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Autore: Sakurina    28/05/2008    8 recensioni
Shikamaru e Ino vivono in un ricco quartiere di Milano e sono amici d’infanzia, ma un ostacolo li divide: lui è un punk, lei è una emo girl. Una notte piovosa li obbliga ad affrontare il passato doloroso e pieno di incomprensioni che cercano di lasciarsi alle spalle… {ShikaIno, lievi accenni a ShikaTema, KibaIno, SasuIno}. Questa fic ha partecipato al concorso Naruto-AU indetto da Kurenai88 e Talpina Pensierosa La mia prima AU. Non so che porcheria ne sia uscita, ma mi sono divertita a trasporre un pezzo della mia Milano in questa storia… e poi ero in grave astinenza da ShikaIno.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru Nara | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Direi che questa è la fanfiction più strana che abbia mai scritto, senza contare che è anche la mia prima AU

Direi che questa è la fanfiction più strana che abbia mai scritto, senza contare che è anche la mia prima AU. Quindi non so che porcheria ne sia uscita, ma mi sono divertita a trasporre un pezzo della mia Milano in questa storia… tratta una tematica un po’ particolare, lo so, ma è molto attuale nel contesto in cui vivo…non so, vedendo lo schifo che ha fatto al concorso (ma c’era da stupirsi?XD) magari risulta  un po’ strana o comunque difficile da capire… spero comunque che vi piaccia, era da un sacco che ero in astinenza di ShikaIno ^^ …e poi Shika ridotto così ce lo vedo troppo, non so perché! Aspetto i vostri pareri spassionati… Bacione Sakurina

 

 

...:Memories Of Punk:...

 

 

“Sei Troppo Bella Per Dirti Addio

Tu Chiami E Poi

Noi Tutti Ubbidiamo

E Tra Chi Nomina Il Tuo Nome Invano

Ci Sono Anch'io

Milano Milano

Milano Quando Sono Lontano Voglio Tornare

Milano Quando Ci Sono Voglio Scappare…”

(Articolo 31, “Milano Milano”)

 

 

 

 

Capitolo 1.”Quella che non sei”

 

“Ti ho vista stare dietro a troppo rimmel

dietro un'altra acconciatura

eri dietro una paura che non lasci mai.

Quella che non sei

quella che non sei non sei

ma io sono qua e se ti basterà

quella che non sei, non sarai

a me basterà.

C'è un posto dentro te in cui fa freddo

è il posto in cui nessuno è entrato mai..”

(Ligabue, “Quella che non sei”)

 

 

La pioggia scivolava lenta sul finestrino, rendendo ancora più spettrali le tenebrose vie di quella Milano abbracciata dalla notte. Ino appoggiò la fronte sul vetro, fissando con i suoi enormi occhi blu la fredda città natia, sospirando. Per quanto quel luogo potesse cambiare, per lei rimaneva sempre lo stesso. Anzi no, forse era peggiorato. Sempre più grande, sempre più fredda… non riusciva mai a capire se amasse o odiasse quella città. Gente indifferente, cielo sempre cupo, aria irrespirabile… eppure così terribilmente affascinante. No, Milano non cambiava proprio mai.

-“Sono cambiata, io?”- chiese a un tratto la biondina, con tono insolitamente serio.

Tenten si voltò di scatto verso l’amica, a dir poco allibita nel sentirsi porre una domanda del genere da Ino: non era proprio il tipo da crisi esistenziali! Dovette riportare subito gli occhi sul volante e sulla strada, sebbene la sorpresa non fosse ancora del tutto svanita.

-“Ma quanto hai bevuto, stasera?”- rispose sottovoce Tenten, attenta a non svegliare Hinata e Sakura che dormivano profondamente sui sedili posteriori.

La macchina si fermò all’ennesimo semaforo rosso di quella notte, e gli occhi castani di Tenten poterono catturare un barlume di smarrimento in quelli cerulei dell’amica, che subito scostò lo sguardo, orgogliosa.

-“Lascia perdere, va…”- commentò scocciata la Yamanaka, ritornando a contemplare la pioggia.

La brunetta sospirò rassegnata, facendo spallucce, ripartendo alla volta di quella zona di Milano che tanto odiava. Le due non si parlarono per tutto il resto del tragitto, mentre la piccola Twingo scivolava silenziosa tra i lussuosi palazzi di uno dei quartieri più raffinati della città.

Si fermarono davanti alla graziosa palazzina circondata da alte mura invalicabili e da un vasto giardino: quattro appartamenti di due piani ciascuno, con tanto di box doppio per i costosi SUV, piscina con idromassaggio, angolo barbecue e angolo giardinaggio; per non parlare degli ampi atri che dividevano ogni appartamento dall’altro, fatti interamente di freddo e sfarzoso marmo. Insomma, una reggia più che una palazzina. Del resto, bastava conoscere i nomi di alcuni dei suoi inquilini: ingegner Nara, avvocato Yamanaka, dottor Akimichi.

Ino sospirò sonoramente, fissando con occhi vacui quella casa che l’aveva cresciuta, ma che sembrava non invecchiare mai.

-“Grazie per il passaggio Tenten, ci sentiamo…”- asserì la biondina, uscendo di corsa dalla macchina e raggiungendo il portone del cancello sotto la pioggia battente.

-“Ehi Ino!”- la richiamò improvvisamente l’amica, abbassando il finestrino con aria preoccupata.

-“Che c’è?!”- rispose la biondina, coprendosi la testa con il cappuccio della felpa a righe per proteggersi dalla pioggia.

-“Perché mi hai fatto quella domanda?”- le chiese Tenten, perplessa.

La Yamanaka rifletté per un momento, confusa, non capendo a cosa si riferisse l’amica. Poi aggrottò le sopracciglia, facendo spallucce, con espressione risoluta.

-“Non so, mi è venuta così!”- rispose Ino, con sorriso fittizio.

Tenten storse la bocca, intuendo che l’amica non aveva intenzione di darle una risposta soddisfacente, come sempre.

-“Va beh… comunque, se vuoi sapere la mia… sei sempre uguale, solo un po’ più intelligente e adorabilmente stronza…”- rise la ragazza con gli chignon –“…anche se mi duole ammettere che forse ti preferivo quando eri una sancarlina*!”- concluse infine, fulminando la bionda con sguardo di rimprovero.

-“Beh, saresti l’unica, allora!”- ribatté Ino, ammiccando da dietro il suo ciuffo biondo.

La brunetta non rispose, si limitò a regalarle un sorrisino amaro che sapeva di rimprovero. La Yamanaka la salutò agitando la mano, sparendo dietro la pesante porta del cancello di casa sua.

Tenten scosse la testa, rassegnata, ripartendo alla volta della casa di Sakura.

 

Ã

 

Dopo aver attraversato il vialetto di ciottoli di corsa, Ino entrò nell’enorme atrio della palazzina, immersa completamente nel buio. Appoggiò la schiena contro il portone di vetro, respirando piano, a occhi chiusi. Rimase lì per qualche minuto, mentre ascoltava lo scrosciare violento della pioggia notturna e il tuonare lontano del temporale: non aveva fretta di ritornare in quella casa triste e vuota.

Sospirò profondamente, levandosi il cappuccio fradicio e accendendo la luce delle scale, ma un inaspettato mugugno attirò la sua attenzione.

-“Ma che cazzo…”- brontolò una voce roca, proveniente da un’ombra accomodata sui primi gradini.

Ino strabuzzò gli occhi sbalordita, mentre fissava sconcertata quel ragazzo devastato dormire sulle scale di casa sua.

-“Shika…?!”- sussultò, sorpresa.

-“Mmh… spegni la luce, che ho sonno…”- borbottò il ragazzo, rigirandosi sulle fredde e scomode scale di marmo.

La Yamanaka si guardò attorno, sempre più perplessa, non capendo cosa stesse accadendo. Si avvicinò all’amico, inginocchiandosi affianco e fissandolo dubbiosa.

-“Che ci fai tu qui, stupido?!”- esclamò la biondina, con voce squillante.

Il ragazzo sollevò la testa scocciato, fissando con espressione eloquente la fastidiosa amica.

-“Secondo te? Cerco di dormire, no?”- ironizzò lui.

-“Sì, ma sulle scale?”- protestò Ino, corrugando le sopracciglia, perplessa. –“Cosa c’è, il letto è troppo comodo per voi punk devastati?”- concluse poi, con punta di sarcasmo.

Shikamaru Nara fulminò con sguardo irritato la bella biondina che lo guardava dall’alto, nascondendo parte del suo viso perfetto dietro quel ciuffo biondo che lui tanto odiava. Ma odiava ancora di più percepire quei due fanali azzurri puntati su di lui, diretti a scrutare ogni minima parte della sua anima… detestava non riuscire a mentirle.

-“Mia madre mi ha sbattuto fuori di casa… che razza di seccatura…”- ammise poi amaramente, tirandosi su a sedere.

Ino lo fissò per qualche secondo in silenzio, senza saper che dire. In fondo, gli dispiaceva vederlo ridotto così: nonostante tutto quello che era successo… erano ancora amici.

-“E Choji dov’è?”- gli chiese, fingendo un tono indifferente.

-“Bah, è a uno dei suoi concerti reggae con i suoi amici sfattoni… non torna a casa stanotte…”- sbuffò Shikamaru, tirandosi fuori una sigaretta.

La Yamanaka fissò l’amico titubante, mentre una domanda che le provocava uno strano fastidio allo stomaco venne fuori naturale.

-“E Temari?”- gli chiese con voce sommessa.

Il Nara inarcò un sopracciglio, fissando serio quegli occhi cerulei che non riusciva mai a catturare, non più tesi a scrutarlo, ma intenti a fuggire dai suoi. Espirò del fumo, scrutando la figura della ragazza attraverso la coltre evanescente, pensando quale fosse la risposta migliore da darle. Si rendeva conto che nemmeno il suo Q.I. 200 era utile quando si parlava di donne alle donne e questo era stato Asuma ad insegnarglielo, tanto tempo prima…

-“Abbiamo chiuso.”- rispose apatico il ragazzo, dando un altro tiro alla sigaretta.

-“Ah. Capisco.”- disse Ino, fredda e sintetica.

Un sorrisino quasi impercettibile si spaziò sulle labbra di Shikamaru, che lo nascose col dorso della mano: sapeva quanto Ino fosse educata e di buone maniere, e che per quanto volesse giocare a fare la emo, la sua impostazione da signorina di buona famiglia era troppo ben radicata in lei. Come minimo si sarebbe aspettato un “mi dispiace” come risposta. Invece no. Questa volta Ino era stata fredda e categorica, ribadendo ancora una volta la sua più totale avversione per Temari.

Ino, intanto, non sapeva come comportarsi. Doveva ammettere di essere un po’ disorientata: era da un sacco di tempo che non parlava con lui. Dopo tutto quello che era successo, dopo tutti i cambiamenti che erano avvenuti… dopo tutti i chiarimenti che avrebbero dovuti esserci ma che entrambi avevano accuratamente evitato di darsi da un anno a quella parte.

La ragazza sospirò, sorpassandolo e iniziando a salire le scale che conducevano a casa sua. Il Nara abbassò il volto, portando sulle sue labbra la fedele sigaretta, cercando di mandare via quel sapore amaro che gli si creava ogni qualvolta incontrava Ino, senza capirne il perché.

-“Dai stupido, vieni…”- sbuffò la Yamanaka, mentre girava la chiave nella serratura.

Shikamaru si voltò a dir poco sconvolto verso l’amica, fissandola di traverso.

-“Dove?!”- sbottò, stupito.

-“Finisciti quello schifo di sigaretta e poi vieni da me, scemo… però prima di entrare levati quegli anfibi devastati, per favore!”- commentò Ino, adorabilmente acida e schizzinosa come solo lei riusciva ad essere.

-“Che seccatura… ma fanno parte del mio corredo punk!”- si lamentò Shikamaru, spegnendo sul pavimento perfetto la sigaretta.

-“Caro… devi sacrificare una parte del tuo perfetto corredo da punk se vuoi dormire sul divano di una emo…”- sogghignò maliziosamente la ragazza.

-“Che seccatura… non ricominciamo con queste guerre di classe, Yamanaka…”- commentò il Nara, sogghignando malizioso ed entrando nell’appartamento con tanto di anfibi ai piedi.

-“Altro che guerra di classe! Sarà guerra con mia madre se mi sporchi tutta la casa! Dai, levati quei cosi!”- protestò Ino, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Ã

 

Era assurdo rientrare dopo quasi un anno nella camera di Ino. Assurdo, perché lei abitava sotto di lui. Assurdo, perché si conoscevano dalla nascita. Assurdo, perché meno di dodici mesi prima lui passava buona parte dei suoi pomeriggi sdraiato su quel parquet viola scuro, a contemplare quella parete piena di ritagli di riviste, di disegni e di strani collage.

La camera di Ino non era cambiata molto, a differenza di lei. Insieme alle sue varie opere artistiche, la ragazza aveva appeso qualche immagine un po’ più dark, della serie angeli dalle ali nere, ragazze piangenti o sanguinanti, cuori spezzati e delle fastidiose stelline fucsia. Shikamaru storse la bocca notando che l’ “angolo artistico” (come lo chiamava lei) di Ino sembrava abbandonato, pieno di polvere e messo in disordine, non più come lo ricordava lui, pieno di colori, di pennelli e matite; per di più, i fiori che ogni giorno adornavano la sua stanza erano spariti, rendendo il tutto molto cupo e triste.

Piuttosto irritato, il ragazzo si avvicinò alla scrivania di Ino, dove imperturbabile stava la foto che fecero insieme ad Asuma e Choji quando tutto era ancora così bello e semplice, quando ancora dodicenni passavano le loro giornate insieme al loro “maestro di vita”…

Erano passati già quattro anni, tre dei quali lunghi e splendidi, da quei magnifici pomeriggi passati ad ascoltare musica punk, crescendo al suono di Sex Pistols, Clash e Crass in compagnia del “maestro” Asuma; tutto era iniziato per caso, quando Shikamaru, per fare un dispetto ai suoi due amici d’infanzia, aveva cominciato a raccontare strane storie riguardanti quel misterioso vicino, vestito sempre con borchie e vestiti lacerati, perennemente con la sigaretta in bocca. Choji ne era talmente terrorizzato che appena lo vedeva sbiancava e scappava via, quasi in lacrime; ma Ino no, lei non era così. A lei piaceva provocare e amava tutto ciò che era provocazione: Asuma era un punk di primordine che viveva inspiegabilmente in uno dei quartieri più chic di Milano, quindi chi era lui, se non la personificazione della trasgressione? Shikamaru avrebbe ricordato per sempre quel giorno, quello in cui Ino, vestita di una minigonna in jeans con tanto di cintura di Cavalli in bella vista e magliettina di Armani, si era diretta con aria superba e altezzosa, picchiettando sul marciapiede con le sue scarpine col tacchetto, al cospetto di Asuma, che indossava una sudicia canottiera bianca, Tiger** scozzesi rossi e degli anfibi distrutti da mille peripezie. Asuma strabuzzò gli occhi ritrovandosi davanti quella dodicenne così perfettamente snob, fissandolo con sguardo sospeso tra la sfida e l’ammirazione.

-“Ehi buongiorno principessa, che posso fare per te?”- le chiese l’uomo, sorridendo e portandosi una sigaretta alla bocca.

-“Tu che cosa sei?”- gli domandò la ragazzina sicura, senza farsi intimorire dal suo aspetto bruto.

-“Beh… uno schiavo della nicotina, suppongo…”- commentò lui, ironico.

-“No, seriamente, cosa sei tu?”- ripeté Ino, sempre più curiosa.

-“Sei un punk, non è vero?”- gli chiese improvvisamente Shikamaru, sbucandogli da dietro le spalle.

Asuma aggrottò le sopracciglia, sorpreso di ritrovarsi improvvisamente circondato da ragazzini adoranti (sebbene Choji diffidasse moltissimo di lui all’inizio).

-“La gente comune mi definisce punk… ma io sono solo me stesso! Perché?”- domandò nuovamente, grattandosi il capo, stupito.

-“Eh eh… te l’avevo detto io che era un punk, Ino! Si veste come quelli della copertina del cd che abbiamo visto l’altro giorno!”- ghignò Shikamaru, soddisfatto della sua intuizione.

-“Un punk?! E che cavolo è un punk?!”- protestò la biondina, stizzita.

Asuma fissò i ragazzini allibito, ma presto si sciolse in una risata divertita.

-“Certo che ne avete di cose da imparare, ragazzi…”- ridacchiò l’uomo, allontanandosi.

-“E insegnacele allora, no?”- lo istigò Ino, richiamando la sua attenzione e facendolo voltare verso di loro.

Shikamaru ghignò amaramente, spostando gli occhi scuri dalla foto ai suoi Tiger scozzesi rossi. Eredità del suo maestro. E pensò. Pensò che Ino non aveva mai voluto tenere la bocca chiusa. Pensò che parlava decisamente troppo per i suoi gusti. Pensò che era assurdo che fossero stati amici tanto a lungo, diversi com’erano. E pensò che se non avesse parlato allora, adesso al posto di quei fantastici pantaloni forse indosserebbe un paio di jeans da fighetto.

Seguendo gli insegnamenti di quel loro vicino di casa devoto al punk, forse un po’ folle,  erano diventati quello che erano ora. Lui aveva raccolto in pieno l’eredità musicale e ideologica impartitagli da Asuma durante quei lunghi pomeriggi passati insieme, votandosi interamente al punk. Per i suoi amici non era stato lo stesso…

Choji aveva perso la sua devozione per i Crass non appena fece un incontro che gli sconvolse l’intera esistenza: la prima canna. Da allora aveva deciso che la via più giusta era quella tracciata da Bob Marley e non più quella dell’anarcho punk.

Per Ino era diverso… già, lei era sempre stata una punk, in fondo al cuore. Lei, così bella e perfetta, che fino a qualche anno prima aveva un armadio che sembrava il tempio della griffe, era sempre stata la migliore. L’unica sancarlina ad essere segretamente votata al punk hardcore. Era bellissima con le sue ballerine, stretta nei suoi jeans griffati, con le sue t-shirt che valevano cambiali, mentre camminava per le vie di Milano ascoltando a manetta i Sex Pistols nel suo mp3 fucsia a fiorellini. Un vero amore. E Shikamaru… beh, ormai era abbastanza adulto per ammettere che a quei tempi si era preso una gran bella sbandata per lei. Amava il suo modo di trasgredire così subdolo, adorava la sua voce che intonava dolcemente quelle note così dure e violente, impazziva per la sua totale incoerenza. Era la sua seccatura più adorabile. Ma adesso che il suo armadio era così scuro, popolato da righe, quadretti, cuori spezzati e teschi… non riusciva a provare nient’altro che amarezza. Non avrebbe mai voluto vederla diventare quello. Non riusciva ad accettarlo, proprio non ci riusciva. E forse non sarebbe diventata emo, se non fosse stato per…  ma adesso era inutile crucciarsi ancora su ciò che era accaduto e che continuava ad accadere. O forse no. Non lo sapeva. Cos’era meglio fare? Lasciare andare tutto per la sua strada com’era successo per il passato o cercare di intervenire nella speranza di cambiare il futuro? Ma Ino voleva cambiare o era lui che avrebbe voluto cambiarla?

 

Ã

 

Nonostante tutto, Ino si vestiva da perfetta discepola di Prada per amor dei suoi genitori e soprattutto di sua madre, il cui più grande sogno era quello di vederla danzare in bianco al ballo delle debuttanti: idea che la figlia aberrava con tutto il cuore. Col passare del tempo, Ino aveva cominciato a provare repulsione per quei vestiti, per quello stile di vita, per quella gente: non riusciva più a vivere in mezzo a delle persone che venivano giudicate solo in base a vestiti e accessori, auto e gioielli.

Ino era un’artista, lei amava esprimere se stessa attraverso il disegno, la pittura e la scultura, era una delle pupille dell’Istituto d’Arte. Vivere in mezzo a tutta quell’ipocrisia la stava soffocando, lentamente. E ammetteva umilmente che se non fosse stato per Shikamaru, Choji e Asuma, a quell’ora sarebbe già asfissiata sotto il peso inutile dello status symbol.

La Yamanaka riaprì gli occhi, mentre ancora una volta l’acqua battente le scorreva sulla testa, scivolando veloce e delicata sul viso. Ogni volta che s’infilava sotto la doccia, non poteva fare a meno di ritornare indietro con la mente, a quelle meravigliose giornate dove lei, Shikamaru, Choji e Asuma erano una squadra, anzi di più, erano una famiglia, una vera famiglia. E capiva che il motivo della sua continua sofferenza era uno: adesso si sentiva orfana. E doveva ammettere che quelle cicatrici che le marcavano i polsi non erano nient’altro che punizioni per non essere stata capace di tener unita quella famiglia che tanto amava.

 

Ã

 

Quando Ino entrò nella sua camera, fresca e profumata di doccia, vide che Shikamaru era insolitamente vicino alla sua scrivania.

-“Che stai facendo?”- gli chiese improvvisamente, allarmata.

-“Chi, io? Niente, niente…”- rispose Shikamaru agitato, infilandosi rapidamente qualcosa in tasca.

La biondina non ci fece caso e si sedette sul letto, studiando attentamente la figura dell’amico: con quei Tiger, quella maglietta nera dei Napalm Death tutta sgualcita, quei bracciali borchiati e quelle catene… sembrava proprio Asuma. Se fosse stato ancora lì con loro, ne sarebbe stato sicuramente fiero. Forse un po’ lo invidiava. Shikamaru era sempre stato così maturo, così… costante. Lui sapeva bene chi era, non aveva mai finto di essere qualcun altro solo per far piacere ai suoi genitori (e forse questo era uno dei motivi per i quali Ino non aveva mai dormito sulle scale di casa). Lui era sempre stato Shikamaru, non era né un fighetto né un punk, lui era Shika: col suo inimitabile codino all’aria, con la sua aria costantemente seccata e con la sua fissa per le nuvole.

Ino invece si chiedeva spesso chi fosse stata, chi fosse ora e cosa sarebbe diventata; in quel momento, credeva di aver trovato nell’emo la corrente giusta per lei. Capiva che quel ciuffo che le copriva buona parte del volto non era nient’altro che una barriera che la distaccava dal mondo, impedendole di provare altro dolore. Non se la sentiva più di soffrire a causa degli altri, per questo aveva deciso di restare da sola, a guardare il mondo che voleva lei da dietro il suo ciuffo dorato. A lei andava bene così. Ormai aveva perso tutte le persone più importanti, quelle per cui aveva combattuto con tutta se stessa e per cui aveva perso miseramente. Che senso aveva continuare a combattere una guerra persa fin dall’inizio?

-“Cos’è questa merda?!”- sbottò improvvisamente Shikamaru, tenendo tra le mani dei cd trovati sparsi sulla poltrona.

-“Sicuramente non è roba per te…”- commentò acida Ino, cercando di strappargli gli album di mano. Inutile. Era diventato decisamente troppo alto per lei.

-“No, dai, seria… davvero ti sei data a questa roba?!”- la fissò allibito lui, senza parole.

-“NON-SONO-AFFARI-TUOI! Capito?!”- ripeté la biondina lentamente e in modo incisivo, sperando di infilargli in testa il concetto. Approfittando della sua distrazione, la ragazza fece un piccolo saltino, sfilandogli di mano i cd e mettendoli al sicuro.

-“Sei sempre la solita seccatura, Ino…”- borbottò poi lui, aprendo la finestra e accendendosi un’altra sigaretta.

-“Davvero?”- chiese la biondina, quasi felice di sentirselo dire.

-“Sì…”- sbiascicò il ragazzo, apatico –“…anche se mi chiedo quando ti finirà questa fissa assurda dell’emo…”- commentò poi, espirando una nube di fumo.

La Yamanaka sospirò, rimettendo a posto i cd e dando le spalle all’amico.

-“A me va bene così, mi sento molto emo.”- asserì la biondina, sospirando. Sapeva bene quanto Shikamaru odiasse gli emo e quanto non riuscisse ad accettare l’idea che lei avesse deciso di intraprendere quella strada.

-“Senti un po’, ma te e i tuoi amichetti emo…”- cominciò il Nara, con quel solito tono accusatorio che Ino conosceva fin troppo bene.

-“No, Shikamaru, smettila!”- lo zittì la ragazza, irritata –“Non ho intenzione di aprire questo discorso con te! Quindi non iniziarlo! Abbiamo detto niente guerre di classe, no?”- sbottò poi, sempre più indispettita.

-“Tsè… che seccatura che sei, Yamanaka… sei proprio figlia di un avvocato!”- commentò il ragazzo, sbadigliando.

-“Mpf! Come ti pare!”- si offese Ino, sdraiandosi a pancia in giù sul letto, dandogli le spalle.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, mentre entrambi si rilassavano ascoltando lo scrosciare della pioggia su quella Milano notturna insolitamente quieta.

-“È da un po’ che non andiamo da Kurenai…”- esordì Shikamaru, interrompendo il silenzio.

Ino si sollevò appena dal letto, lo stretto necessario per poter lanciare un’occhiata infastidita all’amico.

-“Io ci vado due volte a settimana a trovare lei e il bambino…”- ribatté, un po’ seccata.

-“Infatti ho detto andiamo non vai… dovremmo andarci tutti insieme, Asuma vorrebbe così…”- commentò il Nara, scoccandole uno sguardo eloquente.

La Yamanaka si voltò di scatto, affondando il volto nelle coperte senza rispondere nulla: come sempre, quello scemo aveva dannatamente ragione e lei era troppo orgogliosa per ammetterlo.

Offeso dalla sua testardaggine, Shikamaru riportò lo sguardo fuori dalla finestra, non riuscendo a capire il perché del distacco di Ino. Era sempre più lontana, sempre più incomprensibile, evitava accuratamente che qualcuno riuscisse a valicare quella misteriosa barriera di cristallo in cui si era rifugiata in quegli ultimi tempi.

-“Scommetto che ci vai con Kiba.”- azzardò improvvisamente il Nara, preso da una sensazione fastidiosa.

-“Tu ci vai con Temari?”- ribatté la biondina, innervosita.

-“No, ma che c’entra? Scommetto che Kurenai è contenta di vederti insieme a lui…”- commentò nuovamente con tono ironico, privo di controllo. Nemmeno lui capiva più cosa gli stesse accadendo, si stava lasciando trascinare da quell’antico rancore nei confronti dell’Inuzuka e non riusciva più a fermarsi.

-“Boh, può darsi… di certo non le dispiace, tu che dici?”- rispose Ino, con la solita malizia pungente.

-“Allora come va col tuo bel calciatore? Ho sentito che il Milan l’ha contattato…”- continuò lui, sempre più irritato. Non era mai riuscito ad accettare la storia di Ino con Kiba, proprio non la contemplava.

-“Come va tra te e Temari?”- ribatté invece la ragazza, con voce tremante.

-“Ma se te l’ho detto prima…”- sbuffò Shikamaru, buttando giù il mozzicone e chiudendo la finestra.

-“Appunto.”- commentò la biondina, con tono depresso. –“Tra me e Kiba non va meglio…”- aggiunse poi, quasi con un sussurro.

Shikamaru rimase in silenzio, assottigliando lo sguardo sulla figura sempre più esile della ragazza sul letto.

-“Mpf. Che coglione.”- commentò il Nara, sedendosi sul letto al lato di Ino.

-“Hai fame?”- gli chiese improvvisamente la Yamanaka, cambiando discorso.

Shikamaru la guardò un po’ perplesso, interrogando il suo stomaco sul da farsi.

-“Mmh. Sì, ho un buchetto nello stomaco.”- annuì il ragazzo.

-“Dai, facciamoci due spaghetti!”- sorrise Ino, saltando giù dal letto e dirigendosi in cucina.

-“Alle 4 di mattina…?”- ripeté tra sé e sé il moretto, grattandosi la testa perplesso.

 

 

 

 

 

* i “sancarlini” sono i ragazzi della Milano Bene.

** i Tiger sono un tipo di pantaloni usati dai punk.

 

 

 

 

…to be continued!!!

 

-Thanks 4 Reading!-

 

 

  
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