmente – disse sconsolato – Ma ora non so molto. –
-Sei felice di non essere solo in questo luogo? –
-Si, non avrei mai resistito da solo in un posto simile. Non so come tu abbia fatto. –
-Questione di abitudine, probabilmente. –
Hyuk pensò alla vastità della fortezza, alle stanze vuote e al buio che dominava ogni angolo. Sarebbe impazzito con tutto quel silenzio e quella solitudine. Poi pensò alla tempesta di neve nella quale si era ritrovato appena aveva perso la memoria. Gli capitava spesso di pensarci e, anche se i ricordi di quel giorno iniziavano a svanire quasi del tutto, si sentiva sempre molto triste e spaventato.
- Grazie per avermi accolto, avrei rischiato di morire congelato. –
-Mi hai già ringraziato molte volte. –
Hyuk lo guardò dritto negli occhi.
-Non è mai abbastanza.  –
HongBin sorrise di nuovo. Alla vista del suo sorriso HongBin tremò più forte.
-Per me lo è, sono felice che tu sia arrivato. –
-Anche se non sai da dove provengo ne chi io sia? –
HongBin si fece più vicino a lui.
-Esattamente. –
Quella notte HongBin sognò un lago ghiacciato. L’immagine era talmente reale da fargli credere di starla vivendo per davvero. Nel sogno camminava sulla superficie di ghiaccio e si sentiva estremamente leggero. Ad un certo punto sentiva un rumore gigantesco e, voltandosi, vedeva qualcuno cadere nell’acqua gelida. Gli parve di sentire sulla pelle il freddo pungente del pieno inverno e la sua pelle fu pervasa da un’infinità di brividi.
Si svegliò agitato e, guardandosi in torno, vide che Hyuk dormiva ancora. L’espressione del suo viso era rilassata e pacifica. Rincuorato cercò di riaddormentarsi senza riuscirci. Quel sogno era stato troppo reale per lasciarlo indifferente. Che si fosse trattato di un frammento di ricordo? Non poteva saperlo con certezza.
L’immagine era talmente orribile da fargli desiderare di non possedere ricordi del genere. Iniziò a pensare, per la prima volta da quando si trovava nella fortezza, che i suoi ricordi potessero essere negativi. Non sapeva affatto cosa potesse nascondersi nel suo passato e, magari, scoprirlo non sarebbe stato piacevole come aveva sempre creduto.
Ma lui aveva il bisogno di sapere chi fosse, era qualcosa a cui non poteva assolutamente rinunciare. Non poteva vivere la sua vita a metà, anche se era stato una persona orribile ed i suoi ricordi erano qualcosa di terribile, aveva il diritto di saperlo.
Quando Hyuk si svegliò, HongBin aveva già preparato la colazione e sistemato la legna nello scantinato. HongBin aveva continuato a pensare a quel sogno per tutto il tempo, senza riuscire a pensare ad altro. Hyuk notò immediatamente che HongBin fosse turbato.
-Hai dormito male? – gli chiese continuando a mangiare con la sua solita voracità.
-Ho avuto un brutto sogno, niente di serio. – rispose HongBin, fingendo che quanto aveva sognato non lo avesse particolarmente turbato.
-Dai, raccontami cosa hai sognato. –
-Non credo sia necessario… -
-Ti prego, voglio sapere. –
HongBin, dopo un po’ di esitazione, raccontò il sogno che aveva fatto quella notte. Raccontò del lago ghiacciato, di come ogni sensazione fosse estremamente viva nel suo corpo, come se avesse vissuto davvero quella esperienza. Quando stava per raccontare della persona che cadeva nel lago, si bloccò. Altri dettagli si aggiunsero all’immagine che aveva sognato e si sentì rabbrividire.
Il fatto che quell’immagine restasse così vivida nella sua mente lo terrorizzava parecchio. I dettagli continuavano ad aggiungersi senza tregua e lui non riusciva ad assimilarli. Quando Hyuk comprese che HongBin si stava agitando, cercò di farlo calmare. Gli sfiorò la spalla con la mano, come per incitarlo a stare tranquillo. HongBin moderò il respiro e cercò di pensare ad altro.
-Pensi che non si sia trattato di un sogno? – chiese Hyuk, dopo aver aspettato che HongBin si rasserenasse.
-Non lo so, non ne ho idea. – balbettò.
Durante il giorno i due passarono molto tempo insieme, cercando di parlare d’altro. Hyuk era molto bravo a tirare su di morale le persone e gli bastò poco per far tornare HongBin a sorridere.
La notte successiva anche Hyuk sognò qualcosa di molto strano.  Nel suo sogno si trovava in un meraviglioso giardino, seduto ai piedi di un albero gigantesco. Si lasciava beatamente coccolare dai raggi del sole , pensando che quella giornata fosse perfetta per rilassarsi. Poi arrivava qualcuno di cui non riusciva a vedere il volto, che gli diceva:
-Hyuk, è tanto che vorrei parlarti –
Ma prima che la persona potesse dire qualcosa, Hyuk si svegliò. Quando raccontò dell’accaduto ad HongBin, entrambi compresero che quel che stava accadendo era davvero tropo strano per trattarsi di una semplice coincidenza.
I due sogni, apparentemente, non erano minimamente collegabili e non sembravano possedere legami. Ma doveva esserci assolutamente un nesso, ne erano convinti.
Entrambi iniziarono a pensare che, per qualche assurda ragione, i loro ricordi stessero iniziando a venirgli incontro. La violenza con cui stavano venendo a galla, però, li destabilizzava. Ogni notte continuarono a susseguirsi altri ricordi, tra i più diversi. Ma nessuno di loro sembrava voler raccontare qualcosa di preciso.
Una mattina, dopo aver fatto colazione, i due decisero di salire in biblioteca. Restarono seduti sul tavolo a parlare, senza prestare attenzione ai libri. La loro mente era piena di confusione, non volevano sentirsi ancora più vulnerabili leggendo quelle scartoffie dal significato incomprensibile.
-Non so perché i sogni stiano arrivando tutti insieme. – disse HongBin.
-Deve esserci una ragione… -
-Vorrei che fosse semplice comprenderla –  
 Hyuk continuò a riflettere, in silenzio, pensando a cosa avesse potuto far scaturire quel tipo di reazione dalla loro psiche. Quel giorno non era avvenuto nulla di particolare e nemmeno in quelli a seguire. Dove poteva essere la risposta a tutte le domande? Dove cercare dei ricordi? Probabilmente attraversando i luoghi che li avevano generati avrebbe ricordato tutto, ma dove andare? Senza sapere chi fossero, da dove venissero era tutto molto complicato.  Improvvisamente sembrò avere un lampo di genio.
-Non c’è altro luogo dove cercare la soluzione se non… - Hyuk si alzò dalla sedia e guardò HongBin, senza continuare il suo discorso.
-Dove? Dove vorresti cercare? –
-La soluzione del mistero è dentro di noi, ne sono convinto. –
-Facile a dirsi – sospirò rassegnato HongBin.
Non conosceva molto bene se stesso, in realtà. Cercare le risposte alle proprie domande nel suo “Io” sarebbe stato molto più complicato del previsto. Innanzitutto non sapeva dove iniziare la ricerca. Gli sembrava di dover scavare con le mani un terreno troppo duro, impossibile da smuovere.
-Non credo sia troppo difficile – disse Hyuk – Bisogna soltanto trovare il modo giusto. –
I due pensarono in silenzio, ognuno per contro proprio. Come intraprendere una ricerca così difficile? Sembrava un’impresa impossibile. Era come esplorare un luogo sconosciuto, dove non tramontava mai il sole.
Hyuk provò a pensare a sé, a cosa aveva dentro. Gli sembrava di non riuscire a cogliere nulla di particolare, tutto era una confusione indefinita. Non sapeva che domande porsi, a quali riuscire a rispondere per prime.  Forse HongBin aveva ragione, l’impresa era impossibile, ma non voleva abbattersi. Quella era l’unica soluzione possibile e, in un modo o nell’altro, avrebbe riacquistato la sua memoria.
 Provò ad immaginare come potesse essere la sua vita prima di arrivare in quel luogo. Probabilmente era una persona importante e benvoluta o, magari, non aveva alcun amico ed aveva intrapreso quel viaggio per trovare un po’ di pace. Si chiese se aveva mai amato qualcuno e se fosse mai stato ricambiato. Aver perso tutto questo lo rendeva estremamente indifeso.  Odiava essere una persona senza identità, più di ogni altra cosa al mondo.
Pensò ai suoi genitori, si chiese se gli somigliasse, cosa avesse ripreso da sua madre e cosa da suo padre. Chissà che persone erano, se avevano buoni rapporti o meno. Provò a concentrarsi, doveva avere per forza un ricordo della sua famiglia. Sentì un dolore pungente colpirgli il petto. Erano forse vecchie emozioni dimenticate, quelle?
Provò a concentrarsi sul quel sentimento e lo sentì crescere ed invadergli tutto il corpo. Il vuoto nel suo cuore divenne gigantesco e lo investì in pieno, travolgendolo. Provò ad avanzare tra le tenebre ma non vedeva assolutamente nulla, oltre che il buio più nero.
-HongBin! – lo chiamò tremando, immobilizzato da quella sensazione.
HongBin gli venne vicino e gli prese la mano. Quel contatto riscaldò il corpo del ragazzo e gli fece avere meno paura. Quella sensazione gli parve estremamente famigliare, era come se gli fosse mancata davvero tanto.  HongBin strinse la sua mano con più forza ed iniziò a chiamarlo impaurito. Hyuk sembrava essere svenuto e non riusciva a rinvenire. HongBin osservò le loro mani che si stringevano e gli mancò il respiro.
Entrambi attraversarono la dimensione del tempo e dello spazio, spinti da una forza più grande di loro che soffiava come un vento infinito. Non vi erano né luci né oscurità, quello che gli circondava era indefinibile ed incomprensibile. Anche se stavano viaggiando restavano esattamente dov’erano. Probabilmente erano soltanto le loro anime a viaggiare in quella dimensione misteriosa.
Quando Hyuk aprì gli occhi lui e HongBin erano inginocchiati a terra. Si sfiorò la fronte con le mani ma non sentì niente, il tatto era completamente scomparso. Solo in quel momento ricordò che la sua vita era finita molto tempo prima.
HongBin alzò lo sguardo e si accertò che Hyuk stesse bene. Il ragazzino era inginocchiato scompostamente a terra, i capelli biondi gli cadevano sugli occhi, l’espressione del suo viso era estremamente preoccupata. Solo in quel momento qualcosa riaffiorò nella sua mente, una piccola barca riemerse dall’acqua scura e mostrò la sua superficie scheggiata. Allungò una mano verso quella di Hyuk e la strinse ancora, con estrema dolcezza.
-È qui che sono finito? – si chiese balbettando. I suoi occhi si riempirono di lacrime e le forze iniziarono a mancare.
-HongBin – sussurrò Hyuk ricercando il suo sguardo.
Il passato si stava agitando nella sua mente e disordinava tutto, distruggeva ogni cosa.HongBin ebbe di fronte agli occhi l’immagine di Hyuk che cadeva sulla lastra di ghiaccio. Ricordò di come la superficie avesse improvvisamente ceduto e Hyuk, dopo aver urlato, cadde nell’acqua gelida, senza che nessuno potesse salvarlo.  
Stavano fuggendo. Stavano fuggendo perché tutti erano contro il loro amore e perché la vita voleva allontanarli. Lo zio di Hyuk li stavano inseguendo, aveva un coltello stretto tra le mani e voleva uccidere HongBin per porre fine al loro amore. Quell’uomo era impazzito completamente.
“Passiamo per il lago” aveva detto HongBin e Hyuk lo aveva seguito.
Si tenevano per mano e procedevano sulla superficie ghiacciata. Poi, l’uomo li aveva raggiunti e con il suo coltello aveva trafitto la spalla di HongBin che era caduto sanguinante.
“Corri! Scappa!” aveva gridato, sudando per la sofferenza.
Il suo sangue si spandeva sul ghiaccio come un piccolo fiume e la sua vista lo faceva inorridire. Il colore del  sangue era molto simile a quello della sofferenza e del dolore, lo aveva impresso vividamente nella sua mente.
Appena Hyuk iniziò a correre scivolò. HongBin ricordava l’espressione impaurita sul suo viso, le grida che aveva lanciato capendo di essere in pericolo.
“Aiuto! Hyung, non voglio morire congelato!” aveva pianto.
Ma prima che HongBin potesse alzarsi, Hyuk era già sprofondato nell’acqua gelida.
HongBin pianse, tutto il dolore che aveva dentro divenne lacrime. Il rimorso lo aveva divorato per così tanto tempo ed, ora, era tornato a farsi vivo nel suo cuore. Anche Hyuk ricordò ciò che era accaduto, il contatto con l’acqua ghiacciata e la sensazione che lo aveva accompagnato dalla vita alla morte.
Se Hyuk non era più vivo, che posto era mai quello? Dove si trovavano, esattamente? Quel luogo non poteva essere da nessun altra parte, in nessuna altra dimensione se non nel cuore di HongBin.
-È questo che c’è dentro di te, HongBin? È questa desolazione? Questo è il tuo mondo? – domandò tra le lacrime.
-Si, questa fortezza così spoglia sono io… - le stanze erano state lasciate vuote per tutte le persone che erano andate via senza più fare ritorno, come aveva fatto Hyuk, come avevano fatto tutti i suoi cari appena avevano scoperto del loro amore.
I due piansero tutte le lacrime che avevano nel corpo, inginocchiati sul pavimento della biblioteca. Un raggio di sole entrava dalla vetrata ed illuminava il punto esatto in cui erano. Il pavimento lucido rifletteva le loro immagini, che sembravano delle ombre sofferenti.  Hyuk sollevò lo sguardo e guardò quel luogo con altri occhi. Osservò la copertina rossa di ogni libro, un rosso che lo sconvolgeva, che sembrava far parte di quel luogo più di qualsiasi altro colore, più di qualsiasi altra sfumatura.
-E questo, cos’è? – chiese, sperando che HongBin riuscisse a rispondergli.
Hyuk si alzò in piedi e prese un libro dalla libreria. Cautamente lo aprì e lesse quel che vi era scritto sopra le pagine ingiallite.
Oggi, 25 marzo
Ho confessato ad Hyuk che è molto che vorrei parlargli. Credevo che mi avrebbe mandato via ed, invece, mi ha sorriso. Il suo sorriso è il più bello del mondo e mi fa sentire felice dal profondo del cuore. Era sdraiato sotto il solito vecchio albero. L’ho osservato riflettere, ho provato ad indovinare i suoi pensieri ed ho cercato di capire quali fossero i miei. Vorrei che lui mi insegnasse ad essere felice, sono certo che lui conosca il segreto. Vorrei chiedergli di insegnarmi solo ciò che c’è di bello nella vita e nell’amore.
-Pensavi questo di me, HongBin? Questi sono i tuoi ricordi? – chiese conoscendo già la risposta.
Entrambi volsero lo sguardo verso gli innumerevoli volumi che si susseguivano copiosamente sugli scaffali e sentirono uno strano brivido nascergli dentro.
-Sono i nostri ricordi, Hyuk. Finalmente riusciamo a comprenderli. –
I ricordi erano così vasti da riempire quella stanza enorme. Non sarebbe bastata tutta la vita per leggergli tutti e non sarebbero mai riusciti a ricordare tutti i particolari. Eppure era meraviglioso osservarli da lì, sembravano infiniti. HongBin avrebbe voluto vivere almeno in una di quelle pagine, assaporare quel momento e ripeterlo fin all’infinito. I ricordi erano sempre stati lì con lui, ma lui non era stato capace di decifrarli. Doveva riscoprire l’amore nei confronti di Hyuk per poter capire tutto il resto.
HongBin strinse le mani di Hyuk e lo baciò. Le sue labbra non avevano più alcun sapore e non erano più nemmeno calde, non c’era più nulla di umano in lui, questo lo rattristò tantissimo.
In quel momento il corpo del più giovane iniziò a diventare sempre più trasparente. HongBin lo strinse a sé, senza riuscire a sentire la presenza del suo corpo. Avrebbe voluto poterlo trattenere fino alla fine. Avrebbe voluto fermare il tempo e restare per sempre così, senza fare nient’altro.
-Non andartene, ti prego! – pianse tenendolo a sé.
Hyuk non poteva ricambiare la stretta e restò immobile, mentre svaniva.
Pensò all’eclissi avvenuta poco prima della venuta di Hyuk. Il loro amore era, forse, come quello della luna ed il sole? Così imponente e magnifico ma anche così profondamente infelice.
-Ti amo, HongBin. –
 HongBin singhiozzò e non riuscì a dire niente.
L’amore della sua vita stava nuovamente svanendo tra le sue braccia, stava diventando parte del vento e fuggendo chissà dove.
-Ci rincontreremo? – chiese stringendo la fievole ombra delle sue mani.
-Te lo prometto. –
Quando Hyuk fu completamente scomparso anche la fortezza iniziò a sparire e così fu anche il mondo che la circondava. I libri, le mura, gli scaffali, tutti divenne trasparente, poi si tramutarono in un vortice che lo avvolsero fino a stringerlo molto forte. HongBin non sentiva più di avere paura, qualsiasi cosa sarebbe successa lui ed Hyuk si sarebbero rincontrati, in un modo o nell’altro, nel mondo o altrove.
HongBin aprì gli occhi. Era sdraiato nel letto di un vecchio ospedale. Volgendo lo sguardo vide che la ferita alla spalla era quasi del tutto guarita e la ferita si era rimpicciolita notevolmente. Sospirò, era tornato alla vita.
Quanto tempo era passato? Non lo sapeva.
Si voltò verso il comodino e vide una rosa dai petali di un rosso sgargiante infilata nel bicchiere. I suoi petali, leggermente appassiti, appena videro che si era ripreso, tornarono a risplendere della loro perfezione.  
-Grazie per il regalo, Hyuk. – disse sorridendo leggermente.

Grazie per aver letto questa particolare Fanfiction. Spero che il mio lavoro non vi abbia intristito troppo e che sia stato di vostro gradimento. Il filo conduttore di questa storia è il messaggio che l'amore possa sconfiggere qualsiasi ostacolo perchè è più forte di qualunque altra forza. 
-Autrice

 
  
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