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Autore: MeMedesima    26/05/2008    3 recensioni
Due anni dopo il giorno in cui doveva partire con Frank, Eveline ripensa alle sue scelte e alla sua vita, dovendo scegliere tra solitudine e rischio. Tratta da "Eveline" di James Joyce.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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eveline

 

Questo brano è il seguito di un racconto piuttosto famoso di James Joyce, Eveline, contenuto nel libro Gente di Dublino. è ambientato due anni dopo la partenza di Frank, che aveva cercato di portare con sè Eveline, ma questa all'ultimo momento aveva rifiutato. La prima parte e una parte verso la fine sono uguali al racconto, perchè mi piacevano, ecco...  e poi un po' doveva somigliargli...

Bene, leggete e recensite!

E mi raccomando, siate crudeli!

Enjoy it!

 

 

Eveline

Seduta alla finestra guardava la sera invadere il viale. Teneva la testa appoggiata contro le tendine e sentiva nelle narici l’odore della cretonne polverosa. Era stanca.

All’improvviso arrivò un tuono, seguito da un lampo. Il temporale era vicino.

Continuò a guardare il mondo fuori dalla finestra. Il marciapiede di cemento, che due anni fa era intatto e perfettamente squadrato, ora era pieno di macchie, crepe e tagli. Nella sua immaginazione, da quelle ferite iniziavano a sbocciare erba e fiori di campo, spandendo nell’aria un profumo stordente.

Come ricordava bene il profumo dei fiori… Quand’era ancora bambina e ogni sera andava a giocare nel campo insieme alle sorelline Water, il loro profumo sbocciava lentamente, fragrante, e si spandeva fino ad abbracciare tutto il cielo. Ne sentiva la mancanza. A quei tempi il cielo era grande, era sopra la sua testa, era davanti a lei, era dietro di lei. Il cielo era dappertutto. Il mondo era così vasto, e le sembrava ovvio che gliene fosse concessa una piccola parte.

Ora il suo mondo si era ristretto, rimpicciolito. Era quella casa, il suo mondo. Stare a casa, spolverare, cucinare. Andare a lavorare, fare la spesa, spolverare. Vivere. No.

Non vivere, sopravvivere.

Le gocce di pioggia iniziarono a cadere. Prima leggere, poi sempre più fitte e pesanti.

Già, sopravvivere era la parola adatta. Che senso aveva la sua vita, ora?

Harry, il fratello, si era innamorato di Joy, una ragazza che abitava a Belfast, conosciuta mentre decorava una cattedrale. Ormai tornava a casa ogni sei mesi.

La madre era morta molti anni prima, di malattia.

Ricordava ancora quell’ultima terribile sera. Le parole del delirio di sua madre facevano da contrappunto all’aria della Butterfly, mentre lei stava al suo capezzale.

Ernest, il fratello maggiore, era morto anche lui. Una sera il padre, tornando a casa più ubriaco del solito, si era messo a urlarle contro perché la cena della domenica non era ancora pronta.

Il padre era un uomo molto diffidente e violento. I pochi soldi che guadagnavano i figli li teneva per sé, e non li cedeva loro per nessun motivo al mondo. Così, la dispensa di casa era perennemente vuota, dal momento che lui non aveva la voglia di andare a fare acquisti. Eveline si offriva di andarci al posto suo, ma lui replicava che non le avrebbe ceduto i soldi guadagnati per vederli buttati dalla finestra. Quella sera Eveline si era arrangiata come aveva potuto e aveva preparato una magra cena.

Quando il padre era rincasato era ancora ai fornelli e lui aveva preso ad aggredirla. Ernest si era posto davanti a lei per difenderla. Lui e suo padre avevano iniziato a picchiarsi. Ernest aveva sempre le liti peggiori col padre.

In un impeto di rabbia l’ uomo aveva scagliato il figlio verso la finestra, e quest’ ultimo era precipitato. Eveline era corsa con un grido alla finestra.

Harry non era in casa quella sera. Il padre disse che Ernest si era buttato di sua spontanea volontà, e gli credettero. Lei non osò confessare.

Aveva troppa paura del padre.

Era un uomo violento e impulsivo, e forte. Aveva sempre la meglio sulle liti con i figli, e sembrava che niente potesse abbatterlo. E invece un anno prima una brutta epidemia se l’era portato via, trascinando con lui anche i due fratellini più piccoli.

E così lei era rimasta sola.

Troppo sola, in quella casa orrendamente familiare. Gli oggetti che spolverava da quasi vent’anni al posto di rassicurarla ora le davano quasi la nausea. I piccoli quadri, i soprammobili, l’harmonium dalla vernice scolorita: tutto questo minacciava di farla impazzire. Ogni oggetto, con il suo colore, la sua forma, la sua storia, le ricordava la famiglia assente.

Il modo di evitare tutto questo era andarsene, ma dove, e come?

Se solo due anni prima non avesse buttato al vento la possibilità, ora sarebbe stata a Buenos Aires, con Frank.

Frank era stato il suo fidanzato per qualche tempo. Due anni prima era arrivato a Dublino per fa visita alla famiglia, si erano conosciuti, e pian piano innamorati.

E dopo sei mesi lui le aveva chiesto di fuggire per sposarsi, di scappare a Buenos Aires.

All’inizio lei aveva accettato, convinta che fosse un miracolo. Aveva organizzato tutto, scritto due lettere al padre e ad Harry (Ernest e la madre se n’erano già andati) e si era preparata un fagotto con lo stretto indispensabile. Poi, improvvisamente si era ritrovata sulla banchina del porto insieme a Frank, e non aveva avuto il coraggio di seguirlo. Mentre lui la chiamava disperato, lei si era voltata ed era scappata, rifugiandosi nella prigione che un tempo chiamava "casa".

Aveva lasciato andare Frank. L’aveva sciolto dal suo abbraccio.

Aveva lasciato che si dileguasse la sua forse unica possibilità di salvezza. Unica perché Frank non sarebbe mai più tornato a prenderla. In fondo, lui cosa provava per lei?

I ricordi si materializzarono nitidi sulla pioggia che la ragazza fissava come se fosse in trance. Un giorno di pioggia, proprio come quello. Frank, con un sorriso sul volto, chiedeva a Eveline si seguirlo a Buenos Aires. Lei, sorpresa gli domandava perché voleva che lei andasse con lui. Lui rispondeva che l’amava.

L’amava.

Con uno scatto improvviso Eveline si alzò dalla sedia. Prese il soprabito e senza ombrello si precipitò fuori di casa.

La pioggia scrosciava.

Era là, sulla banchina. Quel giorno era deserta per via del maltempo.

Eveline si guardò intorno, portandosi in mezzo al molo. La pioggia stendeva un velo opaco su tutto, perciò non poteva distinguere bene le sagome delle poche persone che si riparavano sotto un piccolo portico.

Sentiva la pioggia che batteva con tanti piccoli aghi sulle sue spalle, ma non sentiva l’abbraccio di Frank. Dov’era Frank? Dov’era l’amore?

Non era arrivato più nessuno sulla banchina. Nessuno.

Nella pioggia risuonò il grido della sirena di una nave.

Tutti i mari del mondo le s’infrangevano sul cuore. Lei stessa si stava annegando, insistendo per nuotare ancora più in fondo.

Cadde in ginocchio, capendo, finalmente.

Non sarebbe più tornato. Era andato via. Era stata lei a farlo fuggire.

Aveva lasciato fuggire l’amore.

  
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