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Autore: Maki_chan    12/01/2014    5 recensioni
E poi a farsi la doccia, separati, perché erano abituati così, anche se non c'era nessuno.
Nella fredda luce artificiale, con l'acqua bollente che gli scorreva addosso, Hyuga aveva appoggiato la fronte alla parete, rilassandosi e lasciando che il getto gli arrivasse direttamente sul collo e sulla colonna vertebrale. Poi aveva deciso di seguire gli impulsi del suo corpo e i percorsi della sua mente, ed era uscito silenzioso dalla doccia, senza neppure chiudere l'acqua.
Genere: Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autore:

Recorded: 2007-03-09 - Location: Imun dong - Seoul - Kyonggi-do - Motivazione: pura e semplice devianza. C'era bisogno di un po' di sano slash non descrittivo in CT :D - Un album (Violator) e nove canzoni.



Album: Violator - ID Track #4: Halo

Quante volte si era ripetuto quel rito?
Centinaia, sicuramente.
Forse non migliaia, ma si sperava di arrivare, prima o poi, al traguardo.
Si conoscevano da quando avevano undici anni, e da allora avevano sempre giocato in Nazionale assieme, il che significava che avevano condiviso esperienze, pasti, allenamenti e, soprattutto, spogliatoi.
Non che nel condividere lo spogliatoio ci fosse qualcosa di strano, o di pregnante, o chissà che cosa, ma da un po' di tempo a quella parte era diventato speciale. O difficile. O tutti e due. Pure un po' imbarazzante, a dir la verità.
Perché a un certo punto durante l'adolescenza si svegliano gli ormoni, e far parte di una squadra di calcio, con docce in comune e tutto il resto non è la cosa migliore del mondo. Cioè, bellissima, ma ritrovarsi a tuffarsi a pesce nella doccia perché gli ormoni si sono rifugiati in zone strategiche, e con loro il sangue, non è la cosa più pratica del mondo. Così come farsi una doccia gelida quando vorresti semplicemente avere tonnellate di acqua bollente in cui sguazzare per sciogliere i muscoli. Decisamente. Scoprirsi omosessuali e nel mezzo degli spogliatoi è come essere in Paradiso, ma legati a una brace; un controsenso dal quale ci si deve liberare da soli, fondamentalmente.
Comunque erano sopravvissuti all'adolescenza, dunque avevano ottime possibilità di andare avanti per la loro strada, soprattutto una volta che erano riusciti a mettere in piedi una forma di relazione, pure vagamente riconosciuta dagli altri membri del team. Riconosciuta per forza di cose: non è facile buttare fuori squadra uno dei portieri migliori del mondo e il miglior attaccante del Giappone; poi in definitiva - si erano detti gli altri - fino a che stanno insieme non sono pericolosi, no? No, vero? E seghe mentali sulla presunta pericolosità di Hyuga nelle docce, e chissà che gesti mandrilleschi da parte del portiere, che avrà sì pur avuto sempre infortuni, ma quelle mani rimanevano pur sempre enormi e l'altezza sempre smisurata. E fra tutti e due, Hyuga e Wakabayashi, facevano un armadio a quattro ante. Un po' sbilenco, ma sempre un armadio a quattro ante rimaneva. Sì, ecco, le prime volte non si erano sentiti esattamente al sicuro, sapendo quel che sapevano. Poi avevano notato che Kojiro non li degnava di uno sguardo, entrando nelle docce o per primo o per ultimo, mentre Genzo puntava sempre e comunque al fisico scolpito e decisamente bello, muscoloso e statuario del numero 9, e si erano tutti tranquillizzati; l'unica cosa diversa è che tendevano a strillettare se uno dei due entrava senza avvisare: un giorno Hyuga, esasperato, aveva detto che neppure un branco di verginelle avrebbe urlato così davanti a un uomo vestito.
Comunque ammettevano che era stata colpa loro, che erano stati due idioti a farsi scoprire in quella maniera stupida.
Per amor di precisione, Genzo era l'idiota, mentre Kojiro era la vittima.
"Genzo, non qui, non è il caso!"
"Ma dai, è così alternativo!"
"Alternativo un cazzo, lo fanno tutti!"
"Oh, e dai... solo un bacio..."
"Genzo, non vale baciarmi così... e... ohhh... lasciami le mani."
"Io direi di no!"
"Genzo entra qualcuno, ne sono cer-"
Ed ovviamente era stato interrotto esattamente mentre lo diceva, e in futuro avrebbe sempre desiderato essere quello che dava le spalle alle porte dell'ascensore e quello che teneva i polsi, e non il contrario: trovarsi davanti metà della Nazionale mentre era - come dire... - bloccato alla parete non era la cosa più dignitosa di questo mondo, soprattutto per uno che, per anni e anni, aveva avuto solo e soltanto la dignità e l'orgoglio, e null'altro.
Almeno ora ho un lavoro che frutta parecchio, si era auto-consolato nel vedere le espressioni congelate dei compagni di squadra.
E poi Genzo si era girato - sempre senza lasciargli le fottute, fottutissime, mani - e li aveva guardati tutti. Poi lo aveva guardato. E poi di nuovo gli altri, e poi lo aveva di nuovo guardato. E poi aveva osato sostenere che lui portava sfiga. E poi era scoppiato il putiferio ed erano stati più o meno portati davanti a quella che, per Hyuga, era una corte marziale. Perché sapeva, ne era certo, lo sentiva nel profondo delle viscere, che Mikami avrebbe detto che la colpa era sua. Sua e di nessun altro. E con "sua" intendeva di Kojiro. Perché è sempre colpa di quello che non è il tuo figlioccio. Il figlioccio è perfetto. Fortuna che il figlioccio in questione aveva detto che era solo una sbandata e che lui stava giocando e nient'altro, che era in astinenza da donne e aveva preso la prima cosa che capitava, oltre che un pugno nello stomaco esattamente dopo aver terminato questa frase.
Poi era stato preso per il collo, sbattuto al muro da una tigre con ben poca pazienza e senso dell'umorismo e infine si era beccato una ginocchiata nei testicoli.
La succitata tigre era uscita dalla stanza facendo sbattere anche le porte che non c'erano.
Si era chiusa in camera e aveva dedicato un pomeriggio a decidere le torture da applicare a quell'idiota di un portiere del menga che stava lì, fuori dalla porta, a implorare perdono e a dirgli che lui lo adorava, amava, che avrebbe più che volentieri vissuto con lui e l'avrebbe sposato, sarebbero andati in Olanda e lì avrebbero coronato... e Hyuga aveva aperto la porta in quel momento, fissandolo furioso e sibilandogli in maniera estremamente sibilata che se avesse osato dire una parola di più, per cena avrebbe mangiato i propri testicoli, sapientemente strappati a mani nude.
Poi se l'era portato in camera.
Per tutto il resto del ritiro e del mondiale gli altri avevano camminato rasente al muro e fatto fantastiche battutine sarcastiche sulle tendenze sessuali dell'attaccante e sulla sua mascolinità, smettendo solo nel momento in cui la vittima dell'ilarità collettiva non aveva fissato il genio del momento dicendogli che poteva sempre decidere di fargliela provare, la sua virilità. E se Genzo aveva sghignazzato, gli altri erano rimasti di ghiaccio. E avevano realizzato che forse si stavano spingendo troppo in là. Ed in sottofondo, la voce stonata di Ishizaki che cantava sotto la doccia una qualche canzone in giapponese.
Comunque, da quelle tragiche giornate, erano passati due anni e tanta acqua sotto i ponti.
Il rito della doccia negli spogliatoi era stato reso nuovamente sacro, e nessuno badava più a loro due, se non per prenderli a random in giro per le vacanze in comune ma non troppo, e i fine settimana strategici e chissà se Hyuga veniva ancora bloccato contro le pareti, ahahahahaah!!! Che risate... grasse risate davvero.
Tanto per tornare in argomento, quella sera avevano accampato la solita scusa trita e ritrita: "Siamo un po' fuori forma, ci tratteniamo qui ad allenarci!"; se qualcuno aveva qualcosa in contrario o da ridire, se l'era tenuta per sè, ricordando come Genzo aveva preso Soda per il collo e l'aveva spiaccicato al muro, "solo" perché aveva detto che i froci andavano ammazzati tutti quanti e che non avevano il diritto di esistere.
Poi non era neppure una scusa, si erano allenati davvero, e solo dopo un'ora e mezzo si erano ritirati negli spogliatoi.
E poi a farsi la doccia, separati, perché erano abituati così, anche se non c'era nessuno.
Nella fredda luce artificiale, con l'acqua bollente che gli scorreva addosso, Hyuga aveva appoggiato la fronte alla parete, rilassandosi e lasciando che il getto gli arrivasse direttamente sul collo e sulla colonna vertebrale. Poi aveva deciso di seguire gli impulsi del suo corpo e i percorsi della sua mente, ed era uscito silenzioso dalla doccia, senza neppure chiudere l'acqua, e si era infilato in quella dell'amante, abbracciandolo da dietro e baciandolo sul collo.
Facendo scorrere le mani insaponate su quel corpo dai muscoli definiti e guizzanti. Su quelle braccia forti che l'avevano bloccato ben più di una volta su di un letto, complice anche il fatto che lui non voleva liberarsi. E il suo compagno aveva percepito l'urgenza, il bisogno, la necessità profonda dell'altro di farlo suo, di tenere le redini del gioco, dettare i tempi, le azioni e i ruoli da ricoprire. La fame che divorava il suo cuore, la fame che urlava per essere liberata. Non gli dispiaceva sentire Hyuga su di sè, quelle mani ruvide che lo accarezzavano quasi graffiandolo e lasciando trasparire il desiderio di proprietà, la lussuria, mentre le labbra sul suo collo, sulle spalle, gli dicevano che lo adorava. E la voce roca che, sospirandolo nell'orecchio, gli diceva che l'amava e poi lo baciava e gli strappava gemiti di piacere. E poi venir sospinti contro la parete appannata dal vapore, con l'acqua calda che scorreva su di loro, e le mani sulle mani, e poi una sul fianco per aiutarsi e per penetrarlo facendo quanta più attenzione possibile, cercando di non affogare nel desiderio che gli ottenebrava la mente come una droga, perché avrebbe significato far più male di quanto non fosse necessario.
Il sangue che rimbombava nel cervello ad ogni battito del cuore impazzito.
Gemiti e ansimi che riempivano quello stanzone di armadietti e piastrelle azzurrine.
Cercare di recuperare qualcosa che non si è mai perso, perché lo si ha fra le mani, cercare di focalizzarsi su quel piacere che è lì, tutto attorno. E un continuo senso di colpa ad attanagliare la bocca dello stomaco, perché non sono state prese precauzioni, anche se dopo due anni di relazione stabile e di fedeltà alcune cose si possono tralasciare. Lasciare che la bocca dell'amato cancelli i dubbi, scivolando sull'orecchio, sul collo, nell'incavo della spalla, mentre le spinte si fanno più veloci e la litanìa di parole d'amore in lingue diverse scivolano tutto attorno.
E infine abbandonarsi fra le braccia dell'amante, sfinito, e lasciare che l'acqua pulisca.
Ed uscire dalla doccia, spossati, per asciugarsi e rivestirsi e andare nelle camere, sapendo che se pure il mondo fosse crollato, ne sarebbe valsa la pena, sarebbe valsa la pena di vivere, non foss'altro per gli istanti in cui si amavano.

# Fine #



Note di chiusura:

Note dell'autrice: il racconto partecipa alla raccolta "violator", titolo ispirato all'album dei Depeche Mode, proprio come quello del racconto.
All'interno della storia si trovano due citazioni/traduzioni della canzone "Halo" tratta da quest'album:
A famine in your heart
An aching to be free
[...]
And when our worlds
They fall apart
When the walls come tumbling in
Though we may deserve it
It will be worth it

  
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