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Autore: Lyca    09/01/2014    1 recensioni
Mirto era alto, forse un po’ alto per la sua età, ma comunque basso per un qualunque adulto. Era più o meno alto come una gamba. Non era grasso affatto, anzi era proprio mingherlino, ed aveva un collo magrino su cui torreggiava la testolina arruffata, che girava a destra e a sinistra come un gufo, anche se effettivamente no, non riusciva a girarla di 180 gradi come un vero gufo. Ma si stava allenando per riuscirci.
Mirto è un bambino a cui piace raccontare le storie alla gente. Sì, inventate. No, non a caso, la storia parla del passante scelto dopo una lunga riflessione.
Una storia al giorno, questo gli serve per poter sopravvivere. Ovviamente non è vero, per sopravvivere gli serve dell'aria e del cibo, ma sopratutto dell'acqua.
Genere: Commedia, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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D’altra parte, che male c’era?

Il ragazzino appoggiò il cucchiaio di legno di abete nella scodella di legno di rovere, guardando fuori dalla finestra.

Alberi ed ancora alberi.

Passava le sue giornate lì, dal nonno, nella sua casetta nella foresta. Sì, certo, era bello lì, ma lui preferiva la città degli umani, gli piaceva andare lì ad osservarli da vicino. Gli piaceva l’odore delle signore di mezz’età che passeggiavano avvolte nei loro cappotti (perché avevano sempre dei cappotti), gli piacevano i colori delle signorine che arrossivano parlando di chissà quale storia d’amore, amava i cappelli.

Tutti i tipi di cappelli: quelli indossati dai vecchietti, dalle signore in carne, dai bimbetti più piccoli di lui e dai ragazzoni più grandi di lui.

Quello che più amava era tracciare le storie sui passi delle persone. Questo era un procedimento basato su due fasi:

  1. Sedersi (fondamentale), guardarsi intorno e scegliere un soggetto che potesse soddisfare la curiosità del giorno.

  2. Alzarsi (molto fondamentale), seguire la persona raccontandole la sua storia.

Anche quel giorno si sarebbe seduto, avrebbe osservato, si sarebbe alzato e avrebbe seguitato con la sua storia. Una storia al giorno era il suo ossigeno. Ne aveva bisogno per la sua esistenza.

Finì il suo latte di capra con biscotti al cioccolato e mise il tutto nel lavello di ceramica.

 

La casetta del nonno era sì, in effetti, del nonno, ma il nonno non c’era. Non sempre almeno. Qualche volta diceva che andava a parlare cogli alberi, o al raduno degli ornitorinchi, o a dormire dal suo amico tasso, che aveva avuto problemi recenti con i taglialegna e con quella famiglia di procioni che abitava appena sopra di lui. Fatto stava che spariva per molti giorni e tornava imprevedibilmente a volte di sera, a volte di mattino presto, sempre con un sorriso sdentato in faccia e quell’aria furbetta da vecchio merlo. L’inverno restava più a casa però, perché neanche a lui piaceva il freddo, mentre l’autunno era la stagione più movimentata. Cucinava cose strane con corteccia, piante raccolte di fresco e bacche di ogni tipo che il nipote non disdegnava, però lo stesso comprava biscotti e altra roba giù in paese.

La casetta in cui abitavano era nascosta, nessuno avrebbe potuto riconoscerla a parte i suoi stessi abitanti e qualche volpe che ogni tanto chiedeva se per cortesia potessero darle un po’ di carne. Su una collinetta circondata da erba alta, coperta da cespugli e le radici di un vecchio albero abbattuto da un fulmine, la casetta era quasi incastonata nella roccia, scavata per bene. Vi si accedeva da un breve corridoio che spuntava sull’altra parte della collina. Le pareti erano in pietra, il tetto in sterpaglia e dentro ogni cosa era fatta di legno. O ceramica. C’era l’ingresso che era anche soggiorno, stanza da pranzo e cucina; poi il bagno e due camerette. C’era anche un’altra piccola stanza al fianco della casetta, un recinto per la precisione, o una stalla coperta come diceva il nonno, in cui viveva Satellite, la loro capra. Era vecchia che non poteva avere più figli, ma inspiegabilmente continuava a campare e faceva pure il latte.

 

Mirto era uguale al nonno quando aveva avuto (cosa poco credibile) la sua età: grandi occhi neri da martora e capelli di identico colore cui morbidezza si sarebbe potuta comparare ai crini stopposi del pony della figlia del tasso.

No dai.

Al confronto, la criniera del cavallino si sarebbe potuta dire di seta.

Mirto era alto, forse un po’ alto per la sua età, ma comunque basso per un qualunque adulto. Era più o meno alto come una gamba. Non era grasso affatto, anzi era proprio mingherlino, ed aveva un collo magrino su cui torreggiava la testolina arruffata, che girava a destra e a sinistra come un gufo, anche se effettivamente no, non riusciva a girarla di 180 gradi come un vero gufo. Ma si stava allenando per riuscirci.

Anche le sue gambette erano lunghe e secche, e gli piacevano sia i pantaloni larghi che quelli stretti.

Il suo miele preferito era quello d’acacia.

Mirto uscì dalla casetta del nonno sulla collina, sgattaiolò tra l’erba alta, s’intromise tra gli alberi della foresta, giunse sulla strada di campagna in mezzo ai campi di zucche e cavoli e si avviò a passo asimmetrico verso la cittadella a valle del boschetto.

 

Nella città nessuno lo notava davvero. Tutti erano troppo impegnati a lavorare, a parlare, ad andare dove dovevano andare e di fretta per giunta. Perciò lui poteva fare quello che gli pareva: camminare a zig zag nella folla, sedersi sulla fontana della piazza centrale a buttare i sassolini ai pescetti, gironzolare per il piccolo parco e a volte arrampicarsi sui suoi alberi, che però non facevano mai frutti e se accadeva avevano un sapore strano, diverso da quegli degli alberi del bosco. Nessun poliziotto l’aveva mai preso per un orecchio e condotto a scuola, anche perché ce n’erano pochi in giro, così come c’erano pochi bambini e ragazzini. E poi Mirto sapeva leggere, scrivere e fare i conti, glielo aveva insegnato il nonno.

A Mirto piaceva anche leggere, anche se non era nato da lì il suo amore per le storie. Avrebbe scoperto solo più avanti che avrebbe potuto anche scriverle, le sue storie. Ma solo quando sarà alto almeno come due gambe intere.

Tornando alla città a valle del boschetto, destino o chi di per sé volle che quel giorno il bambino cogliesse con la coda dell’occhio subito una persona interessante per la strada. Si voltò, ed incominciò a seguirla.

- Mi scusi, mi scusi. - domandò spuntando da destra, per poi sgattaiolare alla sinistra del tale.

Ovviamente quello si girò a destra e Mirto ridacchiò sotto i baffi. Faceva sempre quello scherzetto e ci cascavano tutti. L’uomo, alto quasi due metri e magro come uno stecco, cercò di seguirlo con lo sguardo e infine riuscì a posare gli occhi azzurri sul ragazzetto, il quale arricciò il naso in una smorfia.

- Cosa c’è? Vado di fretta… - disse il tale.

- Salve, sono Mirto e mi piace il miele d’acacia. Tu chi sei? - chiese educatamente il bambino infilandosi un dito nel naso e sparando una caccola nel tombino, mentre camminava all’indietro davanti all’uomo. L’uomo corrugò la fronte stranito.

- Gregory Utcherson e vado di fretta. - rispose aumentando il passo.

- Certo, certo. - fece invece il ragazzetto - Bello l’ombrello. Ti da’ fastidio se ti seguo? -

L’uomo aggrottò ancora di più la fronte.

- No, fai pure. -

- Perfetto, perfetto. Sai, ho una storia giusto per te. Ti calza a pennello, anzi, ad ombrello. -

- Cosa…? -

- C’era una volta un gigante. - Incominciò.

- Ehy. -

- Il gigante viveva in un mondo senza colori, così lui e i suoi amici iniziarono a viaggiare in altri mondi per comprare i colori...e venderli nel loro mondo. -

Il tale ammutolì, rallentando il passo.

- Il gigante aveva un nome buffo, si chiamava Utchory Gregerson. -

- Un giorno trovò un mondo pieno di colori e ne rimase estasiato, ma aveva un solo ombrello e poteva catturare solo un colore. Così, Utchory raccolse il colore più bello, un colore che non aveva mai visto se non dentro di sé. Con il colore nell’ombrello, il gigante tornò a casa. -

- Senti, ehm, Mirto giusto? Perché… -

- Perché cosa? Perché mi piace il miele d’acacia? Ma è semplice! Perché è il più dolce di tutti. Comunque non interrompere la storia, che è maleducazione. -

Il tale si azzittì mestamente.

- Successe però che il gigante nel tornare a casa perse l’ombrello e senza sapere come si chiamasse il colore perduto né come ritrovare quel mondo, diventò triste. Si sedette sul soffitto di casa sua e si mise a piangere. -

- Bussò alla sua porta qualcuno, ma lui non rispose perché l’aria entrava dal naso nella gola facendo un rumore come delle unghie della maestra sulla lavagna. Qualcuno entrò lo stesso. Guardò in alto verso il soffitto dove era seduto il gigante a piangere e gliene chiese il motivo. -

- Avevo trovato un colore bellissimo, ma ora l’ho perduto, disse il gigante, nascondendo la faccia con le mani. La persona sul pavimento gli chiese che colore fosse, ma Utchory non rispose. -

- Mi dispiace per il tuo colore perduto, disse ancora la persona. Era un colore che non avevo mai visto, se non dentro di me, riuscì a dire il gigante. -

- La risata riecheggiò nella stanza, così il gigante tolse le mani dalla faccia con disappunto – mi piace la parola disappunto, a te no? Comunque – e vide il colore, il suo colore, nei capelli della ragazza sul pavimento. -

- E’ quello, disse lui. Lo so. E’ lo stesso colore che c’è anche dentro di me, disse la ragazza, così il gigante la prese nel palmo della sua mano sapendo che lei era solo sua e mentre lei gli appoggiava una piccola mano sul suo nasone da gigante gli disse che aveva gli occhi tutti rossi per le lacrime. -

Mirto si bloccò.

 

La fiumana di gente si fece più intensa verso mezzogiorno. Anche se quella era una piccola città in molti passavano tra le sue case di mattoni e legno. Mirto si accodò a un passante di mezza età con la barba piuttosto lunga, indossava una stupenda giacca blu scuro. Il ragazzetto spiò la sua espressione seria e l'altro fece finta di non notarlo, quindi il piccoletto imitò l'espressione dell'uomo e lo seguì per un tratto. Infine lo superò convinto e si piazzò davanti a lui per fissarlo. L'uomo lo guardò distrattamente con due occhiacci gialli. Mirto prese fiato fissandolo, ma prima che potesse iniziare a parlare l'altro si voltò e seguitò a camminare per la sua strada. Stizzito, il ragazzino recuperò la distanza e si mise a parlare, sempre stando alle sue spalle.

La prossima favola domani. Adieu mon amis!

  
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