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Autore: Valpur    05/01/2014    1 recensioni
C'è una fattoria in mezzo ai campi e alle colline. Le galline, le oche, un vecchio cane, un asino grasso e delle capre indisciplinate.
E poi c'è lei. Che è pezzata, muggisce e ha il cuore grande.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tanto tempo fa, in mezzo a una campagna tutta colline e boschi, c’era una fattoria. Una di quelle belle, di fianco al fiume, con la ruota del mulino che girava placida e le rane nell’erba. L’aia era sempre spazzata e in ordine e il vecchio cane non aveva neanche bisogno di fare la guardia, ma ci teneva lo stesso ad essere attento ad ogni movimento sospetto. Anche se, a dirla tutta, il massimo che gli capitava era di dover scacciare qualche faina con un abbaio rauco.
E nell’aia c’era sempre un nugolo di pulcini, disordinati attorno alle chiocce tonde e paffute per tutto il buon grano che il fattore dava loro ogni giorno. Galline, pulcini ma anche oche, grandi e piccole. In fondo al cortile c’era la stalla; le capre, com’è nella loro natura, non erano molto disciplinate e il povero fattore doveva spazzare e rassettare ogni giorno per via del fieno che rovesciavano e calpestavano. Ma loro erano sempre così contente di vederlo che andavano a brucargli gli stivali e gli trottavano attorno, e lui non riusciva a restare arrabbiato troppo a lungo. Ben diverso era l’asino, placido e posato e sovrappeso (ma lui sosteneva fossero tutti muscoli), instancabile quando doveva trasportare in paese i prodotti dei campi ma amante del meritato riposo.
E poi c’era la mucca. Una enorme mucca pezzata, bianca e nera, con gli occhi tondi così grandi che i pulcini ridevano nel vedersi specchiati per intero. Aveva ciglia lunghe, un nasone umido e un cuore gigante. Sì, perché la mucca era nella fattoria da tanti, tantissimi anni. Il contadino le voleva molto bene e, da quando era nata, l’aveva sempre tenuta con sé. La mucca voleva bene a tutti gli altri animali, al punto di fare il possibile per aiutarli come poteva: aveva allattato lei le caprette quell’anno che la loro mamma si era ammalata e non era riuscita a prendersene cura. Aveva scacciato un losco figuro che si era infilato nel cortile l’estate precedente: il cane dormiva ed era duro d’orecchie, ma non si sarebbe mai perdonato un simile fallimento. E lei, che si era accorta di quel tizio che camminava nell’ombra, si era messa a muggire forte e a battere gli zoccoletti contro la stalla. Il losco figuro se n’era andato e lei non ne aveva mai parlato col vecchio cane: non voleva che ci rimanesse male!
E quella volta che l’asino si era azzoppato? Il contadino era stato davvero in pensiero, ma la mucca si era detta che poteva essere in grado di tirarlo anche lei, il carretto. Aveva consegnato la merce al mercato e il contadino l’aveva ricompensata con delle mele, ma nulla l’aveva gratificata quando il ragliare entusiasta e felice dell’asino, che aveva così avuto modo di rimettersi e di tornare presto al lavoro.
Quella mucca aveva persino tenuto al caldo le chiocce e le oche durante un inverno così terribile da gelare l’acqua nel pozzo. Aveva scaldato loro e le loro uova ed era anche riuscita a sopportare i pulcini e il loro continuo pigolare finché il tempo non era tornato sereno.
Tutti la adoravano e lei si sentiva utile, amata e felice.
Ma poi ci fu la grande tempesta. Era estate, un’estate di aria torrida e immobile e di campi gialli. Il raccolto non sarebbe stato abbondante ma il contadino, preoccupato sotto la tesa del cappello di paglia, pensava sarebbe andato tutto bene. Ma poi, una mattina, il cielo si gonfiò e si ruppe, il vento strappò le tegole dal tetto e sollevò turbini di polvere nell’aia. Il cane ululò incessantemente, un allarme e un lamento. Le chiocce si strinsero in fondo al pollaio, le oche raccolsero i loro pulcini sotto le ali e le tennero ben ferme con i lunghi colli mentre l’aria furibonda arruffava le piume.
La mucca guardava il cielo giallo e viola e verde. Le pizzicavano i cornini, e quello non era mai un buon segno. Infatti le nuvole tonde e pesanti si infransero in un torrente di ghiaccio; la grandine, i chicchi grossi come uova, picchiò sui tetti e sui vetri. Piegò gli steli, schiacciò il raccolto e distrusse i frutti sugli alberi.
Il contadino, una volta che la grandine si fu trasformata in pioggia e la pioggia ebbe lasciato il posto a un pomeriggio umido e soffocante, si piazzò sul bordo dei suoi campi e si tolse il cappello.
Andati. Tutti andati. Ogni stelo era spezzato, ogni spiga sgranata; le pesche erano cadute e le mele bucate.
Era rovinato.
Ci pensò mentre sguazzava nel fango del sentiero che portava a casa. Il cane si stava scrollando dall’acqua e l’asino tornava a sporgersi calmo dalla stalla. Le capre belavano piano e si chiamavano a raccolta, polli e oche razzolavano ignari del disastro.
Solo la mucca non si affacciò verso il cortile.
Lei lo conosceva bene, il contadino. Da tanti anni, da quando non era che una vitellina tutta occhi e orecchie. In tutti quegli anni era cambiato, era invecchiato, ma non lo aveva mai visto così curvo. Se il raccolto era perduto allora non ci sarebbero stati soldi, e senza soldi mantenere gli animali era impensabile. Ma le capre erano utili e il formaggio fatto col loro latte si vendeva bene. Anche le uova delle oche e delle galline erano richieste e sempre abbondanti: erano un investimento, non solo una spesa. E sicuramente non era pensabile fare a meno dell’asinello –il carretto non si sarebbe certo tirato da solo!- o del cane, vecchio e affezionato com’era.
Ma lei… lei era forte, era in gamba e poteva cavarsela. Sapeva che era solo l’affetto a muovere la decisione del contadino di tenerla con lui e il pensiero le spezzava il cuore, ma era necessario. Se c’era qualcuno di cui lui poteva fare a meno era lei.
Attese il buio, spinse col nasone il cancello della stalla e si allontanò.

 

Il mattino seguente la stalla era vuota. I pulcini furono i primi a notare la mancanza della mucca e corsero ad avvisare le chiocce e le mamme oca. Una dozzina di becchi e zampe palmate si affacciò alla stalla e ispezionò ogni angolo, anche sotto la paglia. Niente, la mucca non c’era più.
Allora le galline andarono dalle capre, e i loro belati salirono fino alle nuvole. Le oche corsero dall’asino e la notizia lo sconvolse a tal punto che si mise a sgroppare e a mordere il cancello di legno. Il cane accorse per quanto le vecchie zampe glielo permettessero e zittì tutti con un bau. Piantò il naso per terra e controllò la stalla vuota. Sì, sì, era andata di lì, si disse seguendo quella traccia che per lui era così chiara. Col muso chino zigzagò per il cortile fino al confine coi campi, quindi si voltò.
La mucca se n’era andata. Sparita.
Ma non è possibile, gridarono tutti. Non può lasciarci, non è giusto! E poi perché?
Il cane la sapeva più lunga di loro. Con lo sguardo offuscato sull’orizzonte contemplò la rovina dei campi e scosse la testa. Se n’era andata per non essere un peso, forte della sua testardaggine e della convinzione di potersela cavare. Se n’era andata per permettere a loro di rimanere: ancora una volta si era rivelata essere la vera mamma della fattoria.
Il contadino fu disperato nello scoprire la stalla aperta e vuota, ma tutti gli animali si accorsero che c’era un’ombra di accettazione nello sguardo. Sapeva anche lui che i soldi sarebbero stati pochi e che la mucca aveva agito per il bene di tutti. Si tolse il cappello di paglia e tornò in silenzio dentro alla casa.
Per tutto il giorno gli animali restarono quieti, tristi per la partenza della mucca.
Ma la sera il raglio chiassoso dell’asino richiamò tutti al suo cospetto. Oche e galline si appollaiarono sulla staccionata, il cane –dopo essere stato chiamato un paio di volte più degli altri- si sedette sbuffando e le capre si sporsero dal loro recinto.
L’asino parlò chiaramente: ci aveva riflettuto e non potevano starsene lì impalati, ad aspettare che la mucca si allontanasse tanto da non essere più rintracciabile! Anzi, era trascorso pure troppo tempo! Loro non conoscevano bene la campagna (be’, l’asino sì, come si premurò di far presente) ma non erano certo soli, nella fattoria. Le rane scelsero proprio quel momento per gracidare più forte e una fila di topolini corse veloce sulla grondaia. Anche loro volevano bene alla mucca, sempre così gentile e pronta a condividere le granaglie… o ad attirare le mosche di cui le rane erano ghiotte! Avrebbero aiutato come potevano, avrebbero sparso la voce e riferito ogni dettaglio.
Si levò un coro di approvazione così fragoroso che il contadino trottò fuori per vedere cosa stesse succedendo.
Nei giorni successivi, però, nessuno degli animali si limitò a restare lì e ad aspettare notizie.
Il cane pensò a lungo: aveva ancora un buon naso, in fin dei conti. E va bene, non era più un giovanotto e ci sentiva poco, ma non era forse anche colpa della pigrizia in cui si era lasciato andare se si sentiva così vecchio? Quell’odore così forte che ogni tanto sentiva ai margini della fattoria… sì, se lo ricordava. La prima volta che tornò da uno dei suoi giri con un fagiano in bocca il contadino si meravigliò così tanto da cadere dalla sedia, ma a giudicare da come batté le mani non doveva essere dispiaciuto. E i fagiani venivano pagati bene giù in paese, così il cane prese l’abitudine a gironzolare e a portare a casa tutta la selvaggina che trovava.
Anche l’asino si sforzò di rendersi utile; quando il contadino si dimenticò di chiudere la sua stalla uscì cauto e andò a ragliare a casa del vicino. E questi si stupì nel vederlo davanti alla sua porta, ma in fin dei conti perché non approfittarne? Lui non ce l’aveva, un asino: la sua somarella aveva avuto un piccolo e non poteva certo lasciarlo! Così il vicino attaccò il proprio carretto, andò in paese e, quando riportò l’asino al suo legittimo proprietario, aggiunse anche una bella mancia per il disturbo. Col tempo anche altri vicini chiesero al contadino di usare il suo ciuco, e ogni volta pagavano con generosità, quasi quanto la gente in paese per la selvaggina.
Ma della mucca non c’era traccia.
Rane, topi, rondini e merli passavano ogni giorno scuotendo la testa, rassegnati. Nessuno sapeva che fine avesse fatto quella mucca così coraggiosa.
Il contadino si detestava ma doveva ammettere che, nonostante la grandine, non dover mantenere la mucca stava portando un leggero miglioramento nelle casse della fattoria. Eppure ogni volta che passava davanti alla stalla vuota doveva distogliere lo sguardo. Era così strano, così sbagliato portare la biada alle capre e all’asino… e poi fermarsi, perché non c’era più nessun altro da sfamare. Se l’avesse trovata, se fosse tornata forse avrebbe trovato anche un modo per tirare avanti nonostante la brutta annata. Si trattava solo di resistere qualche mese, l’anno successivo sarebbe andata meglio e dopotutto l’uva non era stata distrutta dalla tempesta…
Ormai nessuno ci sperava più. Solo i pulcini, ormai cresciuti, continuavano ad appollaiarsi al limitare dei campi. Loro se lo sentivano che prima o poi la sagoma paffuta della mucca si sarebbe stagliata laggiù, sulla cima della collina, e lei sarebbe corsa scampanacciando verso di loro. Ma mentre le giornate si accorciavano anche quella speranza iniziava a svanire.
Si era fatto autunno e le foglie dei pioppi erano tutte gialle. I campi, invece che brillare d’oro, erano marroni e spenti, il frutteto spoglio. E il contadino ancora non riusciva a passare davanti alla stalla vuota senza che gli venisse il magone.
Anche quella sera, alla luce della candela, continuava a contemplare il fieno che aveva cambiato lo stesso –nel caso la mucca fosse tornata voleva che tutto fosse perfetto- e tirava su col naso.
Nel silenzio, poi, il cane abbaiò. Il contadino non si volse nemmeno ma quasi sorrise bonario: era un bravo cane e ultimamente sembrava essere ringiovanito, con quell’abitudine a portargli lepri e fagiani. Era ancora sordo come una campana, ma era un buon amico.
Se fosse anche stato zitto… ma cosa gli prendeva, da abbaiare così forte? E non solo lui! L’asino puntò il naso al cielo e iniziò a ragliare, le capre presero a saltare come molle… per non parlare del chiasso che arrivava dal pollaio!
Prima ancora che potesse voltarsi un’idea assurda gli balenò nella mente. Perché aveva l’impressione che fossero tutte grida di gioia?
Si girò verso il sentiero; era quasi buio e restava solo un residuo violaceo di luce nel cielo. La sagoma che si profilava sulla sommità della collina era davvero grossa… enorme.
Il contadino strizzò gli occhi. Erano corna, quelli che vedeva? E non un paio soltanto…
Il clangore del campanaccio non fece che confermare quello che sospettava. E il cuore gli si gonfiò nel petto.
Era tornata! La mucca era tornata! Galoppava giù per il sentiero con la coda al vento, tutta bianca e nera, col naso umido e il cuore gigante. Ma non era sola! Una seconda mucca –bianca e tarchiata- le trottava dietro, e una vitellina di non più di qualche settimana, ancora scoordinata sulle zampe troppo lunghe.
Il contadino corse così in fretta da perdere il suo cappello di paglia. La mucca lo raggiunse e quasi lo atterrò con una nasata ma a lui non importava, non importava più. Gettò le braccia al collo dell’amica che se n’era andata per aiutarlo… e che era tornata, di nuovo, per aiutarlo.
“Non andare più via!” bofonchiò. Non avrebbe pianto, era un omone adulto, no? Era solo la polvere che gli entrava negli occhi.
La mucca pezzata passò la sua lunga lingua ruvida sulla testa pelata del contadino. La sua nuova amica e la vitellina restarono in disparte, spaventate, ma la mucca scosse il testone: no, questa non è la fattoria da cui siete scappate. Qui staremo bene, ve lo prometto.
E tutti assieme tornarono nel cortile, salutati dalle grida festose dei pulcini ormai cresciuti, delle oche, delle galline, delle capre, dell’asino che non era poi così grasso e del cane che non era poi così vecchio.




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Questa storia... ha una storia tutta sua. Una storia che parte dalla richiesta di un fidanzato: "scrivimi una storia".
Una richiesta che è rimasta lì per anni, anche perché in realtà erava un po' uno scherzo per entrambi.
Ma poi, con l'avvicinarsi del Natale, mi sono trovata con l'odio per lo shopping, con l'ansia da pacchetto. Volevo, per una volta, un regalo che potessi fargli solo io. E così eccola qui, una fiaba semplice, a lieto fine. E con le mucche, perché a lui le mucche piacciono tanto.
Posso dire che il regalo è stato accolto con stupore e tanta gioia. E non sono mai stata così felice di aver donato qualcosa di mio!
Una fiaba, quindi, e un esperimento.

   
 
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