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Autore: MeMedesima    05/01/2014    4 recensioni
Rukia si girò su un fianco, raggomitolandosi come un gatto. Gli incubi erano iniziati di nuovo. Anzi no, non gli incubi. Ogni notte era sempre lo stesso, l’incubo di quella notte.
Affondò la fronte nel cuscino. «Patetica… sono davvero patetica», disse fra sé e sé.
«Questa volta mi costringi a darti ragione», rispose una voce dall’altra parte dell’armadio.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Where my demons hide

When you feel my heat

Look into my eyes

It's where my demons hide

It's where my demons hide

 

Don't get too close

It's dark inside

It's where my demons hide

It's where my demons hide

 

Rukia si svegliò con un sussulto.

Scattò a sedere, prendendo grandi boccate d’aria. Si guardò attorno nella penombra, i muscoli tesi come una corda di violino.

Impiegò qualche secondo per capire che non si trovava più nel suo sogno. “Ma dove diavolo…”. Era in una specie di… stanza? Allungò la mano per toccare le pareti. “Oh”. Sospirò di sollievo, ma alle sue orecchio suonò più come un singhiozzo. “Sono a casa di Ichigo. Va tutto bene”.

Si lasciò ricadere sul letto, prendendo dei respiri profondi, e dopo un poco il suo cuore rallentò. Le mani però non smisero di tremarle.  

Le cacciò sotto le braccia, sbuffando. Ora che l’agitazione era passata iniziava ad essere seccata. Era già accaduto due volte quella settimana. Questa era la terza. Quando era ancora alla Soul Society non avveniva più. O almeno, non così spesso. Ma da quando era entrata in quel gigai – o era stato dopo aver visto Ichigo combattere contro Big Fisher? – gli incubi erano iniziati di nuovo.

Anzi no, non gli incubi. Ogni notte era sempre lui, l’unico che avesse mai avuto da quando era morta. L’incubo di quella notte – il buio che incombeva sulle punte degli alberi, il riflesso argentato del Capitano che scivolava a terra, lo sguardo vuoto di Kaien e le proprie mani sporche di sangue e…

Si girò su un fianco, raggomitolandosi come un gatto. Non l’aveva mai detto ad Ichigo, ma quell’armadio era perfetto per dormire. Dopo quella notte aveva iniziato a detestare i luoghi troppo aperti. Si sentiva… schiacciata. Più persa di quanto non fosse già. Forse era per quello che aveva iniziato ad odiare le enormi stanze di palazzo Kuchiki. Nemmeno questo l’aveva detto a Ichigo – era sempre così attenta a non rivelare nulla su sé stessa. Sembrava il tipo di cosa di cui avrebbe potuto parlare con Renji… se si fossero ancora rivolti la parola, ovviamente.

Si stese a pancia in giù, affondando la fronte nel cuscino. «Patetica… sono davvero patetica», disse fra sé e sé.

«Questa volta mi costringi a darti ragione», fece una voce dall’altra parte dell’armadio.

Il suo cuore accelerò di nuovo – l’aveva presa di sorpresa. «Torna a dormire, Ichigo», sbuffò, scivolando senza fatica nel solito ruolo di shinigami gelida ed impassibile.

«Cosa credi, è tutta la notte che ci provo», disse di rimando il ragazzo. «Perché sei sveglia, tu?».

«Fatti gli affari tuoi».

«Ehi!», rispose Ichigo in tono offeso. Rukia sentì il tonfo di qualcosa che atterrava contro l’anta dell’armadio – molto probabilmente il suo cuscino. «Non c’è bisogno di essere stronzi, ho solamente chiesto!».

Prese fiato un’altra volta. «Beh, io ti ho risposto, quindi ora puoi dormire tranquillo».

Ichigo grugnì, lasciandosi ricadere sul letto a peso morto. La ragazza chiuse gli occhi, sforzandosi di non sentirsi in colpa. Ogni giorno che passava era sempre più difficile tenere le distanze e trattarlo rudemente, insistendo a non fidarsi. La verità era che quel moccioso le aveva ispirato fiducia fin dal primo momento in cui l’aveva visto – gli aveva affidato i propri poteri, per la miseria. Quelli che aveva ottenuto faticando per più di cinquant’anni. Sbuffò fra sé e sé. Una delle azioni più stupide che avesse mai fatto, ma per quanto ci provasse non era mai riuscita a biasimarsi per quello…

«Rukia». La voce di Ichigo interruppe i suoi pensieri.

«Che c’è ancora?».

Il ragazzo fece una pausa prima di rispondere. «Ti ho sentita. Prima, quando ti sei svegliata. Brutti sogni?».

«Io-», Rukia esitò, presa alla sprovvista. “Diglielo”. Non credeva di essere stata così rumorosa. Era diventata piuttosto brava a diventare invisibile, a passare inosservata. Aveva avuto fin troppa pratica. “Diglielo”. «Io…», esitò di nuovo. «Credevo di aver sentito un hollow avvicinarsi».

«Ah», la ragazza sentì la tensione allentarsi nella sua voce. «Sei sempre al lavoro tu, eh?».

«Già», confermò debolmente.

Ci fu una pausa di qualche secondo, poi dall’altra parte dell’armadio si sentì un rumore di lenzuola strofinate le une contro le altre. «Meglio tornare a dormire allora».La ragazza non rispose, limitandosi a chiudere di nuovo gli occhi.

Il resto della notte trascorse in fretta e senza sogni.

 

«E allora che gli hai detto?».

Ichigo sbuffò, continuando a camminare. Era notte fonda e stavano tornando a casa Kurosaki dopo il disastroso incontro con Don Kanonji all’ospedale abbandonato. Il ragazzo non vedeva l’ora di buttarsi sul letto e dormire fino al mattino dopo, Rukia poteva capirlo dal suo tono di voce.

«Cosa cavolo vuoi che abbia detto?», rispose Ichigo. «”Sarai il my discepolo numero uno”, dice lui! Ho fatto dietro front e me la sono andata a gambe! Quello è pazzo, non ci piove».

Continuò a camminare, piantando le mani sui fianchi e sbuffando di nuovo. Rukia gli lanciò un’occhiata distratta. Le gambe gli tremavano.

«Forse è meglio che facciamo una pausa».

«Ma se mancano cinque minuti», protestò il ragazzo.

«Sei esausto, Ichigo».

«Ma non sparare caz-».

Rukia gli allungò un calcio sul retro delle ginocchia, facendolo finire lungo disteso sulla strada. «Mi fa piacere che tu abbia cambiato idea», commentò sarcasticamente.

Ichigo si tirò a sedere contro il marciapiede e le lanciò un’occhiataccia. «Maledetta…».

«Zitto». La ragazza si chinò di fianco a lui e gli posò una mano sulla spalla, dove il kimono si era strappato. Scostò la manica  del vestito per rivelare una ferita piuttosto leggera.

«È solo un graffio», commentò Ichigo mentre la ragazza posava entrambe le mani sulla ferita.

«Tu resta immobile», gli ordinò prima di concentrarsi sul proprio reiatsu. Quasi immediatamente raggi di luce bianca zampillarono dalle sue dita, avvolgendo la spalla del ragazzo.

«Ouch», fece lui mentre le scintille fluivano nei lembi della ferita, velocizzando il processo di guarigione.

Ci volle appena un minuto perché il taglio si riducesse ad una sottile linea rosa sulla pelle di Ichigo, ma quando finì Rukia aveva il fiato corto. Si sedette vicino al ragazzo, asciugandosi alcune gocce di sudore dalla fronte.

«È passato un mese, ormai». Rukia rivolse lo sguardo verso Ichigo, che la stava osservando con sguardo interrogativo. «Non è tornata, la tua energia spirituale?».

«No, non ancora», rispose, abbassando lo sguardo sulle proprie mani sudate. «La velocità con cui uno shinigami recupera i suoi poteri è molto soggettiva. Alcuni ci mettono giorni, altri addirittura anni. Ma in ogni caso, la mia non è ancora tornata». Chiuse la mano a pugno, sentendo una fitta di frustrazione. «Ora come ora persino usare semplici incantesimi curativi mi costa fatica».

«Mmh». Ichigo restò in silenzio per qualche secondo. «Sei caduta proprio in basso, prima della classe».

Rukia gli tirò un pungo sul fianco, facendolo imprecare. «Meglio che tu stia zitto se non vuoi che ti faccia crescere strane appendici in posti dove non dovrebbero esserci».

«Anche se lo facessi non riusciresti a rendermi più brutto dei tuoi stupidi disegni», ribatté Ichigo, ma Rukia vide che stava trattenendo un sorriso. Gli tirò un altro pugno per buona misura.

«Forza scemo, torniamo a casa», disse rialzandosi.

«Nessuno si è fatto male, vero?», chiese il ragazzo mentre si rimetteva in piedi. «La gente che era là per vedere lo spettacolo, intendo».

«Mmh? No».

«Bene. Ho cercato di allontanarmi per combattere con quel tizio ma non ero sicuro di come fosse andata».

Rukia lo osservò mentre camminava – lo sguardo dritto davanti a sé e il passo un po’ zoppicante. A volte pensava fosse un completo idiota ed altre, altre… «No, nessuno si è fatto male», ripeté. «Lo sai qual è, il motto degli shinigami, Ichigo?», aggiunse subito dopo, prima che lei stessa potesse cambiare idea. Il ragazzo le lanciò un’occhiata interrogativa. « È “combattere per proteggere”».

«E con questo?».

«Sai, per essere un dio della morte da un mese, te la stai cavando piuttosto bene».

Ichigo la guardò per qualche secondo, leggermente corrucciato – ma nei suoi occhi c’era gratitudine, incertezza, determinazione e qualcos’altro, qualcosa che…- poi il ragazzo si girò di fronte, un sorriso deciso sul volto.

La fece sgattaiolare nella sua stanza aprendole la finestra e pochi minuti dopo entrambi stavano dormendo. Gli incubi la lasciarono stare per altri cinque giorni.

 

Rukia rabbrividì. Strinse convulsivamente la katana, mentre il corpo di Kaien pesava sulla sua spalla.

Dalla cima degli alberi sopra di loro scendevano sottili gocce di pioggia.

«Kaien…». Riuscì finalmente a lasciare la presa sulla spada, abbracciando la forma sdraiata sopra di lei. «Kaien!». La pioggia si riversò sulle sue braccia scoperte, correndo fino ai gomiti e insinuandosi sotto il kimono. Rukia venne scossa da un altro brivido – la pioggia… era calda? Lanciò un’occhiata assente al proprio braccio e rabbrividì. Rosso.

Improvvisamente una mano le strinse la spalla. La ragazza rimase perfettamente immobile mentre Kaien tossiva e cercava di muoversi. Il ragazzo si rialzò quel tanto che bastava per guardarla in viso. I suoi occhi erano vuoti e sanguinanti, gli occhi di un Hollow.

«Perché mi hai ucciso, Rukia?».

«Mi… mi dispiace!», singhiozzò lei, ma la mano di Kaien non smise di stringerla. Le gocce di sangue continuavano a scorrerle sulle braccia, e bruciavano come fuoco liquido.

«Dimmelo Rukia!», esclamò il ragazzo scuotendola forte per una spalla.

«Io, io…».

«Rukia!».

«Mi dispiace Kaien, mi dispiace tanto io non-».

«Rukia!».

Si svegliò di soprassalto, ansimando. Si guardò intorno freneticamente, senza riuscire a capire dove si trovasse. Solo un attimo prima era stata nella foresta di Koifushiyama, e ora…

«D-dove…?».

«Ehi». Alzò la testa di scatto. Il viso di Kaien, seminascosto nella penombra, le restituì uno sguardo preoccupato. «Calmati. Era solo un incubo, okay?».

Il cuore di Rukia cessò di battere. Aprì la bocca e cercò di parlare, ma la voce le restò incastrata in gola. Si accorse che due mani le stringevano le spalle. Lasciarono subito la presa, come se le avessero letto nel pensiero. Deglutì, senza riuscire a staccare gli occhi dal ragazzo davanti a lei.

«…Kaien?», chiese infine. Poteva davvero essere stato tutto un sogno? Le era sembrato così reale, come se fosse successo veramente… La sua mano si allungò inconsciamente verso di lui. «Siete proprio voi, Kaien?».

«Chi?».

Il cuore di Rukia si fermò per la seconda volta quella notte. Gli toccò il braccio e la flebile speranza che fosse stato tutto un sogno sparì in un battito di ciglia. Quella che stava toccando era una maglietta, non uno shihakusho. E il riflesso dei suoi capelli era ramato dove avrebbe dovuto essere nero. E pensare che lei per un momento aveva creduto… sperato che…

Si coprì il viso con le braccia, mentre stringeva i denti.

«Rukia», chiese Ichigo in tono incerto. «Ma che diavolo succe-».

«Vattene».

«Ma-».

«Va’. Via».

Non ebbe il coraggio di aprire gli occhi finché non sentì il lieve rumore della porta dell’armadio che si chiudeva, e i passi di Ichigo che si allontanavano verso il suo letto. Ascoltò il cigolio delle molle del materasso del ragazzo, e il fruscio provocato dal suo corpo che si rigirava fra le lenzuola. Rimase in ascolto, i sensi all’erta, senza riuscire a smettere di stringere i denti.

“Stupida. Stupida. Stupida”.

Non chiuse occhio per il resto della notte.

 

Rukia si sveglio con un’esclamazione soffocata in gola. Ansimò forte, il pugno stretto nella stoffa del cuscino. “Solo un sogno, solo un sogno, sei a casa di Ichigo…”, si ripeté – ormai era diventata un’abitudine, quasi un mantra. Costrinse il suo respiro a rallentare ad un ritmo normale e si girò sulla schiena.

Fissò il soffitto dell’armadio. Quinta volta in due settimane. Stava peggiorando. E inoltre stava perdendo sonno. Fissò la propria mano con aria cupa. Mentre era alla Soul Society poteva andare avanti settimane dormendo poche ore a notte. Ma il gigai che stava usando non avrebbe retto quel ritmo per molto...  L’anta dell’armadio venne spalancata di colpo.

Rukia si alzò a sedere di scatto. «Cosa-?».

Ichigo si affacciò alla porta, la sua solita espressione corrucciata sul volto. La ragazza lo guardò storto. «Ichigo che diavolo-».

«Tieni», fece il ragazzo, cacciandole in mano a forza un bicchiere d’acqua. Rukia fissò prima il bicchiere, poi Ichigo, senza riuscire a capire. «Non guardarmi con quella faccia!», protestò lui. «E fammi spazio».

La ragazza scivolò verso il fondo del letto, mentre Ichigo entrava nell’armadio e si sedeva a gambe incrociate di fronte a lei. La sua testa sfiorava appena il soffitto.

Lo guardò con aria interrogativa, ma il ragazzo tenne lo sguardo fisso su un punto vicino ai suoi piedi. Rukia sbuffò. E chi riusciva a capirlo, quello? Bevve l’acqua in pochi sorsi – quei sogni la lasciavano sempre con la gola secca.

Quando ebbe finito lanciò il bicchiere a Ichigo, che lo prese al volo. Poi gli allungò un calcio sugli stinchi, facendolo imprecare ad alta voce.

«Ora mi spieghi che cavolo ti è preso, brutto scemo?».

«Scemo a chi?», le rispose, restituendole il calcio. «Sei tu l’idiota che ha gli incubi ogni notte!».

Rukia si irrigidì di colpo. «Questi non sono-».

«Non venirmi a dire che non sono affari miei!», sibilò Ichigo. «Vivi nel mio armadio, porca miseria! E comunque ti ho appena fatto un piacere quindi ora è il mio turno di parlare. Tu sta’ zitta e ascolta». Se il resto della casa non fosse stato addormentato probabilmente avrebbe urlato, rifletté Rukia. Sul suo viso c’era rabbia, frustrazione e- la stessa espressione di pochi giorni prima. Lo fissò per qualche secondo, gelida, prima di annuire brevemente.

Ichigo non distolse lo sguardo dal suo nemmeno per un secondo, come se capisse quanto le fosse costato acconsentire alla sua richiesta. «Senti, io non so cosa ti sia successo di così terribile che continua a tormentarti ancora adesso», le disse in tono deciso. «E non ho la minima idea di chi sia questo Kaien», nel sentirgli pronunciare quel nome Rukia abbassò lo sguardo. Ichigo continuò imperterrito. «Ma so che tu sei una di quelle persone sceme che si sente responsabile per le sofferenze degli altri. Mi avevi appena incontrato e sei quasi morta per salvare me e la mia famiglia. Qualunque cosa tu abbia fatto a questo Kaien… questo non fa di te una cattiva persona».

Lo disse in tono così deciso che la ragazza non poté fare a meno di rialzare lo sguardo. La stava guardando negli occhi, e in quel momento sembrava la persona più sicura del mondo.

«E un’altra cosa», aggiunse il ragazzo. «Io… lo so che lo fai apposta a non dirmi niente su te stessa, né sul posto da dove provengono gli shinigami. Non so perché tu lo stia facendo, e non sono nemmeno capace di chiederti perché lo fai senza ferire i tuoi sentimenti. Devi avere le tue buone ragioni, ma… questa storia di Kaien… se mai avrai voglia di parlarmene, parlane. Fino ad allora aspetterò».

Rukia non disse niente, mentre cercava di dare un senso a ciò che era appena successo. Dopo aver vissuto novant’anni credeva che nessuno sarebbe stato più in grado di sorprenderla. E invece, quell’Ichigo…

Abbassò lo sguardo e scosse la testa.

«Rukia, io-».

La ragazza sbuffò. «Non ti hanno mai detto che è da cafoni rubare le battute agli altri?», disse in tono esasperato.

Ichigo rimase immobile per qualche secondo prima di risponderle. «Non ti ho rubato proprio niente!», le tirò un altro calcio, ma stavolta più leggero. «Mica c’è la tua firma sopra». Si arrampicò fuori dall’armadio e si stiracchiò le gambe. «Cavolo è stretto! Come diavolo fai a dormire là dentro?».

«Sono alta la metà di te, idiota», fece la ragazza. «E comunque…», incrociò le braccia davanti a sé. «Odio i luoghi troppo aperti».

Il ragazzo si appoggiò all’anta dell’armadio. «Contenta te». Si scambiarono un sorriso. Non c’era bisogno di altre parole per capire quello che entrambi stavano pensando.

Dopo qualche istante Ichigo si raddrizzò. «Beh, ora ti lascio dormire», fece per andarsene, ma poi le lanciò un ultimo sguardo. «Cerca solo di ricordarti… ». Diede un paio di colpetti alla porta. «Sono dall’altra parte, okay? Buonanotte». Fece scorrere l’anta dell’armadio, lasciandola aperta di qualche centimetro. Rukia non si preoccupò di richiuderla. Invece si stese sul letto, risistemandosi le coperte e ascoltando il rumore del ragazzo che si coricava a sua volta.

Si addormentò dopo pochi minuti, il suono del respiro di Ichigo che scandiva il tempo dei battiti del suo cuore.

 

A/N:

Prima di travolgervi con il mio vomito di parole, la canzone è Demons, degli Imagine Dragons.

Ho fatto un errore madornale. Ho ricominciato a leggere Bleach prima della sessione di esami di febbraio. E ora non ne passerò nemmeno mezzo.

E naturalmente potevo ricominciare a leggere bleach senza innamorarmi follemente di questi due? Di nuovo?? No che non potevo.

Soprattutto visto che ho iniziato a cogliere molte più cose rileggendolo per la seconda volta… come il fatto che la storia di Rukia sia venti volte più angst di quanto pensassi. E se si aggiunge l’album degli Imagine Dragons che sto ascoltando in modo ossessivo in questo periodo questo è il risultato.

E inoltre porca puttana Tite Kubo [SPOILER CAP.529] Isshin è uno Shiba??????? Cosa???? COSAAAAA?!?!?!? Ho avuto un infarto quando l’ho letto, dio mio

[FINE SPOILER!!]

In sostanza, ecco qui la mia prima one-shot su bleach. Sono tornata babies. Non vi lascerò mai più (esami permettendo). Per chi è interessato, probabilmente ci sarà un seguito!

Baci a tutti :*

MM

 

  
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