Where
my demons hide
When you
feel my heat
Look into
my eyes
It's where
my demons hide
It's where
my demons hide
Don't get
too close
It's dark
inside
It's where
my demons hide
It's where
my demons hide
Rukia
si svegliò con un sussulto.
Scattò
a sedere, prendendo grandi boccate
d’aria. Si guardò attorno nella penombra, i
muscoli tesi come una corda di
violino.
Impiegò
qualche secondo per capire che non si
trovava più nel suo sogno. “Ma dove
diavolo…”. Era in una specie di…
stanza?
Allungò la mano per toccare le pareti.
“Oh”. Sospirò di sollievo, ma alle sue
orecchio suonò più come un singhiozzo.
“Sono a casa di Ichigo. Va tutto bene”.
Si
lasciò ricadere sul letto, prendendo dei
respiri profondi, e dopo un poco il suo cuore rallentò. Le
mani però non
smisero di tremarle.
Le
cacciò sotto le braccia, sbuffando. Ora
che l’agitazione era passata iniziava ad essere seccata. Era
già accaduto due
volte quella settimana. Questa era la terza. Quando era ancora alla
Soul
Society non avveniva più. O almeno, non così
spesso. Ma da quando era entrata
in quel gigai – o era
stato dopo aver
visto Ichigo combattere contro Big Fisher? – gli incubi erano
iniziati di nuovo.
Anzi
no, non gli incubi. Ogni notte era
sempre lui, l’unico che avesse mai avuto
da quando era morta. L’incubo di quella notte – il
buio che incombeva sulle
punte degli alberi, il riflesso argentato del Capitano che scivolava a
terra,
lo sguardo vuoto di Kaien e le proprie mani sporche di sangue
e…
Si
girò su un fianco, raggomitolandosi come
un gatto. Non l’aveva mai detto ad Ichigo, ma
quell’armadio era perfetto per
dormire. Dopo quella notte aveva iniziato a detestare i luoghi troppo
aperti.
Si sentiva… schiacciata. Più persa di quanto non
fosse già. Forse era per
quello che aveva iniziato ad odiare le enormi stanze di palazzo
Kuchiki.
Nemmeno questo l’aveva detto a Ichigo – era sempre
così attenta a non rivelare
nulla su sé stessa. Sembrava il tipo di cosa di cui avrebbe
potuto parlare con
Renji… se si fossero ancora rivolti la parola, ovviamente.
Si
stese a pancia in giù, affondando la
fronte nel cuscino. «Patetica… sono davvero
patetica», disse fra sé e sé.
«Questa
volta mi costringi a darti ragione»,
fece una voce dall’altra parte dell’armadio.
Il
suo cuore accelerò di nuovo – l’aveva
presa di sorpresa. «Torna a dormire, Ichigo»,
sbuffò, scivolando senza fatica
nel solito ruolo di shinigami
gelida
ed impassibile.
«Cosa
credi, è tutta la notte che ci provo»,
disse di rimando il ragazzo. «Perché sei sveglia,
tu?».
«Fatti
gli affari tuoi».
«Ehi!»,
rispose Ichigo in tono offeso. Rukia
sentì il tonfo di qualcosa che atterrava contro
l’anta dell’armadio – molto
probabilmente il suo cuscino. «Non c’è
bisogno di essere stronzi, ho solamente
chiesto!».
Prese
fiato un’altra volta. «Beh, io ti ho
risposto, quindi ora puoi dormire tranquillo».
Ichigo
grugnì, lasciandosi ricadere sul letto
a peso morto. La ragazza chiuse gli occhi, sforzandosi di non sentirsi
in
colpa. Ogni giorno che passava era sempre più difficile
tenere le distanze e
trattarlo rudemente, insistendo a non fidarsi. La verità era
che quel moccioso
le aveva ispirato fiducia fin dal primo momento in cui
l’aveva visto – gli
aveva affidato i propri poteri, per la miseria. Quelli che aveva
ottenuto
faticando per più di cinquant’anni.
Sbuffò fra sé e sé. Una delle azioni
più
stupide che avesse mai fatto, ma per quanto ci provasse non era mai
riuscita a
biasimarsi per quello…
«Rukia».
La voce di Ichigo interruppe i suoi
pensieri.
«Che
c’è ancora?».
Il
ragazzo fece una pausa prima di
rispondere. «Ti ho sentita. Prima, quando ti sei svegliata.
Brutti sogni?».
«Io-»,
Rukia esitò, presa alla sprovvista.
“Diglielo”. Non credeva di essere stata
così rumorosa. Era diventata piuttosto
brava a diventare invisibile, a passare inosservata. Aveva avuto fin
troppa
pratica. “Diglielo”.
«Io…», esitò di nuovo.
«Credevo di aver sentito un hollow
avvicinarsi».
«Ah»,
la ragazza sentì la tensione allentarsi
nella sua voce. «Sei sempre al lavoro tu, eh?».
«Già»,
confermò debolmente.
Ci
fu una pausa di qualche secondo, poi dall’altra
parte dell’armadio si sentì un rumore di lenzuola
strofinate le une contro le
altre. «Meglio tornare a dormire allora».La ragazza
non rispose, limitandosi a
chiudere di nuovo gli occhi.
Il
resto della notte trascorse in fretta e
senza sogni.
«E
allora che gli hai detto?».
Ichigo
sbuffò, continuando a camminare. Era
notte fonda e stavano tornando a casa Kurosaki dopo il disastroso
incontro con
Don Kanonji all’ospedale abbandonato. Il ragazzo non vedeva
l’ora di buttarsi
sul letto e dormire fino al mattino dopo, Rukia poteva capirlo dal suo
tono di
voce.
«Cosa
cavolo vuoi che abbia detto?», rispose
Ichigo. «”Sarai il my discepolo numero
uno”, dice lui! Ho fatto dietro front e
me la sono andata a gambe! Quello è pazzo, non ci
piove».
Continuò
a camminare, piantando le mani sui
fianchi e sbuffando di nuovo. Rukia gli lanciò
un’occhiata distratta. Le gambe
gli tremavano.
«Forse
è meglio che facciamo una pausa».
«Ma
se mancano cinque minuti», protestò il
ragazzo.
«Sei
esausto, Ichigo».
«Ma
non sparare caz-».
Rukia
gli allungò un calcio sul retro delle
ginocchia, facendolo finire lungo disteso sulla strada. «Mi
fa piacere che tu
abbia cambiato idea», commentò sarcasticamente.
Ichigo
si tirò a sedere contro il marciapiede
e le lanciò un’occhiataccia.
«Maledetta…».
«Zitto».
La ragazza si chinò di fianco a lui
e gli posò una mano sulla spalla, dove il kimono si era
strappato. Scostò la
manica del vestito
per rivelare una
ferita piuttosto leggera.
«È
solo un graffio», commentò Ichigo mentre
la ragazza posava entrambe le mani sulla ferita.
«Tu
resta immobile», gli ordinò prima di concentrarsi
sul proprio reiatsu. Quasi
immediatamente raggi di luce bianca zampillarono dalle sue dita,
avvolgendo la
spalla del ragazzo.
«Ouch»,
fece lui mentre le scintille fluivano
nei lembi della ferita, velocizzando il processo di guarigione.
Ci
volle appena un minuto perché il taglio si
riducesse ad una sottile linea rosa sulla pelle di Ichigo, ma quando
finì Rukia
aveva il fiato corto. Si sedette vicino al ragazzo, asciugandosi alcune
gocce
di sudore dalla fronte.
«È
passato un mese, ormai». Rukia rivolse lo
sguardo verso Ichigo, che la stava osservando con sguardo
interrogativo. «Non è
tornata, la tua energia spirituale?».
«No,
non ancora», rispose, abbassando lo
sguardo sulle proprie mani sudate. «La velocità
con cui uno shinigami recupera i
suoi poteri è molto
soggettiva. Alcuni ci mettono giorni, altri addirittura anni. Ma in
ogni caso,
la mia non è ancora tornata». Chiuse la mano a
pugno, sentendo una fitta di
frustrazione. «Ora come ora persino usare semplici
incantesimi curativi mi
costa fatica».
«Mmh».
Ichigo restò in silenzio per qualche
secondo. «Sei caduta proprio in basso, prima della
classe».
Rukia
gli tirò un pungo sul fianco, facendolo
imprecare. «Meglio che tu stia zitto se non vuoi che ti
faccia crescere strane
appendici in posti dove non dovrebbero esserci».
«Anche
se lo facessi non riusciresti a
rendermi più brutto dei tuoi stupidi disegni»,
ribatté Ichigo, ma Rukia vide
che stava trattenendo un sorriso. Gli tirò un altro pugno
per buona misura.
«Forza
scemo, torniamo a casa», disse
rialzandosi.
«Nessuno
si è fatto male, vero?», chiese il
ragazzo mentre si rimetteva in piedi. «La gente che era
là per vedere lo
spettacolo, intendo».
«Mmh?
No».
«Bene.
Ho cercato di allontanarmi per combattere
con quel tizio ma non ero sicuro di come fosse andata».
Rukia
lo osservò mentre camminava – lo sguardo
dritto davanti a sé e il passo un po’ zoppicante.
A volte pensava fosse un
completo idiota ed altre, altre… «No, nessuno si
è fatto male», ripeté. «Lo
sai
qual è, il motto degli shinigami,
Ichigo?», aggiunse subito dopo, prima che lei stessa potesse
cambiare idea. Il
ragazzo le lanciò un’occhiata interrogativa.
« È “combattere per
proteggere”».
«E
con questo?».
«Sai,
per essere un dio della morte da un
mese, te la stai cavando piuttosto bene».
Ichigo
la guardò per qualche secondo,
leggermente corrucciato – ma nei suoi occhi c’era
gratitudine, incertezza,
determinazione e qualcos’altro, qualcosa che…- poi
il ragazzo si girò di
fronte, un sorriso deciso sul volto.
La
fece sgattaiolare nella sua stanza
aprendole la finestra e pochi minuti dopo entrambi stavano dormendo.
Gli incubi
la lasciarono stare per altri cinque giorni.
Rukia
rabbrividì. Strinse convulsivamente la katana,
mentre il corpo di Kaien pesava sulla sua spalla.
Dalla
cima degli alberi sopra di loro
scendevano sottili gocce di pioggia.
«Kaien…».
Riuscì finalmente a lasciare la
presa sulla spada, abbracciando la forma sdraiata sopra di lei.
«Kaien!». La
pioggia si riversò sulle sue braccia scoperte, correndo fino
ai gomiti e
insinuandosi sotto il kimono. Rukia venne scossa da un altro brivido
– la
pioggia… era calda? Lanciò un’occhiata
assente al proprio braccio e rabbrividì.
Rosso.
Improvvisamente
una mano le strinse la spalla.
La ragazza rimase perfettamente immobile mentre Kaien tossiva e cercava
di
muoversi. Il ragazzo si rialzò quel tanto che bastava per
guardarla in viso. I
suoi occhi erano vuoti e sanguinanti, gli occhi di un Hollow.
«Perché
mi hai ucciso, Rukia?».
«Mi…
mi dispiace!», singhiozzò lei, ma la
mano di Kaien non smise di stringerla. Le gocce di sangue continuavano
a
scorrerle sulle braccia, e bruciavano come fuoco liquido.
«Dimmelo
Rukia!», esclamò il ragazzo
scuotendola forte per una spalla.
«Io,
io…».
«Rukia!».
«Mi
dispiace Kaien, mi dispiace tanto io
non-».
«Rukia!».
Si
svegliò di soprassalto, ansimando. Si
guardò intorno freneticamente, senza riuscire a capire dove
si trovasse. Solo
un attimo prima era stata nella foresta di Koifushiyama, e
ora…
«D-dove…?».
«Ehi».
Alzò la testa di scatto. Il viso di Kaien,
seminascosto nella penombra, le restituì uno sguardo
preoccupato. «Calmati. Era
solo un incubo, okay?».
Il
cuore di Rukia cessò di battere. Aprì la
bocca e cercò di parlare, ma la voce le restò
incastrata in gola. Si accorse
che due mani le stringevano le spalle. Lasciarono subito la presa, come
se le
avessero letto nel pensiero. Deglutì, senza riuscire a
staccare gli occhi dal
ragazzo davanti a lei.
«…Kaien?»,
chiese infine. Poteva davvero
essere stato tutto un sogno? Le era sembrato così reale,
come se fosse successo
veramente… La sua mano si allungò inconsciamente
verso di lui. «Siete proprio
voi, Kaien?».
«Chi?».
Il
cuore di Rukia si fermò per la seconda
volta quella notte. Gli toccò il braccio e la flebile
speranza che fosse stato
tutto un sogno sparì in un battito di ciglia. Quella che
stava toccando era una
maglietta, non uno shihakusho. E il
riflesso
dei suoi capelli era ramato dove avrebbe dovuto essere nero. E pensare
che lei
per un momento aveva creduto… sperato che…
Si
coprì il viso con le braccia, mentre
stringeva i denti.
«Rukia»,
chiese Ichigo in tono incerto. «Ma
che diavolo succe-».
«Vattene».
«Ma-».
«Va’. Via».
Non
ebbe il coraggio di aprire gli occhi finché
non sentì il lieve rumore della porta dell’armadio
che si chiudeva, e i passi
di Ichigo che si allontanavano verso il suo letto. Ascoltò
il cigolio delle
molle del materasso del ragazzo, e il fruscio provocato dal suo corpo
che si
rigirava fra le lenzuola. Rimase in ascolto, i sensi
all’erta, senza riuscire a
smettere di stringere i denti.
“Stupida.
Stupida. Stupida”.
Non
chiuse occhio per il resto della notte.
Rukia
si sveglio con un’esclamazione
soffocata in gola. Ansimò forte, il pugno stretto nella
stoffa del cuscino. “Solo
un sogno, solo un sogno, sei a casa di Ichigo…”,
si ripeté – ormai era
diventata un’abitudine, quasi un mantra. Costrinse il suo
respiro a rallentare
ad un ritmo normale e si girò sulla schiena.
Fissò
il soffitto dell’armadio. Quinta volta
in due settimane. Stava peggiorando. E inoltre stava perdendo sonno.
Fissò la
propria mano con aria cupa. Mentre era alla Soul Society poteva andare
avanti
settimane dormendo poche ore a notte. Ma il gigai
che stava usando non avrebbe retto quel ritmo per molto... L’anta
dell’armadio venne spalancata di
colpo.
Rukia
si alzò a sedere di scatto. «Cosa-?».
Ichigo
si affacciò alla porta, la sua solita
espressione corrucciata sul volto. La ragazza lo guardò
storto. «Ichigo che
diavolo-».
«Tieni»,
fece il ragazzo, cacciandole in mano
a forza un bicchiere d’acqua. Rukia fissò prima il
bicchiere, poi Ichigo, senza
riuscire a capire. «Non guardarmi con quella
faccia!», protestò lui. «E fammi
spazio».
La
ragazza scivolò verso il fondo del letto,
mentre Ichigo entrava nell’armadio e si sedeva a gambe
incrociate di fronte a
lei. La sua testa sfiorava appena il soffitto.
Lo
guardò con aria interrogativa, ma il
ragazzo tenne lo sguardo fisso su un punto vicino ai suoi piedi. Rukia
sbuffò.
E chi riusciva a capirlo, quello? Bevve l’acqua in pochi
sorsi – quei sogni la
lasciavano sempre con la gola secca.
Quando
ebbe finito lanciò il bicchiere a
Ichigo, che lo prese al volo. Poi gli allungò un calcio
sugli stinchi,
facendolo imprecare ad alta voce.
«Ora
mi spieghi che cavolo ti è preso, brutto
scemo?».
«Scemo
a chi?», le rispose, restituendole il
calcio. «Sei tu l’idiota che ha gli incubi ogni
notte!».
Rukia
si irrigidì di colpo. «Questi non
sono-».
«Non
venirmi a dire che non sono affari
miei!», sibilò Ichigo. «Vivi nel mio
armadio, porca miseria! E comunque ti ho
appena fatto un piacere quindi ora è il mio turno di
parlare. Tu sta’ zitta e
ascolta». Se il resto della casa non fosse stato addormentato
probabilmente avrebbe
urlato, rifletté Rukia. Sul suo viso c’era rabbia,
frustrazione e- la stessa
espressione di pochi giorni prima. Lo fissò per qualche
secondo, gelida, prima
di annuire brevemente.
Ichigo
non distolse lo sguardo dal suo
nemmeno per un secondo, come se capisse quanto le fosse costato
acconsentire
alla sua richiesta. «Senti, io non so cosa ti sia successo di
così terribile
che continua a tormentarti ancora adesso», le disse in tono
deciso. «E non ho
la minima idea di chi sia questo Kaien», nel sentirgli
pronunciare quel nome
Rukia abbassò lo sguardo. Ichigo continuò
imperterrito. «Ma so che tu sei una
di quelle persone sceme che si sente responsabile per le sofferenze
degli
altri. Mi avevi appena incontrato e sei quasi morta per salvare me e la
mia
famiglia. Qualunque cosa tu abbia fatto a questo Kaien…
questo non fa di te una
cattiva persona».
Lo
disse in tono così deciso che la ragazza
non poté fare a meno di rialzare lo sguardo. La stava
guardando negli occhi, e
in quel momento sembrava la persona più sicura del mondo.
«E
un’altra cosa», aggiunse il ragazzo.
«Io…
lo so che lo fai apposta a non dirmi niente su te stessa, né
sul posto da dove provengono
gli shinigami. Non so
perché tu lo
stia facendo, e non sono nemmeno capace di chiederti perché
lo fai senza ferire
i tuoi sentimenti. Devi avere le tue buone ragioni, ma…
questa storia di Kaien…
se mai avrai voglia di parlarmene, parlane. Fino ad allora
aspetterò».
Rukia
non disse niente, mentre cercava di
dare un senso a ciò che era appena successo. Dopo aver
vissuto novant’anni
credeva che nessuno sarebbe stato più in grado di
sorprenderla. E invece,
quell’Ichigo…
Abbassò
lo sguardo e scosse la testa.
«Rukia,
io-».
La
ragazza sbuffò. «Non ti hanno mai detto
che è da cafoni rubare le battute agli altri?»,
disse in tono esasperato.
Ichigo
rimase immobile per qualche secondo
prima di risponderle. «Non ti ho rubato proprio
niente!», le tirò un altro calcio,
ma stavolta più leggero. «Mica
c’è la tua firma sopra». Si
arrampicò fuori dall’armadio
e si stiracchiò le gambe. «Cavolo è
stretto! Come diavolo fai a dormire là
dentro?».
«Sono
alta la metà di te, idiota», fece la
ragazza. «E comunque…»,
incrociò le braccia davanti a sé. «Odio
i luoghi troppo
aperti».
Il
ragazzo si appoggiò all’anta
dell’armadio.
«Contenta te». Si scambiarono un sorriso. Non
c’era bisogno di altre parole per
capire quello che entrambi stavano pensando.
Dopo
qualche istante Ichigo si raddrizzò.
«Beh, ora ti lascio dormire», fece per andarsene,
ma poi le lanciò un ultimo
sguardo. «Cerca solo di ricordarti… ».
Diede un paio di colpetti alla porta.
«Sono dall’altra parte, okay?
Buonanotte». Fece scorrere l’anta
dell’armadio,
lasciandola aperta di qualche centimetro. Rukia non si
preoccupò di
richiuderla. Invece si stese sul letto, risistemandosi le coperte e
ascoltando
il rumore del ragazzo che si coricava a sua volta.
Si
addormentò dopo pochi minuti, il suono del
respiro di Ichigo che scandiva il tempo dei battiti del suo cuore.
A/N:
Prima
di travolgervi con il mio vomito di
parole, la canzone è Demons,
degli Imagine Dragons.
Ho
fatto un errore madornale. Ho ricominciato
a leggere Bleach prima della sessione di esami di febbraio. E ora non
ne
passerò nemmeno mezzo.
E
naturalmente potevo ricominciare a leggere
bleach senza innamorarmi follemente di questi due? Di nuovo?? No che
non
potevo.
Soprattutto
visto che ho iniziato a cogliere
molte più cose rileggendolo per la seconda volta…
come il fatto che la storia
di Rukia sia venti volte più angst di quanto pensassi. E se
si aggiunge l’album
degli Imagine Dragons che sto ascoltando in modo ossessivo in questo
periodo
questo è il risultato.
E
inoltre porca puttana Tite Kubo [SPOILER
CAP.529] Isshin è uno Shiba??????? Cosa???? COSAAAAA?!?!?!?
Ho avuto un infarto
quando l’ho letto, dio mio
[FINE
SPOILER!!]
In
sostanza, ecco qui la mia prima one-shot
su bleach. Sono tornata babies. Non vi lascerò mai
più (esami permettendo). Per
chi è interessato, probabilmente ci sarà un
seguito!
Baci
a tutti :*
MM