Disclaimer:
i
personaggi sono copyright di Isayama Hajime. Il mio è solo uno sfruttamento senza scrupoli <3
Note: a Nari, perché è l’eternità
*muore* Sempre fiera di essere una polpetter, sis’ (L)
L’ordine in cui Eren, Armin e Mikasa compivano gli anni
era sempre stato un po’ lo specchio del loro rapporto: la prima era proprio l’unica
bambina del gruppo che, di quello stesso trio, era – chiunque tra i coetanei l’avrebbe
confermato – il vero leader. Oltre al fatto che sembrava di per sé la più
matura.
Poi c’era Eren, che a guardarlo era il classico fratello di mezzo: te lo
immaginavi facilmente, né il più grande né il più piccolo, lì a sentirsi in
dovere di essere forte anche se tutta la forza che serviva non l’aveva, ripreso
da Mikasa e già stanco a soli nove anni di essere considerato da lei il
fratellino da proteggere. A fare le scelte sbagliate, come fare a botte anziché
parlare, prendendole e dandole; puro istinto di chi nel mezzo è animato da
sentimenti così diversi che anziché bilanciarsi, oscillano sempre e diventano
imprevedibili.
Infine c’era Armin, che era il più piccolo dei tre: il più deboluccio, quello
che aveva sempre bisogno di protezione e quello che quasi subito si era arreso
al fatto che le cose andassero così – ma aveva una forza pazzesca Armin, aveva
la forza di chi sogna in grande e comincia a farlo presto; di chi riusciva a
dipingere con la mente un mondo immenso che era solo una promessa impalpabile
fuori da mura che non pensava avrebbe avuto il coraggio di oltrepassare mai.
Era così che andava fra loro: autocontrollo e pura forza – e nell’ombra di
spalle non molto più grandi delle sue, Armin trovava il suo posto. Era perfetto
equilibrio senza nemmeno saperlo.
Si dice che un soldato non dovrebbe mai portare con sé
troppe cose che non hanno a che fare con la guerra, come i ricordi di una casa
calda e di una famiglia che ti accoglie; dicono che diventi un fardello pesante
che ti schiaccia, non una speranza che ti motiva.
Armin ha perso la casa e l’uomo che era tutta la sua famiglia di sangue, e non
ha nulla a cui tornare; in compenso ha un ricordo felice dell’infanzia, uno di
quelli fortissimi: un compleanno in cui, senza le pretese che sono proprie
degli adulti, ricevette in dono qualche fiore, del pane caldo e due sorrisi
splendidi.
Sa che molti potrebbero pensare che la paura di perdere Eren e Mikasa rappresenti
la sua debolezza più grande; invece Armin trasforma il desiderio di tornare a
vivere con loro come un tempo nella sua forza – con quella sua capacità di
immaginare mondi e sognare di vederli tutti, che rende la pace più un obiettivo
cui arrivare che un’utopia irraggiungibile da rimpiangere.
Armin non impugna le spade per seminare morte, né soltanto per salvare vite: lui
lo fa perché vuole sopravvivere, e soprattutto non vuole farlo da solo.
Un
giorno andremo ad esplorare il mondo esterno, vero?