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Autore: Sakyo_    05/01/2014    9 recensioni
[Spezzone del 6° capitolo]
Ci ritrovammo così, in quella posizione non voluta ma perfetta, i nostri visi a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro. I capelli lunghi di Castiel mi solleticavano la fronte e il suo profumo pungente arrivò fino alle mie narici.
Per qualche secondo restammo a guardarci negli occhi: era la prima volta che li osservavo bene, e ne rimasi ipnotizzata. Profondi, intensi, neri come la pece.
«Adatti» mi ritrovai a pronunciare senza accorgermene.
Castiel mi guardò interrogativo.
«I tuoi occhi... Sono proprio adatti a te» affermai convinta.
[Spezzone del 13° capitolo]
«Non dirlo Nath, io sto bene con te…»
«E allora permettimi di renderti felice»
Una frase che arrivò come una cannonata in pieno petto. Mi sentii così confusa e inibita, come se mi fossi svegliata improvvisamente da un’anestesia totale.
Col dorso della mano mi carezzò la guancia nel modo più dolce possibile, mentre mi confessava il suo amore sincero.
«Sono innamorato di te, Emma»
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Iris, Nathaniel, Nuovo personaggio, Rosalya
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Night and Day
Capitolo 15


Il bacio di Kentin aveva senza ombra di dubbio dato il via ad un processo di sblocco e di autoconvincimento per il quieto vivere che vedeva come protagonisti indiscussi la mia testa e il mio cuore. Ero sicura che per lui quel gesto non stava ad indicare qualcosa in particolare, ma tutto ciò che aveva passato quel ragazzo quando ancora vestiva i panni del semplice Ken fece leva sui miei sensi di colpa. Decisi allora di scrivergli un messaggio.
 
Ripensando a ieri, non vorrei che tu abbia frainteso qualcosa, Ken…

Dopo averla scritta, rilessi la frase che spiccava sullo schermo del cellulare e mi resi conto che era assolutamente inadatta. Cancellai tutto e riprovai.
 
Sei stato davvero carino ad aiutarmi a capire, anche se forse avrei preferito un modo meno particolare.

No, non ero proprio nella posizione adatta per fare la pretenziosa. E poi quel “carino”… Certo, era diventato un gran pezzo di ragazzo, ma con lui non mi ero mai sbilanciata così tanto. Meglio evitare.
 
Grazie, e scusa.

Sì, così poteva andare. Kentin avrebbe capito quello che intendevo dirgli. Me ne convinsi durante il viaggio di ritorno verso casa.
Passarono due ore senza che ricevetti risposta. Poi, finalmente, il suono di un messaggio in arrivo mi ridestò dal sonno in cui ero caduta e in tutta fretta premetti il pulsante di apertura del testo, scoprendo però che il mittente non era chi mi aspettavo che fosse.

 
Tutto bene, Em? Sono giorni che non ti si vede a scuola, ho saputo che stai male. Spero che non c’entri quello che ti ho detto l’ultima volta che ci siamo visti…
Rimettiti presto!
Nath

Nathaniel si preoccupava per me… Sempre così discreto, sempre così giusto. Era inevitabile non apprezzarlo. E pure quella volta, la mia stima nei suoi confronti crebbe ancora. Ero felice che un ragazzo come lui provasse qualcosa nei miei confronti, la cosa mi provocava una sensazione particolare e difficile da spiegare. Non era motivo di vanto, piuttosto mi faceva sentire realmente bene. Perché in lui non riuscivo a vedere altro che bontà, e ogni emozione che mi trasmetteva si palesava inevitabilmente in un sorriso sulle mie labbra.
Volevo fargli sapere tutte queste cose, ma il telefono era il mezzo meno adatto principalmente per due motivi. Con Nathaniel i miei comportamenti erano stati spesso ingiusti. La decisione di partire -o meglio, fuggire- dopo che lui mi aveva confessato i suoi sentimenti, da qualsiasi parte la si guardasse era stata un’ennesima coltellata alle spalle. Una coltellata indolore, almeno, poiché per quanto ne sapesse io ero ancora a casa con la febbre. Più volte mi ero ripetuta che lui non meritava di soffrire così, ma anche dopo che credevo di essermene convinta tornavo nuovamente a ferirlo con le mie stupidaggini. Però, dopo l’incontro con Kentin, avevo deciso di voltare finalmente pagina. Basta comportamenti da ragazzina, basta tenere il piede in due scarpe.
Il secondo motivo per cui non volevo sentirlo per telefono era semplice ed evidente. Il tempo di parlare era arrivato, ma tutto sarebbe stato chiarito a voce. Un discorso del genere non poteva assolutamente essere affrontato diversamente.
Non vedevo l’ora di averli entrambi davanti a me. L’attesa adesso mi divorava, e fino all’ultimo sentivo nello stomaco un ingarbugliarsi di agitazione e incertezza. Alisha e Kate avevano notato il mio cambiamento repentino e capirono all’istante lo stato d’animo in cui riversavo non appena raccontai loro del mio incontro con Kentin. Erano dispiaciute perché non avevo nemmeno fatto in tempo ad arrivare che già me ne ripartivo, d’altra parte compresero e appoggiarono la mia scelta di tornare.

«Prima sparisci senza dirmi nulla, e ora torni perché devi assolutamente andare a scuola?» sbraitò mio padre con il viso rosso per la collera appena mi vide entrare in casa «Sei una ragazza irresponsabile Emma, e da oggi sei in puniz…»
Lo bloccai con una mano prima che potesse finire una frase che non mi avrebbe portato nulla di buono. «Hai ragione, sono un’irresponsabile…» dissi con il tono più colpevole che la mia voce permetteva, mentre tiravo fuori dalla borsa una confezione di plastica trasparente a lui molto familiare. Non feci in tempo a rialzare lo sguardo che le sue braccia si erano già allungate verso la scatola come un ago ad una calamita. «Ma quale altra figlia al mondo avrebbe riportato le ciambelline glassate al suo papà?»
«Oh…» il livello della sua voce tornò ad essere stabile. La rabbia svanì gradualmente, grazie al mio contrattacco calcolato giorni prima. Conoscevo bene il mio pollo. Poteva resistere a tutto, tranne alle ciambelline glassate, il famoso emblema della nostra città natale. E quelle furono l’arma dolce e letale che mi permise di scampare la tremenda punizione di papà.
Con passi pesanti e gli occhi semichiusi per la stanchezza arrivai in camera. In tre giorni avevo fatto più di dieci stressanti ore di viaggio in treno e quando infilai le ciabatte che mi attendevano fedeli dietro la porta sentii l’ultima flebile scarica di energia attraversarmi il corpo, dopodiché la fiacca regnò sovrana.
«Sono esausta…» mormorai, stropicciandomi la faccia perché non volevo ancora cedere al sonno.
«A chi lo dici»
Spalancai gli occhi e le mie mani rimasero a mezz’aria all’altezza del viso, impietrite.
Sdraiata sul letto c’era Iris, che leggeva una mia rivista con la massima naturalezza. Senza nemmeno guardarmi sfogliò una pagina e sbadigliando disse «Saranno due ore che ti aspetto»
«Come… Come facevi a sapere…?» biascicai confusa.
«L’altro giorno tuo padre mi ha telefonata per sapere dove ti fossi cacciata. Allora ho chiamato Violet che mi ha raccontato della tua piccola vacanza» spiegò lei, ancora concentrata ad osservare le immagini che le scorrevano davanti.
Quindi Iris era preoccupata per me… Questo significava che mi aveva perdonata?
«Iris, per favore ascoltami…» iniziai avvicinandomi al letto.
Lei si rizzò a sedere, si sistemò la treccia sulla spalla destra e chiuse finalmente la rivista.
«Stop. Non voglio sentire le tue scuse ancora una volta»
La guardai con occhi infinitamente tristi. Se non voleva fare pace, allora perché era lì?
Poi continuò, senza darmi il tempo di arrivare ad una risposta convincente.
«Violet mi ha anche spiegato più o meno la situazione, il tuo battibecco con Rosalya e la tua presa di coscienza sul fatto che non ero stata io a fare la spia…»
Alla sua pausa annuii, trattenendo il fiato.
Iris, con fare teatrale, mi lanciò uno sguardo penetrante e sentii la mia testa spostarsi all’indietro di qualche centimetro. «Questo è un ultimatum. Se ci dovesse essere una prossima volta, non provare più ad accusarmi ingiustamente senza nemmeno permettermi di dire la mia, altrimenti non ci sarà più nessuna Iris che ti aiuterà con le verifiche di matematica. Sono stata abbastanza chiara?»
Quelle parole furono la cosa più bella che mi capitò dopo tanto tempo. Arricciai la bocca per non far scendere le lacrime di sollievo che mi si erano posate negli occhi e saltai addosso alla mia amica buttandole le braccia al collo.
«Scusa, scusa, scusa!» le urlai nelle orecchie.
«Emmaaaa!» esclamò irritata, ma subito dopo ricambiò il mio abbraccio stringendomi più forte che poté.

Il microfono che la Direttrice stringeva tra le mani grassocce sembrava urlare pietà al mondo intero, mentre le casse posate dietro di lei avevano l’infausto compito di far riecheggiare la sua voce squillante, e al tempo stesso straziante, per tutto il perimetro della palestra scolastica. Il caratteristico cinguettio della rosea donnetta era molto più fastidioso del solito, fatto confermato da tutti gli studenti seduti per terra che sentendo le orecchie dolenti morivano dalla voglia di tapparsele, ma soprattutto dalle smorfie dei poveri professori la cui posizione era la più vicina al punto in cui si trovavano le casse portatrici di sventure.
Io ero seduta tra Iris e Violet in un angolo della palestra, attorniata da centinaia di altri studenti con cui stavo condividendo il medesimo destino. Le vacanze di Natale erano ormai alle porte, e giunto questo periodo il liceo Dolce Amoris si apprestava ad allestire con scarso entusiasmo il mercatino di beneficenza e i pomposi addobbi che andavano a decorare ogni centimetro dell’edificio.
Con una Direttrice come la nostra ci si poteva aspettare questo ed altro. In realtà era l’unica a sprizzare gioia da ogni poro nell’organizzare il tutto, proprio perché a lei spettava solo il compito di impartire ordini. Chi doveva sgobbare eravamo noialtri, noi poveri studenti schiavizzati da un enorme confetto rosa.
«Nel mio vecchio liceo l’unico elemento che rappresentasse il Natale era un minuscolo alberello esposto in portineria» sussurrai a Iris.
«Ti invidio…» disse sospirando.
«Guardate il lato positivo» disse Violet, «Per i prossimi tre giorni non avremo lezioni!»
«Sì, ma in compenso sgobberemo come degli asini» conclusi, riportando lo sconforto in mezzo a noi.
La Direttrice stava finendo di illustrare i vari compiti che aveva assegnato ad ogni classe. Fortunatamente il lavoro più lungo e faticoso, alias il mercatino di beneficenza, spettava ai primini. Noi per i prossimi due giorni ci saremmo occupati di addobbare la scuola.
«Mi raccomando miei cari, vedete di impegnarvi come si deve… Altrimenti Babbo Natale vi punirà!» urlò la Direttrice nel microfono con fare minaccioso, per poi esibirsi in un’amorevole risatina spacca timpani.
Mentre ero bloccata tra la folla di gente che usciva dalla palestra intravidi Alexy, il ragazzo conosciuto in gita, che spostava le casse nell’atrio e si improvvisava deejay della situazione sparando a tutto volume i remix delle classiche canzoni natalizie. Sorrisi, cominciando a sentire dentro di me una puntina di quell’entusiasmo di cui la Direttrice era tanto affetta.

Il cortile fu inondato da una marea di persone. Studenti e professori si misero al lavoro aiutandosi a vicenda. Con il sottofondo musicale e il brusio ininterrotto di voci impegnate, l’atmosfera iniziò a farsi decisamente più piacevole.
Un Lysander vestito da folletto di Babbo Natale ci portò uno scatolone pieno di palline colorate da appendere all’enorme albero che avrebbe occupato il centro del cortile.
«Buongiorno ragazze, tutto bene? Mi hanno chiesto di riferirvi che ci sarebbe da dividere tutte le palline in base al colore» l’aria seriosa e tranquilla e quelle parole così innaturali pronunciate da un adolescente stonavano terribilmente con il costume verde che gli fasciava il corpo.
«Lysander…» “come ti sei conciato?”, avrei voluto dirgli. Invece dalla bocca mi uscì tutt’altro. «Sei un folletto perfetto!»
Il ragazzo sorrise pacatamente ma soddisfatto, e si allontanò con il pon pon del capello che ad ogni passo ballonzolava sulla sua testa.

Erano ormai passate le dieci ma non avevo ancora visto chi davvero avevo bisogno di vedere. Loro due. Il cortile era stracolmo di gente e non era facile riuscire a trovarli in una giornata del genere. Sicuramente anche loro stavano dando una mano con i preparativi, da qualche parte…
Prendevo due palline rubino dalla scatola, le trasferivo in un’altra, mi guardavo intorno e ne prendevo altre due. Speravo che in uno di quei istanti in cui potevo lanciare un’occhiata a destra e a sinistra avrei finalmente avvistato una chioma rossa e una bionda in un qualche punto del cortile, ma fino ad allora le mie aspettative erano state vane.
Violet aveva notato la mia agitazione e quando si accorse che anche io la stavo guardando, mi incoraggiò con un sorriso ad occhi bassi. Ricambiai il sorriso e continuai a ispezionare le palline.
D’improvviso un fragoroso applauso e delle grida di approvazione fecero sfumare la concentrazione alla quale mi ero abbandonata, costringendomi a voltare lo sguardo nella direzione da cui proveniva il chiasso.
Alcune persone non ben identificate stavano trasportando un mastodontico albero di Natale facendosi largo tra gli studenti, che avevano creato un passaggio per permettere loro di arrivare a destinazione senza che nessuno si facesse male.
Fu solo quando ebbero oltrepassato la piazzola di fronte all’entrata che riuscii a osservare il volto delle persone incaricate di trascinare il grande abete.
Castiel e Nathaniel camminavano a passo lento alle due estremità del tronco con lo sguardo concentrato sulle braccia che lo sorreggevano. Il primo aveva la bocca serrata e le sopracciglia corrucciate, mentre l’altro, le guance arrossate dallo sforzo, combatteva con i ciuffi di capelli che gli cadevano fastidiosamente sugli occhi.
Sembrava passato tanto tempo dall’ultima volta che li avevo visti, e invece era trascorso solamente qualche giorno. Ora di nuovo vicini a me, ma ancora così distanti…
I miei occhi si spostavano dall’uno all’altro senza tregua, seguendo ogni singolo movimento dei loro corpi. Castiel si accucciò per incastrare il tronco ad una pedana rettangolare e il cappello di lana gli si sfilò dalla testa cadendo per terra. Nathaniel lo raccolse e glielo porse; uno sguardo scettico da parte del rosso, la mascella contratta, ma alla fine lo prese dalle mani dell’altro. Mi si strinse il cuore nel vedere quella scena. Come avrei voluto vedere anche solo il più piccolo segno di resa sul volto di Castiel.

Continuammo a lavorare per tutta la mattinata e anche dopo l’ora di pranzo. L’albero troneggiava sfarzoso nel cortile aspettando solo di essere completato. Poi avrebbe potuto mostrarsi con fierezza in tutto il suo splendore.
L’aria si era fatta pungente, ma il sole continuava a uscire a sprazzi da dietro le spesse nuvole bianche dipinte nel cielo di dicembre.
Seduta su un muretto in lontananza, mi riposavo osservando quel piccolo mondo dove avevo vissuto pochi mesi della mia vita e dove dovevo passarne ancora molti altri.
Mesi che avrei voluto vivere insieme a lui.
Era giunto il momento di prendere in mano quella situazione che si protraeva ormai da troppo tempo.
Nathaniel, alla mia destra, chiacchierava amichevolmente con alcuni ragazzi insieme ai quali stava sistemando una lunga fila di luci a intermittenza sulla ringhiera che circondava il giardino. Il suo sorriso rischiarava l’atmosfera ovattata e la sua risata arrivava cristallina alle mie orecchie.
Castiel, a sinistra, reggeva con aria imbronciata la scala adiacente all’albero su cui era salito un professore. Lo sguardo che gli lanciò la diceva lunga sul livello a cui era arrivata la sua pazienza.
Erano lì, il giorno e la notte. Opposti ma indispensabili.
«Devo andare» dissi a Iris e soprattutto a me stessa.
Lei annuì e mi abbracciò forte. Con un salto scesi dal muretto e accorciai la distanza che mi separava da loro.
Avevo fatto la mia scelta. Sin dall’inizio sapevo cosa fare, a frenarmi era la paura. Ora però ogni tassello andava messo al posto giusto, ed io ero finalmente pronta.
Era la scelta giusta, la scelta del mio cuore.
«Nath…»
Sentendo il suo nome si voltò di scatto rimanendo immobile per pochi istanti mentre mi fissava con la bocca semi aperta, un’immagine davvero poco consona al Nathaniel che conoscevo. Ma si ridestò immediatamente e le iridi gli si illuminarono come non mai.
Sorrisi imbarazzata, ma non staccai nemmeno per un secondo gli occhi dai suoi.
«Ragazzi, scusate un attimo» disse rivolto ai suoi compagni di lavoro. Ci allontanammo da loro per metterci un poco in disparte.
Da quanto aspettavi questo momento, Nath?
Il sole ormai debole si tratteneva ancora nel cielo, ma il suo compito quotidiano stava per giungere al termine.
Non smettevo di torturarmi le mani incrociate l’una nell’altra, e a lui non sfuggì.
Ancora non aveva detto una parola ed era giusto così. Aveva già detto tutto quanto, a parlare stavolta toccava a me. Ma nemmeno allora risparmiò il suo sorriso dolcissimo che mi colpì dritto nel petto. Avevo il battito a mille e temevo che il cuore potesse uscirmi fuori per l’emozione.
«Nath… Ti voglio bene»
La luce dell’ultimo raggio di sole ci colpì in pieno viso accecandoci per un istante. Il sole era appena tramontato e il giorno si ritirava, per lasciare spazio alla notte, carica di aspettative.
«E mi piaci, mi piaci davvero. Ma…»
Quella luce che poco prima aveva illuminato le sue iridi rendendole oro colato svanì di colpo, ma la forza del suo sguardo rimase invariata.
Aveva capito. E lo accettava.
Non c’era bisogno di continuare la frase a voce. Il finale era evidente ad entrambi.
“Ma c’è lui.”
«E’ incredibile» disse, alzando gli occhi verso il cielo che stava arricchendosi di sfumature arancioni. Rimasi in silenzio aspettando che continuasse.
«Lui… Riesce sempre a portarmi via le cose più importanti»
Un’ennesima fitta al petto. Mi ero ripromessa di non farlo più soffrire, e invece lo feci fino alla fine. Nonostante avessi deciso finalmente di chiarire i miei sentimenti, avevo portato altro dolore nel suo cuore. Come se non ce ne fosse già abbastanza.
«Mi dispiace…» bisbigliai con voce tremante. Poi la mia mano, senza che me ne accorgessi, andò a posarsi sul suo braccio. Un gesto tanto spontaneo quanto incosciente. Ma quella volta no, Nathaniel non avrebbe sopportato. Fu quasi incredibile assistere al movimento secco del suo braccio che mi scansava. La mascella serrata talmente forte da fargli socchiudere gli occhi, i muscoli delle spalle che mi imploravano di andare via.
Non aggiunse altro. Avevamo entrambi esaurito le parole, poiché continuare quel discorso non avrebbe avuto senso. Tutte le frasi che mi ero preparata con cura, tutto quello che mi sentivo in dovere di dirgli... Senza che dicessi nulla, lui l'aveva capito.
Mi guardò un’ultima volta, prima di rivolgermi un cenno di congedo e tornare dai suoi compagni. La sua professionalità lo guidò anche in quel momento, sebbene io sapessi con chiarezza che quella schiena larga e rigida fasciata dalla solita camicia inamidata, nascondeva un’amara delusione, visibile soltanto a me.

Il cielo si era completamente tinto di rosso. Il brusio di voci della gente che mi circondava arrivava alle mie orecchie come un suono lontano. Ero concentrata soltanto sulla chioma che ora rispecchiava il colore del tramonto.
L’ultima volta che avevamo parlato mi aveva rivolto parole dure come pietre e nelle mie tasche non avevo alcuna certezza che sarei riuscita a trasmettergli quello che provavo. Soprattutto, non ero sicura che lui volesse ascoltarmi. Ma dovevo provarci, perché lui era ciò che desideravo più di ogni altra cosa.
Castiel.
Il nostro primo incontro non troppo tenero. La volta in cui mi portò via da Amber prima che potessi assestarle altri dieci schiaffi. La sensazione dei suoi capelli lisci come la seta tra le mie mani, mentre ero impegnata a fargli la coda negli spogliatoi del club di basket. Il risveglio a casa sua e il ricordo dei nostri visi così vicini… Scoprire del suo passato, collegato a quello di Nathaniel e Rosalya e andargli contro senza immaginare quali potessero essere le sue vere emozioni. Il pomeriggio insieme a lui e Demon, e l’essere riuscita ad entrare un po’ nel suo cuore. Quel bacio a cui ripensavo ogni singolo istante delle mie giornate. Il dolore che avevo dentro e che ero riuscita a spiegare soltanto a lui. I nostri cuori a contatto ma per così poco tempo. Poi, il muro che aveva deciso di erigere ingiustamente contro di me.
Castiel mi aveva fatto vivere tutto questo.
Volevo abbattere quel muro e fargli capire che si sbagliava. Non sapevo davvero come avrei fatto, ma ce l’avrei messa tutta per arrivare a lui.
Distavo da lui più o meno una decina di metri quando Iris venne da me per dirmi che lei e Violet dovevano andare a prendere degli attrezzi nel sottoscala per ordine di un insegnante.
«Ho detto al prof che sei in bagno, vedi di non farti trovare altrimenti ti spedisce sotto da noi»
«Grazie, Iris» sorrisi alla mia amica che mi lanciò uno strano sguardo. Subito dopo però si voltò e io rimasi a guardarla mentre si allontanava. Non feci in tempo a chiedermi del perché di quella sua espressione, che una sensazione anomala si fece largo nel mio stomaco. Il profumo che avevo tanto sperato di poter risentire arrivò dritto nelle mie narici, salendo fino al cervello. Socchiusi gli occhi, inebriata.
Possibile riuscire a sentirlo così forte da quella distanza?
L’impressione che avevo nella mente si tramutò poco dopo in certezza.
Lui era lì, dietro di me.
Ero convinta che non mi avesse vista, eppure sentivo chiaramente la sua presenza a due passi di distanza dalla mia schiena.
Mi voltai di scatto e l’immagine del suo viso marchiata nei miei occhi mi fece sussultare. Castiel mi guardava enigmatico con la bocca corrucciata e lo sguardo concentrato, sembrava come se mi stesse vedendo per la prima volta.
Feci un piccolo passo verso di lui e dovetti alzare un poco la testa per continuare a perdermi nei suoi pozzi scuri e profondi. Castiel non si mosse di un centimetro, ed entrambi rimanemmo immobili come in attesa di qualcosa. Ma non accadde nulla.
Poi, come se di colpo fosse riemerso dai suoi pensieri, tirò fuori la mano dalla tasca e prese la mia, stringendola così forte da farmi male. Salimmo frettolosamente i gradini che portavano all’ingresso e camminammo a passo veloce finché Castiel non deviò strada svoltando in un lungo corridoio buio e deserto. L’unica luce era quella lieve e soffusa del tramonto che stava ormai per scomparire. Entrava dalla grande finestra che sormontava la parete di fianco a noi e illuminava i nostri volti rendendo quella situazione inspiegabilmente surreale.
Scrutando la sua fronte e le dure sopracciglia ammorbidite dal contrasto che la luce creava su di esse mi resi effettivamente conto di quanto mi era mancato averlo così vicino. E dentro di me un nuovo sentimento di fiducia mi suggeriva che forse non tutto era ancora perduto.
Fu lui il primo a rompere quel silenzio prolungato.
«Sei stata afflitta da una febbre eterna?» mi chiese con un ghigno.
«Mi dispiace che il mio corpo non sia virile come il tuo, mister “sfido il clima invernale boicottando il cappotto”» rispondere a tono alla sua provocazione fu un gesto istintivo.
Castiel arricciò il labbro superiore facendo un passo verso di me e accorciando ancora di più la poca distanza che separava i nostri corpi.
«Al contrario tuo, io oggi ho sudato» disse lentamente, guardandomi dall’alto con fare di superiorità.
«Ma fammi il piacere… Mentre trasportavi l’albero eri l’incarnazione della disperazione»
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che ci eravamo punzecchiati in quel modo così spensierato? Mi pareva impossibile parlare con lui senza sentir volare parole poco piacevoli.
Castiel mise subito fine a quella piccola sfida di provocazioni iniziando a frugare nelle sue tasche alla ricerca di chissà cosa.
C’era una questione rimasta in sospeso tra noi e non sapevo se effettivamente volesse risolverla discutendone con me in modo ragionevole.
Ma Castiel sembrava non avere la minima intenzione di parlare del nostro litigio. Continuai a osservare le sue mani che si muovevano nelle tasche dei pantaloni, finché non tirò fuori un piccolo oggettino rosa che a prima vista non riuscii a identificare.
Il rosso si grattò dietro la nuca con fare vago mentre con l’altra mano posava quell’oggetto nella mia.
Quando aprii il palmo vi trovai sopra un piccolo portachiavi con la forma di un maialino rosa. Dapprima non dissi nulla, troppo disorientata da ciò che Castiel aveva appena fatto.
Poco a poco realizzai che avevo appena ricevuto un regalo da lui e per quel motivo dovevo assolutamente controllare se la terra stesse ancora girando nel verso giusto.
Le miriadi di espressioni che assunse la mia faccia dovettero innervosirlo un bel po’, perché si schiarì la gola per poi riallungare la mano verso di me.
«Se non lo vuoi me lo riprendo» disse scocciato, ma le sue guance leggermente arrossate tradivano un certo imbarazzo.
Guardai lui, poi di nuovo il pupazzo, e infine di nuovo lui. Mi decisi a chiudere la bocca e sfoderai un sorriso grande quasi quanto l’affetto che provavo per il ragazzo di fronte a me.
Probabilmente non si aspettava una reazione del genere, perciò iniziò a farfugliare qualcosa per non cedere troppo a quel fastidioso imbarazzo che proprio non gli si addiceva.
«Non è che l’abbia comprato apposta… Era in una vetrina insieme a tanti altri maiali… E visto quel tuo ridicolo pigiama ho pensato che…»
Quelle parole così confuse suonarono meravigliose alle mie orecchie. Mi stava trasmettendo un messaggio estremamente importante. Castiel non era il tipo che chiedeva scusa dopo essersi accorto di aver sbagliato. Te lo avrebbe dimostrato, certo, ma non nel modo in cui ti saresti aspettato. Un portachiavi a forma di maialino era la sua richiesta di perdono.
Nemmeno la mia risposta aveva bisogno di parole.
Il suo petto sporgeva verso di me e le sue labbra rosse per il freddo erano l’unica cosa che i miei occhi visualizzavano da quando mi aveva presa e portata in quel corridoio.
Mi fiondai su di lui senza aspettare un secondo di più e gli gettai le braccia intorno al collo. Lo baciai con forza divorandogli quelle labbra che avevo assaporato tempo prima senza mai più perdere la sensazione che avevano lasciato sulle mie. Ero elettrizzata perché Castiel restò sbalordito dalla mia iniziativa. Ma non dovetti aspettare molto prima di sentire le sue mani cingere con vigore i miei fianchi, alzandomi da terra e poggiandomi non troppo dolcemente sul davanzale della finestra. L’oscurità ormai avvolgeva i nostri corpi da cui traboccava una bramosia senza limiti.
Castiel mi desiderava quanto io desideravo lui, e quella consapevolezza mi fece provare una sensazione incredibile. Era mio, finalmente mio. Soltanto questo contava.

Ci staccammo solo dopo che la luce automatica illuminò di colpo tutto il corridoio, facendoci sobbalzare. Mi sentivo come un ladro beccato con l’oro tra le mani.
Castiel si sistemò i capelli scompigliati dalla frenesia del momento, lanciandomi una finta occhiataccia.
«Attenta a non sciuparmi…» disse con voce roca.
«Falla finita» dissi, indicando il succhiotto sul mio collo gonfio.
Posò le mani sul davanzale ai lati delle mie gambe e poggiò la fronte contro la mia.
«Mi spieghi perché ogni volta dobbiamo avere questi maiali come spettatori?» chiese con espressione serissima.
«Non dirmi che riescono a metterti tanto a disagio» lo provocai, sorridendo.
«Sei tu che mi metti a disagio, molestatrice!»
Scoppiai a ridere e lo spinsi via, mentre il mio cuore urlava di felicità.

Si era fatto tardi ormai, alunni e professori si preparavano per tornare a casa.
Non capivo se fosse solo frutto della mia immaginazione, ma da un po’ sentivo lo sguardo di qualcuno sulle spalle. La cosa in realtà non mi disturbava più di tanto, avendo la testa proprio da tutt’altra parte in quel momento. Ero tornata ad aiutare le mie due amiche e insieme sistemavamo le ultime cose prima di andare via anche noi.
Immersa nei miei pensieri, tornai alla realtà quando sentii qualcuno chiamare a gran voce un nome a me -purtroppo- familiare.
«Rosalya!»
Di scatto seguii con la testa la direzione da cui proveniva quella voce e mi ritrovai a fissare gli occhi dorati di quella terribile e bellissima ragazza.
Stava parlando con l’amica che l’aveva chiamata, ma il suo sguardo era puntato su di me al pari di un segugio intento a scrutare la sua preda.
Aveva perso, ma l’unica a saperlo ero io.
Sentendomi per la prima volta così sicura di me, le lanciai un sorrisetto beffardo che ero certa avrebbe scatenato la sua ira. Avrei tanto voluto mostrare a tutti quell’anima da iena che covava dentro di se, ma decisi di accontentarmi della mia vittoria a lei ancora ignota.
Fu Castiel a compiere la vendetta al posto mio. Il cortile si era svuotato quasi del tutto quando venne da me dopo aver salutato i suoi amici.
«Hai finito di non lavorare?»
«Veramente ho sgobbato molto più di te, che non hai fatto altro che chiacchierare con i tuoi amici…»
Castiel strabuzzò gli occhi «Dannata molestatrice… Smettila di spiarmi sempre!»
Violet sorrise timidamente per il nostro scambio di battute, mentre Iris lanciava uno sguardo d’intesa al rosso.
Sospettavo che ci fosse il suo zampino dietro la resa di Castiel, ed anche per questo le ero molto grata. Mi ero ripromessa di costruire una statua in suo onore prima di morire.
Poi anche lui si accorse che Rosalya, poco lontano da noi, ci stava guardando. Io serrai le mascelle facendo finta di niente, ora che avevo trovato la felicità non volevo rovinare nulla perciò restai in silenzio.
Non so dire quante giravolte fece il mio stomaco quando Castiel mi prese per mano e si diresse verso Rosalya, passandole vicino prima di lasciare il liceo.
E ad essere sincera, ricordare il suo bel visino che assumeva espressioni deformi dettate dall’odio per un piccolo gesto voluto da Castiel, valse più di ogni mia altra vendetta.

Noi due soli, la strada sotto i piedi, la fine di un’apparentemente normalissima giornata scolastica, i lampioni che illuminavano le nostre figure in quel tardo pomeriggio di dicembre.
Come potevo sentire freddo quando c’era il suo calore a pervadermi?
Castiel, il mio buio travolgente, la mia notte oscura, mi riaccompagnava a casa.
Ed io, certa di non sognare, assaporavo quell’anelata normalità come la cosa più bella del mondo.
 


 
Night and Day

Fine


 
Note autrice: T.T ho scritto davvero "fine"...?
Sì, è davvero la fine. Sono un po' triste, ad essere sincera. Perché mi sono affezionata a questa storia, nonostante la miriade di errori (di tutti i tipi) presente in essa. Ma sono anche felice perché è la prima fanfiction lunga che riesco a concludere. Vi svelerò un segreto: da anni e anni ormai, in un'impolverata cartella del mio pc dormono tanti documenti di word contenenti storie iniziate e mai portate a termine. Il mio buonsenso mi ha sempre detto di non pubblicarle poiché sapevo bene che non era facile terminarle, ma con Night and Day ce l'ho fatta. Ed anche se è acerba e imperfetta, ho finalmente raggiunto questo traguardo. Sono fiera di me!
Prima di passare ai saluti voglio spiegare un paio di cosette che magari potrebbero risultare non troppo chiare.
Il fatto che Kentin non risponda al messaggio di Emma è sintomo della sua decisione di voler chiudere i ponti con lei. Essendone sempre stato innamorato, ha deciso di non soffrire più sapendo che il suo amore non sarebbe mai stato corrisposto, ma comunque legato dall'affetto che prova per lei la aiuta per l'ultima volta a far chiarezza nei suoi sentimenti. Dopo aver portato a termine questo "compito" sparisce dalla sua vita, e la sua non risposta all'sms conferma tutto questo.
Un'altra cosa che temo non si sia capita è la questione apparentemente irrisolta tra Nathaniel e Castiel. Il primo grazie ad Emma ha capito che la storia tra Castiel e Rosalya era stata equivocata e da parte sua probabilmente c'è un minimo di volontà a riappacificarsi con l'ex amico, ma per Castiel è stato un colpo davvero duro, per questo non vuole nemmeno provare a riavvicinarsi a lui (almeno per il momento, in futuro...chissà). In qualche modo ho voluto rendere questa situazione abbastanza realistica, anche perché sarebbe stato troppo strano vedere il gatto e il topo sopportarsi a vicenda...no?
Queste erano le cose che volevo chiarire... Alla fine, come penso si fosse già capito, Emma ha scelto Castiel. Mi dispiace per tutte le fan di Nath (me compresa) che speravano di vederlo felice in questa storia y.y quanto sono stata cattiva... Purtroppo c'è sempre qualcuno che deve soffrire!
E' ora di passare ai ringraziamenti!
Ringrazio tutte le persone che hanno letto e recensito la mia storia, ringrazio chi l'ha aggiunta alle seguite/preferite/ricordate, ed anche quelle persone che l'hanno visualizzata (e magari letta) senza lasciar traccia...
Ringrazio in particolare la carissima Gozaru che è stata con me fino alla fine, supportandomi sempre! Grazie mille <3
Night and Day vi saluta... Speriamo di rileggerci in un'altra storia, magari!

Sakyo
  
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