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Autore: Applejuice    08/01/2014    3 recensioni
“Centrale di polizia, buonasera. Qual è il suo problema?”
“Buonasera, mi chiamo Thomas Sullivan. Credo di avere appena visto una ragazza inseguita da qualcuno. Nel bosco dietro alla mia abitazione”
“Cos’ha visto, esattamente?”
“Io e mia moglie, Katherine, affacciandoci alla finestra abbiamo visto una ragazza che correva nella boscaglia. Sembrava proprio che stesse fuggendo da qualcuno, era piena di graffi e sembrava spaventata”
“La vede ancora?”
“No, non la vediamo più. Ma qualche minuto prima che la chiamassi abbiamo sentito delle grida provenire dal bosco. Urla disumane”
“Può descrivere la ragazza?”
“Era bionda, indossava dei vestiti a righe. Non abbiamo visto altro”
“La ringrazio signor Sullivan. Inviamo subito una pattuglia. Dove si trova?”
“Viale dei Platani 32”
“Località?”
“Staltfond”
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Centrale di polizia, buonasera. Qual è il suo problema?”
“Buonasera, mi chiamo Thomas Sullivan. Credo di avere appena visto una ragazza inseguita da qualcuno. Nel bosco dietro alla mia abitazione”
“Cos’ha visto, esattamente?”
“Io e mia moglie, Katherine, affacciandoci alla finestra abbiamo visto una ragazza che correva nella boscaglia. Sembrava proprio che stesse fuggendo da qualcuno, era piena di graffi e sembrava spaventata”
“La vede ancora?”
“No, non la vediamo più. Ma qualche minuto prima che la chiamassi abbiamo sentito delle grida provenire dal bosco. Urla disumane”
“Può descrivere la ragazza?”
“Era bionda, indossava dei vestiti a righe. Non abbiamo visto altro”
“La ringrazio signor Sullivan. Inviamo subito una pattuglia. Dove si trova?”
“Viale dei Platani 32”
“Località?”
“Staltfond”
 
Si svegliò con i palmi delle mani ancora premuti sulle orecchie. Le ginocchia strette al petto, era sdraiata sul marmo freddo. Troppo freddo. Scattò in piedi, e fu colta da un capogiro. Migliaia di macchioline viola le offuscarono la vista. Si appoggiò alla prima cosa che le capitò sotto mano, in modo da non perdere l’equilibrio. Le sue mani trovarono un tubo ghiacciato e arrugginito. Sobbalzò e mollò la presa, e finì per terra. Fissò il pavimento di mattonelle di marmo, troppo freddo e diverso dal parquet di casa sua. Riprovò ad alzarsi, con calma questa volta, e si strinse nel suo pigiama leggero. Le iniziarono a battere i denti. Davanti a lei, le prime luci di una città che si risvegliava.
Era su un tetto, di un grattacielo probabilmente. Da lì, vedeva tutta la città.
Ed era sola.
Pochi minuti dopo, in una centrale di polizia poco distante, squillò il telefono. George Harvey, che quella mattina avrebbe di gran lunga preferito starsene a casa, andò a rispondere.
In seguito, l’ispettore capo Harvey avrebbe raccontato di aver accolto la chiamata della signora Richter, che andando ad aprire la portineria come ogni giorno, aveva trovato una ragazza scalza, in pigiama, sui vent’anni e in evidente stato confusionale. “La signora sembrava molto scossa, per cui siamo intervenuti subito” avrebbe poi continuato Harvey “ma quello della Richter era l’ultimo delle nostre preoccupazioni. Quella notte fu molto strana. Ricevemmo diverse chiamate da Staltfond, il paese vicino, da persone svegliate nel cuore della notte da, riporto le parole esatte, urla disumane. Una chiamata, in particolare, di un uomo che affermava di aver visto una ragazza correre nel bosco, come inseguita da qualcosa. Inoltre, diverse finestre delle ville vicino al centro del paese furono trovate in pezzi, e l’acqua della fontana della piazza centrale aveva assunto un color cremisi. La gente mormorava di un animale indemoniato”.
Quella mattina, comunque, un ora dopo la chiamata, una volante della polizia frenò nel parcheggio del grattacielo Bresten, le gomme che scricchiolavano sulla ghiaia. Entrarono due agenti in divisa, accompagnati da un uomo di mezza età con una valigetta rossa, e bussarono alla portineria. Dall’interno si sentì un ‘Oh! Finalmente’, la porta si spalancò e una signora sui sessantacinque anni spinse l’uomo e i due poliziotti all’interno dell’appartamento. Gli indicò una piccola poltroncina rossa in un angolo. “Non spiccica una parola” disse indispettita. L’uomo si avvicinò. Raggomitolata sulla piccola poltroncina, le braccia strette alle ginocchia e gli occhi spalancati che fissavano il muro c’era la ragazza che aveva descritto la signora Richter al telefono. Sotto una vestaglia verde troppo grande probabilmente offertale dall’anziana portinaia si intravedeva un leggero pigiama a righe. Era scalza, e l’uomo fu colto da un brivido quando vide i suoi piedi. Erano coperti di tagli e il sangue ormai secco si mescolava a fango e melma, i quali lasciavano però intravedere piaghe e vesciche. Sembrava avesse camminato a lungo.
L’uomo si sedette sul divano, di fianco alla ragazza. Notò che aveva tagli profondi anche sulle tempie, e altri graffi più leggeri sulle guance. I capelli biondi erano sporchi di fango. Portava al collo un ciondolo sottile su cui era inciso un nome.
“Emma” lesse ad alta voce, e la ragazza si voltò di scatto “ti chiami così, giusto?”
La ragazza lo fissò, poi annuì e distolse lo sguardo.
“Piacere Emma, io sono il dottor Nelson” le porse la mano, ma era come se lei non lo avesse sentito. Il dottor Nelson rimase qualche secondo con la mano a mezz’aria, poi la abbassò.
 “Qual è il tuo cognome, Emma?” continuò il dottore.
Silenzio.
“Ricordi cos’è successo stanotte, Emma?” riprovò Nelson.
La ragazza fissava la parete.
“Dovrei dedurre che non lo rammenti?” il dottore avrebbe anche potuto parlare con la sua valigetta, non avrebbe fatto differenza.
“Qualcuno ti ha fatto del male, Emma?”
“Miller” sussurrò impercettibilmente la ragazza.
“Come?” chiese il dottore.
“Miller” sussurrò Emma “il mio cognome è Miller. Abito a Staltfond. La prego, mi porti a casa”
 
   
 
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