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Autore: fuoritema    03/01/2014    14 recensioni
"Ehm...okay." Fa un altro respiro seguendo il mio."Questa fobia è collegata alla mia fantastica infanzia. Alle punizioni. Il piccolo ripostiglio del piano di sopra." (da Divergent)
***
Vi siete mai chiesti come è iniziata la seconda paura di Tobias? Io ho provato ad immaginarmelo. Bene: immergiamoci nella sua infanzia, quando sua madre era ancora "viva".
Genere: Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Four/Quattro (Tobias), Marcus Eaton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'This house no longer feels like home'
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Il ripostiglio
 
 






Il bambino fissava il pavimento: aveva paura, una paura tremenda. Guardava i cocci di vetro consapevole di quello che sarebbe successo.
Era tutta colpa sua, colpa della sua maledetta goffagine. Non riusciva a non mettersi nei guai.
Lo guardò avvicinarsi mentre indietreggiava fino alla parete.
Non l’aveva fatto apposta, ma non gli avrebbe creduto: non lo faceva mai.
Voleva solo scappare, scomparire nel muro. Con il cuore che gli martellava nel petto si lanciò fuori dal soggiorno. Passò sotto il divano lanciando per terra i cuscini.
Era sempre stato veloce a scappare. Anni ed anni di esercizio avevano fatto la loro parte. Sperava in un suo intervento, sperava che sua madre lo salvasse da quella continua violenza, ma, sebbene avesse solo sette anni, sapeva che non l’avrebbe mai fatto.
Riusciva a sentire i suoi singhiozzi, anche attraverso la porta. Non l’avrebbe protetto: non con suo padre.
 
Scappò fuori ma venne bloccato sulla porta.
Marcus lo prese per il cappuccio della felpa grigia costringendolo a guardarlo negli occhi.
“Ora parliamo, ingrato” disse facendolo sedere sul divano. Non lo chiamava quasi mai per nome: non era il figlio che aveva voluto. Non era un Abnegante.
“Hai fatto cadere quel vaso?” chiese fissando il figlio. Non ottenne risosta. Il bambino continuava a fissare il pavimento mordicchiandosi il labbro.
“Allora?!” esclamò alzando il braccio per colpirlo.
“Io…no” rispose suo figlio continuando a fissarsi i piedi.
“Non mentirmi” disse stringendogli il braccio con forza. Il bambino cercò di liberarsi emettendo un gemito soffocato, ma non ci riuscì.
“Sì…ma…” biascicò tormentandosi la felpa con le mani, non l’aveva lasciata un attimo.
“Niente ‘ma’. Quindi ammetti di avermi mentito, prima” disse con calma mentre il labbro iniziava a tremargli. Non era mai un buon segno: significava che si stava arrabbiando sul serio.
Significava che sarebbe stato punito, che lo avrebbe preso a cinghiate.
“Sì” sussurrò il bambino trattenendo a stento le lacrime.
“Non piangere. Risparmiami questa scena pietosa. Lavoro per te, e tu mi ripaghi così?” disse mollandogli uno schiaffo.
Il piccolo si prese la guancia colpita tra le mani. Si arrossava velocemente, bruciava tanto. Ormai non parlava più: tremava visibilmente, piccole lacrime calde scendevano giù cadendo sul pavimento.
 
“Alzati la maglietta” gli intimò sfilandosi la cintura dai passanti, lentamente.
Il bambino obbedì scoprendo la schiena chiara costellata di striature rossastre.
Chiuse gli occhi aspettando la punizione. Sopportò i primi colpi piangendo, gridando per il dolore. Faceva già male quando la cinghia colpiva la pelle intatta, ma Marcus mirava alle ferite della settimana prima, quando era tornato a casa in ritardo.
Era facile venire punito, per lui: bastava immischiarsi nei discorsi tra i suoi genitori, far cadere un bicchiere, tornare cinque minuti più tardi, mentire. La lista era infinita.
 
Sentì la porta aprirsi, sentì il fischio della cintura interrompersi per aria: come se il tempo si fosse fermato.
“Basta, Marcus” sussurrò con gli occhi rossi sua madre. Gli teneva il braccio fermo con una mano mentre con l’altra si asciugava le lacrime.
Aveva paura anche lei. Il bambino le sorrise abbassandosi la maglietta.
“Evelyn, non intrometterti!” urlò l’uomo togliendosela da dosso.
“Non fargli male. Non fare male al mio piccolo Tobias” sussurrò la donna tirando il bambino dietro di sé. Piangeva, ma non voleva lasciarlo nelle sue grinfie.
Tobias si staccò da lei avvicinandosi a suo padre. Non voleva che si arrabbiasse anche con sua madre: era lui ad avere sbagliato.
“Tuo figlio è più saggio di te” disse l’uomo trascinandolo su per le scale. Il piccolo fece appena in tempo a tranquillizzarla a gesti.
 
“Spero che imparerai la lezione” disse tirandolo per il cappuccio.
Cosa gli avrebbe fatto?
Il bambino non lo sapeva: piangeva e basta, non si dibatteva neanche più. Capì solo quando lo vide aprire la porta del ripostiglio.
“No, ti prego…” pigolò cercando di sottrarsi dalla sua presa ferrea.
“Se fai il bravo forse torno a riprenderti” disse spingendolo dentro.
Tobias si sentì morire. Il respiro gli si fece corto: le ombre minacciose sulla parete lo terrorizzavano.
“Fammi uscire!” urlò tra le lacrime. Picchiò i pugni contro il muro, si lasciò cadere per terra.
Un mostro: lo stava per venire a prendere. Lo avrebbe mangiato. Si schiacciò contro il muro ma vi si staccò quasi subito. Faceva troppo male.
Vide la catinella e la spugna: doveva pulirsi le ferite, cercare di fermare il dolore.
Non ci provò neppure, piangeva solamente. Sarebbe rimasto là dentro. Non sarebbe mai uscito.
Era tutta colpa sua: meritava di essere punito, ma quanto faceva male! Ormai non pensava più neppure alle cinghiate. Pensava al mostro che lo avrebbe mangiato. Il mostro che mangia i bambini cattivi. Era tutta colpa sua se si sarebbero arrabbiati tra loro, i suoi genitori.
Sentiva le urla mentre si rannicchiava sul pavimento con il sollievo ovattato del suo dolore.
Intanto, se tendeva l’orecchio, poteva sentire sua madre piangere.
 
“Cosa gli hai fatto?”
“Imparerà, deve imparare”
“Dove l’hai portato”
“Mediterà bene, lassù”
“Ti odio, Marcus”
“Lo so”
“Ti detesto”
“Lo so”
“Fallo uscire: l’hai punito abbastanza”
“No. Lasciami donna”
“Ti prego”
“Ti ho detto di lasciarmi”
 

Uno schiaffo fermò la loro discussione. Tobias si rannicchiò ancora di più su sé stesso. Era colpa sua se erano così arrabbiati.
Sperava solo di diventare buono, un giorno, e smettere di creare problemi.
 
 
 
 
 















































































Angolino sclero dell’Autrice:
 
E rieccomi con una storia sul mio dolce Tobias. Scusatemi ma lo amo troppo. Ebbene sì: ho inaugurato l’era delle serie su Divergent. Sarà formata solo da quattro storie (l’ho fatto apposta, che vi credete) con le quattro paure del nostro ragazzo con gli occhi blu.
Ora sorgerà una domanda: devo proprio farvi piangere?
La risposta è SI’… Lo so di essere sadica e masochista (?) a scrivere sempre di queste cose ma il genere mi attira e ho sempre tante idee. Ho pianto mentre scrivevo.
Era logico che avrei dovuto scrivere di questo, insomma: tutte le sue paure sono strettamente legate a Marcus (lo odio, deve morire: è un BIPPPPP *censura*).
Ok, mi calmo *fa la respirazione zen e mangia un biscotto*.
Cambiamo argomento: indovinate da dove sto scrivendo…
Sono sull’aereo che mi riporterà a Napoli in compagnia (?) di biscottini e un bicchiere di coca-cola.
MMMMMHHHHHH BISCOTTINI <3
Ho appena lasciato il mio, di padre, e *rullo di tamburi* è stato lui a dirmi di scrivere su questo. Gli ho spiegato cos’è una ff e lui mi ha ascoltato.
MIRACOLO ;)
Spero che il mio scritto sia di vostro gradimento e non somigli troppo al mio primo…
Un bacio a tutti miei cari divergenti: torno ai miei biscotti *si mette un biscotto in bocca *.
 
Hope 13
PS: Un ringraziamento speciale va a Tinkerbell92, FelixTentia e altre due paperelle del Forno (gruppo su fb di Hunger Games) che hanno letto con molta pazienza questa ff <3
PPS: La bambina dietro di me continua a rompere i miei timpani (ma è piccola, che ci può fare?) piangendo e urlando con dei peluche (?) in braccio.
PPPS: Vi prego: aiutatemi a aggiungere Marcus e Evelyn tra i personaggi. Sono dei protagonisti nelle mie ff...



 
  
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