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Autore: Fed    07/01/2014    0 recensioni
“L’ultima volta che ho smarrito la strada ero nel mio paese. Siccome ero da sola, avevo tentato una strada che non conoscevo, pensando fosse parallela a quella principale e, come sempre, sbagliandomi."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non ne ho la voglia” dichiarai.
Ero sulla soglia di casa, la mano destra che lasciava impronte sudate sulla maniglia d’ottone della porta d’ingresso. Dalle scale risuonavano i passi veloci di qualcuno. “Non credo di aver mai avuto voglia di uscire.”
 
Me ne stavo lì, nel mio pigiama troppo grande, sperando di non richiamare troppo l’attenzione dei vicini, con la voglia di rientrare alle stelle. Volevo restare da sola, confinata nel mio limbo domestico, ancora un po’, ancora qualche ora, ancora qualche giorno. Stavo aspettando soltanto la risposta di una persona che stava ormai scendendo le scale per chiudere definitivamente quella dannata porta e stabilire l’ultimo limite tra me e il mondo.
Avevo paura. Così tanta paura.
 
“Lascia perdere” urlò finalmente una voce maschile. L’eco si fece strada nell’androne e penetrò dentro casa, nelle mie orecchie, nelle mie mani tremanti, lasciandomi un singhiozzo incastrato in gola. “Lascia perdere, ormai è lampante che l’unico modo di farti compagnia sia rinchiudersi con te.”
 
 
[…]
 
Ero in camera, la porta chiusa.
Seduta sul letto, muovevo la testa avanti e indietro, a destra e a sinistra, cercando di sciogliere i muscoli del collo e di liberarmi di una fastidiosa emicrania.
Dalle serrande abbassate risuonò il rumore di un clacson.
Mi allungai per cercare un cucino, lo afferrai e ci urlai dentro tutta la mia disperazione.
 
 
[…]
 
Mi lavai il viso, le ascelle, le braccia, il collo.
Passai alla schiena, alla pancia, al pube, alle gambe e giù fino ai piedi, dove l’acqua bollente si insinuò nelle ossa per poi risalire fin nello stomaco.
Gocciolando arrivai fino all’asciugamano, tremando arrivai fino all’armadio.
Tirai fuori tutti i vestiti che avevo, scegliendo poi di usarne alcuni che erano già sulla poltrona. Mi sistemai i capelli davanti allo specchio, recuperai gli occhiali dalla scrivania, indossai il cappotto e arrivai di fronte alla porta di casa.
Le chiavi tintinnavano strette nel pugno della mano sinistra. La porta cigolò forte, strusciando sul pavimento.
 
 
[…]
 
Ero al telefono da dieci minuti, il disagio aggrappato alle spalle, il sedere per terra.
“No, tutto bene, siamo andati in Sardegna. Io neanche volevo andarci all’inizio, hanno insistito tanto, avrei preferito spendere di meno, ma lo sai che parlare di queste cose con loro è una causa persa. Però sono riuscita a convincerli ad andare in aereo, per lo meno; non ci sarei andata con la nave, neanche morta. Ti ricordi…”
Avevo tanta paura che smettesse di parlare e stavo già pensando alla domanda successiva. Avevo tracciato su un post-it giallo delle linee parallele, poi le avevo coperte con uno scarabocchio, calcando forte.
 
 
[…]
 
Era sicuramente giorno, era sicuramente tardi.
Le lenzuola mi avvolgevano come un utero e le gambe strette tra le braccia mi riempivano di calore la pancia.
Respiravo sulle ginocchia con lentezza.
Qualcuno suonò al campanello di casa e l’urgenza mi spinse ad alzarmi in tutta fretta.
 
“Sì?” chiesi sbirciando un uomo ed un ragazzo vestiti in giacca e cravatta attraverso lo spioncino.
“Siamo qui per parlarle del nuovo Folletto” dichiarò il più giovane con espressione tetra.
“No, grazie, sono sola in casa, non ho tempo, non mi serve.”
 
Osservai le loro schiene deformate dalla lente allontanarsi verso le scale e cominciare a salire.
Tornai in camera e recuperai un vecchio libro.
  
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