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Autore: Nazumichan    13/01/2014    1 recensioni
Vederlo sorridere mi riempiva il cuore di gioia, sempre. Mi dava conforto nei momenti difficili.
Probabilmente è per questo che non ero riuscito a dirgli di no; la cosa che mi chiesi in quel momento fu: “Perché volevo vedere il suo sorriso? Perché mi rendeva così felice guardarlo sorridere?”
“Ma soprattutto...perché adesso quel sorriso meraviglioso mi provocava solamente un inguaribile dolore?”
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 6

Ciò che si cela in un ricordo

 

 

 

“Rewind, I wanna go it again,

light up the dark,

halo on the side

So I'll know

it will not leave me wanting,

I see my heart,

waving me bye-bye.”

 

 

 

* * *

 

 

Fin da quando arrivai in quel villaggio, mi sentii subito in trappola. Un villaggio sperduto fra le montagne, senza tipo d'intrattenimento alcuno; se ne stava lì, abbandonato dal mondo e da Dio.

I miei genitori avevano insistito tanto e alla fine c'erano riusciti: era il loro più grande sogno andare a vivere in un villaggio il più possibile fuori dal mondo, cercando in tutti i modi di convincere anche me, la cui idea di un villaggio sperduto faceva solo rivoltare lo stomaco.

Eppure, eravamo lì, tutti e tre, senza via di scampo. Almeno per me. Per quanto mi riguardasse, l'unica cosa che desiderassi era andare via il prima possibile, diplomarmi con buoni voti eppoi via, alla ricerca dell'università più vicina, in qualche grande metropoli.

Era questo il mio sogno, il mio desiderio più grande. E non avrei permesso a nessuno d'intralciarmi.

Non volevo amici, non volevo relazionarmi con nessuno. Da sempre, per me le persone erano sempre state solo e soltanto una seccatura, giocattoli troppo complessi di cui prendersi cura.

Un fastidio, insomma.

Per questo motivo, e anche per il fatto che me ne sarei comunque andato, decisi fin dal mio primo passo in quel villaggio, che non avrei avuto mai un amico. Mai.

Era una cosa semplice, in fondo; le persone dei villaggi piccoli sono pettegole, sanno sempre tutto di tutti e, come mi aspettavo, in un decimo di secondo vennero a sapere anche della mia esistenza, del mio nome, della mia professione, tutto insomma.

Insopportabile, questo si, ma la loro curiosità mi diede un grande aiuto per riuscire nel mio intento: ben presto, quasi tutti si fecero l'idea giusta di me: un tipo solitario, a cui serviva solo del tempo per relazionarsi con gli altri.

Una specie di asociale, a dirla tutta. Non che fosse diverso da come fossi davvero, ma non mi definivo proprio un asociale. Semplicemente, una persona che non voleva problemi, non più di quanti ne avesse già.

Fatto sta, che non erano passate nemmeno due settimane dal mio arrivo, che già ne avevo fin sopra i capelli di quel dannato villaggio. Tutti, tutti i suoi pettegoli abitanti mi davano ai nervi. Qualunque cosa facesse chiunque, era sempre sulla bocca di tutti, come se i cittadini si divertissero a fare i paparazzi con i poveri vip che capitavano loro di mira.

Una mattina, me ne stavo tornando da scuola con la mia bici, come mio solito, ma dovetti subito scendere dal sellino, rendendomi conto di avere bucato.

-Uffa, ci mancava anche questa. Come se non bastasse quella tizia che mi spia giorno e notte come un mendicante in cerca di elemosina, e tutti i pettegolezzi che girano su di me. Sono veramente stanco di questo villaggio, non smetterò mai di maledire i miei genitori! - gridai, quasi. Lo dissi con convinzione, come per farmi sentire da qualcuno, quasi a farlo apposta, di modo che poi nessuno mi avesse più infastidito.

Fatto sta che, ironia della sorte, qualcuno effettivamente mi sentii e non potette fare a meno di ridere alla mia esasperazione.

Mi voltai per vedere chi fosse a ridere di un povero disgraziato quale ero, in attesa della visione di qualche vecchietta pettegola, ma ciò che vidi fu un qualcosa di gran lunga superiore alle mie aspettative.

Era un ragazzo, poteva avere qualche anno più di me, probabilmente. Alto, con un bel viso, dall'aria gentile. “Il classico tipo che piace a tutti” pensai istintivamente. Mi venne subito in mente che io, i tipi come lui, non li avevo mai potuti vedere; né in città, tanto meno in quel villaggio sperduto.

-Si può sapere cos'hai da ridere? - biascicai io, guardando quella figura magra proprio di fronte a me, con un sguardo terribilmente accigliato.

Lui, dal canto suo, non fece molto caso alla mia espressione, perché si mise a ridere tranquillamente, come se nulla fosse, gesticolando un po' con le mani.

-Scusa, scusa. Non avevo alcuna intenzione di prenderti in giro, tranquillo.

“E ci mancherebbe altro.” pensai, continuando a guardarlo in cagnesco.

-Senti ma.. - disse lo strano tipo tutt'un tratto, puntando il dito verso di me. - hai bucato?

Rimasi un po' di stucco e, con aria interrogativa, gli dissi “Cosa?”, ma quella che ne scaturì fu solo una fragorosa risata da parte sua. In quel momento capii che alludeva alla mia bici, della quale mi ero completamente dimenticato, sempre a causa di questo tizio fastidioso.

Ancora più innervosito, feci retro-fronte, con la bici appresso, e mi avviai per la mia strada, tentando di dimenticare quello spiacevole incontro.

“Tu guarda che razza di tipo assurdo, Dio che nervi! Ci mancava solo questa, oggi.”

Pensai così tante cose che il mio cervello si riempii e per un attimo non riuscii a sentire il suono di passi dietro di me, persistente e sicuro, quasi a mo' di sfida. Quando mi resi conto che quell'individuo mi stava seguendo, decisi semplicemente d'ignorare la sua esistenza, altrimenti sarei stato capace di dirgliene di tutti i colori, e di litigare non avevo davvero la voglia, né la forza.

Tuttavia, quel ragazzo non aveva la minima intenzione di lasciarmi in pace, tanto più che si mise anche a correre per raggiungermi.

In preda all'esasperazione più totale, mi voltai di scatto, pronto ad urlargliene di tutti i colori, ma me lo ritrovai proprio davanti, a nemmeno un metro di distanza e, di fatto, i miei piani andarono in fumo.

L'unica cosa che fui in grado di dire, in maniera molto seccata, fu – Si può sapere cosa vuoi?!

-Perdona la mia insistenza, ma sei troppo simpatico e non avevo voglia di lasciarti andare così.

Troppo simpatico? Io?! Mi chiesi seriamente quale fosse il problema di questo ragazzo. Un problema doveva averlo per forza, se affermava con tale convinzione che io fossi simpatico. Lo stavo praticamente trattando a pesci in faccia, e l'unica cosa che mi disse lui era che ero troppo simpatico.

“Assurdo.”

-Mi trovi simpatico?

“Vediamo ora che mi risponde.”

-Si, e anche molto. Più che altro, sei un tipo interessante, di quelli che si fa fatica a trovare, specie in un villaggio come questo.

“Che strano tipo.”

-E sentiamo, adesso che cosa vorresti da me?

-Voglio che diventiamo amici.

-...Ah?

“Vuole cosa? Amici? Con questo tizio? Non ci penso proprio.”

-Scusami, ma non ho la minima intenzione di diventare tuo amico. Sono venuto in questo villaggio perché mi ci hanno costretto, e ho giurato che non avrei avuto amici, qui. - dissi io, senza troppi giri di parole.

“Meglio essere chiari fin da subito, con questa gente.” pensai, ed effettivamente era proprio quello che volevo. Se avessi mentito dicendo cose tipo “sono timido” o “siamo incompatibili” e altre cazzate varie, avrei sicuramente aumentato l'interesse di quel tizio; invece, così facendo, non gli avevo lasciato praticamente nessuna via d'uscita.

O almeno, io credevo fosse così. Peccato che l'ostinazione di quel ragazzo andasse contro i limiti di sopportazione umani.

-Beh, ma non fa niente se non vuoi tu. A me basta essere tuo amico, poi tu fai quel che vuoi. - esclamò lui, con un sorriso beffardo, ricco di sfida, come chi non ha nulla da perdere e gioca tranquillamente la sua mano a poker, incurante delle conseguenze.

Io, dal canto mio, ero rimasto talmente basito che non sapevo più cosa dire. Sarà stato il nervosismo, sarà stata la presenza soffocante di quel tizio, sarà stato il caldo; l'unica cosa che fui in grado di rispondere, in quel preciso istante fu un misero “Ma fa un po' come ti pare!”; e mentre io riprendevo la strada verso casa, più stizzito che mai, lo sentii dirmi, con grande euforia, una frase che mi rimase impressa nel cervello, e che non andò mai via.

-Beh allora ci vediamo domani!

Non tanto per il senso in se di quella frase, non tanto per come l'avesse detta. Mi rimase impressa nella mente perché nessuno mi aveva mai detto una cosa simile, con tanta leggerezza nella voce e nell'animo. “Ci vediamo domani”; lo aveva dato per scontato, come se fosse una cosa ovvia, indissolubile, scontata come il sole che sorge la mattina.

In qualche modo, quella frase mi fece sentire vivo. Era da tanto che non provavo una simile sensazione al cuore. Ormai essere vivo era diventata una cosa scontata; la mia mente non avrebbe mai cavalcato l'onda di simili pensieri, però adesso ci stavo pensando, stavo riflettendo sul vero senso della vita, su cosa significasse davvero vivere.

Anche se non fui in grado, in quel momento, di trovare una risposta.

 

Tornai a casa e chiesi a mio padre di aggiustarmi la bici, di cui mi ero quasi di nuovo dimenticato.

Prese subito tutto il necessario, capace come chi faceva quel mestiere da una vita, e in pochi minuti l'aggiustò, veloce come sempre.

-Adesso che viviamo qui, devi stare più attento quando vai in bici. Qui non ci sono marciapiedi lisci e compatti, come quelli che ci sono in città, qui c'è molta ghiaia. Se non fai più attenzione, finirai per bucare la bici ogni volta che ci sali sopra. - mi disse lui, con tono serio. Era da lui prendere ogni cosa seriamente, come se fosse una questione di vita o di morte, ma, d'altro canto, questa cosa non mi dispiaceva più di tanto; mi faceva fare molta attenzione a tutto, di modo che non avrei sbagliato mai, o quasi.

-Lo so, papà, cercherò di stare più attento.

-Bravo. Ma dì un po': ti è successo qualcosa?

“Che strana domanda.” - No, perché me lo chiedi?

-Niente, è che sembri diverso dal solito. E' come se nei tuoi occhi ci fosse una luce nuova, se così posso dire.

In quel momento non capii perché mi venne in mente quel ragazzo. Pensai che dovesse essere la stanchezza, o semplicemente mio padre che si faceva troppi pensieri; comunque fosse, non ci feci molto caso e a mio padre dissi che probabilmente si sbagliava, che mi sentivo uguale come ogni giorno, né più né meno.

Eppure, il pensiero di quel ragazzo di cui non conoscevo nemmeno il nome, restò a farmi compagnia ancora per un po'.

 

* * *

 

-Hai bucato di nuovo? - disse, ridendo di nuovo di me, proprio come il giorno prima.

-Non capisco cosa ci sia da ridere. - bofonchiai io, seccato – Ti sembra cosi assurdo bucare, ogni tanto?

-Appunto, ogni tanto. Sono due giorni di fila che passi di qua, e sempre con la ruota sgonfia.

-Ma di che t'impicci?

-Mi piacerebbe aggiustartela, se mi permettessi – disse lui, mentre mi indicava soddisfatto tutti i suoi arnesi con i quali, sicuramente, aveva molto a che fare ogni giorno.

D'altra parte io, orgoglioso come pochi, non avevo nessuna intenzione di farmela aggiustare da lui; se ne sarebbe vantato fino al giorno dopo, se mi fosse andata bene.

-No, grazie. - dissi io, avviandomi per la mia strada, senza far troppo caso a quello che diceva lui.

Ad un tratto però, sentii una presa da dietro, qualcosa che mi bloccò e che m'impediva di andare avanti.

-Permettimi di aggiustarla, per favore.

Insistente. Aveva preso il sellino della mia bici con forza, impedendomi di poter semplicemente rispondere no e andare via, come avevo fatto ieri; probabilmente quello doveva essere stato un movimento ben studiato, da parte sua.

Ne avevo abbastanza di quel teatrino dannatamente seccante, così decisi di arrendermi alla sua insistente proposta.

-Non preoccuparti, per me non è un fastidio. - disse lui, guardandomi fisso negli occhi e facendomi sentire un po' a disagio. - Tu sei il ragazzo della bottega, giusto? Ieri non abbiamo avuto modo di presentarci.

-Ma che peccato – dissi io, sarcastico.

-Simpatico come sempre, eh?

-Se non mi sbaglio, ieri mi hai detto di starti simpatico. O sbaglio?

-Non sbagli – arrangiò lui, mentre era all'opera con la ruota bucata. Le sue mani si muovevano veloci come quelle di un esperto e, per un momento, mi venne in mente mio padre. Anche se il modo in cui si muoveva quel ragazzo era molto più naturale, a differenza sua. - E' raro che qualcuno mi vada a genio subito, ma con te ho sentito subito un certo...feeling, se così posso dire.

-Ti sei innamorato di me? - dissi io ridendo e, ammettendolo, quella situazione mi divertiva molto. Era una cosa che non mi succedeva da tempo, ridere così, in quel modo stupido e spontaneo, in compagnia di una persona che forse avrei potuto considerare qualcosa di più di un semplice giocattolo troppo complicato di cui prendersi cura.

-Questo è un segreto! - esclamò poi lui ridendo, e le nostre risate si unirono, creando un coro di voci allegre che si sparsero in tutta l'aria calda e afosa di quella mattina d'estate.

Ad un tratto, però, mi venne in mente il mio obbiettivo primario: non affezionarmi a nessuno. Per questo motivo, decisi di mantenere le distanze da quel ragazzo; anche se mi sarebbe piaciuto forse -e dico forse- diventare suo amico. Tuttavia, non potevo permettermelo.

-Io mi chiamo Mutou Tohru. Piacere di conoscerti.

Tohru. Che strano nome. Non lo avevo mai sentito, nonostante prima vivessi in una grande città. Il suo nome aveva qualcosa di particolare, era un nome corto e dolce, che ti entrava subito in mente. Un nome bello. Tutt'altra cosa rispetto al mio, che era orribile. Odiavo il mio nome, per questo a chiunque incontrassi dicevo solo il mio cognome; anzi, i miei cognomi, datosi che ne avessi due: sia quello di mio padre che quello di mia madre.

Alla sua domanda, scontata tra l'altro, di dirgli il mio nome, io risposi con un semplice “Yuuki Koide.”

A quella risposta, lui rimase un po' in silenzio, come se fosse in attesa di qualcosa di più, come se stesse aspettando un qualcosa che non sarebbe arrivato mai.

-E il tuo nome? Qual è? Chiamare le persone per cognome confonde, per cui è meglio che ti chiami per nome.

-Non importa, il mio nome è irrilevante. Comunque sia, grazie per la riparazione.

-Eh, se no a che servirebbero i vicini?

“A niente.” pensai in quel momento, in un attimo di pura acidità che mi contraddistingueva dagli altri, rendendomi antipatico a tutti. Eppure nonostante questo, io a lui stavo simpatico; me lo aveva detto così, senza troppi giri di parole. Ancora non riuscivo a credere di poter stare simpatico a qualcuno, nonostante il mio caratteraccio.

-Beh, ciao. - dissi.

-Ciao! Mi raccomando, torna a trovarmi qualche volta.

-Perché dovrei ritornare?

Tohru mi guardò con una faccia rassegnata, ma comunque contenta e serena; ormai il suo volto si era stampato nella mia mente e non voleva proprio andare via.

Mi sembrò quasi che ogni sua singola espressione sfilasse all'interno della mia mente, come un eterno carnevale, che non voleva lasciarmi in pace, nemmeno per un attimo e che sembrava quasi prendersi gioco di me e delle mie convinzioni.

“Non devo farmi nessuna amico, altrimenti non riuscirò mai ad andare via.” continuavo a pensare, e tutto per cercare di far svanire dalla mente il suo volto sorridente, il volto dell'unica persona che era stata gentile con me, senza volere niente in cambio.

 

 

Il mattino dopo, puntualmente, come se lui stesso se lo aspettasse, tornai lì, da lui. Non sapevo nemmeno io perché fossi tornato, o perlomeno non me ne riuscivo a rendere conto. Mi sentivo come se le mie gambe, quella mattina, si fossero mosse da sole verso casa sua, come se avessero voglia di rivederlo.

“Che assurdità.”

-Ehilà, ci si rivede!

-Ho bucato di nuovo.

-Mi fa piacere! - disse lui, che sembrava addirittura essere contento che mi si fosse bucata la ruota, forse perché desiderava vedermi ancora una volta. - Sai, dovresti stare più attento quando vai in bici, qui la strada è tutta piena di pietroline che bucano le ruote, vedi? - e mi indicò un buchetto quasi invisibile che c'era nella ruota della mia bici. Mi sembrava strana tutta la passione che ci metteva nel spiegarmi le cose, quasi come se non vedesse l'ora di parlarmi di tutto, quasi come se volesse instaurare una qualche sorta di contatto con me. Alla fine, però quello più strano ero io. Perché? Perché ero tornato lì, se a casa avevo mio padre che mi avrebbe potuto tranquillamente aggiustare la bici da sé, senza quindi bisogno di tornare da lui? Perché non riuscivo semplicemente a lasciarmi alle spalle il suo volto? Era veramente una situazione scomoda, per me. Non avevo idea di come comportarmi ed ogni suo singolo gesto mi faceva sentire a disagio.

Perso nei miei pensieri, non mi resi conto che era già da un po' che Tohru mi chiamava e che aveva deciso di scuotermi un po', per farmi riprendere dal mio stato di catalessi.

-Eh? Che succede? Che vuoi?

-Ma stai ancora dormendo? Sono due ore che ti chiamo.

-Esagerato. Comunque, che vuoi?

Un sorrisino beffardo si formò sul suo volto.

-Sai cosa? Tuo padre mi ha detto il tuo nome.

-Cosa?

-Natsuno. Che bel nome che hai.

Arrossii. Era successo tutto all'improvviso, che non potei fare a meno di arrossire ed in quel momento pregai il cielo che non mi vedesse; non l'avrei mai potuto sopportare.

Perché mai mio padre non si faceva mai i fatti suoi?

“Dannato...” maledirlo fu l'unica cosa che mi venne in mente in quel momento.

-Non chiamarmi per nome.

-Eh? - stupore sul suo viso – Perché no? E' un bel nome.

-Io odio questo nome.

-Ma dai, non ne hai nessun motivo. A me piace! Quindi ti chiamerò così, anche perché per cognome è troppo difficile.

“Ostinato come pochi...”

-Fai come ti pare. - dissi, mentre lui sogghignava nell'aggiustarmi la ruota, sotto il sole cocente di giugno.

 

Avevo intenzione di andarmene, qui non volevo nessun amico.

Non volevo affezionarmi a nessuno.

Volevo stare da solo.

O almeno...era ciò che desideravo.

 

* * *

 

-TOHRU-CHAN!

Continuavo a chiamarlo, nel buio della notte che ci aveva fatti rincontrare, ma nessuna risposta arrivava alle mie orecchie. Ormai erano più di 15 minuti che lo cercavo, ma sembrava come essere svanito nel nulla, come se la notte lo avesse portato via con se.

“No...non posso perderlo di nuovo. Devo trovarlo. Tohru-chan!”

Il suo pensiero continuava a sfiorarmi, il suo ricordo si faceva sempre più forte nel mio cuore e non riuscivo più a capire cosa fare. Se non avessi aperto la finestra della mia camera, se l'avessi lasciata chiusa, se mi fossi affidato alla mente, senza ascoltare il cuore...adesso non sarei in questa situazione.

Ma per lui...avrei fatto qualsiasi cosa.

Dovevo vendicarlo. Era l'unica cosa che avevo in mente. Quegli esseri che lo avevano fatto diventare così...dovevano pagarla.

La verità, però, era che io non ci stavo pensando. Non volevo pensarci. Ogni volta che nella mia mente compariva la sua immagine, l'unica parola a cui pensavo era “vendetta”. Volevo vendicarlo, ma in realtà per tutto quel tempo, l'idea che lui fosse morto non mi era ancora entrata in testa al cento percento.

“Non volevo ricordare. Per tutto questo tempo, mi sono accanito su questa fantomatica vendetta...ma la verità è che non volevo ricordare tutti i momenti trascorsi con lui.” mi fermai un attimo, accasciandomi a terra, inerme e senza forze.

-Fa troppo male... - sentii le lacrime rigarmi il viso, ormai stanco e consapevole di ciò che era successo. Per tutto quel tempo non avevo pianto, neanche una volta. Adesso, però, che avevo finalmente capito...non ce la facevo più ad andare avanti.

Non volevo ricordare. Non volevo ricordare che, fra tutti quanti, si erano presi proprio lui, la persona più meravigliosa che avessi mai incontrato.

Fra tutti quanti, perché proprio lui? Perché proprio lui?

-Non mi sarebbe importato se fosse stata Shimizu o qualcun altro. Avrei continuato la mia vita, senza risentimenti alcuni. Ma si sono presi lui...fra tutti proprio lui. Perché fra tutti proprio Tohru-chan!

Ero disperato. Non sapevo più che fare. Ero lì, da solo, nel buio della notte e di lui non c'era traccia, neanche la minima.

“In tutti i bei ricordi che ho di questo villaggio...c'è sempre lui.”

Lentamente, ogni ricordo, ogni singolo momento trascorso con lui, ogni risata, ogni scherzo, ogni litigio, ogni incomprensione, ogni cosa mi tornò alla mente, senza lasciarmi scampo; tutto, tutto di questo villaggio mi ricordava lui.

 

- - -

-Ehi Natsuno!

-Cosa c'è?

-Guarda qua! Che bella!

-Cos'è?

-E' una calendula. E' appena sbocciata, e ben presto ne cresceranno altre, ne sono sicuro.

-E come fai a saperlo? Te ne intendi di giardinaggio?

-No, è solo che questo è il mio fiore preferito.

“Il fiore preferito di Tohru-chan. Io non ce l'ho nemmeno mai avuto un fiore preferito, a differenza sua. Mi fa un po' invidia, a dirla tutta.”

-Tu hai un fiore preferito, Natsuno?

-No. Anche se un po' mi dispiace.

-E perché mai?

-Perchè mi sembra quasi come se mi fossi allontanato un po' di più da te, adesso che so che tu hai un fiore preferito...e io no.

“Ma che sto dicendo? Adesso mi prenderà in giro per una settimana.”

-Oh beh, se la metti così, allora potrebbe diventare lei il tuo fiore preferito. Che ne dici?

“Non mi ha preso in giro...incredibile. Sei sempre così gentile...chissà se le merito tutte queste gentilezze che mi dai.”

-Si, va bene!

-Ehi, quanta allegria!

“E' solo grazie a te se sono allegro, Tohru-chan.”

 

- - -

 

-Perchè la sua mano...è diventata così fredda?

Fredda come il ghiaccio, così diversa da com'era prima; calda e accogliente.

Rimasi ancora un po' accasciato a terra, con lo sguardo perso nel vuoto, quando all'improvviso sentii un rumore alle mie spalle, che mi fece destare da quell'incubo ad occhi aperti in cui mi trovavo. Mi voltai di scatto, nella speranza che quel rumore di passi provenisse dalla persona che tanto desideravo vedere.

-Tohru-chan!

-Mi dispiace deluderti, ma non sono il tuo Tohru.

Un uomo dalla figura snella ed alta apparve di fronte ai miei occhi, ancora scossi da quello che avevano ricordato, e fissavano lo strano individuo, che aveva delle grandi orecchie sulla testa.

Le orecchie di un lupo.

-Tu...non sei umano, giusto?

-Esatto. Sei perspicace, ragazzo. Mi piacerebbe avere tipi come te nella mia squadra.

-....Cosa vuoi da me?

L'uomo esitò un attimo prima di rispondere, ma poi si decise. - Oh, niente di particolare. Devo solo ucciderti.

 

 

Fine sesto capitolo

  
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