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Autore: taisa    28/05/2008    8 recensioni
Una semplice increspatura delle labbra è in grado di distruggere delle barriere definite insormontabili.
Genere: Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA FORZA DI UN SORRISO

LA FORZA DI UN SORRISO

*

“Stai cercando di dirmi che non lo sposteranno fino a lunedì?” domandò inarcando un sopracciglio voltandosi a guardare il suo interlocutore.
L’uomo dalla capigliatura ingrigita aspirò tranquillamente dalla sigaretta che pendeva dalle sue labbra, “Proprio così” confermò dopo alcuni secondi grattandosi il mento con fare pensieroso.
“E si può sapere per quale ragione esattamente?” s’informò con una punta d’ironia tornando a guardare l’imponente velivolo che occupava l’immenso giardino.
Il dottor Brief si grattò la nuca senza distogliere lo sguardo dall’oggetto del discorso, “Sembra che abbiano bisogno di una gru più resistente di quella che avevano per spostarlo. Ci vorranno tre giorni perché arrivi quella nuova, poi c’è il week-end...” spiegò per nulla preoccupato dalla situazione.
La figlia tornò a fissarlo, al contrario, piuttosto nervosa, “Voglio ricordarti, papà, che questo coso è opera tua, quindi è tua responsabilità!” gli fece presente additando il mezzo conficcato nell’innocente manto erboso.
Finalmente, l’attempato scienziato, si voltò a guardare la donna che lo stava fissando con un’espressione assassina, “Ma certo, ma certo. Non temere cara, questo aereo sparirà nel giro di qualche giorno” confermò nient’affatto convincente.
“Papà!” esclamò Bulma già intenta a rammendargli che avere un aereo conficcato nel proprio giardino non era propriamente una cosa normale.
Va bene essere ritenuti strani ed alquanto bizzarri dal resto del vicinato, ma a tutto c’era un limite.
Passino stramberie dovute al lavoro, ben noto, dei due scienziati di casa, passino esplosioni varie a causa di un, meno giustificato, alieno che si divertiva a far saltare in aria tutto di tanto in tanto, ma accidenti se si andava avanti così la scusa della ditta di famiglia non avrebbe più avuto valore.
Certo, questo era il, brillante, risultato per essersi presa una settimana di vacanza.
Grosso, grossissimo errore lasciare suo padre da solo in laboratorio per sette lunghissimi giorni.
Difatti la conseguenza di tale sconsideratezza era quell’accidenti di velivolo a fare bella mostra di sé in una postura non consona a mezzi del suo genere.
Pessima pubblicità, tra l’altro.
Inutile chiedersi, d’altra parte, come diavolo ci era riuscito.
Per quanto la sua mente fosse quella di un genio andava ben oltre ogni logica riuscire a comprendere come avesse fatto, suo padre, a conficcare un prototipo dritto nel terreno davanti casa.
Chiedere al diretto interessato, poi, era un’idea da non prendere nemmeno in considerazione.
Conoscendolo avrebbe risposto con qualche divagazione senza nessun raziocinio.
Perché porsi di queste domande dunque.
Inutile, d’altronde, aspettarsi che prima di lunedì quell’immensa struttura sparisse dalla sua vista.
Anche su questo sapeva come sarebbe finita, in appena un paio d’ore la sola idea di avere un singolare aereo piantato nel proprio giardino gli sarebbe completamente passata di mente.
Forse per lunedì sarebbe sparito, la domanda ora era: esattamente di quale lunedì si parlava?
Il successivo, quello del mese seguente o ancora dell’anno prossimo?
Bulma sospirò pesantemente rassegnata, suo malgrado, a dover intervenire personalmente per risolvere la situazione.
“Va bene, papà, ci penso io” si offrì controvoglia osservando l’uomo che restò a guardare la nuova scultura del loro parco privato.
Non una risposta giunse dal singolare vecchietto che, al contrario, iniziò a farfugliare qualcosa riguardo ad un certo impianto di propulsione.
Evidentemente non l’aveva neanche sentita.
Bulma sbuffò nuovamente.
Inutile perdere altro tempo dietro al lunatico genitore, meglio darsi da fare per trovare una soluzione.
Senza indugio girò i tacchi dirigendosi, a ritmo di marcia, verso l’immensa casa dalle mura gialle.
Spedita, entrò in cucina dove vi ritrovò la madre alle prese con i fornelli.
Quando la vide entrare, la donna bionda, alzò il capo per volgere l’attenzione alla figlia.
Che la giovane donna fosse di pessimo umore era ben visibile dall’espressione non propriamente amichevole che presagiva fulmine e saette.
“Ciao cara” la salutò cordiale senza, però, dare troppa importanza alle volontà omicida della figlia.
Bulma le riservò un’occhiataccia ringhiando sommessamente, “Possibile che in questa casa debba fare sempre tutto io?” domandò con rimprovero sbraitando come un’ossessa.
La signora Brief la fissò per alcuni secondi senza mai smettere di sorridere reclinando leggermente il capo di lato, “E’ successo qualcosa?” chiese innocentemente.
Le fu riservato l’ennesimo sguardo assassino, mentre Bulma corrugo, se era fattibile, maggiormente le sopracciglia, “Mamma!” cominciò tagliente, “E’ mai possibile che tu non abbia visto la singolare piantagione di aerei che abbiamo in giardino?” strepitò additando la finestra che dava nel punto esatto nella quale sorgeva il più strambo albero che la storia avesse mai visto.
La bionda osservò ciò che stava scatenando l’ira del turbine azzurro, tornando a guardarla con la solita aria beata dipinta in volto, “Suvvia non preoccuparti, tuo padre risolverà la situazione” minimizzo, come suo solito, tornando ai dolci intenti a rosolare in forno.
Bulma aprì bocca per replicare, ma a farla tacere, ed a confermare le sue supposizioni, fu il dottor Brief armato di fogli di carta adibiti al ruolo di taccuino per i suoi calcoli inconcludenti.
Ancora una volta, la figlia dei due strani vecchietti, fermò le sue repliche prima ancora di poterne porre.
Di sua spontanea volontà si tappò la bocca mordendosi il labbro inferiore e scompigliandosi i capelli ormai al culmine del nervosismo.
“Voi! State cercando di farmi impazzire?!” sbottò gesticolando insensatamente.
“Non capisco quale sia il problema, cara” intervenne la madre attirando l’attenzione su di sé, “Perché non chiedi semplicemente a Vegeta di spostarlo” le ricordò con naturalezza.
Bulma le rivolse uno sguardo indecifrabile, un miscuglio tra un ammonimento ed un interrogativo.
*
Con i suoi genitori parlare era un’impresa ardua, per non dire impossibile.
Finiva sempre per farsi venire un gran mal di testa alla fine di ogni discorso.
Peccato che non fossero gli unici, in quella casa, a farle venire un’emicrania ogni qualvolta le capitava d’instaurare un dialogo.
Stava cominciando a chiedersi se fosse lei quella strana ed anormale.
Conscia di non essere lei l’aliena venuta da un pianeta sconosciuto, né di essere una pazza col cervello rivoltò chissà dove, percorse i corridoi della grande casa.
Benché sua madre avesse, spesso e volentieri, il vizio di cinguettare a vanvera giungendo a conclusioni fuori luogo e assurde, doveva ammettere che per una volta aveva quasi ragione.
Chi meglio di un alieno dalla forza sovraumana poteva risolverle il piccolo problema di giardinaggio con una sola mano?
Certo, c’erano un paio di piccoli... piccolissimi intoppi.
Tanto per cominciare i suoi nervi non potevano propriamente essere definiti calmi e rilassati.
Dopo il discorso appena avvenuto con suo padre a chiunque sarebbe spuntato il dente avvelenato.
Il secondo problema era, nientemeno, che il Saiyan stesso.
Figurarsi se con lo zuccone, venuto dalla galassia sconfinata, era possibile fare un discorso pressoché simile a qualcosa di definibile come civile.
Con passo deciso si diresse verso quella che era la stanza con più probabilità di trovare la sua futura vittim... ehm... il soggetto in questione.
Prima di giungere a destinazione, però, qualcosa attirò la sua attenzione.
Arrampicato sul divano, il più vicino alla finestra, una piccola sagoma osservava l’esterno con aria incuriosita.
Bulma inarcò un sopracciglio, si fermò d’improvviso adagiandosi le mani ai fianchi in posa d’attacco, “Trunks!” richiamò la sua attenzione con voce severa, “Cosa ci fai ancora sveglio? Pensavo di averti messo a letto almeno mezz’ora fa” lo rimproverò guardando malamente il bambino.
Il piccolo Trunks, riconosciuta la voce della madre, si voltò a guardarla conscio della minaccia.
Il rischio, però, si rivelò ben più grave del previsto, complice l’umore, non esattamente idilliaco, della madre ed uno sguardo che aveva dell’agghiacciante.
Resosi, solo allora, conto dell’incombente pericolo sgranò gli occhi scendendo alla velocità della luce dal divano e rifugiandosi sotto un tavolino abbastanza alto da nascondervi un bambino della sua età e precludendo, a qualsiasi adulto, la possibilità di accedervi.
“No! Trunks, non scappare, vieni subito qui!” urlò la donna appena vide il pargoletto, consapevole di essere parte delle cause scatenanti l’ira materna, svanire sotto il pezzo di mobilio.
*
Non valeva più la pena allenarsi così.
Tutti i motivi che, negli anni, lo avevano sempre spinto a farlo erano svaniti uno dopo l’altro.
Come castelli di sabbia.
Tutti i suoi sogni si erano distrutti davanti ai suoi occhi vanificando, uno ad uno, ogni suo sforzo.
Gli anni passati a desiderare la libertà conquistata grazie alla propria forza li aveva visti disintegrarsi su un pianeta anni luce da dove si trovava, sul pianeta Namecc.
Anni andati persi in piccole gocce d’acqua che gli erano sgorgate sul viso e che, i terrestri, chiamavano comunemente lacrime.
Gli anni che aveva speso all’interno di una stanza massacrante trasformano le gocce del pianto in quelle più edificanti di sudore si erano sgretolati su un campo di battaglia tra i granelli di polvere sbalzati dal potere deflagrante delle esplosioni.
Perse in un addio che era l’obbiettivo finale di tutto ciò per la quale, nei tre anni precedenti, aveva lottato e sudato.
Ora si ritrovava solo con un asciugamano poggiato sul capo come simbolo dei suoi sforzi.
Cos’altro?
Nulla a parte...
Il vociferare proveniente dal salotto interruppe bruscamente i suoi pensieri.
Con un sopracciglio arcuato, nascosto all’ombra dell’asciugamano, si affacciò sulla stanza dalla quale provenivano i brusii concitati che avevano attratto la sua attenzione.
La prima cosa che vide fu il fondoschiena della donna intenta a guardare sotto un tavolino del salotto.
Con un’espressione perplessa, ed alquanto basita, restò a fissare la scena reclinando impercettibilmente la testa incuriosito, doveva ammettere, dallo strano impeto che si era causato all’interno della stanza.
“Ho detto di venire fuori da lì! Quante volte devo ripetertelo! Ubbidisci avanti!” urlò lei tastando sotto il mobile in cerca di qualcosa.
Vegeta restò a fissare la scena ancora per alcuni secondi senza scostarsi dall’uscio.
Strizzò gli occhi nel tentativo di comprendere la situazione, ma a renderlo partecipe del motivo di tanta agitazione fu il figlioletto che, alla prima distrazione della madre, riuscì a sgattaiolare fuori dal suo nascondiglio.
Trunks si precipitò, piuttosto alla cieca, verso l’uscita della stanza senza prestare la minima attenzione a dove la sua corsa lo avrebbe portato.
A fermarlo fu qualcosa che lo fece sbalzare all’indietro.
La piccola peste dovette ringraziare il suo pannolino per non aver subito alcun danno al posteriore.
La parte lesa era invece la testa che, il piccolo Saiyan, si tastò con movenze impacciate domandandosi cosa avesse frenato la sua corsa.
Lentamente volse lo sguardo verso l’alto incrociando gli occhi austeri del padre.
Trunks si ritrovò tra due fuochi, essere catturato dalla madre furente oppure andare in pasto al padre che nel suo solo anno di vita non aveva mai avuto contatti con lui.
Non ebbe poi molta scelta vista la fretta con la quale fu riacciuffato dalla donna, causa, oltre all’ingombrante pannolone ed i movimenti ancora un po’ impacciati, anche la totale concentrazione che il bambino mostrò verso gli occhi paterni.
Bulma si sistemò il figlio tra le braccia guardandolo evidentemente seccata, “E’ ora della nanna Trunks, non farmi arrabbiare anche tu!” brontolò accorgendosi, lentamente, che le attenzioni del piccolo erano rivolte altrove.
Inarcò un sopracciglio scorrendo, con lo sguardo, nella direzione in cui il bimbo era concentrato a fissare.
Con suo immenso stupore si ritrovò ad incrociare gli occhi col principe dei Saiyan che, dal canto suo, osservò madre e figlio celando un’impercettibile punta di divertimento dovuta alla scena cui aveva appena assistito.
Le braccia incrociate sul petto nella sua postura classica e lo sguardo accigliato oltre ogni dire.
Bulma impiegò qualche secondo prima di rendersi conto che la persona che stava cercando le sostava davanti apparso da chissà dove con una tempistica che aveva dello straordinario.
Vegeta, però, non le diede il tempo di formulare nemmeno una frase, prima che lei iniziasse a parlare le passò accanto tornando ad incamminarsi per la sua strada.
“A... aspetta, Vegeta” lo richiamò la donna ripresasi da uno strano stato d’ipnosi dovuto, forse, allo sguardo dell’uomo.
“Cosa vuoi?” pronunciò con voce inflessibile il Saiyan fermandosi pochi passi più avanti e guardando la donna di sottecchi.
Rimase in silenzio per alcuni secondi prima di riprendere a parlare, “Ho bisogno che tu mi faccia un favore” Vegeta ringhiò contrariato, “Dovresti spostare l’aereo che abbiamo in giardino, ti basta un secondo per...” “No” rispose lapidario lui riprendendo il suo intercedere.
La grinta che l’era stata strappata via in quel breve frangente le tornò tutta in un botto solo.
Bulma si appoggiò una mano al fianco, l’altra a sorreggere il bambino, guardandolo generando scariche elettriche dagli occhi.
“Stammi a sentire, simpaticone. Visto e considerato che non hai nulla da fare, al contrario del resto della famiglia, potresti adoperarti per aiutare. Giusto per fare una cosa nuova. Sai credo non ti faccia male provare una nuova esperienza che qui sulla Terra chiamiamo gentilezza!” gli sbottò contro sbraitando con l’unica mano libera.
Vegeta non la degnò della minima attenzione, continuò a camminare fino a sparire per i corridoi.
Bulma digrignò i denti nervosamente.
Non sarebbe finita così facilmente, nossignore, non si sarebbe arresa al primo rifiuto!
Nessuno può permettersi di liquidare così Bulma Brief e pensare di passarla liscia.
Improvvisamente la presa del piccolo Saiyan si fecero più serrata.
Le sue dita si aggrapparono saldamene dal maglione della madre attirando la sua attenzione.
Bulma abbassò lo sguardo osservando il bimbo ancorato a lei in un perfetto stile koala.
Lo sguardo di Trunks, però, non era rivolto alla donna.
I suoi piccoli occhi azzurri erano magnetizzati verso il punto stesso in cui aveva visto sparire il padre.
Quell’espressione così spaventata, ed incuriosita al tempo stesso, contribuirono a dipingere un sorriso sul volto della madre.
La donna osservò il figlio con uno sguardo materno e con dolcezza gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
Solo allora, il piccolo Trunks, si decise a guardarla, “Non temere, tesoro, il tuo papà non è cattivo. Anche se mi fa tanto arrabbiare certe volte” spiegò delicatamente sorridendo al bimbo.
Trunks osservò gli occhi della madre, ne studiò i lineamenti senza distogliere lo sguardo da lei.
La boccuccia semiaperta e il continuo sbattere perplesso delle palpebre, dovuto alla sua curiosità, intenerì ulteriormente la donna.
*
*

Erano passate almeno altre quarantotto ore da quando l’imponente statua, dalle strane sembianze, si trovava in giardino.
Bulma aveva cercato in ogni modo di risolvere la situazione, in una maniera o nell’altra.
La ditta alla quale si era rivolto suo padre per la gru sembrava avere le mani legate, o avrebbero fatto qualcosa dopo la ventesima chiamata da parte di una donna molto molto arrabbiata ed insistente; mentre per l’altra soluzione, l’aiuto del Saiyan, sembrava essere ad un punto morto.
Aveva insistito in diverse occasioni ed in diversi modi, ma di voler collaborare, Vegeta, non sembrava interessato.
E dire che per lui era davvero questione di un secondo.
Era sufficiente alzare quello stupido aereo e poggiarlo al suolo come se nulla fosse.
Si sarebbe risparmiato un mucchio di prediche, urli ed insulti; ma sua maestà il principe dei Saiyan era troppo orgoglioso per concedere un così misero favore.
Dannato testone!
Trunks sventolò le manine davanti ai suoi occhi nel tentativo di attirare la sua attenzione e Bulma tornò con i piedi per terra dopo aver rimuginato su quanto volesse prendere a calci un, non meglio identificato, scimmione.
“Oh, scusa tesoro, la mamma aveva un attimo la testa tra le nuvole” si giustificò dando al bambino ciò che voleva.
Trunks afferrò il giocattolo che gli passò la madre e con una delicatezza pari a quello di un rullo compressore cominciò a sbattere lo sventurato gingillo al suolo col rischio di disintegrarlo.
“As... aspetta Trunks, così lo rompi!” si allarmò la donna salvando dalle sue grinfie la macchinina che sembrava essere appena stata tamponata da un camion di proporzioni gigantesche.
Bulma guardò il giocattolo ridotto in un cumulo di macerie in appena dieci secondi di gioco.
Guardò il bambino e sospirò “Dovrò cominciare a comprarti giocattoli a prova di Saiyan” commentò restituendo, l’ormai irrecuperabile, macchinina al figlio che riprese, allegramente, a distruggerla.
Simpatiche conseguenze di avere un figlio per metà alieno.
Non per nulla si era anche ritrovata con le sbarre della culla amabilmente distrutte dal figlioletto nel suo ultimo tentativo di fuga.
“Come sarebbe a dire che è impossibile?!” proruppe una voce proveniente dal giardino.
Bulma volse lo sguardo oltre il vetro della finestra osservando l’uomo, al quale apparteneva quella voce, sbraitare contro suo padre.
L’anziano dottor Brief si grattò la nuca evidentemente mortificato, “Mi dispiace Vegeta, ma non ho i materiali per una cosa del genere” si giustificò.
Vegeta ringhiò nervoso afferrando il bavero dello sventurato dottore “Stammi a sentire vecchiaccio. Non m’importa come farai, fallo e basta” ordinò sollevando lo scienziato dal suolo.
Il piccolo gatto nero saldamente aggrappato alla spalla dell’anziano si lasciò cadere a terra.
Il felino osservò la scena dal basso, una scena simile a tante altre.
Passava gran parte del suo tempo in compagnia del simpatico vecchietto e più di una volta si era visto avvicinare dall’uomo con lo sguardo bieco.
Non era più una novità quella di vedere il suo povero padrone minacciato dal piccolo gigante.
Ormai cominciava ad abituarsi anche alla sua presenza.
Inoltre, il suo istinto animale, sembrava fargli notare come, a discapito delle apparenze, quello strano tizio non fosse poi una cattiva presenza.
Stava addirittura cominciando a ritenerlo parte della famiglia.
Era, quasi, simpatico.
Distratto dalle scuse, patetiche, del vecchiaccio, Vegeta, non si accorse dell’animale che, senza indugio, si avvicinò a lui strusciandosi contro la sua gamba.
Solo quando sentì l’essere peloso contro il polpaccio abbassò lo sguardo osservando la palla di pelo miagolare allegramente accompagnato da un sottofondo musicale a suon di fusa.
Il colletto del dottor Brief fu bruscamente lasciato facendo cadere lo scienziato al suolo.
“Sta lontano bestiaccia!” inveì il Saiyan contro l’innocente animale che, per tutta risposta, si limitò ad alzare il capo miagolando verso uno dei suoi padroni.
“Sembra che tu gli piaccia” confermò il dottore ridendo divertito.
Vegeta aprì la mano con intenzioni omicide, “Fai sparire questo coso o lo faccio arrosto” minacciò creando una sfera di energia verso il povero gatto.
L’anziano si affrettò a raccogliere il suo compagno d’avventure stringendolo tra le braccia ed accarezzando il pelo nero del piccolo felino, “Stai tranquillo, Vegeta, è innocuo” lo rasserenò sorridendo.
Il micio miagolò ancora lasciandosi accarezzare dal proprietario; mentre, al contrario, lo sguardo di Vegeta si fece ben più scettico e nervoso.
“Caro, Vegeta, volete dei pasticcini?” propose l’allegra signora Brief apparendo sull’uscio della porta.
“Ohh… volentieri cara” acconsentì il marito della donna avviandosi verso casa.
La bionda guardò il singolare e ormai abituale ospite, “Tu Vegeta?” chiese nuovamente.
Il principe incrociò le braccia scattando col volto nella direzione opposta, segno che dei suoi stupidi dolci non gl’importava nulla.
La padrona di casa lo guardò per alcuni secondi prima di comprendere il messaggio in codice dell’uomo, “Se ne vuoi sono sul tavolo in cucina” annunciò la donna sorridendo prima di entrare nuovamente in casa.
La signora Brief rientrò senza chiudere completamente la porta.
*
Sul volto della donna si dipinse un sorriso.
La scena alla quale aveva appena assistito aveva contribuito a metterla di buon umore.
Era piuttosto buffo vedere come il principe dei Saiyan si relazionasse con gli altri inquilini della casa, gatti inclusi.
Bulma dovette constatare che, l’alieno, finiva sempre per avere la peggio, evidentemente non allenato a rapportarsi con simili individui.
È proprio vero, le cattive abitudini sono dure a morire, Vegeta non faceva eccezione.
Arrogante e presuntuoso, addestrato ad ottenere tutto con la forza, si vedeva, dunque, in netta difficoltà quando i suoi metodi bruti venivano del tutto ignorati.
A furia di sbraitare ed urlare persino il simpatico gatto nero gli si era affezionato, convinto che quell’uomo fosse solamente sempre un po’ arrabbiato.
Bulma trattenne a stento una risata, si adagiò una mano al mento continuando a guardare l’irascibile principe prendersela col tronco di un albero nei paraggi.
Trunks, dal canto suo, osservò la madre con la solita espressione curiosa ed innocente.
Ne contemplò il volto cercando di comprenderne il significato.
Sorrideva, nulla di così strano, eppure, questo sorriso, aveva qualcosa di diverso da tutti gli altri.
La sua mamma gli sorrideva spesso, ma non allo stesso modo, in questo sorriso c’era qualcosa di più che il bambino non riuscì a capire.
Troppo presto per comprendere il significato di quello sguardo e di quei sospiri indirizzati all’uomo che sua madre definiva il papà.
La sua curiosità finì presto, tornando a distruggere la malcapitata macchinina che ancora reggeva tra le mani.
Anche se dell’oggetto originario non ne aveva più la forma.

Bulma entrò in cucina con uno strano sorriso stampato in volto.
Sua madre, intenta a cucinare la cena, si voltò a guardarla appena la sentì arrivare.
“Oh tesoro, ci sono dei pasticcini sul tavolo se li vuoi” le disse additando le paste ordinatamente sistemate su di un vassoio.
Bulma guardò i pasticcini ed immancabilmente sorrise rivivendo, mentalmente, istante per istante la scena svoltasi qualche ora prima in giardino.
La signora Brief non mancò di notare quella singolare spensieratezza, “E’ successo qualcosa di bello oggi?” domando rispondendo col suo immancabile sorriso.
La figlia si ritrovò a guardarla disorientata non comprendendo il significato della frase, “Cosa... cosa intendi dire?” farfugliò inarcando un sopracciglio con aria confusa.
“Bè, da come stai sorridendo si direbbe che hai avuto una bella giornata” spiegò la bionda asciugandosi le mani sul grembiule annodato in vita.
Bulma restò un momento ancora a guardarla senza rispondere, “Stavo sorridendo?” domandò sconnessa.
Questa volta la madre non le rispose immediatamente.
La guardò a sua volta accentuando il sorriso, si appoggiò una mano alla bocca ridendo divertita, soprattutto quando notò lo sguardo della figlia volgersi verso i pasticcini.
“Ho capito, riguarda Vegeta, dico bene?” suppose prendendo nettamente alla sprovvista la giovane donna.
“Cosa?! N... no!” si affrettò a rispondere l’altra visibilmente impacciata.
Dopo alcuni secondi, riprese le sue facoltà mentali, tornò ad essere la Bulma aggressiva di sempre, “Ohh insomma, mamma, perché devi mettere di mezzo sempre Vegeta?! Lui non c’entra nulla, stavo pensando... ad altro” si difese sbraitando.
La signora Brief rise tra sé tornando a voltarsi verso i fornelli.
La divertiva stuzzicare costantemente la figlia per quel che riguardava l’irascibile alieno.
“Accidenti, quel piccoletto è un pozzo senza fondo. Ha divorato tutta la sua cena in un attimo” esordì l’anziano scienziato raggiungendo moglie e figlia in cucina.
In mano reggeva un piccolo piatto ed un cucchiaio adibiti al pasto del bambino di casa Brief.
“Ha già finito?” domandò la madre del bimbo volgendo lo sguardo verso l’uomo appena entrato.
Il dottore annuì fermamente “Sì tutto quanto” confermò mostrando il piatto lindo e pulito, quasi non fosse mai stato utilizzato.
La moglie dell’uomo afferrò la stoviglia inserendola nella lavastoviglie, “Trunks gode di un sano appetito” continuò l’orgoglioso nonno incrociando le braccia con aria soddisfatta.
Bulma sospirò “E’ normale papà, ricordati che è anche il figlio di uomo che ha una voragine oscura al posto dello stomaco” gli fece presente con un’espressione in netta contrapposizione con la frase canzonatoria appena pronunciata suscitando l’ilarità del padre.
A salvare il genitore da morte certa, in quanto Bulma non stava di certo scherzando, fu la moglie dell’uomo.
La signora Brief si allontanò dai fornelli e si rivolse alla figlia “Bulma, cara, ti dispiace pensare tu alla cena, io andrò a mettere a letto il mio bellissimo nipotino” annunciò raggiante.
“Eh... veramente...” cercò di fermarla Bulma, ma prima ancora che potesse protestare la donna si era già allontanata.
Dannazione, possibile che i suoi genitori facessero a gara pur di passare qualche minuto col nipote?
Tu guarda se le toccava dover lottare per trascorrere un po’ di tempo con suo figlio.
“Mmm... senti che profumo” parlottò l’attempato dottore sollevando il coperchio di una padella per odorarne l’aroma.
Bulma si voltò verso di lui, essendo ormai stata battuta sul tempo, e lo squadrò da capo a piedi.
Dopo qualche istante di contemplazione si decise a parlare, “Ascolta, papà, posso chiederti una cosa?” domandò attirando l’attenzione del padre.
L’uomo ripose il coperchio al suo posto e si rivolse alla figlia “Dimmi pure cara” la incitò a proseguire.
La donna si mordicchiò il labbro inferiore volgendo lo sguardo altrove, “Cosa voleva da te Vegeta questo pomeriggio?” volle sapere sbirciando l’espressione del padre.
Il dottor Brief si posò una mano al mento assumendo una posa alquanto pensierosa, “Bè, ecco, lui...” “Bulma! Non riesco a trovare Trunks da nessuna parte!” annunciò allarmata la madre della donna giungendo in cucina visibilmente sconvolta.
Bulma si rivolse a guardarla sgranando gli occhi, “Cosa?!? Come sarebbe che non lo trovi?” domandò agitata cominciando a sentire i brividi percorrerle lungo la schiena.
*
Trunks si affacciò alla finestra osservando l’esterno accomodandosi, in piedi, sopra il divano.
Scrutò il prato immerso nella notte e gli alberi che sembrava avessero vita propria.
“Bulma, cara, ti dispiace pensare tu alla cena, io andrò a mettere a letto il mio bellissimo nipotino” sentì la voce della nonna provenire dalla cucina.
Ora della nanna.
No... non ne aveva nessuna intenzione.
Era ancora troppo sveglio per restare dietro quelle sbarre di legno per delle ore.
A cosa servivano quelle lastre proprio non lo sapeva, tanto gli bastava un secondo per riuscire a liberarsene.
Così come quella strana sedia sulla quale lo aveva lasciato il nonno, gli era bastato togliere il singolare tavolino e fare un piccolo salto per poggiare i piedini al suolo.
Con un balzo, il piccolo Saiyan, scese dal divano e, con l’andatura goffa dovuta dal pannolone, si precipitò fuori dalla stanza.
Schizzò, il più velocemente possibile, tra i corridoi della casa pur di non essere trovato.
“Trunks? Dove sei? Trunks?” domandò la nonna che, evidentemente, lo stava cercando.
Preso dal panico, e non sapendo dove andare, il bimbo cercò di rifugiarsi dietro una pianta.
I passi si fecero sempre più vicini allarmando il pargolo che decise di cambiare nascondiglio.
Uscì allo scoperto, sgattaiolando il più velocemente possibile, continuando la sua folle corsa alla ricerca di un rifugio.
Giunse, infine, dinanzi alla porta d’ingresso davanti alla quale si fermò alcuni istanti.
La contemplò per pochi secondi prima di sentire la squillante voce della nonna provenire appena dietro di lui.
Il piccolo fuggitivo posò le manine sull’uscio che lo separava dalla libertà e la aprì.
Impresa titanica per un bambino qualsiasi, ma lui non era un bambino qualsiasi.
Il fuggiasco si precipitò tra l’erba alta e, guardandosi attorno, si domandò dove potesse essere al sicuro.
Poi lo vide.
Lui era lì che lo fissava nella sua immensa grandezza.
L’albero tanto diverso dagli altri.
Non indugiò oltre, il latitante, corse con quanto fiato avesse in gola fino a raggiungere quello che riteneva un buon nascondiglio.
Trunks si nascose all’ombra dello strano tronco sicuro di essere riuscito a scamparla.
L’evasione era perfettamente riuscita.
Qualcosa gli sfiorò una gamba attirando la sua attenzione.
Intanto, il piccolo monello, non si accorse di essere osservato.
*
Non sapeva dov’era suo figlio.
Non sapeva dov’era suo figlio.
Non sapeva dov’era suo figlio!
Era agitata e sconvolta, non sapeva più dove cercare.
Aveva controllato in ogni dove pur di trovare quella piccola peste, ma senza alcun risultato.
Nervosa ed irrequieta, non sapeva nemmeno perché.
No, lo sapeva, era una madre che non aveva la più pallida idea di dove si fosse nascosto il suo bambino.
Non sapeva dov’era suo figlio!
La sua mente, ottenebrata dalla sua apprensione, non riusciva a pensare ad altro.
La casa era grande e Trunks poteva aver trovato rifugio in qualunque luogo.
Inoltre l’edificio era pieno di pericoli per un bambino di quell’età e la sola idea contribuì ad accrescere l’angoscia della donna.
La sua irrequietudine non era dovuta al solo fatto di non sapere da dove, la piccola peste di casa, stesse osservando la scena.
Non era il bimbo il solo ad essere considerato in pericolo, ma anche l’abitazione stessa.
Un piccolo Saiyan disperso chissà dove in una casa enorme e con la facoltà di distruggere qualunque cosa gli capitasse a tiro.
In pratica una bomba ad orologeria nascosta in un’abitazione dalle dimensioni sproporzionate.
“Allora? L’avete trovato?!” domandò la donna dai capelli azzurri appena incrociò i suoi genitori per il corridoio.
L’uomo scosse amaramente il capo, “No purtroppo” ammise sconsolato grattandosi il mento preoccupato.
“Dove può essersi cacciato?” si chiese la madre del pargolo guardandosi attorno in cerca di un indizio, uno qualsiasi, che potesse aiutarla a trovare il figlio.
“Bulma, vieni presto!” la richiamò la madre poco distante “La porta è rimasta aperta!” esclamò additando l’uscio spalancato sul giardino.
Il sangue le gelò nelle vene.
E se fosse uscito?
Per un attimo il cuore smise di battere, le sue gambe ebbero un leggero cedimento rischiando di farla crollare al suolo.
Po... poteva essere ovunque, poteva anche essere uscito dalla proprietà.
Un fremito la scosse da capo a piedi, no, non voleva pensarci.
Il suo bambino.
Quando le sue gambe tornarono a sorreggere il suo peso, Bulma, fece uno scatto in direzione dell’ingresso.
Si fermò a guardare il manto erboso immerso nella notte, le fronde degli alberi e...
Un’immagine si delineò davanti ai suoi occhi.
Un ricordo risalente appena a pochi giorni prima.
Rivide Trunks arrampicato sul divano con l’intento di osservare l’esterno.
Solo allora comprese cosa aveva tanto attirato l’attenzione del bambino quel giorno e un’idea, seppur vaga, di dove poteva essersi nascosto il figlio le fece tornare l’indomabile baldanza che la contraddistingueva.
“Mamma, papà, voi continuate a cercare in casa, forse non è uscito. Io vado a dare un’occhiata in giardino” annunciò risoluta attendendo un accenno da parte dei genitori.
Entrambi acconsentirono annuendo e, alla giovane madre, non restò che uscire alla ricerca del bimbo.
*
Lo sguardo rivolto alle stelle immerso nei suoi pensieri così profondi, eppure, così effimeri.
La rabbia e la frustrazione che, di norma, contraddistinguevano le sue meditazioni non lo stavano torturando com’era solito succedere nei suoi momenti di riflessione.
Anzi, poteva quasi definirsi sereno, anche se non poteva dirlo con certezza.
Rilassato ed, incomprensibilmente, abbandonato alle sue sensazioni velatamente distese e spensierate.
Non sarebbe mai riuscito a comprendere il motivo di tale quiete, almeno non per molto tempo ancora; sapeva solo che, per il momento, la collera non stava scorrendo nelle sue vene.
Socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla brezza notturna che gli sferzò il viso dai lineamenti marmorei, stranamente, placidi.
Fu uno strano fruscio a distogliere la sua attenzione dalle sue riflessioni fuggevoli.
Vegeta scostò lo sguardo osservando una piccola figura che, goffamente, sgattaiolò tra l’erba alta fino a raggiungere il bizzarro aereo conficcato nel terreno.
Escludendo lo stupido gatto dell’eccentrico scienziato pazzo c’era una sola creatura che si aggirava per la sua abitazione vantandosi di tale minuta fattezza.
Il principe dei Saiyan osservò la scena seduto sull’escrescenza di un albero sbattendo le palpebre quasi incuriosito.
Restò a guardare il moccioso nascondersi dietro il velivolo e cominciando a giocare con alcune ciocche d’erba che gli avevano sfiorato una gamba.
La concitazione proveniente dalla casa poco distante distolse la sua attenzione dal fuggiasco.
Evidentemente quel singolare marmocchio ne aveva combinata un’altra delle sue.
Lo sguardo di Vegeta tornò ad osservare il bambino che, nel frattempo, aveva iniziato a strappare le zolle dal terreno per osservare l’effetto che facevano ricadendo al suolo.
Appena si accorse che il pezzo di terra si sgretolava al contatto col terreno, Trunks, batté le mani con entusiasmo adagiandosi al mezzo alle sue spalle.
Non trattandosi di un bambino normale, quel piccolo movimento, bastò a far barcollare l’aereo che si sporse pericolosamente in avanti, proprio sopra la testa dell’innocente ospite.
Trunks, ignaro di ciò che stava accadendo alle sue spalle, tornò a sperimentare la caduta di terra ripetendo l’operazione una seconda volta.
Una volta di troppo per il velivolo che si trovava già in una posizione precaria.
Il giovane Saiyan alzò lo sguardo percependo il movimento del mezzo che con gran velocità cominciò a ricadere nella sua direzione.
Fu un attimo, un breve, brevissimo istante.
La caduta del veicolo si interruppe a pochi centimetri dal bimbo che, inconsapevole del pericolo, restò a fissare l’ombra sul terreno, con un’espressione innocente in volto.
Solo quando si accorse che l’avvicinarsi del mezzo si bloccò distolse lo sguardo da ciò che stava guardando.
“Ehi, moccioso, spostati se non vuoi restarci secco” disse una voce attirando, definitivamente, l’attenzione del piccolo.
Trunks volse lo sguardo verso l’uomo che gli aveva appena parlato osservandolo con la più totale purezza.
Gli bastò un secondo per riconoscerlo.
Lo aveva visto tante volte parlare con la mamma, qualche volta anche con i nonni.
Questo era il tizio che la sua mamma chiamava spesso con l’appellativo di papà.
Era la persona di cui spesso la sua mamma parlava, nel bene e nel male, la persona che riusciva a farla sorridere.
A permetterle di sorridere in quello strano modo; facendola sembrare la mamma più bella del mondo.
Trunks osservò i lineamenti dell’uomo che aveva davanti, lo sguardo crucciato e l’espressione arrabbiata.
Era la prima volta che lo vedeva così da vicino ed era la prima volta che, papà, gli rivolgeva la parola.
Eppure, nonostante a vederlo facesse paura, il piccolo Trunks si ritrovò a ragionare per vie indirette a questa persona.
Questo tizio faceva sorridere la sua mamma e se riusciva a far felice la sua mamma allora non poteva essere una persona cattiva.
Se la mamma di Trunks era felice anche Trunks era felice.
Sul suo piccolo volto si dipinse un sorriso genuino ed assolutamente sincero.
Il bimbo acclamò il suo salvatore battendo le manine in segno di approvazione spiazzando l’imperturbabile principe dei Saiyan.
Vegeta lo guardò oltremodo sorpreso, cos’aveva da ridere questo marmocchio?
“Piantala, moccioso, non l’ho fatto per te” già, allora perché l’aveva fatto?
L’uomo scosse il capo nel tentativo di rimuovere la più assurda delle conclusioni dalla sua testa.
Non l’aveva fatto per Trunks, punto e basta.
Vegeta osservò il visino del figlio mentre questi non smise, nemmeno per un secondo, di sorridere.
Il Saiyan sollevò l’aereo che stava ancora sostenendo e lo ripose, in maniera consona, al suolo.
Incrociò le braccia offeso guardando il bambino dall’alto, “Dacci un taglio” ordinò scorbutico corrugando le sopracciglia.
Trunks fermò per un istante il suo applauso tornando a scrutare l’uomo... che tipo buffo.
Immancabilmente tornò a festeggiare il suo papà, contrariamente sempre più a disagio, sorridendo con ancora più entusiasmo.
Vegeta s’inginocchiò per essere alla sua altezza, senza mai mutare la sua espressione, “Ti ho detto di smetterla” insistette oltraggiato ed impacciato.
Trunks smise definitivamente di battere le mani, ma non di sorridere.
Padre e figlio, per la prima volta, si guardarono negli occhi e una piccola fenditura si creò sul muro impenetrabile dell’uomo.
La parete dietro la quale nascondeva il suo intero animo ebbe un, leggero ed impercettibile, cedimento.
“Trunks!” si sentì urlare dalla distanza attirando l’attenzione dei due.
Bulma corse verso il luogo, dietro il quale, era sicura di trovare il figlio.
Infatti, come previsto dalla donna, Trunks era lì, tutto solo, nascosto dietro l’aereo.
La donna si precipitò a cingere il bambino che si lasciò stringere dall’abbraccio materno.
“Oh, Trunks, mi hai fatto prendere uno spavento terribile” ammise cullando il figlio.
Trunks batté le mani per un paio di volte, additò davanti a lui il vuoto attirando l’attenzione della madre.
Bulma guardò il bambino perplessa senza capire il motivo di tanta agitazione, solo allora si accorse della condizione dell’aereo, tornato ai suoi normali requisiti.
Impiegò poco a capire.
Strinse nuovamente il bambino a sé e sorrise.


La signora Brief percorse il corridoio fischiettando una canzone inventata sul momento.
In mano un libro di ricette, prevalentemente di dolci e pasticci, aperto su una pagina che, alla donna, sembrava interessante.
Quando giunse a destinazione si accorse immediatamente dell’anta del frigo aperta.
Non riuscì a vedere subito chi stava rovistando all’interno del mobile alla ricerca di nutrimento.
Si sporse leggermente col capo prima di riuscire a comprendere di quale dei suoi conviventi si trattasse.
Non fece in tempo, l’anta del frigo si richiuse prima che la bionda potesse svelare il mistero.
Ai suoi occhi, in compenso, si mostrò il principe dei Saiyan intento a mangiare l’avanzo di qualche pasto.
“Oh, ciao Vegeta” lo salutò incrociando con lui lo sguardo.
La sola reazione dello strano ospite fu un basso suono gutturale senza degnarla di tanta attenzione.
Vegeta si girò verso il tavolo accomodandosi e sgranocchiando lo scarno pasto appena sottratto al frigo.
D’altronde era solo uno sfizio tra un lauto pranzo ed una copiosa cena.
*
“Cara, ho una cosa da mostrarti” la bloccò il padre appena la intravide passare per il corridoio.
Bulma si fermò sul posto scostando il capo per osservare la figura senile che l’aveva richiamata.
“Di cosa si tratta?” domandò osservando il genitore mentre questi cominciò a rovistare in una tasca in cerca di qualche cartaccia.
Come volevasi dimostrare, il dottor Brief, cominciò ad estrarre diversi pezzetti di carta, sconclusionati l’uno dall’altro, fino a trovare quello che stava cercando “Ah ecco” affermò una volta trovato lo schizzo giusto porgendo il foglietto alla figlia.
Bulma afferrò lo scarabocchio, abbellito da bruciature di sigaretta e da macchie di caffè, cercando di comprenderne il contenuto.
Lo rigirò un paio di volte riprendendo il suo cammino, accompagnata dall’anziano scienziato che, nel frattempo, cominciò a giocare col nipotino tra le braccia materne.
Dopo alcuni secondi, Bulma, inarcò un sopracciglio “Cos’è?” domandò senza riuscire a decifrare correttamene gli strambi, più del solito, calcoli scritti sul pezzo di carta.
Il padre alzò la testa e si schiarì la voce con un sonoro colpo di tosse “Una culla” affermò con una punta d’orgoglio.
“Una culla?” domandò di rimando la donna confusa da una risposta inaspettata.
L’uomo annuì tornando a portare la sua attenzione verso il bambino, “L’ho progettata per il piccolo Trunks” spiegò tastando delicatamente con un dito il naso del nipote che rise divertito dal gioco con il nonno.
Bulma sbuffò sonoramente “Grazie tante papà, fin qui c’ero arrivata anche da sola” mormorò canzonatoria “Mi piacerebbe sapere cos’ha di diverso questa culla da tutte le altre” disse porgendo il pezzo di carta al genitore.
L’attempato dottore ripose i suoi appunti nella tasca del camice, si passò una mano sotto il mento ed alzò lo sguardo, “E’ fatta di un materiale particolare e dotata dei migliori confort, in questo modo, Trunks, non potrà più scappare” spiegò infine tornando ad osservare le pupille azzurre della figlia.
Bulma sembrò pensarci per alcuni secondi.
Effettivamente non era una cattiva idea, nella fattispecie si trattava di un bambino dalle origini extraterrestri, era ovvio, dunque, che i normali mezzi del pianeta Terra non fossero di grande aiuto.
La donna si fermò appena mise piede in cucina, guardò il padre con aria sorpresa e sorrise entusiasta, “Ma certo! Lo sai, papà? Hai avuto davvero una splendida idea!” esultò.
Il dottor Brief si grattò la nuca in segno d’imbarazzo, “Bè, veramente non è stata una mia idea” ammise.
Lo sguardo di Bulma si fece lentamente più serio scrutando l’espressione del padre.
L’uomo scostò gli occhi all’interno della stanza soffermandosi sul tavolo alle spalle della figlia.
Istintivamente, Bulma, volse la sua attenzione nella stessa direzione accorgendosi, solo allora, della presenza aliena in cucina.
Vegeta sollevò lo sguardo dal suo spuntino osservando padre e figlia che restarono a fissarlo.
Infastidito inarcò un sopracciglio sbattendo una mano sul tavolo alzandosi con uno scatto “Che diavolo avete da guardare?!” sbottò accompagnato da un sonoro ringhio.
Il silenzio che seguì non contribuì affatto a tranquillizzare i bollenti spiriti del Saiyan che, sentendosi analizzato dall’intera famiglia, girò nervosamente i tacchi e sparì ancor prima di ricevere una risposta.
Bulma osservò l’uomo allontanarsi, nella sua mente tutti i pezzi del puzzle cominciarono a collimare uno dopo l’altro in maniera perfetta ed ordinata.
L’ultimo indizio fu il battito di mani del figlioletto e l’entusiasmo dipinto sul piccolo volto.
*
Il ticchettio regolare dell’orologio sulla parete scandì il tempo nel suo lento scorrere.
La camera era immersa nel più totale silenzio e nel buio delle tenebre.
Persino all’esterno della stanza da letto vi era solo quiete e calma.
Sembrava quasi irreale, ma nella sua naturalità aveva qualcosa di impensabile, come se quell’eccezionale tranquillità si sarebbe presto dissipata con schiamazzi e grida.
Era strano, infatti, non udire alcun suono a quell’ora della sera.
Di norma urla e strepiti erano l’abituale routine.
Come volevasi dimostrare, dunque, l’immobilità della casa fu interrotta, ma non nella maniera che, lui stesso, si aspettava.
Dei leggeri passi si udirono appena fuori dalla sua stanza percorrendo il corridoio fino a giungere davanti alla porta.
Il leggero bussare contribuì a confermare i suoi sospetti.
Ogni membro di quella famiglia aveva un metodo diverso per presentarsi nella sua stanza e una sola persona bussava una volta, attendeva una risposta per pochi istanti, infine apriva la soglia, lentamente, sbirciando al suo interno.
Il prevedibile scorrere degli eventi gli fece intuire chi fosse la persona che aveva appena varcato, quello che era diventato, il suo territorio.
Non si voltò neanche, restò a fissare oltre il vetro della finestra in attesa della conferma finale.
Lei parlò.
“Immagino ti debba ringraziare” lo salutò accomodandosi sul bordo del letto di lui.
Vegeta osservò il riflesso sulla finestra, fingendo totale indifferenza per la donna dai capelli azzurri.
Il suono regolare delle lancette dell’orologio impedirono alla stanza di immergersi nel più totale silenzio.
“Se riguarda l’aereo, non l’ho di certo fatto perché me lo hai detto tu” stabilì subito Vegeta, voltandosi a guardarla incrociando le braccia.
Bulma restò a fissarlo per alcuni secondi, sorrise, “Lo so” ammise con aria furbesca.
Acc... colpito!
La donna restò ad osservare il principe, visibilmente in imbarazzo, divertendosi a constatare, ancora una volta, la sua goffaggine in situazioni ordinarie.
Bulma appoggiò le mani al materasso accavallando le gambe e scrutando i lineamenti di lui illuminati dalla luce della luna proveniente dall’esterno.
“Comunque non parlavo dell’aereo” volle specificare “Intendevo la culla di Trunks” ammise appurando il mutamento d’espressione che ebbe l’uomo.
Vegeta, dapprima impacciato, cominciò a manifestare un leggero divertimento.
Sul suo volto si dipinse un leggero ghigno, “Mpf, in questo modo eviterò di assistere a patetiche scenette” si giustificò, a modo suo, senza ammettere che, in realtà, le trovava piuttosto divertenti e stuzzicanti.
Questa volta fu lui a contemplare i cambiamenti facciali della donna.
Dilettevole leggere, negli occhi azzurri di lei, un notevole disagio mentre ipotizzava mentalmente cosa esattamente avesse suscitato quella espressione sul volto di lui.
Perché conosceva quello sguardo, era indice di un sano diletto.
Vegeta si alzò dal davanzale della finestra e fece alcuni passi verso di lei.
*
Nell’ombra della grande casa una piccola figura si aggirava tra gli immensi, e silenziosi, corridoi.
Si soffermò davanti ad una porta e ne contemplò la superficie.
L’unico accesso dal quale provenivano delle voci.
*
“A... aspetta un attimo, Vegeta” cercò di bloccarlo lei facendogli cenno di stare lontano.
Nonostante gli avvertimenti della donna, il principe dei Saiyan, non interruppe il suo incedere, lento e flemmatico, verso di lei.
Nessuno dei due si accorse del grattare che si udì provenire dalla porta alle spalle di lui.
Fu l’espressione dell’uomo a segnalare una nuova presenza nella stanza.
Bulma lo vide passare dall’espressione maliziosa ad una decisamente meno preoccupante.
Le sopracciglia si arcuarono sorprese, mentre la bocca si curvò verso il basso in una, buffa, espressione di sgomento.
Vegeta chinò lo sguardo osservando i suoi piedi ritrovandosi a fissare un batuffolo nero che gli rispose con un’impercettibile miagolio.
“Dannata bestiaccia!” imprecò il Saiyan serrando il pugno di una mano, tornando ad assumere uno sguardo adirato e nervoso.
L’innocente gatto nero fu salvato dalla padrona di casa.
Bulma, infatti, osservò la scena in totale silenzio imponendosi di restare seria.
I suoi buoni propositi furono completamente annientati da un sorriso, quindi da una sonora risata che non riuscì più a trattenere.
L’ilarità della donna distrasse il principe; impedendogli di fare a pezzi il piccolo ospite che, spaventato, decise di lasciare velocemente la camera.
Vegeta osservò la donna, piegata in due dal ridere, rotolarsi, letteralmente, sul suo letto in preda ad un’incontrollabile risata.
“Smettila!” ordinò l’uomo volgendo alla compagna un sonoro ringhio.
Sfortunatamente per lui, Bulma, non sembrava intenzionata a smettere o, quantomeno, pareva non esserne in grado.
Tale comportamento non fece che accrescere l’irritazione dell’alieno che digrignò i denti, “Ti ho detto di smetterla!” s’impose nuovamente avvicinandosi di un altro passo al letto.
Nulla sembrava frenare il riso della scienziata che neanche degnò uno sguardo al, sempre più scontento, principe.
Vegeta decise di interrompere la sceneggiata a modo suo.
Appoggiò le mani sul materasso, accanto al capo della donna, costringendola a fermarsi ed a guardarlo negli occhi.
Solo allora, Bulma, riuscì ad interrompere il suo divertimento spegnendo le sue risate in un sorriso genuino e sincero.
Osservò l’espressione offesa dell’uomo e, benché se lo stesse imponendo, non riuscì a tornare seria.
“Lo sai, sei anche più carino quando sei imbarazzato” confessò accentuando il sorriso afferrandogli le gote costringendolo a baciarla.
Un’altra piccola increspatura, un’altra spaccatura sgretolò un piccolo scorcio di muro.
Un nuovo crollo permise, all’imperturbabile Saiyan, di vedere uno spiraglio di luce laddove cercasse di negarlo, dove pensava non fosse necessario.
Solo un piccolo sorriso, una curvatura singolare delle labbra, era riuscita a creare dei solchi nella parete eretta alla difesa del suo cuore.
Tanti piccoli sorrisi, tante piccole crepe, e tutte queste spaccature lo avrebbero, tra qualche anno, portato dove non avrebbe mai osato immaginare.
Perché, quando il suo muro si sarebbe sgretolato, lui si sarebbe sgretolato con esso.

*

FINE

*

*

Storia scritta per il Fiction Exchange indetto su Writers Arena

*

Grazie a chi è arrivato alla fine

  
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