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Autore: lur    13/01/2014    0 recensioni
Tratto da una storia vera, parla del magico (e provvidenziale?) incontro tra due ragazzi completamente diversi, ma così simili, nel profondo...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il valore del silenzio_ tratto da una storia vera
 
 
 
 
Cosa c’è peggio di un anno di delusioni?
Un’estate di disastri.
 
Lucia era andata al mare, nel sud d’Italia (nel paese di Campomarino, provincia di Taranto).
La stagione balneare era quasi finita, tra gli ultimi giorni di agosto e i primi di settembre, ma non le importava: il mare tingeva il mondo di magia, mai come in quel periodo, quando alla magia di agosto si univa la nostalgia per la fine delle vacanze estive. Lo sapeva bene.
Portava sulle spalle e sul cuore il peso di otto mesi di una relazione ingestibile e logorante: lui che la voleva ma amava la sua amica, la sua amica che non lo considerava che un amico, ma aveva accettato il suo invito a cena (con tutte le conseguenze del caso). Da febbraio ad allora era stato un incessante soffrire, essere sottomessa, e accettare la situazione con un “non importa” e il sorriso sulle labbra. Un sorriso amaro. Il sorriso di chi ama tanto da accettare la sconfitta. Di chi cerca fino alla fine di vedere felice la persona cui tiene più al mondo, ma è costretto ad arrendersi, cedere il passo al destino e al dolore sul volto di quell’angelo che avrebbe voluto poter chiamare “amore”, sul proprio cuore ridotto a brandelli.
La sua vita era un puzzle da ricostruire, pezzo dopo pezzo. Con pezzi solidi ed infrangibili, che potessero resistere alla tromba d’aria dei ricordi che le avvelenavano l’anima e le impedivano di trovare aiutanti, qualche anima buona e volenterosa intenzionata a dare una mano, a costruire il puzzle con lei.
Comunque ora era al mare. I suoi problemi erano a milleduecentoventi chilometri di distanza e lei avrebbe fatto di tutto per non pensarci. Per divertirsi. Per vivere.
Quindi, devastata dalla sua storia complicata, si era avviata alla spiaggia libera sotto casa: un paradiso che avrebbe ricordato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
«smettila di guardarla male, dai! »
Giuseppe tentava di calmare l’ira funesta di Camilla, la sua ragazza ormai da quasi un anno, gelosa della ragazza “carina” che continuava a fissare il suo ragazzo con occhi sognanti.
La conosceva bene: Barbara, vicina storica di ombrellone, ventinove anni di superbia, da ventidue migliore amica di Giuseppe. “che se ne fa di una migliore amica, quando ha una ragazza?” si chiedeva, ogni santo giorno di ogni singola estate.
«allora dille qualcosa tu! – ribatté, stizzita – non lo vedi che ti mangia con gli occhi? Insomma! In ventidue anni non hai capito che le piaci? »
Giuseppe sembrò pensarci un attimo.
«Camilla, ascolta. Basta con questa storia, okay? Le ho già chiesto se prova qualcosa di più, mettendola non poco in imbarazzo, e ha risposto di no. Siamo solo amici. D’accordo? Non ti preoccupare.. poi – la punzecchiò – se permetti, il fatto che una ragazza così carina mi voglia bene, aumenta il mio valore: sono un ragazzo più appetibile, quindi dovresti essere fiera di essere la mia ragazza, che il tuo ragazzo sia così desiderato.. dovresti essere felice che io abbia scelto te, no? » e poi scoppiò a ridere, in quel suo modo così irriverente. Camilla si alzò e se ne andò. Era stufa di essere presa in giro.
Risalì la passerella senza indugio, con la testa alta e la schiena magra ed insabbiata dritta come un fuscello. Si voltò solo una volta, giusto in tempo per vedere il suo (quante volte sarebbe ancora stata costretta a ribadirlo?) Giuseppe prendere l’asciugamano ed avvicinarsi a quell’ochetta. Giusto in tempo per decidere di aumentare il passo.
 
Vicino a Barbara Giuseppe non fece altro che stare seduto, con lo sguardo fisso sul mare.
Gli indigeni di Campomarino sapevano che il posto migliore, sulla spiaggia, era a ridosso del bagnasciuga, quindi non aveva nessun problema ad osservare la bagnanti che nei loro costumi colorati gli sfilavano davanti, si tuffavano nel mare e sorridevano ai compagni di vacanze.
Barbara parlava, ma lui non la ascoltava. Non gli interessava di come i suoi genitori quell’anno avessero fatto aggiustare il motore della barca o di che modello si moto avesse appena comprato suo fratello. A lui i motori non interessavano per nulla. Per necessità aveva la patente.
Lei invece era fissata. Non fanatica, una vera e propria drogata dei motori. A volte anche lui si chiedeva come potessero essere così amici e capirsi così bene, quando lui era appassionato di robot.. solo negli anime giapponesi. Adorava le serie di Mazinga Z “e company”, come le chiamava Barbara, i cartoni animati che il resto del mondo considerava infantili. Ebbene? Allora lui era infantile, ed era fiero di esserlo. Se gli altri volevano guardare le partite di calcio, a lui veniva in mente Holly e Benji, e non se ne vergognava.
A dirla tutta, avevano ben poco in comune.
Alternava banali «hmm, sì » e «wow! » spenti a silenzi disinteressati.
Guardava le signore che gli passavano accanto, quelle che si rilassavano sul bagnasciuga, quelle che badavano ai bambini mentre il marito era steso all’ombra.. e quella ragazza mai vista prima che accompagnava la nonna (evidentemente non nel pieno delle facoltà motorie) a bagnarsi in quell’acqua di smeraldo.
Approfittando dell’assenza di Camilla e dell’instancabile parlantina di Barbara, si concentrò su quella figura.
Era giovane, avrà avuto sui ventiquattro anni, eppure non era in compagnia di amiche o di una comitiva giovane: aveva posato l’asciugamano accanto alla signora di mezza età (sua madre?) alla sua destra  ed ora accompagnava la nonna a farsi il bagno.
La osservò in viso: non aveva l’espressione seccata o preoccupata che ci si sarebbe aspettati. Il suo volto era contratto in un sorriso dolce e premuroso. Sembrava le facesse piacere accompagnare la nonna e prendersi cura di lei.. come se stesse giocando alla piccola infermiera. Era quella la descrizione esatta: sembrava divertirsi come un bambina che gioca con la nonna.
Non era particolarmente alta, ma aveva un bel fisico: fianchi morbidi nonostante fosse abbastanza magra, e, occhio e croce, almeno una terza di seno..
«ehi! Mi ascolti? » un pugno scherzoso aveva appena raggiunto la sua guancia sinistra
«cosa? »
«ho detto che stanno arrivando gli altri.. ma a cosa pensi? »
« a nulla.. » mentì, e si sdraiò con gli occhiali da sole in viso.
 
 
“quale idiota prenderebbe il sole con gli occhiali in faccia?”
Lucia non riuscì a fare a meno di pensare che la cosa fosse quantomeno strana.. ma cercò di non pensarci. In fondo, non erano affari suoi. Cosa le cambiava se il ragazzo seduto a pochi metri da lei sulla spiaggia (mai visto prima) era intenzionato ad abbronzarsi a chiazze?
Lei nemmeno sarebbe voluta andare a “Campomarino”: avrebbe di gran lunga preferito restare a casa, rintanata davanti al computer davanti agli episodi di Fairy Tail, pronta ad uscire nel caso Marco la chiamasse. Aveva combattuto a lungo con sua madre per convincerla a farla restare a casa, anche da sola (aveva diciott’anni, accidenti!), ma niente da fare.
In fondo non si era potuta lamentare: due mesi di pacchia, lontana dalle discussioni, in compagnia della nonna con cui aveva appena riallacciato i rapporti e della sua adorata sorellina, lontana dai problemi di cuore (forse troppo lontana..) e vicina al mare. Già.. il mare. Il suo elemento. Erano anni che non lo vedeva, tra un debito scolastico e l’altro, e le era mancato incredibilmente. In un modo indicibile. In effetti, il primo impatto dopo tanto tempo era stato un colpo al cuore: era bellissimo. Altro che Caraibi. Altro che Maldive. Era quello lo spettacolo che avrebbe sempre voluto davanti agli occhi. Poteva assolutamente dire di essere innamorata del mare. E, fino ad allora, nemmeno una medusa!
Era partita dal Piemonte a metà luglio, subito dopo gli esami di maturità e l’immatricolazione all’università. Non l’avrebbe mai ammesso, ma non aveva visto l’ora.
Ormai era passato quasi un mese, e lei aveva deciso di tornare a casa per un po’. Poco meno di una settimana. Okay, non l’aveva “deciso”: gliel’aveva chiesto Marco. “gli mancava”, aveva “bisogno” di averla vicina, di avere qualcuno con cui parlare liberamente, qualcuno che non lo giudicasse solo in base alla pancia, ai peli ovunque o agli occhiali che gli segnavano il naso di quel ridicolo rosso.
Ed effettivamente Lucia era l’unica che gli avesse mai riservato un trattamento del genere, avendo provato il disprezzo e la vergogna per il proprio aspetto fisico sulla propria pelle..
Ma non voleva pensarci. Due giorni dopo, il 19 agosto, sarebbe partita. Avrebbe lasciato il mare per quattro giorni. Ma chi glielo faceva fare? Semplice. LUI.
C’era un solo modo per far sì che la sua consapevolezza repressa non facesse capolino: il mare. Un bel bagno ed addio a tutta l’amarezza del mondo.
Quanto avrebbe voluto che  qualcuno fosse in grado di farla sentire libera, protetta, felice e spensierata come il mare.. ma ad aspettarla, dall’altra parte dello stivale, c’era solo Marco. Il suo Marco.
Che, poi, non era nemmeno il suo ragazzo. Lei avrebbe (e già aveva) fatto di tutto per lui, ed era condannata ed essere considerata sempre e solo la “migliore amica”..
BASTA.
Mare.
 
 
  
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