"La
vita eterna è un nonsenso,
l'eternità non è vita, la morte è la
quiete a cui aspiriamo, vita e morte sono
legate, chi reclama altro pretende l'impossibile e otterrà
in ricompensa solo
fumo."
- Albert Caraco
L’aveva
ottenuta, infine. Una
vita eterna, un’infinita sequela di attimi,
l’assenza di una fine. Un patto col
Diavolo, con la Morte, col Nulla.
Un
patto tutto a suo
vantaggio, si era detto… dopotutto, non gli avevano chiesto
nulla, in cambio. Nel
suo inseguimento dell’eterna giovinezza e del dominio della
morte, non si era
chiesto il perché e, se mai l’aveva inconsciamente
fatto, si era rassicurato
con la sua furbizia, la sua scaltrezza.
Ed
il tempo aveva iniziato
a scorrere, lento, inesorabile, ma eterno. Un secondo dopo
l’altro, ore che si
susseguivano, giorno dopo giorno, un mese dopo l’altro, un
anno e poi un altro:
eternamente giovane, libero di fare ciò che voleva senza
curarsi di
invecchiare, di intraprendere una lotta contro la vita che sfugge dalle
dita.
All’inizio
aveva gioito:
ogni vizio, ogni curiosità, ogni desiderio era stato
soddisfatto; aveva vissuto
avventure e rimandato senza curarsi dell’assenza del domani.
Ma poi aveva
capito qual era il prezzo del suo patto.
Si
chiamava Amanda, “colei
amata”. E Dio, l’aveva amata come non aveva amato
mai nessun’altra, le aveva
dato il suo cuore, una sua parola e le avrebbe messo il mondo ai suoi
piedi, l’avrebbe
coperta d’oro e diamanti. Aveva
speso
intere notti ad osservarla dormire e a trovare parole per descrivere
ciò che
provava per lei, ma mai nessuno ne aveva inventate abbastanza e,
soprattutto,
di così profonde. Avevano fatto progetti, per il loro
futuro. Avevano riempito di
amore, sogni e parole sussurrate il tempo che scorreva inesorabile. Per
lei.
E,
pian piano, aveva
realizzato l’orrore del loro destino. Le rughe di espressione
attorno agli
occhi mentre invecchiava. Il primo capello bianco. La menopausa. I
primi
acciacchi dell’età. Il corpo, già
morbido di natura, che si appesantiva. La vista
che calava. Gli occhi scuri che si velavano. La chioma corvina che
diventava
candida come la neve. La pelle soffice e profumata che si copriva di
macchie e
rughe, diventando floscia e odorando di anziana signora.
L’odore chimico dell’ospedale,
il suono dei macchinari e delle pantofole delle infermiere, un lieve
fruscio
strascicato. Ed infine una fossa di terra umida e scura, che profumava
di humus
bagnato e foglie marcescenti.
Cenere
alla cenere,
polvere alla polvere.
E
lui rimaneva solo a quel
mondo, bello e perfetto, giovane in eterno, un momento dopo
l’altro, fissato in
un attimo per l’eternità, mentre Amanda diventava
cibo per vermi e disgustose
creature di ombra che si nutrivano di morte.
All’improvviso
aveva
capito. Aveva finalmente realizzato: eccolo, il prezzo da pagare. Il
prezzo
della superbia, il prezzo della paura. Il tempo aveva inghiottito il
suo amore,
i suoi amici, coloro che lo circondavano. L’eterna
solitudine, il vero nulla,
la vera morte.
Aveva
cessato di esistere.
Era morto comunque, nella sua immortalità. Il mondo
continuava ad esistere,
attorno a lui, una serie di attimi unici, di gioie e dolori, granelli
di sabbia
in una spiaggia infinita, ma preziosi come pepite d’oro.
Aveva invidiato quelle
vite finite, contro l’infinità della sua vita.
Sarebbe
rimasto solo per
sempre. Sarebbe rimasto l’unico, condannato
all’oblio, al nulla.
Aveva
voluto vivere per
sempre, ma era morto più dei morti. Una morte immortale.
Note
dell’autrice
Questa
OS è nata come risposta ad una domanda sul mio
profilo Ask, dove mi si chiedeva di inventare una storia basandomi su
una delle
citazioni proposte.
Ho
scelto la terza, che potete trovare all’inizio del
testo: mi ha colpito particolarmente, anche perché spesso mi
è capitato di
pensare o parlare dell’immortalità e di cosa
implicherebbe vivere per sempre.
Beth