Attimi
Non
c'era più. Eppure,
nonostante la condizione in cui era, aveva sempre sperato in una
ripresa, nonostante la vecchia colpa continuasse a dilaniargli il
petto incessantemente.
Nami era stata sempre un punto
fisso per lui, continuando a stargli accanto anche nei momenti
difficili della sua vita, anche dopo l'incidente di cui era stato il
colpevole. Aveva fatto del male alle persone più care, e ne
stava
pagando il prezzo.
Punizione.
Quella parola continuava a
tormentarlo, giorno e notte.
“Da
grande voglio fare il
botanico.” Aveva detto un giorno, quando, ancora bambino ed
inconsapevole degli eventi futuri, giocava con Nami nella serra della
madre. Quando, ancora un infante, aveva già deciso cosa
farne della
propria vita, facendo aprire in un meraviglioso sorriso la piccola
bambina accanto a lui, che lo guardava in adorazione con quei suoi
bellissimi occhi verdi, gli stessi che, in quel momento, lo stavano
osservando dall'ologramma che l'oggetto caduto a terra aveva creato.
Era bella Nami, così come
ricordava, contornata da quei bellissimi fiori bianchi che erano
stati la sua condanna.
Se non fosse stato per la sua
ambizione, forse la sua vita sarebbe potuta essere diversa; forse suo
fratello avrebbe camminato ancora e forse la ragazza che sentiva di
amare sarebbe stata ancora viva. E forse, non sarebbe stata
necessaria la sua presenza lì, sull'Arcadia, capitanata da
un uomo
che doveva uccidere per mano di suo fratello.
“Sii
le mie gambe Yama, cammina
per me!”
Quelle parole continuavano a
risuonargli limpidamente nel cervello, come se le avesse appena
sentite. La voce di Ezra continuava a scandire quelle sillabe
dall'aspetto mostruoso, perché quella era l'ultima cosa al
mondo che
avrebbe voluto fare.
Invece era lì, sulla nave
spaziale di Harlock, a contemplare su chi dicesse effettivamente la
verità. Si fidava ancora di suo fratello? E di quell'uomo?
Sentiva che, da solo, non avrebbe
mai trovato la forza per dare ragione ad uno dei due. Non in quel
momento, con le lacrime che sgorgavano invadenti dai suoi lucenti
occhi castani e con neanche la forza di issarsi in piedi. In quel
momento, l'unica cosa che avrebbe voluto fare, sarebbe stata quella
di riabbracciare Nami e cercare in lei quel conforto che aveva sempre
avuto. Sempre, anche quando l'ambizione accecante del fratello lo
aveva sopraffatto. Se era ancora vivo ed anche l'Arcadia ed i suoi
abitanti, lo doveva a lei. Ma per quanto ancora?
Alzò leggermente gli occhi,
offuscati dalle lacrime, per vedere un ultima volta quel limpido
sorriso che ancora manifestava l'ologramma e l'attenzione cadde sui
candidi fiori bianchi, quelli a cui la ragazza aveva dedicato la
vita, mentre lui era diventato un militare al servizio della Gaia.
A che cosa sarebbe servito
ancora?
La consapevolezza di un possibile
futuro doveva raggiungerla da solo, senza influenze esterne,
né dal
fratello, né dal Capitano dell'Arcadia, che era stato
diretto e
preciso quando gli aveva quasi ordinato di sparare, ma lui non ce
l'aveva fatta, perché sapeva infondo, che egli continuava a
combattere per un giusto ideale.
“Devi
combattere contro ciò
che ti lega.” Gli aveva detto e quelle parole avevano
sfondato la
barriera quasi impenetrabile che Ezra aveva costruito attorno a loro.
Si rese conto solamente in quel momento, che le azioni che aveva fino
ad allora commesso, erano state le azioni del fratello attraverso di
lui, e non i voleri di sé stesso. Era stato uno stupido. Per
cosa
poi? Una spiegazione non del tutto chiara...
Solo dopo aver rivisto Nami, e
dopo essere stato a bordo dell'Arcadia e conosciuto quell'uomo che
tutti temevano, aveva compreso. Ma prima di riuscire a scegliere da
che parte stare, doveva fare una cosa importante.
A fatica si alzò da quella
scomoda posizione sottomessa al pianto, ed una volta in piedi, seppur
titubante, si diresse a bordo di una delle navicelle della nave
spaziale, di quelle che usavano per portare su un preciso pianeta le
bombe, e discese solitario sul pianeta oscuro di fronte a loro: la
Terra.
L'aria era quasi irrespirabile e
pesante, ed il suolo coperto perlopiù da spuntoni di roccia
impenetrabili, eppure riusciva a stare in piedi e camminare, per
quanto il suo corpo riusciva a farlo.
Non aveva una meta, barcollava di
fronte a sé e basta, con i lineamenti del viso contratti in
una
perenne smorfia di sofferenza, e le lacrime che, seppur avessero
smesso di scendere, gli lasciavano negli occhi un incredibile
bruciore.
Era stanco, tanto, così si
lasciò cadere sul manto oscuro.
Era disceso finalmente sulla
Terra, quel pianeta che aveva tanto sognato ed idealizzato. Se lo era
da sempre immaginato come una distesa di prati verdi e cieli azzurri,
così come l'ologramma che la nascondeva aveva fatto credere
a tutti;
invece, non era altro che un pianeta morto, o no...
Alzò a fatica la testa, con la
faccia sporca di terra, ascoltando il vento che frusciava attraverso
i suoi vestiti ed i suoi capelli, disordinando ancora di più
il suo
già critico aspetto. Cercò di mettere a fuoco
l'immagine che aveva
di fronte a sé, seppur nera e desolata, eppure ci fu
qualcosa che
attirò la sua attenzione più della sua sofferenza
di vedere i suoi
sogni di bambino andati in fumo. Quante volte aveva sognato di
raggiungere quel posto ed ora, una volta tastato quel terreno, non
sentiva nessuno sentimento oltre la desolazione e la tristezza, ma
quando le sue pupille visionarono un bianco che stonava su quel
mondo, si rialzò temerario e speranzoso, raggiungendo
ciò che aveva
appena visto.
Fiori.
Dei bellissimi fiori bianchi, che
conosceva molto bene, si alzavano ed abbassavano sotto le folate di
vento, perfetti e puliti come se quell'orrendo fumo nero non li
avesse intaccati.
Ne accarezzò i petali rapito e
di nuovo una consapevolezza gli attraversò la mente come il
vento
faceva con i suoi capelli.
La Terra cercava di rinascere!
Prendendo spunto dalla sua madre
patria, anche lui avrebbe dovuto “rinascere” e
portare con sé le
informazioni che aveva raccolto.
Non era tutto perduto, anche se
l'Arcadia era nelle mani della Gaia, poteva ancora rinascere come
lui, come quel pianeta, ed era tutto nelle sue mani.
Colse quel fiore, con una
silenziosa preghiera verso la madre e l'amata, che avevano sempre
accudito quei fiori bianchi come meglio sapevano fare, e lo
portò
con sé, perché un istante che si ripete
nel tempo, diventa
eterno.
Fine
---
Salve a tutti :3 sono nuova in questo fandom, ma ho
voluto scrivere questa one shot prima di perdere l'ispirazione, giunta
di getto, così ho aperto la mia pagina di Open Office e sono
entrata in fase elaborativa immediatamente, per non perdere neanche un
minimo di ispirazione che mi ha dato il film.
Ho avuto modo di leggere alcune delle fanfic e mi sono piaciute un
sacco, per cui ho voluto provare a scrivere qualcosa, che spero vi sia
piaciuto.
Come avrete capito, il protagonista è Yama, in un preciso
istante del film :3 Ho provato a raccontare un probabile
"Missing Moment" e mi sono immaginata che per Nami provasse qualcosa
come lei prova per lui :)
Concludo dicendo che l'ultima frase, sottotitolata, l'ho ripresa dal
film. La trovo molto bella e d'effetto :3 Come tutto il film, che dopo
averlo visto già due volte al cinema, è diventato
per me un chiodo fisso. Ho adorato tutti i minuti trascorsi,
così come la grafica ed i personaggi così
realizzati. Nonostante non abbia visto l'anime, che è
arrivato in Italia prima della mia nascita, ho avuto modo di conoscere
un Harlock diverso e devo dare la mia assoluta venerazione, come
sempre, ai Giapponesi!
Ps: per il titolo ho avuto meno ispirazione, non brillo mai per
fantasia riguardo a questi! ^^'
Un bacione a tutti i lettori che si sono imbattuti in questo breve capitolo ^^