Direi che questa è la fanfiction più strana che abbia mai scritto, senza contare
che è anche la mia prima AU. Quindi non so che porcheria ne sia uscita, ma mi
sono divertita a trasporre un pezzo della mia Milano in questa storia… tratta
una tematica un po’ particolare, lo so, ma è molto attuale nel contesto in cui
vivo…non so, vedendo lo schifo che ha fatto al concorso (ma c’era da
stupirsi?XD) magari risulta un po’
strana o comunque difficile da capire… spero comunque che vi piaccia, era da un
sacco che ero in astinenza di ShikaIno ^^ …e poi
Shika ridotto così ce lo vedo troppo, non so perché! Aspetto i vostri pareri
spassionati… Bacione Sakurina
...:Memories Of
Punk:...
“Sei
Troppo Bella Per Dirti Addio
Tu
Chiami E Poi
Noi
Tutti Ubbidiamo
E Tra Chi
Nomina Il Tuo Nome Invano
Ci Sono
Anch'io
Milano Milano…
Milano
Quando Sono Lontano Voglio Tornare
Milano
Quando Ci Sono Voglio Scappare…”
(Articolo
31, “Milano Milano”)
Capitolo 1.”Quella che
non sei”
“Ti ho
vista stare dietro a troppo rimmel
dietro
un'altra acconciatura
eri
dietro una paura che non lasci mai.
Quella
che non sei
quella
che non sei non sei
ma io
sono qua e se ti basterà
quella
che non sei, non sarai
a me
basterà.
C'è un
posto dentro te in cui fa freddo
è il posto
in cui nessuno è entrato mai..”
(Ligabue,
“Quella che non sei”)
La
pioggia scivolava lenta sul finestrino, rendendo ancora più spettrali le
tenebrose vie di quella Milano abbracciata dalla notte. Ino appoggiò la fronte
sul vetro, fissando con i suoi enormi occhi blu la fredda città natia,
sospirando. Per quanto quel luogo potesse cambiare, per lei rimaneva sempre lo
stesso. Anzi no, forse era peggiorato. Sempre più grande, sempre più fredda…
non riusciva mai a capire se amasse o odiasse quella città. Gente indifferente,
cielo sempre cupo, aria irrespirabile… eppure così terribilmente affascinante.
No, Milano non cambiava proprio mai.
-“Sono
cambiata, io?”- chiese a un tratto la biondina, con tono insolitamente serio.
Tenten
si voltò di scatto verso l’amica, a dir poco allibita nel sentirsi porre una
domanda del genere da Ino: non era proprio il tipo da crisi esistenziali!
Dovette riportare subito gli occhi sul volante e sulla strada, sebbene la
sorpresa non fosse ancora del tutto svanita.
-“Ma
quanto hai bevuto, stasera?”- rispose sottovoce Tenten, attenta a non svegliare
Hinata e Sakura che dormivano profondamente sui
sedili posteriori.
La
macchina si fermò all’ennesimo semaforo rosso di quella notte, e gli occhi
castani di Tenten poterono catturare un barlume di smarrimento in quelli
cerulei dell’amica, che subito scostò lo sguardo, orgogliosa.
-“Lascia
perdere, va…”- commentò scocciata la Yamanaka, ritornando a contemplare la
pioggia.
La
brunetta sospirò rassegnata, facendo spallucce, ripartendo alla volta di quella
zona di Milano che tanto odiava. Le due non si parlarono per tutto il resto del
tragitto, mentre la piccola Twingo scivolava silenziosa tra i lussuosi palazzi
di uno dei quartieri più raffinati della città.
Si
fermarono davanti alla graziosa palazzina circondata da alte mura invalicabili
e da un vasto giardino: quattro appartamenti di due piani ciascuno, con tanto
di box doppio per i costosi SUV, piscina con idromassaggio, angolo barbecue e
angolo giardinaggio; per non parlare degli ampi atri che dividevano ogni
appartamento dall’altro, fatti interamente di freddo e sfarzoso marmo. Insomma,
una reggia più che una palazzina. Del resto, bastava conoscere i nomi di alcuni
dei suoi inquilini: ingegner Nara, avvocato Yamanaka, dottor Akimichi.
Ino
sospirò sonoramente, fissando con occhi vacui quella casa che l’aveva
cresciuta, ma che sembrava non invecchiare mai.
-“Grazie
per il passaggio Tenten, ci sentiamo…”- asserì la biondina, uscendo di corsa
dalla macchina e raggiungendo il portone del cancello sotto la pioggia
battente.
-“Ehi
Ino!”- la richiamò improvvisamente l’amica, abbassando il finestrino con aria
preoccupata.
-“Che
c’è?!”- rispose la biondina, coprendosi la testa con il cappuccio della felpa a
righe per proteggersi dalla pioggia.
-“Perché
mi hai fatto quella domanda?”- le chiese Tenten, perplessa.
La
Yamanaka rifletté per un momento, confusa, non capendo a cosa si riferisse
l’amica. Poi aggrottò le sopracciglia, facendo spallucce, con espressione
risoluta.
-“Non
so, mi è venuta così!”- rispose Ino, con sorriso fittizio.
Tenten
storse la bocca, intuendo che l’amica non aveva intenzione di darle una
risposta soddisfacente, come sempre.
-“Va
beh… comunque, se vuoi sapere la mia… sei sempre uguale, solo un po’ più
intelligente e adorabilmente stronza…”- rise la ragazza con gli chignon
–“…anche se mi duole ammettere che forse ti preferivo quando eri una sancarlina*!”- concluse infine, fulminando la bionda con
sguardo di rimprovero.
-“Beh,
saresti l’unica, allora!”- ribatté Ino, ammiccando da dietro il suo ciuffo
biondo.
La
brunetta non rispose, si limitò a regalarle un sorrisino amaro che sapeva di
rimprovero. La Yamanaka la salutò agitando la mano, sparendo dietro la pesante
porta del cancello di casa sua.
Tenten
scosse la testa, rassegnata, ripartendo alla volta della casa di Sakura.
Ã
Dopo
aver attraversato il vialetto di ciottoli di corsa, Ino entrò nell’enorme atrio
della palazzina, immersa completamente nel buio. Appoggiò la schiena contro il portone
di vetro, respirando piano, a occhi chiusi. Rimase lì per qualche minuto,
mentre ascoltava lo scrosciare violento della pioggia notturna e il tuonare
lontano del temporale: non aveva fretta di ritornare in quella casa triste e
vuota.
Sospirò
profondamente, levandosi il cappuccio fradicio e accendendo la luce delle
scale, ma un inaspettato mugugno attirò la sua attenzione.
-“Ma
che cazzo…”- brontolò una voce roca, proveniente da un’ombra accomodata sui
primi gradini.
Ino
strabuzzò gli occhi sbalordita, mentre fissava sconcertata quel ragazzo
devastato dormire sulle scale di casa sua.
-“Shika…?!”-
sussultò, sorpresa.
-“Mmh…
spegni la luce, che ho sonno…”- borbottò il ragazzo, rigirandosi sulle fredde e
scomode scale di marmo.
La
Yamanaka si guardò attorno, sempre più perplessa, non capendo cosa stesse
accadendo. Si avvicinò all’amico, inginocchiandosi affianco e fissandolo
dubbiosa.
-“Che
ci fai tu qui, stupido?!”- esclamò la biondina, con voce squillante.
Il
ragazzo sollevò la testa scocciato, fissando con espressione eloquente la
fastidiosa amica.
-“Secondo
te? Cerco di dormire, no?”- ironizzò lui.
-“Sì,
ma sulle scale?”- protestò Ino, corrugando le sopracciglia, perplessa. –“Cosa
c’è, il letto è troppo comodo per voi punk devastati?”- concluse poi, con punta
di sarcasmo.
Shikamaru
Nara fulminò con sguardo irritato la bella biondina che lo guardava dall’alto,
nascondendo parte del suo viso perfetto dietro quel ciuffo biondo che lui tanto
odiava. Ma odiava ancora di più percepire quei due fanali azzurri puntati su di
lui, diretti a scrutare ogni minima parte della sua anima… detestava non
riuscire a mentirle.
-“Mia
madre mi ha sbattuto fuori di casa… che razza di seccatura…”- ammise poi
amaramente, tirandosi su a sedere.
Ino
lo fissò per qualche secondo in silenzio, senza saper che dire. In fondo, gli
dispiaceva vederlo ridotto così: nonostante tutto quello che era successo…
erano ancora amici.
-“E
Choji dov’è?”- gli chiese, fingendo un tono indifferente.
-“Bah,
è a uno dei suoi concerti reggae con i suoi amici sfattoni…
non torna a casa stanotte…”- sbuffò Shikamaru, tirandosi fuori una sigaretta.
La
Yamanaka fissò l’amico titubante, mentre una domanda che le provocava uno
strano fastidio allo stomaco venne fuori naturale.
-“E
Temari?”- gli chiese con voce sommessa.
Il
Nara inarcò un sopracciglio, fissando serio quegli occhi cerulei che non
riusciva mai a catturare, non più tesi a scrutarlo, ma intenti a fuggire dai
suoi. Espirò del fumo, scrutando la figura della ragazza attraverso la coltre
evanescente, pensando quale fosse la risposta migliore da darle. Si rendeva
conto che nemmeno il suo Q.I. 200 era utile quando si parlava di donne alle donne e questo era stato Asuma ad insegnarglielo, tanto tempo
prima…
-“Abbiamo
chiuso.”- rispose apatico il ragazzo, dando un altro tiro alla sigaretta.
-“Ah.
Capisco.”- disse Ino, fredda e sintetica.
Un
sorrisino quasi impercettibile si spaziò sulle labbra di Shikamaru, che lo
nascose col dorso della mano: sapeva quanto Ino fosse educata e di buone
maniere, e che per quanto volesse giocare a fare la emo, la sua impostazione da
signorina di buona famiglia era troppo ben radicata in lei. Come minimo si
sarebbe aspettato un “mi dispiace”
come risposta. Invece no. Questa volta Ino era stata fredda e categorica,
ribadendo ancora una volta la sua più totale avversione per Temari.
Ino,
intanto, non sapeva come comportarsi. Doveva ammettere di essere un po’
disorientata: era da un sacco di tempo che non parlava con lui. Dopo tutto
quello che era successo, dopo tutti i cambiamenti che erano avvenuti… dopo
tutti i chiarimenti che avrebbero dovuti esserci ma che entrambi avevano
accuratamente evitato di darsi da un anno a quella parte.
La
ragazza sospirò, sorpassandolo e iniziando a salire le scale che conducevano a
casa sua. Il Nara abbassò il volto, portando sulle sue labbra la fedele
sigaretta, cercando di mandare via quel sapore amaro che gli si creava ogni
qualvolta incontrava Ino, senza capirne il perché.
-“Dai
stupido, vieni…”- sbuffò la Yamanaka, mentre girava la chiave nella serratura.
Shikamaru
si voltò a dir poco sconvolto verso l’amica, fissandola di traverso.
-“Dove?!”-
sbottò, stupito.
-“Finisciti
quello schifo di sigaretta e poi vieni da me, scemo… però prima di entrare levati
quegli anfibi devastati, per favore!”- commentò Ino, adorabilmente acida e
schizzinosa come solo lei riusciva ad essere.
-“Che
seccatura… ma fanno parte del mio corredo punk!”- si lamentò Shikamaru,
spegnendo sul pavimento perfetto la sigaretta.
-“Caro…
devi sacrificare una parte del tuo perfetto corredo da punk se vuoi dormire sul
divano di una emo…”- sogghignò maliziosamente la ragazza.
-“Che
seccatura… non ricominciamo con queste guerre di classe, Yamanaka…”- commentò
il Nara, sogghignando malizioso ed entrando nell’appartamento con tanto di
anfibi ai piedi.
-“Altro
che guerra di classe! Sarà guerra con mia madre se mi sporchi tutta la casa!
Dai, levati quei cosi!”- protestò Ino, chiudendosi la porta alle spalle.
Ã
Era
assurdo rientrare dopo quasi un anno nella camera di Ino. Assurdo, perché lei
abitava sotto di lui. Assurdo, perché si conoscevano dalla nascita. Assurdo,
perché meno di dodici mesi prima lui passava buona parte dei suoi pomeriggi
sdraiato su quel parquet viola scuro, a contemplare quella parete piena di
ritagli di riviste, di disegni e di strani collage.
La
camera di Ino non era cambiata molto, a differenza di lei. Insieme alle sue
varie opere artistiche, la ragazza aveva appeso qualche immagine un po’ più
dark, della serie angeli dalle ali nere, ragazze piangenti o sanguinanti, cuori
spezzati e delle fastidiose stelline fucsia. Shikamaru storse la bocca notando
che l’ “angolo artistico” (come lo chiamava lei) di Ino sembrava abbandonato,
pieno di polvere e messo in disordine, non più come lo ricordava lui, pieno di
colori, di pennelli e matite; per di più, i fiori che ogni giorno adornavano la
sua stanza erano spariti, rendendo il tutto molto cupo e triste.
Piuttosto
irritato, il ragazzo si avvicinò alla scrivania di Ino, dove imperturbabile
stava la foto che fecero insieme ad Asuma e Choji quando tutto era ancora così
bello e semplice, quando ancora dodicenni passavano le loro giornate insieme al
loro “maestro di vita”…
Erano
passati già quattro anni, tre dei quali lunghi e splendidi, da quei magnifici
pomeriggi passati ad ascoltare musica punk, crescendo al suono di Sex Pistols, Clash e Crass in compagnia del “maestro” Asuma; tutto era iniziato
per caso, quando Shikamaru, per fare un dispetto ai suoi due amici d’infanzia,
aveva cominciato a raccontare strane storie riguardanti quel misterioso vicino,
vestito sempre con borchie e vestiti lacerati, perennemente con la sigaretta in
bocca. Choji ne era talmente terrorizzato che appena lo vedeva sbiancava e
scappava via, quasi in lacrime; ma Ino no, lei non era così. A lei piaceva
provocare e amava tutto ciò che era provocazione: Asuma era un punk di
primordine che viveva inspiegabilmente in uno dei quartieri più chic di Milano,
quindi chi era lui, se non la personificazione della trasgressione? Shikamaru
avrebbe ricordato per sempre quel
giorno, quello in cui Ino, vestita di una minigonna in jeans con tanto di
cintura di Cavalli in bella vista e magliettina di Armani, si era diretta con
aria superba e altezzosa, picchiettando sul marciapiede con le sue scarpine col
tacchetto, al cospetto di Asuma, che indossava una sudicia canottiera bianca,
Tiger** scozzesi rossi e degli anfibi distrutti da mille peripezie. Asuma
strabuzzò gli occhi ritrovandosi davanti quella dodicenne così perfettamente
snob, fissandolo con sguardo sospeso tra la sfida e l’ammirazione.
-“Ehi buongiorno
principessa, che posso fare per te?”- le chiese l’uomo, sorridendo e portandosi
una sigaretta alla bocca.
-“Tu che cosa sei?”- gli
domandò la ragazzina sicura, senza farsi intimorire dal suo aspetto bruto.
-“Beh… uno schiavo della
nicotina, suppongo…”- commentò lui, ironico.
-“No, seriamente, cosa
sei tu?”- ripeté Ino, sempre più curiosa.
-“Sei un punk, non è
vero?”- gli chiese improvvisamente Shikamaru, sbucandogli da dietro le spalle.
Asuma aggrottò le
sopracciglia, sorpreso di ritrovarsi improvvisamente circondato da ragazzini
adoranti (sebbene Choji diffidasse moltissimo di lui all’inizio).
-“La gente comune mi
definisce punk… ma io sono solo me stesso! Perché?”- domandò nuovamente,
grattandosi il capo, stupito.
-“Eh eh… te l’avevo detto
io che era un punk, Ino! Si veste come quelli della copertina del cd che
abbiamo visto l’altro giorno!”- ghignò Shikamaru, soddisfatto della sua
intuizione.
-“Un punk?! E che cavolo
è un punk?!”- protestò la biondina, stizzita.
Asuma fissò i ragazzini
allibito, ma presto si sciolse in una risata divertita.
-“Certo che ne avete di
cose da imparare, ragazzi…”- ridacchiò l’uomo, allontanandosi.
-“E insegnacele allora,
no?”- lo istigò Ino, richiamando la sua attenzione e facendolo voltare verso di
loro.
Shikamaru
ghignò amaramente, spostando gli occhi scuri dalla foto ai suoi Tiger scozzesi
rossi. Eredità del suo maestro. E pensò. Pensò che Ino non aveva mai voluto
tenere la bocca chiusa. Pensò che parlava decisamente troppo per i suoi gusti.
Pensò che era assurdo che fossero stati amici tanto a lungo, diversi com’erano.
E pensò che se non avesse parlato allora, adesso al posto di quei fantastici
pantaloni forse indosserebbe un paio di jeans da fighetto.
Seguendo
gli insegnamenti di quel loro vicino di casa devoto al punk, forse un po’
folle, erano diventati quello che erano
ora. Lui aveva raccolto in pieno l’eredità musicale e ideologica impartitagli
da Asuma durante quei lunghi pomeriggi passati insieme, votandosi interamente
al punk. Per i suoi amici non era stato lo stesso…
Choji
aveva perso la sua devozione per i Crass non appena
fece un incontro che gli sconvolse l’intera esistenza: la prima canna. Da
allora aveva deciso che la via più giusta era quella tracciata da Bob Marley e
non più quella dell’anarcho punk.
Per
Ino era diverso… già, lei era sempre stata una punk, in fondo al cuore. Lei,
così bella e perfetta, che fino a qualche anno prima aveva un armadio che
sembrava il tempio della griffe, era sempre stata la migliore. L’unica
sancarlina ad essere segretamente votata al punk hardcore. Era bellissima con
le sue ballerine, stretta nei suoi jeans griffati, con le sue t-shirt che
valevano cambiali, mentre camminava per le vie di Milano ascoltando a manetta i
Sex Pistols nel suo mp3 fucsia a fiorellini. Un vero
amore. E Shikamaru… beh, ormai era abbastanza adulto per ammettere che a quei
tempi si era preso una gran bella sbandata per lei. Amava il suo modo di
trasgredire così subdolo, adorava la sua voce che intonava dolcemente quelle
note così dure e violente, impazziva per la sua totale incoerenza. Era la sua
seccatura più adorabile. Ma adesso che il suo armadio era così scuro, popolato
da righe, quadretti, cuori spezzati e teschi… non riusciva a provare
nient’altro che amarezza. Non avrebbe mai voluto vederla diventare quello. Non riusciva ad accettarlo,
proprio non ci riusciva. E forse non sarebbe diventata emo, se non fosse stato
per… ma adesso era inutile crucciarsi
ancora su ciò che era accaduto e che continuava ad accadere. O forse no. Non lo
sapeva. Cos’era meglio fare? Lasciare andare tutto per la sua strada com’era
successo per il passato o cercare di intervenire nella speranza di cambiare il
futuro? Ma Ino voleva cambiare o era lui che avrebbe voluto cambiarla?
Ã
Nonostante
tutto, Ino si vestiva da perfetta discepola di Prada per amor dei suoi genitori
e soprattutto di sua madre, il cui più grande sogno era quello di vederla danzare
in bianco al ballo delle debuttanti: idea che la figlia aberrava con tutto il
cuore. Col passare del tempo, Ino aveva cominciato a provare repulsione per
quei vestiti, per quello stile di vita, per quella gente: non riusciva più a
vivere in mezzo a delle persone che venivano giudicate solo in base a vestiti e
accessori, auto e gioielli.
Ino
era un’artista, lei amava esprimere se stessa attraverso il disegno, la pittura
e la scultura, era una delle pupille dell’Istituto d’Arte. Vivere in mezzo a
tutta quell’ipocrisia la stava soffocando, lentamente. E ammetteva umilmente
che se non fosse stato per Shikamaru, Choji e Asuma, a quell’ora sarebbe già
asfissiata sotto il peso inutile dello status symbol.
La
Yamanaka riaprì gli occhi, mentre ancora una volta l’acqua battente le scorreva
sulla testa, scivolando veloce e delicata sul viso. Ogni volta che s’infilava
sotto la doccia, non poteva fare a meno di ritornare indietro con la mente, a
quelle meravigliose giornate dove lei, Shikamaru, Choji e Asuma erano una
squadra, anzi di più, erano una famiglia, una vera famiglia. E capiva che il motivo della sua continua sofferenza
era uno: adesso si sentiva orfana. E doveva ammettere che quelle cicatrici che
le marcavano i polsi non erano nient’altro che punizioni per non essere stata
capace di tener unita quella famiglia che tanto amava.
Ã
Quando
Ino entrò nella sua camera, fresca e profumata di doccia, vide che Shikamaru
era insolitamente vicino alla sua scrivania.
-“Che
stai facendo?”- gli chiese improvvisamente, allarmata.
-“Chi,
io? Niente, niente…”- rispose Shikamaru agitato, infilandosi rapidamente
qualcosa in tasca.
La
biondina non ci fece caso e si sedette sul letto, studiando attentamente la
figura dell’amico: con quei Tiger, quella maglietta nera dei Napalm Death tutta
sgualcita, quei bracciali borchiati e quelle catene… sembrava proprio Asuma. Se
fosse stato ancora lì con loro, ne sarebbe stato sicuramente fiero. Forse un
po’ lo invidiava. Shikamaru era sempre stato così maturo, così… costante. Lui
sapeva bene chi era, non aveva mai finto di essere qualcun altro solo per far
piacere ai suoi genitori (e forse questo era uno dei motivi per i quali Ino non
aveva mai dormito sulle scale di casa). Lui era sempre stato Shikamaru, non era
né un fighetto né un punk, lui era Shika: col suo inimitabile codino all’aria,
con la sua aria costantemente seccata e con la sua fissa per le nuvole.
Ino
invece si chiedeva spesso chi fosse stata, chi fosse ora e cosa sarebbe
diventata; in quel momento, credeva di aver trovato nell’emo la corrente giusta
per lei. Capiva che quel ciuffo che le copriva buona parte del volto non era
nient’altro che una barriera che la distaccava dal mondo, impedendole di
provare altro dolore. Non se la sentiva più di soffrire a causa degli altri, per
questo aveva deciso di restare da sola, a guardare il mondo che voleva lei da
dietro il suo ciuffo dorato. A lei andava bene così. Ormai aveva perso tutte le
persone più importanti, quelle per cui aveva combattuto con tutta se stessa e
per cui aveva perso miseramente. Che senso aveva continuare a combattere una
guerra persa fin dall’inizio?
-“Cos’è
questa merda?!”- sbottò improvvisamente Shikamaru, tenendo tra le mani dei cd
trovati sparsi sulla poltrona.
-“Sicuramente
non è roba per te…”- commentò acida Ino, cercando di strappargli gli album di
mano. Inutile. Era diventato decisamente troppo alto per lei.
-“No,
dai, seria… davvero ti sei data a questa roba?!”- la fissò allibito lui, senza
parole.
-“NON-SONO-AFFARI-TUOI!
Capito?!”- ripeté la biondina lentamente e in modo incisivo, sperando di
infilargli in testa il concetto. Approfittando della sua distrazione, la
ragazza fece un piccolo saltino, sfilandogli di mano i cd e mettendoli al
sicuro.
-“Sei
sempre la solita seccatura, Ino…”- borbottò poi lui, aprendo la finestra e
accendendosi un’altra sigaretta.
-“Davvero?”-
chiese la biondina, quasi felice di sentirselo dire.
-“Sì…”-
sbiascicò il ragazzo, apatico –“…anche se mi chiedo quando ti finirà questa
fissa assurda dell’emo…”- commentò poi, espirando una nube di fumo.
La
Yamanaka sospirò, rimettendo a posto i cd e dando le spalle all’amico.
-“A
me va bene così, mi sento molto emo.”- asserì la biondina, sospirando. Sapeva
bene quanto Shikamaru odiasse gli emo e quanto non riuscisse ad accettare
l’idea che lei avesse deciso di intraprendere quella strada.
-“Senti
un po’, ma te e i tuoi amichetti emo…”- cominciò il Nara, con quel solito tono
accusatorio che Ino conosceva fin troppo bene.
-“No,
Shikamaru, smettila!”- lo zittì la ragazza, irritata –“Non ho intenzione di
aprire questo discorso con te! Quindi non iniziarlo! Abbiamo detto niente
guerre di classe, no?”- sbottò poi, sempre più indispettita.
-“Tsè… che seccatura che sei, Yamanaka… sei proprio figlia di
un avvocato!”- commentò il ragazzo, sbadigliando.
-“Mpf! Come ti pare!”- si offese Ino, sdraiandosi a pancia in
giù sul letto, dandogli le spalle.
Rimasero
in silenzio per alcuni minuti, mentre entrambi si rilassavano ascoltando lo
scrosciare della pioggia su quella Milano notturna insolitamente quieta.
-“È
da un po’ che non andiamo da Kurenai…”- esordì
Shikamaru, interrompendo il silenzio.
Ino
si sollevò appena dal letto, lo stretto necessario per poter lanciare
un’occhiata infastidita all’amico.
-“Io
ci vado due volte a settimana a trovare lei e il bambino…”- ribatté, un po’
seccata.
-“Infatti
ho detto andiamo non vai… dovremmo andarci tutti insieme,
Asuma vorrebbe così…”- commentò il Nara, scoccandole uno sguardo eloquente.
La
Yamanaka si voltò di scatto, affondando il volto nelle coperte senza rispondere
nulla: come sempre, quello scemo aveva dannatamente ragione e lei era troppo
orgogliosa per ammetterlo.
Offeso
dalla sua testardaggine, Shikamaru riportò lo sguardo fuori dalla finestra, non
riuscendo a capire il perché del distacco di Ino. Era sempre più lontana,
sempre più incomprensibile, evitava accuratamente che qualcuno riuscisse a
valicare quella misteriosa barriera di cristallo in cui si era rifugiata in
quegli ultimi tempi.
-“Scommetto
che ci vai con Kiba.”- azzardò improvvisamente il Nara, preso da una sensazione
fastidiosa.
-“Tu
ci vai con Temari?”- ribatté la biondina,
innervosita.
-“No,
ma che c’entra? Scommetto che Kurenai è contenta di
vederti insieme a lui…”- commentò nuovamente con tono ironico, privo di
controllo. Nemmeno lui capiva più cosa gli stesse accadendo, si stava lasciando
trascinare da quell’antico rancore nei confronti dell’Inuzuka
e non riusciva più a fermarsi.
-“Boh,
può darsi… di certo non le dispiace, tu che dici?”- rispose Ino, con la solita
malizia pungente.
-“Allora
come va col tuo bel calciatore? Ho sentito che il Milan l’ha contattato…”-
continuò lui, sempre più irritato. Non era mai riuscito ad accettare la storia
di Ino con Kiba, proprio non la contemplava.
-“Come
va tra te e Temari?”- ribatté invece la ragazza, con
voce tremante.
-“Ma
se te l’ho detto prima…”- sbuffò Shikamaru, buttando giù il mozzicone e
chiudendo la finestra.
-“Appunto.”-
commentò la biondina, con tono depresso. –“Tra me e Kiba non va meglio…”- aggiunse
poi, quasi con un sussurro.
Shikamaru
rimase in silenzio, assottigliando lo sguardo sulla figura sempre più esile
della ragazza sul letto.
-“Mpf. Che coglione.”- commentò il Nara, sedendosi sul letto
al lato di Ino.
-“Hai
fame?”- gli chiese improvvisamente la Yamanaka, cambiando discorso.
Shikamaru
la guardò un po’ perplesso, interrogando il suo stomaco sul da farsi.
-“Mmh.
Sì, ho un buchetto nello stomaco.”- annuì il ragazzo.
-“Dai,
facciamoci due spaghetti!”- sorrise Ino, saltando giù dal letto e dirigendosi
in cucina.
-“Alle
4 di mattina…?”- ripeté tra sé e sé il moretto, grattandosi la testa perplesso.
* i “sancarlini” sono i ragazzi della Milano Bene.
** i Tiger sono un
tipo di pantaloni usati dai punk.
…to be continued!!!
-Thanks 4 Reading!-