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Autore: Anaslover    06/01/2014    0 recensioni
Austin. Almeno avevo ancora lui. Un'altra di quelle poche persone su cui sapevo di poter contare. Avevo sempre capito tutto e non mi ero mai opposta alle decisioni di Trey, in fin dei conti lui era il capo. Capo di cosa non lo sapevo, sapevo solo che per fare qualsiasi cosa chiedevano a lui. Come biasimarli. Capitano della squadra di football, rappresentante degli studenti, faceva girare la testa a tutte le ragazze. Dovevo considerarmi fortunata ad averlo tutto per me. Peccato che tutto per me lui non lo era mai stato.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'avevo persa. Avevo perso una delle poche persone con le quali sentivo di poter essere me stessa, una delle persone più importanti della mia vita. 
Rimasi in disparte, con le lacrime che mi offuscavano la vista, mentre quella fredda bara veniva portata fino alla macchina. Riuscivo solo a fissarla. Intorno a me le persone mi chiedevano se mi sentissi bene, ma non rispondevo. Sentivo che le parole non sarebbero bastate ad esprimere l'immenso dolore che provavo, quindi tanto valeva stare zitta. Mentre stavo rivivendo tutti i momenti passati con Janice tutto intorno a me si fermò. Fu il motore della macchina a svegliarmi, quella macchina che me la stava portando via per sempre. Ora ero sola. Non avevo più la mia migliore amica, uno stupido incidente stradale me l'aveva portata via.
"Summer, andiamo a una festa stasera, vieni anche tu?", mi domandò Trey, il mio ragazzo.
Come poteva chiedermi se volessi andare ad una festa il giorno del funerale della mia migliore amica?
Mi limitai a scuotere la testa.
"Austin?", chiese poi.
"No, amico. Non mi sembra il caso.", rispose Austin, che non mi ero accorta fosse dietro di me.
Austin. Almeno avevo ancora lui. Un'altra di quelle poche persone su cui sapevo di poter contare. Avevo sempre capito tutto e non mi ero mai opposta alle decisioni di Trey, in fin dei conti lui era il capo. Capo di cosa non lo sapevo, sapevo solo che per fare qualsiasi cosa chiedevano a lui. Come biasimarli. Capitano della squadra di football, rappresentante degli studenti, faceva girare la testa a tutte le ragazze. Dovevo considerarmi fortunata ad averlo tutto per me. Peccato che tutto per me lui non lo era mai stato. Lui usciva con le altre ragazze. Lui si portava a letto le altre ragazze. Questo aveva contribuito a far si che io mi facessi quella bella reputazione da poco di buono, ma aveva contribuito anche al mio non sentirmi mai abbastanza. Se Trey voleva le altre era perché io non gli bastavo, e se io non gli bastavo la colpa era mia. Elementare. Inoltre era grazie a lui se io ero quello che ero. Era grazie a lui se ero il capitano della squadra delle cheerleader. Era grazie a lui se ero segretaria dell'assemblea degli studenti. In una parola? Ero dipendente da lui. Solo con due persone sulla faccia della terra mi sentivo libera di essere quella che ero in realtà, ovvero non la ragazza che se ne portava uno diverso a letto ogni sera, ma la ragazza che voleva far parte del club di chimica, ma alla quale era stato vietato perché "roba da deficienti", e quelle persone erano Janice ed Austin. Loro mi capivano perché erano come me, intrappolati in un meccanismo che ormai girava e che senza di noi avrebbe smesso di funzionare. Janice però me l'avevano portata via e ora non mi era rimasto che il ragazzo moro dietro di me e quel gruppo di persone che progressivamente si allontanavano.
"Vai a casa?", mi chiese Austin. Il suo sguardo era spento e la sua voce tremava. Ma di lacrime non se ne parlava. Lui non piangeva. Lui era quello forte. Quello che tutte le volte doveva consolare me o Janice perché ci avevano chiamate puttane. Quello che doveva tirare ogni volta un pugno in pieno viso a qualcuno in discoteca se si fosse azzardato ad alzare le mani, perché i nostri ragazzi non avrebbero alzato un dito, a loro non interessava. Lui doveva mostrarsi forte altrimenti prima o poi saremmo crollati tutti e tre.
"Si.", risposi con voce flebile. Non volevo risultate scortese ma in quel momento non volevo avere nessuno intorno.
Mi avviai per la strada senza neanche salutarlo. Presi le chiavi della macchina in mano, ma quando la raggiunsi, la superai. I miei piedi andavano da soli, avevano una meta.
Arrivai nel giardino dove mio nonno portava me e Janice a giocare da bambine, quello stesso giardino dove, in 17 anni, non avevamo mai smesso di andare. Quello era il nostro posto. In modo così rapido si fecero le 8 ed era buio. Avevo paura a stare li da sola, ma non volevo andarmene. Vidi una figura nell'ombra avanzare verso di me, ma non ne fui spaventata. L'avevo riconosciuto.
"Che ci fai qui, Austin?".
"Ho provato a chiamarti ma il tuo telefono è spento, così ho chiamato a casa tua e tua madre mi ha detto che ancora non eri tornata. Sapevo che saresti venuta qui. Summer, io sono preoccupato per te.", rispose lui.
Corsi tra le sue braccia e nascosi il viso nel suo petto, piangendo a singhiozzi. 
"Lo so, so quanto è dura. Non piangere ti prego.", continuò a sussurrarmi queste parole fino a quando non mi calmai. Tra le sue braccia mi sentivo al sicuro.
"Ti prego Austin, non lasciarmi mai. Giuramelo, ti prego." dissi tra i singhiozzi, in un disperato tentativo di aggrapparmi all'unica certezza che mi era rimasta nella vita.
"Non ti lascerò mai da sola, lo sai. Te lo giuro."
  
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