LA FORZA DI UN SORRISO
*
“Stai cercando di dirmi che
non lo sposteranno fino a lunedì?” domandò inarcando un sopracciglio voltandosi
a guardare il suo interlocutore.
L’uomo dalla capigliatura ingrigita aspirò tranquillamente dalla sigaretta che
pendeva dalle sue labbra, “Proprio così” confermò dopo alcuni secondi
grattandosi il mento con fare pensieroso.
“E si può sapere per quale ragione esattamente?” s’informò con una punta
d’ironia tornando a guardare l’imponente velivolo che occupava l’immenso
giardino.
Il dottor Brief si grattò la nuca senza distogliere lo sguardo dall’oggetto del
discorso, “Sembra che abbiano bisogno di una gru più resistente di quella che
avevano per spostarlo. Ci vorranno tre giorni perché arrivi quella nuova, poi
c’è il week-end...” spiegò per nulla preoccupato dalla situazione.
La figlia tornò a fissarlo, al contrario, piuttosto nervosa, “Voglio ricordarti,
papà, che questo coso è opera tua, quindi è tua responsabilità!” gli fece
presente additando il mezzo conficcato nell’innocente manto erboso.
Finalmente, l’attempato scienziato, si voltò a guardare la donna che lo stava
fissando con un’espressione assassina, “Ma certo, ma certo. Non temere cara,
questo aereo sparirà nel giro di qualche giorno” confermò nient’affatto
convincente.
“Papà!” esclamò Bulma già intenta a rammendargli che avere un aereo conficcato
nel proprio giardino non era propriamente una cosa normale.
Va bene essere ritenuti strani ed alquanto bizzarri dal resto del vicinato, ma a
tutto c’era un limite.
Passino stramberie dovute al lavoro, ben noto, dei due scienziati di casa,
passino esplosioni varie a causa di un, meno giustificato, alieno che si
divertiva a far saltare in aria tutto di tanto in tanto, ma accidenti se si
andava avanti così la scusa della ditta di famiglia non avrebbe più avuto
valore.
Certo, questo era il, brillante, risultato per essersi presa una settimana di
vacanza.
Grosso, grossissimo errore lasciare suo padre da solo in laboratorio per sette
lunghissimi giorni.
Difatti la conseguenza di tale sconsideratezza era quell’accidenti di velivolo a
fare bella mostra di sé in una postura non consona a mezzi del suo genere.
Pessima pubblicità, tra l’altro.
Inutile chiedersi, d’altra parte, come diavolo ci era riuscito.
Per quanto la sua mente fosse quella di un genio andava ben oltre ogni logica
riuscire a comprendere come avesse fatto, suo padre, a conficcare un prototipo
dritto nel terreno davanti casa.
Chiedere al diretto interessato, poi, era un’idea da non prendere nemmeno in
considerazione.
Conoscendolo avrebbe risposto con qualche divagazione senza nessun raziocinio.
Perché porsi di queste domande dunque.
Inutile, d’altronde, aspettarsi che prima di lunedì quell’immensa struttura
sparisse dalla sua vista.
Anche su questo sapeva come sarebbe finita, in appena un paio d’ore la sola idea
di avere un singolare aereo piantato nel proprio giardino gli sarebbe
completamente passata di mente.
Forse per lunedì sarebbe sparito, la domanda ora era: esattamente di quale
lunedì si parlava?
Il successivo, quello del mese seguente o ancora dell’anno prossimo?
Bulma sospirò pesantemente rassegnata, suo malgrado, a dover intervenire
personalmente per risolvere la situazione.
“Va bene, papà, ci penso io” si offrì controvoglia osservando l’uomo che restò a
guardare la nuova scultura del loro parco privato.
Non una risposta giunse dal singolare vecchietto che, al contrario, iniziò a
farfugliare qualcosa riguardo ad un certo impianto di propulsione.
Evidentemente non l’aveva neanche sentita.
Bulma sbuffò nuovamente.
Inutile perdere altro tempo dietro al lunatico genitore, meglio darsi da fare
per trovare una soluzione.
Senza indugio girò i tacchi dirigendosi, a ritmo di marcia, verso l’immensa casa
dalle mura gialle.
Spedita, entrò in cucina dove vi ritrovò la madre alle prese con i fornelli.
Quando la vide entrare, la donna bionda, alzò il capo per volgere l’attenzione
alla figlia.
Che la giovane donna fosse di pessimo umore era ben visibile dall’espressione
non propriamente amichevole che presagiva fulmine e saette.
“Ciao cara” la salutò cordiale senza, però, dare troppa importanza alle volontà
omicida della figlia.
Bulma le riservò un’occhiataccia ringhiando sommessamente, “Possibile che in
questa casa debba fare sempre tutto io?” domandò con rimprovero sbraitando come
un’ossessa.
La signora Brief la fissò per alcuni secondi senza mai smettere di sorridere
reclinando leggermente il capo di lato, “E’ successo qualcosa?” chiese
innocentemente.
Le fu riservato l’ennesimo sguardo assassino, mentre Bulma corrugo, se era
fattibile, maggiormente le sopracciglia, “Mamma!” cominciò tagliente, “E’ mai
possibile che tu non abbia visto la singolare piantagione di aerei che abbiamo
in giardino?” strepitò additando la finestra che dava nel punto esatto nella
quale sorgeva il più strambo albero che la storia avesse mai visto.
La bionda osservò ciò che stava scatenando l’ira del turbine azzurro, tornando a
guardarla con la solita aria beata dipinta in volto, “Suvvia non preoccuparti,
tuo padre risolverà la situazione” minimizzo, come suo solito, tornando ai dolci
intenti a rosolare in forno.
Bulma aprì bocca per replicare, ma a farla tacere, ed a confermare le sue
supposizioni, fu il dottor Brief armato di fogli di carta adibiti al ruolo di
taccuino per i suoi calcoli inconcludenti.
Ancora una volta, la figlia dei due strani vecchietti, fermò le sue repliche
prima ancora di poterne porre.
Di sua spontanea volontà si tappò la bocca mordendosi il labbro inferiore e
scompigliandosi i capelli ormai al culmine del nervosismo.
“Voi! State cercando di farmi impazzire?!” sbottò gesticolando insensatamente.
“Non capisco quale sia il problema, cara” intervenne la madre attirando
l’attenzione su di sé, “Perché non chiedi semplicemente a Vegeta di spostarlo”
le ricordò con naturalezza.
Bulma le rivolse uno sguardo indecifrabile, un miscuglio tra un ammonimento ed
un interrogativo.
*
Con i suoi genitori parlare era un’impresa ardua, per non dire impossibile.
Finiva sempre per farsi venire un gran mal di testa alla fine di ogni discorso.
Peccato che non fossero gli unici, in quella casa, a farle venire un’emicrania
ogni qualvolta le capitava d’instaurare un dialogo.
Stava cominciando a chiedersi se fosse lei quella strana ed anormale.
Conscia di non essere lei l’aliena venuta da un pianeta sconosciuto, né di
essere una pazza col cervello rivoltò chissà dove, percorse i corridoi della
grande casa.
Benché sua madre avesse, spesso e volentieri, il vizio di cinguettare a vanvera
giungendo a conclusioni fuori luogo e assurde, doveva ammettere che per una
volta aveva quasi ragione.
Chi meglio di un alieno dalla forza sovraumana poteva risolverle il piccolo
problema di giardinaggio con una sola mano?
Certo, c’erano un paio di piccoli... piccolissimi intoppi.
Tanto per cominciare i suoi nervi non potevano propriamente essere definiti
calmi e rilassati.
Dopo il discorso appena avvenuto con suo padre a chiunque sarebbe spuntato il
dente avvelenato.
Il secondo problema era, nientemeno, che il Saiyan stesso.
Figurarsi se con lo zuccone, venuto dalla galassia sconfinata, era possibile
fare un discorso pressoché simile a qualcosa di definibile come civile.
Con passo deciso si diresse verso quella che era la stanza con più probabilità
di trovare la sua futura vittim... ehm... il soggetto in questione.
Prima di giungere a destinazione, però, qualcosa attirò la sua attenzione.
Arrampicato sul divano, il più vicino alla finestra, una piccola sagoma
osservava l’esterno con aria incuriosita.
Bulma inarcò un sopracciglio, si fermò d’improvviso adagiandosi le mani ai
fianchi in posa d’attacco, “Trunks!” richiamò la sua attenzione con voce severa,
“Cosa ci fai ancora sveglio? Pensavo di averti messo a letto almeno mezz’ora fa”
lo rimproverò guardando malamente il bambino.
Il piccolo Trunks, riconosciuta la voce della madre, si voltò a guardarla
conscio della minaccia.
Il rischio, però, si rivelò ben più grave del previsto, complice l’umore, non
esattamente idilliaco, della madre ed uno sguardo che aveva dell’agghiacciante.
Resosi, solo allora, conto dell’incombente pericolo sgranò gli occhi scendendo
alla velocità della luce dal divano e rifugiandosi sotto un tavolino abbastanza
alto da nascondervi un bambino della sua età e precludendo, a qualsiasi adulto,
la possibilità di accedervi.
“No! Trunks, non scappare, vieni subito qui!” urlò la donna appena vide il
pargoletto, consapevole di essere parte delle cause scatenanti l’ira materna,
svanire sotto il pezzo di mobilio.
*
Non valeva più la pena allenarsi così.
Tutti i motivi che, negli anni, lo avevano sempre spinto a farlo erano svaniti
uno dopo l’altro.
Come castelli di sabbia.
Tutti i suoi sogni si erano distrutti davanti ai suoi occhi vanificando, uno ad
uno, ogni suo sforzo.
Gli anni passati a desiderare la libertà conquistata grazie alla propria forza
li aveva visti disintegrarsi su un pianeta anni luce da dove si trovava, sul
pianeta Namecc.
Anni andati persi in piccole gocce d’acqua che gli erano sgorgate sul viso e
che, i terrestri, chiamavano comunemente lacrime.
Gli anni che aveva speso all’interno di una stanza massacrante trasformano le
gocce del pianto in quelle più edificanti di sudore si erano sgretolati su un
campo di battaglia tra i granelli di polvere sbalzati dal potere deflagrante
delle esplosioni.
Perse in un addio che era l’obbiettivo finale di tutto ciò per la quale, nei tre
anni precedenti, aveva lottato e sudato.
Ora si ritrovava solo con un asciugamano poggiato sul capo come simbolo dei suoi
sforzi.
Cos’altro?
Nulla a parte...
Il vociferare proveniente dal salotto interruppe bruscamente i suoi pensieri.
Con un sopracciglio arcuato, nascosto all’ombra dell’asciugamano, si affacciò
sulla stanza dalla quale provenivano i brusii concitati che avevano attratto la
sua attenzione.
La prima cosa che vide fu il fondoschiena della donna intenta a guardare sotto
un tavolino del salotto.
Con un’espressione perplessa, ed alquanto basita, restò a fissare la scena
reclinando impercettibilmente la testa incuriosito, doveva ammettere, dallo
strano impeto che si era causato all’interno della stanza.
“Ho detto di venire fuori da lì! Quante volte devo ripetertelo! Ubbidisci
avanti!” urlò lei tastando sotto il mobile in cerca di qualcosa.
Vegeta restò a fissare la scena ancora per alcuni secondi senza scostarsi
dall’uscio.
Strizzò gli occhi nel tentativo di comprendere la situazione, ma a renderlo
partecipe del motivo di tanta agitazione fu il figlioletto che, alla prima
distrazione della madre, riuscì a sgattaiolare fuori dal suo nascondiglio.
Trunks si precipitò, piuttosto alla cieca, verso l’uscita della stanza senza
prestare la minima attenzione a dove la sua corsa lo avrebbe portato.
A fermarlo fu qualcosa che lo fece sbalzare all’indietro.
La piccola peste dovette ringraziare il suo pannolino per non aver subito alcun
danno al posteriore.
La parte lesa era invece la testa che, il piccolo Saiyan, si tastò con movenze
impacciate domandandosi cosa avesse frenato la sua corsa.
Lentamente volse lo sguardo verso l’alto incrociando gli occhi austeri del
padre.
Trunks si ritrovò tra due fuochi, essere catturato dalla madre furente oppure
andare in pasto al padre che nel suo solo anno di vita non aveva mai avuto
contatti con lui.
Non ebbe poi molta scelta vista la fretta con la quale fu riacciuffato dalla
donna, causa, oltre all’ingombrante pannolone ed i movimenti ancora un po’
impacciati, anche la totale concentrazione che il bambino mostrò verso gli occhi
paterni.
Bulma si sistemò il figlio tra le braccia guardandolo evidentemente seccata, “E’
ora della nanna Trunks, non farmi arrabbiare anche tu!” brontolò accorgendosi,
lentamente, che le attenzioni del piccolo erano rivolte altrove.
Inarcò un sopracciglio scorrendo, con lo sguardo, nella direzione in cui il
bimbo era concentrato a fissare.
Con suo immenso stupore si ritrovò ad incrociare gli occhi col principe dei
Saiyan che, dal canto suo, osservò madre e figlio celando un’impercettibile
punta di divertimento dovuta alla scena cui aveva appena assistito.
Le braccia incrociate sul petto nella sua postura classica e lo sguardo
accigliato oltre ogni dire.
Bulma impiegò qualche secondo prima di rendersi conto che la persona che stava
cercando le sostava davanti apparso da chissà dove con una tempistica che aveva
dello straordinario.
Vegeta, però, non le diede il tempo di formulare nemmeno una frase, prima che
lei iniziasse a parlare le passò accanto tornando ad incamminarsi per la sua
strada.
“A... aspetta, Vegeta” lo richiamò la donna ripresasi da uno strano stato
d’ipnosi dovuto, forse, allo sguardo dell’uomo.
“Cosa vuoi?” pronunciò con voce inflessibile il Saiyan fermandosi pochi passi
più avanti e guardando la donna di sottecchi.
Rimase in silenzio per alcuni secondi prima di riprendere a parlare, “Ho bisogno
che tu mi faccia un favore” Vegeta ringhiò contrariato, “Dovresti spostare
l’aereo che abbiamo in giardino, ti basta un secondo per...” “No” rispose
lapidario lui riprendendo il suo intercedere.
La grinta che l’era stata strappata via in quel breve frangente le tornò tutta
in un botto solo.
Bulma si appoggiò una mano al fianco, l’altra a sorreggere il bambino,
guardandolo generando scariche elettriche dagli occhi.
“Stammi a sentire, simpaticone. Visto e considerato che non hai nulla da fare,
al contrario del resto della famiglia, potresti adoperarti per aiutare. Giusto
per fare una cosa nuova. Sai credo non ti faccia male provare una nuova
esperienza che qui sulla Terra chiamiamo gentilezza!” gli sbottò contro
sbraitando con l’unica mano libera.
Vegeta non la degnò della minima attenzione, continuò a camminare fino a sparire
per i corridoi.
Bulma digrignò i denti nervosamente.
Non sarebbe finita così facilmente, nossignore, non si sarebbe arresa al primo
rifiuto!
Nessuno può permettersi di liquidare così Bulma Brief e pensare di passarla
liscia.
Improvvisamente la presa del piccolo Saiyan si fecero più serrata.
Le sue dita si aggrapparono saldamene dal maglione della madre attirando la sua
attenzione.
Bulma abbassò lo sguardo osservando il bimbo ancorato a lei in un perfetto stile
koala.
Lo sguardo di Trunks, però, non era rivolto alla donna.
I suoi piccoli occhi azzurri erano magnetizzati verso il punto stesso in cui
aveva visto sparire il padre.
Quell’espressione così spaventata, ed incuriosita al tempo stesso, contribuirono
a dipingere un sorriso sul volto della madre.
La donna osservò il figlio con uno sguardo materno e con dolcezza gli scostò una
ciocca di capelli dalla fronte.
Solo allora, il piccolo Trunks, si decise a guardarla, “Non temere, tesoro, il
tuo papà non è cattivo. Anche se mi fa tanto arrabbiare certe volte” spiegò
delicatamente sorridendo al bimbo.
Trunks osservò gli occhi della madre, ne studiò i lineamenti senza distogliere
lo sguardo da lei.
La boccuccia semiaperta e il continuo sbattere perplesso delle palpebre, dovuto
alla sua curiosità, intenerì ulteriormente la donna.
*
*
Erano passate almeno altre quarantotto ore da quando l’imponente statua, dalle
strane sembianze, si trovava in giardino.
Bulma aveva cercato in ogni modo di risolvere la situazione, in una maniera o
nell’altra.
La ditta alla quale si era rivolto suo padre per la gru sembrava avere le mani
legate, o avrebbero fatto qualcosa dopo la ventesima chiamata da parte di una
donna molto molto arrabbiata ed insistente; mentre per l’altra soluzione,
l’aiuto del Saiyan, sembrava essere ad un punto morto.
Aveva insistito in diverse occasioni ed in diversi modi, ma di voler
collaborare, Vegeta, non sembrava interessato.
E dire che per lui era davvero questione di un secondo.
Era sufficiente alzare quello stupido aereo e poggiarlo al suolo come se nulla
fosse.
Si sarebbe risparmiato un mucchio di prediche, urli ed insulti; ma sua maestà il
principe dei Saiyan era troppo orgoglioso per concedere un così misero favore.
Dannato testone!
Trunks sventolò le manine davanti ai suoi occhi nel tentativo di attirare la sua
attenzione e Bulma tornò con i piedi per terra dopo aver rimuginato su quanto
volesse prendere a calci un, non meglio identificato, scimmione.
“Oh, scusa tesoro, la mamma aveva un attimo la testa tra le nuvole” si
giustificò dando al bambino ciò che voleva.
Trunks afferrò il giocattolo che gli passò la madre e con una delicatezza pari a
quello di un rullo compressore cominciò a sbattere lo sventurato gingillo al
suolo col rischio di disintegrarlo.
“As... aspetta Trunks, così lo rompi!” si allarmò la donna salvando dalle sue
grinfie la macchinina che sembrava essere appena stata tamponata da un camion di
proporzioni gigantesche.
Bulma guardò il giocattolo ridotto in un cumulo di macerie in appena dieci
secondi di gioco.
Guardò il bambino e sospirò “Dovrò cominciare a comprarti giocattoli a prova di
Saiyan” commentò restituendo, l’ormai irrecuperabile, macchinina al figlio che
riprese, allegramente, a distruggerla.
Simpatiche conseguenze di avere un figlio per metà alieno.
Non per nulla si era anche ritrovata con le sbarre della culla amabilmente
distrutte dal figlioletto nel suo ultimo tentativo di fuga.
“Come sarebbe a dire che è impossibile?!” proruppe una voce proveniente dal
giardino.
Bulma volse lo sguardo oltre il vetro della finestra osservando l’uomo, al quale
apparteneva quella voce, sbraitare contro suo padre.
L’anziano dottor Brief si grattò la nuca evidentemente mortificato, “Mi dispiace
Vegeta, ma non ho i materiali per una cosa del genere” si giustificò.
Vegeta ringhiò nervoso afferrando il bavero dello sventurato dottore “Stammi a
sentire vecchiaccio. Non m’importa come farai, fallo e basta” ordinò sollevando
lo scienziato dal suolo.
Il piccolo gatto nero saldamente aggrappato alla spalla dell’anziano si lasciò
cadere a terra.
Il felino osservò la scena dal basso, una scena simile a tante altre.
Passava gran parte del suo tempo in compagnia del simpatico vecchietto e più di
una volta si era visto avvicinare dall’uomo con lo sguardo bieco.
Non era più una novità quella di vedere il suo povero padrone minacciato dal
piccolo gigante.
Ormai cominciava ad abituarsi anche alla sua presenza.
Inoltre, il suo istinto animale, sembrava fargli notare come, a discapito delle
apparenze, quello strano tizio non fosse poi una cattiva presenza.
Stava addirittura cominciando a ritenerlo parte della famiglia.
Era, quasi, simpatico.
Distratto dalle scuse, patetiche, del vecchiaccio, Vegeta, non si accorse
dell’animale che, senza indugio, si avvicinò a lui strusciandosi contro la sua
gamba.
Solo quando sentì l’essere peloso contro il polpaccio abbassò lo sguardo
osservando la palla di pelo miagolare allegramente accompagnato da un sottofondo
musicale a suon di fusa.
Il colletto del dottor Brief fu bruscamente lasciato facendo cadere lo
scienziato al suolo.
“Sta lontano bestiaccia!” inveì il Saiyan contro l’innocente animale che, per
tutta risposta, si limitò ad alzare il capo miagolando verso uno dei suoi
padroni.
“Sembra che tu gli piaccia” confermò il dottore ridendo divertito.
Vegeta aprì la mano con intenzioni omicide, “Fai sparire questo coso o lo faccio
arrosto” minacciò creando una sfera di energia verso il povero gatto.
L’anziano si affrettò a raccogliere il suo compagno d’avventure stringendolo tra
le braccia ed accarezzando il pelo nero del piccolo felino, “Stai tranquillo,
Vegeta, è innocuo” lo rasserenò sorridendo.
Il micio miagolò ancora lasciandosi accarezzare dal proprietario; mentre, al
contrario, lo sguardo di Vegeta si fece ben più scettico e nervoso.
“Caro, Vegeta, volete dei pasticcini?” propose l’allegra signora Brief apparendo
sull’uscio della porta.
“Ohh… volentieri cara” acconsentì il marito della donna avviandosi verso casa.
La bionda guardò il singolare e ormai abituale ospite, “Tu Vegeta?” chiese
nuovamente.
Il principe incrociò le braccia scattando col volto nella direzione opposta,
segno che dei suoi stupidi dolci non gl’importava nulla.
La padrona di casa lo guardò per alcuni secondi prima di comprendere il
messaggio in codice dell’uomo, “Se ne vuoi sono sul tavolo in cucina” annunciò
la donna sorridendo prima di entrare nuovamente in casa.
La signora Brief rientrò senza chiudere completamente la porta.
*
Sul volto della donna si dipinse un sorriso.
La scena alla quale aveva appena assistito aveva contribuito a metterla di buon
umore.
Era piuttosto buffo vedere come il principe dei Saiyan si relazionasse con gli
altri inquilini della casa, gatti inclusi.
Bulma dovette constatare che, l’alieno, finiva sempre per avere la peggio,
evidentemente non allenato a rapportarsi con simili individui.
È proprio vero, le cattive abitudini sono dure a morire, Vegeta non faceva
eccezione.
Arrogante e presuntuoso, addestrato ad ottenere tutto con la forza, si vedeva,
dunque, in netta difficoltà quando i suoi metodi bruti venivano del tutto
ignorati.
A furia di sbraitare ed urlare persino il simpatico gatto nero gli si era
affezionato, convinto che quell’uomo fosse solamente sempre un po’ arrabbiato.
Bulma trattenne a stento una risata, si adagiò una mano al mento continuando a
guardare l’irascibile principe prendersela col tronco di un albero nei paraggi.
Trunks, dal canto suo, osservò la madre con la solita espressione curiosa ed
innocente.
Ne contemplò il volto cercando di comprenderne il significato.
Sorrideva, nulla di così strano, eppure, questo sorriso, aveva qualcosa di
diverso da tutti gli altri.
La sua mamma gli sorrideva spesso, ma non allo stesso modo, in questo sorriso
c’era qualcosa di più che il bambino non riuscì a capire.
Troppo presto per comprendere il significato di quello sguardo e di quei sospiri
indirizzati all’uomo che sua madre definiva il papà.
La sua curiosità finì presto, tornando a distruggere la malcapitata macchinina
che ancora reggeva tra le mani.
Anche se dell’oggetto originario non ne aveva più la forma.
Bulma entrò in cucina con uno strano sorriso stampato in volto.
Sua madre, intenta a cucinare la cena, si voltò a guardarla appena la sentì
arrivare.
“Oh tesoro, ci sono dei pasticcini sul tavolo se li vuoi” le disse additando le
paste ordinatamente sistemate su di un vassoio.
Bulma guardò i pasticcini ed immancabilmente sorrise rivivendo, mentalmente,
istante per istante la scena svoltasi qualche ora prima in giardino.
La signora Brief non mancò di notare quella singolare spensieratezza, “E’
successo qualcosa di bello oggi?” domando rispondendo col suo immancabile
sorriso.
La figlia si ritrovò a guardarla disorientata non comprendendo il significato
della frase, “Cosa... cosa intendi dire?” farfugliò inarcando un sopracciglio
con aria confusa.
“Bè, da come stai sorridendo si direbbe che hai avuto una bella giornata” spiegò
la bionda asciugandosi le mani sul grembiule annodato in vita.
Bulma restò un momento ancora a guardarla senza rispondere, “Stavo sorridendo?”
domandò sconnessa.
Questa volta la madre non le rispose immediatamente.
La guardò a sua volta accentuando il sorriso, si appoggiò una mano alla bocca
ridendo divertita, soprattutto quando notò lo sguardo della figlia volgersi
verso i pasticcini.
“Ho capito, riguarda Vegeta, dico bene?” suppose prendendo nettamente alla
sprovvista la giovane donna.
“Cosa?! N... no!” si affrettò a rispondere l’altra visibilmente impacciata.
Dopo alcuni secondi, riprese le sue facoltà mentali, tornò ad essere la Bulma
aggressiva di sempre, “Ohh insomma, mamma, perché devi mettere di mezzo sempre
Vegeta?! Lui non c’entra nulla, stavo pensando... ad altro” si difese
sbraitando.
La signora Brief rise tra sé tornando a voltarsi verso i fornelli.
La divertiva stuzzicare costantemente la figlia per quel che riguardava
l’irascibile alieno.
“Accidenti, quel piccoletto è un pozzo senza fondo. Ha divorato tutta la sua
cena in un attimo” esordì l’anziano scienziato raggiungendo moglie e figlia in
cucina.
In mano reggeva un piccolo piatto ed un cucchiaio adibiti al pasto del bambino
di casa Brief.
“Ha già finito?” domandò la madre del bimbo volgendo lo sguardo verso l’uomo
appena entrato.
Il dottore annuì fermamente “Sì tutto quanto” confermò mostrando il piatto lindo
e pulito, quasi non fosse mai stato utilizzato.
La moglie dell’uomo afferrò la stoviglia inserendola nella lavastoviglie,
“Trunks gode di un sano appetito” continuò l’orgoglioso nonno incrociando le
braccia con aria soddisfatta.
Bulma sospirò “E’ normale papà, ricordati che è anche il figlio di uomo che ha
una voragine oscura al posto dello stomaco” gli fece presente con un’espressione
in netta contrapposizione con la frase canzonatoria appena pronunciata
suscitando l’ilarità del padre.
A salvare il genitore da morte certa, in quanto Bulma non stava di certo
scherzando, fu la moglie dell’uomo.
La signora Brief si allontanò dai fornelli e si rivolse alla figlia “Bulma,
cara, ti dispiace pensare tu alla cena, io andrò a mettere a letto il mio
bellissimo nipotino” annunciò raggiante.
“Eh... veramente...” cercò di fermarla Bulma, ma prima ancora che potesse
protestare la donna si era già allontanata.
Dannazione, possibile che i suoi genitori facessero a gara pur di passare
qualche minuto col nipote?
Tu guarda se le toccava dover lottare per trascorrere un po’ di tempo con suo
figlio.
“Mmm... senti che profumo” parlottò l’attempato dottore sollevando il coperchio
di una padella per odorarne l’aroma.
Bulma si voltò verso di lui, essendo ormai stata battuta sul tempo, e lo squadrò
da capo a piedi.
Dopo qualche istante di contemplazione si decise a parlare, “Ascolta, papà,
posso chiederti una cosa?” domandò attirando l’attenzione del padre.
L’uomo ripose il coperchio al suo posto e si rivolse alla figlia “Dimmi pure
cara” la incitò a proseguire.
La donna si mordicchiò il labbro inferiore volgendo lo sguardo altrove, “Cosa
voleva da te Vegeta questo pomeriggio?” volle sapere sbirciando l’espressione
del padre.
Il dottor Brief si posò una mano al mento assumendo una posa alquanto
pensierosa, “Bè, ecco, lui...” “Bulma! Non riesco a trovare Trunks da nessuna
parte!” annunciò allarmata la madre della donna giungendo in cucina visibilmente
sconvolta.
Bulma si rivolse a guardarla sgranando gli occhi, “Cosa?!? Come sarebbe che non
lo trovi?” domandò agitata cominciando a sentire i brividi percorrerle lungo la
schiena.
*
Trunks si affacciò alla finestra osservando l’esterno accomodandosi, in piedi,
sopra il divano.
Scrutò il prato immerso nella notte e gli alberi che sembrava avessero vita
propria.
“Bulma, cara, ti dispiace pensare tu alla cena, io andrò a mettere a letto il
mio bellissimo nipotino” sentì la voce della nonna provenire dalla cucina.
Ora della nanna.
No... non ne aveva nessuna intenzione.
Era ancora troppo sveglio per restare dietro quelle sbarre di legno per delle
ore.
A cosa servivano quelle lastre proprio non lo sapeva, tanto gli bastava un
secondo per riuscire a liberarsene.
Così come quella strana sedia sulla quale lo aveva lasciato il nonno, gli era
bastato togliere il singolare tavolino e fare un piccolo salto per poggiare i
piedini al suolo.
Con un balzo, il piccolo Saiyan, scese dal divano e, con l’andatura goffa dovuta
dal pannolone, si precipitò fuori dalla stanza.
Schizzò, il più velocemente possibile, tra i corridoi della casa pur di non
essere trovato.
“Trunks? Dove sei? Trunks?” domandò la nonna che, evidentemente, lo stava
cercando.
Preso dal panico, e non sapendo dove andare, il bimbo cercò di rifugiarsi dietro
una pianta.
I passi si fecero sempre più vicini allarmando il pargolo che decise di cambiare
nascondiglio.
Uscì allo scoperto, sgattaiolando il più velocemente possibile, continuando la
sua folle corsa alla ricerca di un rifugio.
Giunse, infine, dinanzi alla porta d’ingresso davanti alla quale si fermò alcuni
istanti.
La contemplò per pochi secondi prima di sentire la squillante voce della nonna
provenire appena dietro di lui.
Il piccolo fuggitivo posò le manine sull’uscio che lo separava dalla libertà e
la aprì.
Impresa titanica per un bambino qualsiasi, ma lui non era un bambino qualsiasi.
Il fuggiasco si precipitò tra l’erba alta e, guardandosi attorno, si domandò
dove potesse essere al sicuro.
Poi lo vide.
Lui era lì che lo fissava nella sua immensa grandezza.
L’albero tanto diverso dagli altri.
Non indugiò oltre, il latitante, corse con quanto fiato avesse in gola fino a
raggiungere quello che riteneva un buon nascondiglio.
Trunks si nascose all’ombra dello strano tronco sicuro di essere riuscito a
scamparla.
L’evasione era perfettamente riuscita.
Qualcosa gli sfiorò una gamba attirando la sua attenzione.
Intanto, il piccolo monello, non si accorse di essere osservato.
*
Non sapeva dov’era suo figlio.
Non sapeva dov’era suo figlio.
Non sapeva dov’era suo figlio!
Era agitata e sconvolta, non sapeva più dove cercare.
Aveva controllato in ogni dove pur di trovare quella piccola peste, ma senza
alcun risultato.
Nervosa ed irrequieta, non sapeva nemmeno perché.
No, lo sapeva, era una madre che non aveva la più pallida idea di dove si fosse
nascosto il suo bambino.
Non sapeva dov’era suo figlio!
La sua mente, ottenebrata dalla sua apprensione, non riusciva a pensare ad
altro.
La casa era grande e Trunks poteva aver trovato rifugio in qualunque luogo.
Inoltre l’edificio era pieno di pericoli per un bambino di quell’età e la sola
idea contribuì ad accrescere l’angoscia della donna.
La sua irrequietudine non era dovuta al solo fatto di non sapere da dove, la
piccola peste di casa, stesse osservando la scena.
Non era il bimbo il solo ad essere considerato in pericolo, ma anche
l’abitazione stessa.
Un piccolo Saiyan disperso chissà dove in una casa enorme e con la facoltà di
distruggere qualunque cosa gli capitasse a tiro.
In pratica una bomba ad orologeria nascosta in un’abitazione dalle dimensioni
sproporzionate.
“Allora? L’avete trovato?!” domandò la donna dai capelli azzurri appena incrociò
i suoi genitori per il corridoio.
L’uomo scosse amaramente il capo, “No purtroppo” ammise sconsolato grattandosi
il mento preoccupato.
“Dove può essersi cacciato?” si chiese la madre del pargolo guardandosi attorno
in cerca di un indizio, uno qualsiasi, che potesse aiutarla a trovare il figlio.
“Bulma, vieni presto!” la richiamò la madre poco distante “La porta è rimasta
aperta!” esclamò additando l’uscio spalancato sul giardino.
Il sangue le gelò nelle vene.
E se fosse uscito?
Per un attimo il cuore smise di battere, le sue gambe ebbero un leggero
cedimento rischiando di farla crollare al suolo.
Po... poteva essere ovunque, poteva anche essere uscito dalla proprietà.
Un fremito la scosse da capo a piedi, no, non voleva pensarci.
Il suo bambino.
Quando le sue gambe tornarono a sorreggere il suo peso, Bulma, fece uno scatto
in direzione dell’ingresso.
Si fermò a guardare il manto erboso immerso nella notte, le fronde degli alberi
e...
Un’immagine si delineò davanti ai suoi occhi.
Un ricordo risalente appena a pochi giorni prima.
Rivide Trunks arrampicato sul divano con l’intento di osservare l’esterno.
Solo allora comprese cosa aveva tanto attirato l’attenzione del bambino quel
giorno e un’idea, seppur vaga, di dove poteva essersi nascosto il figlio le fece
tornare l’indomabile baldanza che la contraddistingueva.
“Mamma, papà, voi continuate a cercare in casa, forse non è uscito. Io vado a
dare un’occhiata in giardino” annunciò risoluta attendendo un accenno da parte
dei genitori.
Entrambi acconsentirono annuendo e, alla giovane madre, non restò che uscire
alla ricerca del bimbo.
*
Lo sguardo rivolto alle stelle immerso nei suoi pensieri così profondi, eppure,
così effimeri.
La rabbia e la frustrazione che, di norma, contraddistinguevano le sue
meditazioni non lo stavano torturando com’era solito succedere nei suoi momenti
di riflessione.
Anzi, poteva quasi definirsi sereno, anche se non poteva dirlo con certezza.
Rilassato ed, incomprensibilmente, abbandonato alle sue sensazioni velatamente
distese e spensierate.
Non sarebbe mai riuscito a comprendere il motivo di tale quiete, almeno non per
molto tempo ancora; sapeva solo che, per il momento, la collera non stava
scorrendo nelle sue vene.
Socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla brezza notturna che gli sferzò il
viso dai lineamenti marmorei, stranamente, placidi.
Fu uno strano fruscio a distogliere la sua attenzione dalle sue riflessioni
fuggevoli.
Vegeta scostò lo sguardo osservando una piccola figura che, goffamente,
sgattaiolò tra l’erba alta fino a raggiungere il bizzarro aereo conficcato nel
terreno.
Escludendo lo stupido gatto dell’eccentrico scienziato pazzo c’era una sola
creatura che si aggirava per la sua abitazione vantandosi di tale minuta
fattezza.
Il principe dei Saiyan osservò la scena seduto sull’escrescenza di un albero
sbattendo le palpebre quasi incuriosito.
Restò a guardare il moccioso nascondersi dietro il velivolo e cominciando a
giocare con alcune ciocche d’erba che gli avevano sfiorato una gamba.
La concitazione proveniente dalla casa poco distante distolse la sua attenzione
dal fuggiasco.
Evidentemente quel singolare marmocchio ne aveva combinata un’altra delle sue.
Lo sguardo di Vegeta tornò ad osservare il bambino che, nel frattempo, aveva
iniziato a strappare le zolle dal terreno per osservare l’effetto che facevano
ricadendo al suolo.
Appena si accorse che il pezzo di terra si sgretolava al contatto col terreno,
Trunks, batté le mani con entusiasmo adagiandosi al mezzo alle sue spalle.
Non trattandosi di un bambino normale, quel piccolo movimento, bastò a far
barcollare l’aereo che si sporse pericolosamente in avanti, proprio sopra la
testa dell’innocente ospite.
Trunks, ignaro di ciò che stava accadendo alle sue spalle, tornò a sperimentare
la caduta di terra ripetendo l’operazione una seconda volta.
Una volta di troppo per il velivolo che si trovava già in una posizione
precaria.
Il giovane Saiyan alzò lo sguardo percependo il movimento del mezzo che con gran
velocità cominciò a ricadere nella sua direzione.
Fu un attimo, un breve, brevissimo istante.
La caduta del veicolo si interruppe a pochi centimetri dal bimbo che,
inconsapevole del pericolo, restò a fissare l’ombra sul terreno, con
un’espressione innocente in volto.
Solo quando si accorse che l’avvicinarsi del mezzo si bloccò distolse lo sguardo
da ciò che stava guardando.
“Ehi, moccioso, spostati se non vuoi restarci secco” disse una voce attirando,
definitivamente, l’attenzione del piccolo.
Trunks volse lo sguardo verso l’uomo che gli aveva appena parlato osservandolo
con la più totale purezza.
Gli bastò un secondo per riconoscerlo.
Lo aveva visto tante volte parlare con la mamma, qualche volta anche con i
nonni.
Questo era il tizio che la sua mamma chiamava spesso con l’appellativo di
papà.
Era la persona di cui spesso la sua mamma parlava, nel bene e nel male, la
persona che riusciva a farla sorridere.
A permetterle di sorridere in quello strano modo; facendola sembrare la mamma
più bella del mondo.
Trunks osservò i lineamenti dell’uomo che aveva davanti, lo sguardo crucciato e
l’espressione arrabbiata.
Era la prima volta che lo vedeva così da vicino ed era la prima volta che, papà,
gli rivolgeva la parola.
Eppure, nonostante a vederlo facesse paura, il piccolo Trunks si ritrovò a
ragionare per vie indirette a questa persona.
Questo tizio faceva sorridere la sua mamma e se riusciva a far felice la sua
mamma allora non poteva essere una persona cattiva.
Se la mamma di Trunks era felice anche Trunks era felice.
Sul suo piccolo volto si dipinse un sorriso genuino ed assolutamente sincero.
Il bimbo acclamò il suo salvatore battendo le manine in segno di approvazione
spiazzando l’imperturbabile principe dei Saiyan.
Vegeta lo guardò oltremodo sorpreso, cos’aveva da ridere questo marmocchio?
“Piantala, moccioso, non l’ho fatto per te” già, allora perché l’aveva fatto?
L’uomo scosse il capo nel tentativo di rimuovere la più assurda delle
conclusioni dalla sua testa.
Non l’aveva fatto per Trunks, punto e basta.
Vegeta osservò il visino del figlio mentre questi non smise, nemmeno per un
secondo, di sorridere.
Il Saiyan sollevò l’aereo che stava ancora sostenendo e lo ripose, in maniera
consona, al suolo.
Incrociò le braccia offeso guardando il bambino dall’alto, “Dacci un taglio”
ordinò scorbutico corrugando le sopracciglia.
Trunks fermò per un istante il suo applauso tornando a scrutare l’uomo... che
tipo buffo.
Immancabilmente tornò a festeggiare il suo papà, contrariamente sempre più a
disagio, sorridendo con ancora più entusiasmo.
Vegeta s’inginocchiò per essere alla sua altezza, senza mai mutare la sua
espressione, “Ti ho detto di smetterla” insistette oltraggiato ed impacciato.
Trunks smise definitivamente di battere le mani, ma non di sorridere.
Padre e figlio, per la prima volta, si guardarono negli occhi e una piccola
fenditura si creò sul muro impenetrabile dell’uomo.
La parete dietro la quale nascondeva il suo intero animo ebbe un, leggero ed
impercettibile, cedimento.
“Trunks!” si sentì urlare dalla distanza attirando l’attenzione dei due.
Bulma corse verso il luogo, dietro il quale, era sicura di trovare il figlio.
Infatti, come previsto dalla donna, Trunks era lì, tutto solo, nascosto dietro
l’aereo.
La donna si precipitò a cingere il bambino che si lasciò stringere
dall’abbraccio materno.
“Oh, Trunks, mi hai fatto prendere uno spavento terribile” ammise cullando il
figlio.
Trunks batté le mani per un paio di volte, additò davanti a lui il vuoto
attirando l’attenzione della madre.
Bulma guardò il bambino perplessa senza capire il motivo di tanta agitazione,
solo allora si accorse della condizione dell’aereo, tornato ai suoi normali
requisiti.
Impiegò poco a capire.
Strinse nuovamente il bambino a sé e sorrise.
La signora Brief percorse il corridoio fischiettando una canzone inventata sul
momento.
In mano un libro di ricette, prevalentemente di dolci e pasticci, aperto su una
pagina che, alla donna, sembrava interessante.
Quando giunse a destinazione si accorse immediatamente dell’anta del frigo
aperta.
Non riuscì a vedere subito chi stava rovistando all’interno del mobile alla
ricerca di nutrimento.
Si sporse leggermente col capo prima di riuscire a comprendere di quale dei suoi
conviventi si trattasse.
Non fece in tempo, l’anta del frigo si richiuse prima che la bionda potesse
svelare il mistero.
Ai suoi occhi, in compenso, si mostrò il principe dei Saiyan intento a mangiare
l’avanzo di qualche pasto.
“Oh, ciao Vegeta” lo salutò incrociando con lui lo sguardo.
La sola reazione dello strano ospite fu un basso suono gutturale senza degnarla
di tanta attenzione.
Vegeta si girò verso il tavolo accomodandosi e sgranocchiando lo scarno pasto
appena sottratto al frigo.
D’altronde era solo uno sfizio tra un lauto pranzo ed una copiosa cena.
*
“Cara, ho una cosa da mostrarti” la bloccò il padre appena la intravide passare
per il corridoio.
Bulma si fermò sul posto scostando il capo per osservare la figura senile che
l’aveva richiamata.
“Di cosa si tratta?” domandò osservando il genitore mentre questi cominciò a
rovistare in una tasca in cerca di qualche cartaccia.
Come volevasi dimostrare, il dottor Brief, cominciò ad estrarre diversi pezzetti
di carta, sconclusionati l’uno dall’altro, fino a trovare quello che stava
cercando “Ah ecco” affermò una volta trovato lo schizzo giusto porgendo il
foglietto alla figlia.
Bulma afferrò lo scarabocchio, abbellito da bruciature di sigaretta e da macchie
di caffè, cercando di comprenderne il contenuto.
Lo rigirò un paio di volte riprendendo il suo cammino, accompagnata dall’anziano
scienziato che, nel frattempo, cominciò a giocare col nipotino tra le braccia
materne.
Dopo alcuni secondi, Bulma, inarcò un sopracciglio “Cos’è?” domandò senza
riuscire a decifrare correttamene gli strambi, più del solito, calcoli scritti
sul pezzo di carta.
Il padre alzò la testa e si schiarì la voce con un sonoro colpo di tosse “Una
culla” affermò con una punta d’orgoglio.
“Una culla?” domandò di rimando la donna confusa da una risposta inaspettata.
L’uomo annuì tornando a portare la sua attenzione verso il bambino, “L’ho
progettata per il piccolo Trunks” spiegò tastando delicatamente con un dito il
naso del nipote che rise divertito dal gioco con il nonno.
Bulma sbuffò sonoramente “Grazie tante papà, fin qui c’ero arrivata anche da
sola” mormorò canzonatoria “Mi piacerebbe sapere cos’ha di diverso questa culla
da tutte le altre” disse porgendo il pezzo di carta al genitore.
L’attempato dottore ripose i suoi appunti nella tasca del camice, si passò una
mano sotto il mento ed alzò lo sguardo, “E’ fatta di un materiale particolare e
dotata dei migliori confort, in questo modo, Trunks, non potrà più scappare”
spiegò infine tornando ad osservare le pupille azzurre della figlia.
Bulma sembrò pensarci per alcuni secondi.
Effettivamente non era una cattiva idea, nella fattispecie si trattava di un
bambino dalle origini extraterrestri, era ovvio, dunque, che i normali mezzi del
pianeta Terra non fossero di grande aiuto.
La donna si fermò appena mise piede in cucina, guardò il padre con aria sorpresa
e sorrise entusiasta, “Ma certo! Lo sai, papà? Hai avuto davvero una splendida
idea!” esultò.
Il dottor Brief si grattò la nuca in segno d’imbarazzo, “Bè, veramente non è
stata una mia idea” ammise.
Lo sguardo di Bulma si fece lentamente più serio scrutando l’espressione del
padre.
L’uomo scostò gli occhi all’interno della stanza soffermandosi sul tavolo alle
spalle della figlia.
Istintivamente, Bulma, volse la sua attenzione nella stessa direzione
accorgendosi, solo allora, della presenza aliena in cucina.
Vegeta sollevò lo sguardo dal suo spuntino osservando padre e figlia che
restarono a fissarlo.
Infastidito inarcò un sopracciglio sbattendo una mano sul tavolo alzandosi con
uno scatto “Che diavolo avete da guardare?!” sbottò accompagnato da un sonoro
ringhio.
Il silenzio che seguì non contribuì affatto a tranquillizzare i bollenti spiriti
del Saiyan che, sentendosi analizzato dall’intera famiglia, girò nervosamente i
tacchi e sparì ancor prima di ricevere una risposta.
Bulma osservò l’uomo allontanarsi, nella sua mente tutti i pezzi del puzzle
cominciarono a collimare uno dopo l’altro in maniera perfetta ed ordinata.
L’ultimo indizio fu il battito di mani del figlioletto e l’entusiasmo dipinto
sul piccolo volto.
*
Il ticchettio regolare dell’orologio sulla parete scandì il tempo nel suo lento
scorrere.
La camera era immersa nel più totale silenzio e nel buio delle tenebre.
Persino all’esterno della stanza da letto vi era solo quiete e calma.
Sembrava quasi irreale, ma nella sua naturalità aveva qualcosa di impensabile,
come se quell’eccezionale tranquillità si sarebbe presto dissipata con
schiamazzi e grida.
Era strano, infatti, non udire alcun suono a quell’ora della sera.
Di norma urla e strepiti erano l’abituale routine.
Come volevasi dimostrare, dunque, l’immobilità della casa fu interrotta, ma non
nella maniera che, lui stesso, si aspettava.
Dei leggeri passi si udirono appena fuori dalla sua stanza percorrendo il
corridoio fino a giungere davanti alla porta.
Il leggero bussare contribuì a confermare i suoi sospetti.
Ogni membro di quella famiglia aveva un metodo diverso per presentarsi nella sua
stanza e una sola persona bussava una volta, attendeva una risposta per pochi
istanti, infine apriva la soglia, lentamente, sbirciando al suo interno.
Il prevedibile scorrere degli eventi gli fece intuire chi fosse la persona che
aveva appena varcato, quello che era diventato, il suo territorio.
Non si voltò neanche, restò a fissare oltre il vetro della finestra in attesa
della conferma finale.
Lei parlò.
“Immagino ti debba ringraziare” lo salutò accomodandosi sul bordo del letto di
lui.
Vegeta osservò il riflesso sulla finestra, fingendo totale indifferenza per la
donna dai capelli azzurri.
Il suono regolare delle lancette dell’orologio impedirono alla stanza di
immergersi nel più totale silenzio.
“Se riguarda l’aereo, non l’ho di certo fatto perché me lo hai detto tu” stabilì
subito Vegeta, voltandosi a guardarla incrociando le braccia.
Bulma restò a fissarlo per alcuni secondi, sorrise, “Lo so” ammise con aria
furbesca.
Acc... colpito!
La donna restò ad osservare il principe, visibilmente in imbarazzo, divertendosi
a constatare, ancora una volta, la sua goffaggine in situazioni ordinarie.
Bulma appoggiò le mani al materasso accavallando le gambe e scrutando i
lineamenti di lui illuminati dalla luce della luna proveniente dall’esterno.
“Comunque non parlavo dell’aereo” volle specificare “Intendevo la culla di
Trunks” ammise appurando il mutamento d’espressione che ebbe l’uomo.
Vegeta, dapprima impacciato, cominciò a manifestare un leggero divertimento.
Sul suo volto si dipinse un leggero ghigno, “Mpf, in questo modo eviterò di
assistere a patetiche scenette” si giustificò, a modo suo, senza ammettere che,
in realtà, le trovava piuttosto divertenti e stuzzicanti.
Questa volta fu lui a contemplare i cambiamenti facciali della donna.
Dilettevole leggere, negli occhi azzurri di lei, un notevole disagio mentre
ipotizzava mentalmente cosa esattamente avesse suscitato quella
espressione sul volto di lui.
Perché conosceva quello sguardo, era indice di un sano diletto.
Vegeta si alzò dal davanzale della finestra e fece alcuni passi verso di lei.
*
Nell’ombra della grande casa una piccola figura si aggirava tra gli immensi, e
silenziosi, corridoi.
Si soffermò davanti ad una porta e ne contemplò la superficie.
L’unico accesso dal quale provenivano delle voci.
*
“A... aspetta un attimo, Vegeta” cercò di bloccarlo lei facendogli cenno di
stare lontano.
Nonostante gli avvertimenti della donna, il principe dei Saiyan, non interruppe
il suo incedere, lento e flemmatico, verso di lei.
Nessuno dei due si accorse del grattare che si udì provenire dalla porta alle
spalle di lui.
Fu l’espressione dell’uomo a segnalare una nuova presenza nella stanza.
Bulma lo vide passare dall’espressione maliziosa ad una decisamente meno
preoccupante.
Le sopracciglia si arcuarono sorprese, mentre la bocca si curvò verso il basso
in una, buffa, espressione di sgomento.
Vegeta chinò lo sguardo osservando i suoi piedi ritrovandosi a fissare un
batuffolo nero che gli rispose con un’impercettibile miagolio.
“Dannata bestiaccia!” imprecò il Saiyan serrando il pugno di una mano, tornando
ad assumere uno sguardo adirato e nervoso.
L’innocente gatto nero fu salvato dalla padrona di casa.
Bulma, infatti, osservò la scena in totale silenzio imponendosi di restare
seria.
I suoi buoni propositi furono completamente annientati da un sorriso, quindi da
una sonora risata che non riuscì più a trattenere.
L’ilarità della donna distrasse il principe; impedendogli di fare a pezzi il
piccolo ospite che, spaventato, decise di lasciare velocemente la camera.
Vegeta osservò la donna, piegata in due dal ridere, rotolarsi, letteralmente,
sul suo letto in preda ad un’incontrollabile risata.
“Smettila!” ordinò l’uomo volgendo alla compagna un sonoro ringhio.
Sfortunatamente per lui, Bulma, non sembrava intenzionata a smettere o,
quantomeno, pareva non esserne in grado.
Tale comportamento non fece che accrescere l’irritazione dell’alieno che
digrignò i denti, “Ti ho detto di smetterla!” s’impose nuovamente avvicinandosi
di un altro passo al letto.
Nulla sembrava frenare il riso della scienziata che neanche degnò uno sguardo
al, sempre più scontento, principe.
Vegeta decise di interrompere la sceneggiata a modo suo.
Appoggiò le mani sul materasso, accanto al capo della donna, costringendola a
fermarsi ed a guardarlo negli occhi.
Solo allora, Bulma, riuscì ad interrompere il suo divertimento spegnendo le sue
risate in un sorriso genuino e sincero.
Osservò l’espressione offesa dell’uomo e, benché se lo stesse imponendo, non
riuscì a tornare seria.
“Lo sai, sei anche più carino quando sei imbarazzato” confessò accentuando il
sorriso afferrandogli le gote costringendolo a baciarla.
Un’altra piccola increspatura, un’altra spaccatura sgretolò un piccolo scorcio
di muro.
Un nuovo crollo permise, all’imperturbabile Saiyan, di vedere uno spiraglio di
luce laddove cercasse di negarlo, dove pensava non fosse necessario.
Solo un piccolo sorriso, una curvatura singolare delle labbra, era riuscita a
creare dei solchi nella parete eretta alla difesa del suo cuore.
Tanti piccoli sorrisi, tante piccole crepe, e tutte queste spaccature lo
avrebbero, tra qualche anno, portato dove non avrebbe mai osato immaginare.
Perché, quando il suo muro si sarebbe sgretolato, lui si sarebbe sgretolato con
esso.
*
FINE
*
*
Storia scritta per il Fiction Exchange indetto su Writers Arena
*
Grazie a chi è arrivato alla fine