Fanfic su attori > Jake Gyllenhaal
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Autore: Frytty    13/01/2014    1 recensioni
< Mister Occhi Blu ti sta fissando. > Michelle rivolse all’amica un’occhiata eloquente, facendole cenno col capo di voltarsi.
< Mister Occhi Blu, chi? > Domandò, il drink che le aveva messo in mano un’ora prima ancora intatto.

Una serata in un pub si trasformerà in qualcosa di più non appena Cora si renderà conto di condividere lo spazio con il suo attore preferito: Jake Gyllenhaal.
E se lui volesse conoscerla? Se, per qualche strana ragione, si sentisse attratto proprio da lei?
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'All Too Well'
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Salve a tutte!

Nuova sezione per me, che non ho mai scritto nulla su Jake Gyllenhaal prima d'ora.

Dovete ringraziare (o trucidare, non lo so, decidete voi) l'autrice di Puoi mettere la tua mano nella mia, EffieSamadhi.

Insomma, ho trovato la sua Ff per caso, un sabato mattina, appena sveglia, quando, andando a controllare, come mio solito, EFP per aggiornamenti/recensioni, mi viene in mente di curiosare nella sezione dedicata a Jake e voilà! Ff meravigliosa tutta per me *.* Non riuscivo a smettere di leggerla, tanto che camminavo per casa con l'iPad davanti agli occhi, leggendo come una pazza.

Fatto sta' che la sua Ff mi ha fatto ritornare la fissa per Jake Gyllenhaal; ho dovuto guardare di nuovo Prince of Persia-Le sabbie del tempo e, nemmeno mezza giornata dopo, mi è venuta l'idea per questa One-Shot.

E' insulsa, senza senso alcuno, particolarmente inverosimile, ma mi è piaciuto molto scriverla, perché mi sono confrontata con qualcosa di diverso e inusuale per me, che da anni milito nella sezione dedicata a Robert Pattinson.

Prima di lasciarvi alla lettura, ringrazio sin da subito chi leggerà questa cosa, chi commenterà e chi (pazzi!) la inserirà tra le preferite/seguite/da ricordare <3

 

Spero che la lettura non risulti troppo insulsa :D

 

 

Buona continuazione di settimana e alla prossima! :*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Mister Occhi Blu ti sta fissando. > Michelle  rivolse all’amica un’occhiata eloquente, facendole cenno col capo di voltarsi.

< Mister Occhi Blu, chi? > Domandò, il drink che le aveva messo in mano un’ora prima ancora intatto.

< Mister Occhi Blu, quello che non ti ha tolto gli occhi di dosso neanche un secondo nell’ultima mezz’ora e che sta bellamente fingendo di divertirsi con i suoi amici. > Le rispose ovvia.

Cora si voltò, fingendo di star cercando qualcuno e i suoi occhi lo individuarono in fondo alla sala, un bicchiere in mano come lei.

Nello stesso istante, anche lui sollevò lo sguardo, incrociando i suoi occhi e Cora si sentì andare a fuoco.

< Stai scherzando. > Sentenziò l'istante successivo con non-chalance, giocherellando con la cannuccia nel bicchiere.

< Oh, andiamo! Sei tu che stai scherzando, piuttosto. Quante possibilità ci sono che abbia adocchiato l'infinita varietà di super alcolici dietro di noi, piuttosto che te? > Ribatté lei, alzando gli occhi al cielo, terminando in un sorso la sua bevanda e ordinandone subito un'altra al barista solerte che si stava preoccupando di far risplendere il bancone color topazio.

< Mister Occhi Blu é un attore, Michelle. Di fama internazionale, per giunta. Magari sta solo cercando di trovare un pretesto per sgattaiolare via dai suoi amici. Non può aver messo gli occhi addosso proprio su di me. Non sono neanche vestita bene! > Allontanò definitivamente da sé il drink del quale non aveva bevuto neanche un sorso e ordinò una Pepsi con ghiaccio.

Non aveva voglia di ubriacarsi e il giorno dopo aveva una riunione importante, non poteva permettersi il divertimento con cui l'amica l'aveva costretta ad uscire quella sera.

< Siamo nel suo stesso bar, Cora! Questa si chiama coincidenza. > Le schioccò due dita davanti al viso, come se non fosse completamente sveglia, nonostante i nove caffè che era stata costretta a bere da quella mattina in ufficio, pur di non addormentarsi sulla pila di pratiche da trascrivere al computer che, come se non bastasse, non aveva collaborato senza l'ausilio del tecnico; ausilio che le era costato quaranta minuti di attesa al telefono nella speranza che qualcuno prendesse la linea.

< Questa si chiama fortuna, Michelle. Ogni tanto può succedere anche a noi, semplici impiegate in un'agenzia di commercio. > Sbuffò, voltandosi ancora una volta nella direzione di Occhi Blu.

Stava sorridendo alla battuta di una ragazza di fronte a lui, mettendo in mostra i denti bianchissimi.

Arrossì senza neanche rendersene conto e ritornò con gli occhi alla sua Pepsi, cercando di calmare il battito accelerato del suo cuore.

< Allora potremmo andare a chiedergli un autografo e una foto. > Michelle sembrò pensarci un po' su prima di scrollare le spalle e terminare la sua seconda consumazione.

< No! > Cora quasi urlò, mentre il resto dei clienti comodamente seduti al bancone le lanciavano un'occhiata perplessa.

< Neanche per sogno! > Abbassò la voce, trattenendo l'amica per un braccio.

< Perché no, scusa? L'hai detto anche tu, è una fortuna se siamo in questo locale insieme ad una star, sarebbe assurdo non approfittarne. E poi, tu non eri una sua fan? > Le rivolse un'occhiata indagatrice, le mani sui fianchi e le sopracciglia inarcate.

< Sì! Cioè... no... cioè, sì, ma un mucchio di tempo fa e... > Michelle la fermò.

< Ma sbaglio, o hai ancora le sue foto attaccate all'interno dell'anta destra del tuo armadio? > Assottigliò lo sguardo, sorridendo vittoriosa.

< E tu come diavolo fai a saperlo? > Proruppe in una sorta di verso di sorpresa misto a rabbia. < Hai sbirciato nel mio armadio! > Continuò, indignata.

< Certo che ho sbirciato nel tuo armadio, sono la tua migliore amica! > Rispose ovvia, ravvivandosi i capelli biondi sulle spalle.

< Ma l'hai fatto senza il mio permesso! > Sbottò. Era una questione di principio, e la privacy era privacy, non potevi invaderla senza il consenso della proprietaria, migliore amica o no.

< Eri sotto la doccia e mi hai chiesto un asciugamano; ho cercato nel tuo armadio e ho visto le foto. Cora, non ho sbirciato file dell'FBI, erano solo foto, cosa c'è di male in tutto questo? > Le domandò, abbandonando la sua espressione maliziosa e cercando di tranquillizzarla.

< Beh, non puoi invadere la mia privacy così, di punto in bianco, quando io non sono presente, anche se stavi cercando solo un asciugamano e poi è una questione di principio, c'è una legge che vieta di... > Michelle la interruppe per la seconda volta.

< Non mi riferisco a me che spio nel tuo armadio, ma alle foto di un certo Jake Gyllenhaal che fanno mostra di sé nel tuo armadio; cosa c'è di male nell'avere sue foto in camera? >

Domanda più che legittima, pensò Cora, arrossendo appena.

Si strinse nelle spalle, evitando di guardarla negli occhi.

< Mi fa sentire una di quelle ragazzine invasate, ecco cosa c'è di male. > Rispose atona.

Michelle rise, come se volesse prenderla in giro; in realtà, trovava solo molto buffa la sua risposta, perché loro non erano ragazzine invasate, erano adulte e perfettamente in grado di gestire i rispettivi ormoni.

< Siamo qui per caso, Cora. Per caso. Non l'avevamo previsto e non sapevamo ci sarebbe stato il tuo idolo, perciò, smettila di considerarti una ragazzina in crisi ormonale e va' a dirgli qualcosa. > Quasi la spinse in avanti, rischiando di farle rovesciare la Pepsi.

< Come sarebbe a dire va' a dirgli qualcosa? Cosa dovrei dirgli? E poi non eri tu che volevi un autografo? > Si ritirò di nuovo accanto al bancone, sorseggiando la sua bevanda dalla cannuccia.

< Ma la fan sei tu, non io. Certo, se proprio la cosa dovesse dispiacerti, potrei provarci io... > Soppesò, richiamando l'attenzione del barman per la terza volta.

< Io non vado da nessuna parte. > Cora si voltò di spalle, osservando con attenzione la collezione di lattine di birra affissa dietro il bancone, una mano a sorreggerle il capo.

< D'accordo, fa' come vuoi. In fondo, capita tutti i giorni che un attore di Hallywood ti spogli con gli occhi, no? Io vado in bagno. > Si allontanò, portandosi dietro il suo ennesimo Tequila, lasciandola sola.

Cora, d'altro canto, non aveva nessuna intenzione di allontanarsi da lì. Che Mister Occhi Blu la guardasse pure, se ne aveva voglia e se non aveva trovato niente di meglio in quel locale pullulante di giovani donne pronte a ricevere solo un'occhiata dal bell'attore, lei non si sarebbe mossa di un millimetro.

Preferiva masticare la cannuccia rossa della sua Pepsi, piuttosto, o fingere che la collezione di lattine fosse originale.

Dannata Michelle che l'aveva costretta ad uscire!

Ok, aveva avuto fortuna, poteva dire di star respirando la stessa aria densa di fumo di Jake Gyllenhaal, ma... dannazione, doveva incontrare una celebrità proprio quella sera?

Indossava un vestito acquistato cinque anni prima con Michelle e che aveva avuto modo di vestire soltanto al matrimonio di un loro collega di lavoro, per cui si era ripromessa di non indossarlo più, neanche sotto tortura, dopo una giornata trascorsa ad evitare che, persino da seduta, cercassero di indovinare di che colore fossero i suoi slip; le scarpe con il tacco, acquistate per la stessa occasione, la stavano uccidendo; non aveva avuto modo di sistemarsi i capelli in maniera accettabile, propendendo per una coda alta, sbrigativa e pratica, e aveva rinunciato del tutto a truccarsi, limitandosi ad un filo di matita nera per evidenziare gli occhi e un tocco di mascara per definire le ciglia.

Probabilmente, le luci soffuse della sala dovevano avergli fornito una vista approssimativa della preda, perché era impossibile che avesse scelto proprio lei, tra tante bellezze.

< Scusi, può darmi quello che ha preso la signorina? > 

Non era la sua voce, vero? Cora tentò di fare mente locale, di ricordare che voce avesse Jake Gyllenhaal, di paragonare la voce che aveva appena udito con quella del suo attore preferito.

Sì, le sarebbe bastato voltarsi per conoscere il possessore di quella voce, ma aveva paura fosse tutto un sogno. Bellissimo, meraviglioso, assolutamente fantastico, certo, ma pur sempre un sogno; e allora no, preferì non voltarsi, nonostante l'avesse nominata, preferì continuare a far finta di essere attratta dal bancone, dalle bollicine della Pepsi, perfino, ma non dalla voglia di vedere il volto a cui quella voce corrispondeva.

Oltretutto, la stava guardando.

Fissando sarebbe stata la parola giusta.

Conosceva bene la sensazione di formicolio che le prendeva la nuca e poi la schiena quando qualcuno si ostinava a non toglierle gli occhi di dosso.

Ma poteva non essere lui.

Poteva essere solo un semplice ragazzo che le aveva visto in mano un bicchiere e, indeciso su quale drink puntare, aveva pensato di farsi portare anche lui una Pepsi.

< E' una Pepsi! > Esclamò La Voce.

Quell'esclamazione era diretta a lei, sì, peccato non avesse nessuna intenzione di rispondere, né tanto meno di voltarsi.

< Credevo fosse uno strano intruglio alcolico alla liquirizia. > Non sembrava molto deluso dalla cosa.

E poi, le aveva appena dato dell'ubriacona, per caso?

< Si dà il caso che io sia astemia, perciò... > Ma lui fu più veloce, interrompendola.

< Oh, allora ce l'hai un viso! Credevo di dover parlare ai tuoi capelli per il resto della serata. > Sorrise e Cora realizzò che era davvero lui, era davvero Mister Occhi Blu e stava davvero parlando a lei. 

A lei. 

Che non aveva niente di speciale, che non era una star di Hollywood, che a malapena era riuscita a recitare nelle recite scolastiche delle scuole medie, che era stata costantemente presa in giro per i suoi capelli rossi e le lentiggini...

Insomma, proprio lei.

Arrossì e abbassò lo sguardo, la protesta decedutale sulla lingua.

< Io sono Jake. > Le tese la mano, ancora sorridente.

Lei la osservò per un istante e, anche se l'idea di sfiorare la sua pelle l'avrebbe mandata a fuoco, sarebbe stato da vera maleducata rifiutarla, perciò la strinse con titubanza, come se potesse morderla.

< Coraline. > Ricambiò con il suo nome per intero.

Era già pronta alle prese in giro.

< Coraline? Come la protagonista del libro di Neil Gaiman? > Corrugò le sopracciglia, sorpreso.

< S-sì, già, proprio come lei. > Riuscì solo a rispondere.

Solitamente, quando pronunciava il suo nome, otteneva solo espressioni di incredulità e disgusto.

Neanche lei ne aveva mai capito il motivo. Forse perché era diverso da tutti gli altri, forse perché non era poi così comune e alla gente piace ciò che ha sempre sentito, ciò che ha sempre visto; la diversità lo disgusta.

< E' un bellissimo nome, sai? E' unico. > Continuò a sorridere.

Avrebbe dovuto smettere, invece, perché, e Cora ne era assolutamente certa, da un momento all'altro, il cuore le sarebbe schizzato via dal petto e gli sarebbe rimbalzato addosso.

< Grazie, sì... sì, lo è. > Mentalmente, bestemmiò.

Complimenti, Cora, stai facendo la figura dell'idiota.

< Sei in compagnia di qualcuno? > La osservò, decidendo che, nonostante il vestito troppo corto che, in ogni caso, le fasciava meravigliosamente il corpo, e i tacchi vertiginosi ai quali, l'avrebbe capito persino un cieco, non era abituata, gli piaceva.

Non amava attaccare bottone nei locali pubblici, men che meno con delle ragazze, ma i suoi amici l'avevano costretto ad uscire quando lui aveva in mente solo un bel libro e una tazza di cioccolata calda e lei gli era praticamente scivolata sotto gli occhi, con i suoi capelli rossi e la frangetta spettinata e aveva deciso che, beh, avrebbe potuto parlarle, conoscerla.

< Della mia migliore amica. Dovrebbe essere in bagno. > Rispose, osservando la folla, cercando di distinguere Michelle senza successo.

Jake la osservò qualche minuto tamburellare le unghia mangiucchiate sul bancone, osservare con aria ansiosa la folla, occhieggiare all'uscita e muovere nervosamente le gambe, come se volesse scappare.

Forse la sua presenza la infastidiva, forse voleva essere lasciata in pace.

< Vuoi andare via? > Le domandò, avvicinandosi al suo orecchio per sovrastare la musica che aveva cominciato a riempire il locale.

Cora arrossì, presa alla sprovvista, poi, semplicemente, annuì, un gesto quasi automatico.

< Vieni con me. > Le afferrò dolcemente un polso, trascinandola tra la folla per raggiungere il suo gruppo di amici, recuperando la giacca dalla spalliera di una sedia vuota e congedandosi con poderose pacche sulle spalle di tutti i presenti.

Se la strinse contro per non perderla tra la folla e guadagnò l'uscita velocemente.

< Tutto bene? > Le domandò, continuando a stringerla a sé.

Il vento freddo le scompigliava i capelli e le faceva stringere gli occhi.

La condusse in direzione della sua macchina, facendola accomodare sui sedili posteriori. Lui si sporse all'interno della vettura dal lato del guidatore solo per inserire le chiavi nel quadro di accensione e regolare l'aria calda, poi si spostò anche lui sui sedili posteriori accanto a lei, posandole la giacca sulle spalle.

< S-soffro di agorafobia. > Disse dopo momenti eterni di silenzio.

Jake la osservò: respirava a fatica, come se avesse corso, aveva il viso teso e pallido e gli occhi sgranati, spaventati. Si stringeva addosso la sua giacca come se da essa dipendesse tutta la sua vita. Tremava, anche e la pelle d'oca le aveva ricoperto le braccia nude.

< Non devi spiegarmi niente, va bene così. > Non aveva intenzione di costringerla a giustificarsi.

Aveva intuito che nel locale aveva cominciato a sentirsi a disagio e quel suo ossessivo muoversi e occhieggiare verso l'uscita, gli avevano permesso di comprendere quanto fosse spaventata; da cosa esattamente non avrebbe potuto indovinarlo, ma i suoi occhi verdi avevano parlato per lei e lui aveva semplicemente dato ascolto alla loro supplica.

< Non... salto propriamente sulla macchina del primo che incontro. Era questo che... che cercavo di spiegare. > Continuò.

Trasse un lungo respiro e, anche se sentiva ancora il petto oppresso dalla paura e dalla sensazione di disagio che aveva avvertito non appena la gente, dapprima seduta tranquillamente ai tavoli, aveva cominciato a riversarsi verso le casse, ansiosa di ballare, travolgendola quasi, si sentiva più tranquilla, avvolta dal calore della giacca del suo idolo Hollywoodiano.

Jake rise divertito.

Sorrise anche lei, anche se non sapeva esattamente cosa ci fosse di così divertente.

< Perché stiamo ridendo? > Domandò.

Lo osservò stringersi nelle spalle e continuare a sorridere.

< Perché stavi per avere un attacco di panico, avresti potuto dire qualsiasi altra cosa, invece hai sottolineato che non è tua abitudine seguire in macchina il primo che incontri. Ti sei preoccupata più della tua dignità, che di te stessa. > Le spiegò.

Cora arrossì e abbassò lo sguardo.

< E' che... sarebbe potuto sembrare un pretesto per... > Si fermò. 

Per cosa?

Per uscire con lui da quel locale?

Per convincerlo che avesse bisogno d'aiuto e proporsi per accompagnarla a casa?

< Per saltarmi addosso? > Terminò per lei la frase, osservandola divertito.

< Se così si può dire. > Sospirò lei.

< Se così si può dire, neanch'io posso essere sicuro del fatto che tu stia dicendo la verità e che la tua intenzione non sia proprio quella di saltarmi addosso. Hai negato di averlo fatto con un pretesto simile, ma come posso sapere se quello che hai negato non corrisponda ad effettiva verità? > Assottigliò lo sguardo e la studiò attento.

Cora, confusa, lo fissò sorpresa e intimorita; non era sicura di aver compreso la sua domanda.

Inoltre, il viso di lui le si stava facendo sempre più vicino, neanche fosse un animale raro e lei, d'istinto, cercò di indietreggiare, finendo quasi distesa sui sedili morbidi dell'auto.

< Hai paura di me, Coraline? > Le domandò in un sussurro, sovrastandola quasi.

< N-no...? > Aveva terminato lo spazio di manovra a sua disposizione; era inclinata verso destra, semi-sdraiata sul sedile che aveva occupato e Jake era terribilmente, pericolosamente vicino, più di quanto avrebbe mai creduto possibile.

Se solo avesse proteso una mano, sarebbe riuscita a raggiungere le sue guance, ricoperte da un lieve accenno di barba.

< E se fossi io ad approfittare di te? > Continuò con lo stesso tono. < Se fossi io il disonesto tra noi due? > Le si avvicinò di un altro centimetro, tanto che riusciva a scorgere con chiarezza le sue labbra appena lucide di lipgloss.

Non poteva negarlo: la conosceva da mezz'ora, ma quella ragazza lo attirava, con il vestito provocante che faceva a pugni con l'innocenza del suo viso, con lo sguardo diffidente, ma bisognoso di certezze, con i capelli rossi che avevano deciso di boicottare l'elastico e scivolare liberi sulla giacca che le aveva prestato.

Se gli avessero predetto un momento simile, non l'avrebbe creduto realizzabile, ma adesso che lo stava vivendo, desiderava solo baciarla e stringerla a sé.

Socchiuse gli occhi, le sue labbra così vicine, che già ne pregustava il sapore.

Cora chiuse gli occhi nell'esatto momento in cui le labbra di lui presero possesso delle sue con dolcezza e curiosità.

Forse non avrebbe dovuto permetterlo, forse avrebbe dovuto respingerlo, ma la verità era che lo voleva anche lei, desiderava quel bacio più di qualsiasi altra cosa.

Lo avvicinò a sé, immergendo una mano tra i suoi capelli corti, lasciando che la sovrastasse del tutto e poco importava se il vestito, preda dei suoi movimenti, era arrivato ormai a circondarle la vita, lasciandole le gambe e la pancia scoperti.

Non le importava se una star di Hollywood come Jake Gyllenhaal potesse considerarla spudorata o approfittatrice.

Lei stava baciando un comune ragazzo conosciuto in un pub, non l'attore di cui conservava le foto nell'armadio.

Jake approfondì il bacio, torturandole le labbra, una mano tra i suoi capelli rossi, sparpagliati sul sedile, e l'altra impegnata a tracciare il profilo delle sue curve.

La sentì sospirare quando cominciò a baciarle il collo, a suggere la sua pelle diafana con delicatezza, gustandone il profumo e la morbidezza.

Quando cominciò a solleticarle la scollatura, Cora credette davvero di essere in uno dei suoi sogni, perché mai avrebbe pensato che si potesse avverare una cosa simile.

Jake Gyllenhaal la desiderava. 

L'aveva baciata e sembrava avere tutta l'intenzione di continuare a torturarla. 

Forse, il quasi-attacco-di-panico l'aveva fatta scivolare in un universo parallelo in cui ogni tuo desiderio nascosto veniva esaudito.

Era sceso a baciarle la pancia, quando Cora si accorse di qualcosa che le stava vibrando contro la testa.

< Jake... > Alzò appena la testa, cercando di non sospirare per l'eccitazione di vederlo lì, contro il suo corpo, contro le sue gambe nude.

< Jake... > Ripeté, appena più forte, sicura che non l'avesse sentita.

Al terzo tentativo e alla terza mancata risposta, si sottrasse alle sue attenzioni, sollevandosi con il busto, lasciandolo interdetto e incuriosito, gli occhi blu come l'oceano più profondo che la scrutavano smarriti.

< Credo che qualcuno ti stia cercando. > Rovistò nelle tasche della giacca che le aveva prestato poco prima e che lei aveva usato come cuscino, estraendo il suo cellulare e porgendoglielo imbarazzata.

< Oh. > Fu la sua unica risposta.

Guardò lo schermo senza vederlo davvero e rispose senza nemmeno aver capito di chi fosse la chiamata.

Non parlò molto, solo qualche frase di assenso e qualche verso di approvazione, ma Cora si sentì, improvvisamente e del tutto illogicamente, terribilmente a disagio.

Si erano spinti troppo oltre e non si conoscevano da neanche due ore.

La sua coscienza continuava a rimbrottarle il suo atteggiamento; di cosa doveva lamentarsi? Si era offerta a lui senza farsi pregare e adesso, per colpa di una telefonata arrivata nel momento sbagliato, si sentiva preda dei sensi di colpa? Non aveva alcun senso, doveva ammetterlo.

In fondo, se quella chiamata non fosse mai arrivata, adesso sarebbero ancora lì, semi-distesi sul sedile della macchina e in procinto di appartenersi.

Era assurdo, ma non riusciva più a stare chiusa lì dentro con lui; doveva uscire.

Cercò di sistemarsi il vestito senza battere la testa contro il tettuccio dell'auto e, sotto lo sguardo sorpreso e confuso di Jake, aprì la portiera e uscì, non senza difficoltà, nell'aria fredda della notte.

Trasse un profondo respiro, poi cominciò a camminare in direzione della sua macchina.

Avrebbe aspettato Michelle e poi sarebbe tornata a casa, dimenticandosi dell'accaduto.

< Cora! Ehi! > Peccato avesse fatto i conti senza l'oste.

Non si fermò, accelerando il passo.

Perché avevano parcheggiato così lontano?

< Potresti fermarti? Coraline! > Avvertiva il suo passo veloce dietro di sé.

Avrebbe voluto rispondergli che no, non aveva nessuna intenzione di fermarsi, invece il suo cervello dovette registrare l'informazione opposta, perché le sue gambe smisero di muoversi e lei rimase ferma, le braccia incrociate al petto come per ripararsi dal freddo, gli occhi fissi sul buio davanti a lei.

< Ehi. > Non accennò a voltarsi, fingendo indifferenza.

Jake allora le si parò di fronte, invadendo il suo campo visivo, mentre lei spostava gli occhi altrove.

< Cosa succede? > Le domandò con gentilezza.

Cora notò che reggeva ancora in mano il suo cellulare.

< Vado a casa. > Rispose, tirando su col naso.

Non stava per mettersi a piangere, no. 

Non poteva. 

Jake sospirò, afferrandola per le spalle, costringendola a guardarla.

< Era solo mia sorella, Cora. Pensavi che fosse...? > Ma non riuscì a terminare la frase, perché Cora lo interruppe.

< Io non pensavo un bel niente! Cosa dovrei pensare? Non ci conosciamo neanche! > Quasi urlò, divincolandosi dalla sua stretta delicata.

< Allora è per questo che poco fa stavamo per scopare, perché non ci conosciamo, giusto? > Ma cosa diavolo aveva? Era in piena crisi pre-mestruale, o le era dato di volta il cervello?

Un attimo prima la stava baciando sui sedili della sua macchina, l'istante dopo sua sorella lo chiamava e crollava il mondo.

Doveva essere sempre così dannatamente difficile capire le donne?

< Lasciami andare! > Sbottò, spingendolo via, riuscendoci solo perché, in realtà, Jake non aveva opposto alcuna resistenza.

< Si può sapere cosa ti prende? Eh? > Le urlò, mentre lei cercava di mantenersi in equilibrio sul brecciato che l'avrebbe condotta alla sua auto.

Riusciva già ad intravederne gli sportelli azzurri alla fioca luce dei lampioni.

E poi, successe.

Non seppe neanche spiegare come e, soprattutto, perché, ma successe.

La caviglia le si storse e lei rovinò a terra come in uno di quei video imbarazzanti che la tua famiglia non manca di far visionare al mondo intero, perché le tue figuracce devono essere di dominio pubblico.

E, anche se le due cose potevano non essere collegate, l'istante successivo, scoppiò a piangere come una fontana, con tanto di singhiozzi, non sapeva se per la caviglia che cominciava a farle male, o per la pessima figura che aveva appena fatto di fronte al suo attore preferito.

Lasciarsi quasi scopare e poi scappare come una stupida.

Jake che, ormai, aveva deciso di lasciar perdere, tanto comunque non l'avrebbe più rivista e magari il giorno dopo, al pensiero, si sarebbe anche fatto una bella risata, stava tornando sui suoi passi quando aveva sentito un tramestio e poi i singhiozzi.

Si era voltato e lei era lì, a terra, il viso nascosto tra le braccia e le spalle che sussultavano al ritmo del suo singhiozzare.

Si precipitò da lei; poteva anche essere una stronza pre-mestruata, ma era pur sempre una donna in difficoltà e aveva bisogno del suo aiuto.

< Tutto ok? > Che razza di idiota, pensò. Era appena caduta ed era in lacrime, come poteva essere tutto ok?

< Credo di essermi slogata una caviglia. > Rispose lei, tirandosi a sedere.

< Ti fa molto male? Riesci a camminare? > La aiutò a mettersi in piedi.

Sarebbe potuta andarle decisamente peggio, anche se non riusciva a poggiarla a terra e le si stava gonfiando.

< E' solo una storta. Dovrai metterci del ghiaccio e prendere qualcosa per il dolore, ma in un paio di giorni tornerà come prima. > La osservò sostenersi ad una macchina lì vicino, anche se lui le stava ancora offrendo il braccio.

< E tu come fai a saperlo? > Cora non cercò neanche di nascondere il sarcasmo nella sua voce e Jake si meravigliò di come non avesse neanche cercato di asciugarsi le lacrime che, nonostante la sua voce fosse ferma e decisa, il singhiozzo solo un lontano ricordo, continuavano a scorrerle copiose sulle guance.

< E' successo anche a me e se avessi avuto bisogno del pronto soccorso, non saresti neanche riuscita ad alzarti in piedi, perciò, è solo una storta. > Si strinse nelle spalle.

< Posso accompagnarti a casa, se vuoi. > Le propose dopo interminabili minuti di silenzio in cui Cora aveva voltato la testa, decisa a non guardarlo e aveva cominciato ad osservare con interesse gli alberi neri del boschetto lì vicino e Jake si era trattenuto dall'asciugarle le lacrime e dal sistemarle il ciuffo ribelle di capelli che le oscurava l'occhio destro.

< Devo aspettare la mia amica e non posso lasciare la macchina qui. > Si può sapere cosa cazzo stai facendo? Le urlava la sua coscienza, o forse il suo senso di colpa.

Lo stava trattando come l'uomo peggiore che avesse mai avuto la sfortuna di incontrare, invece, non solo era la cosa migliore che le era successa da tre anni a quella parte, era anche come se l'era sempre immaginato: gentile, dolce e bellissimo, più che in tv, più che al cinema o in qualsiasi cartellone pubblicitario.

< Senti Cora, io... non so cosa mi è preso prima, forse hai pensato che fossi una specie di maniaco di serie B, forse ti ho spaventata con la mia irruenza, è solo che ho avuto l'impressione che era quello che volevi anche tu e tu... insomma, sei bellissima e lo so, non ci conosciamo affatto, ma vorrei tornare a casa sapendo che non mi odi e che, magari, vuoi rivedermi. > Jake deglutì nervosamente, preoccupato dalla risposta che avrebbe ricevuto.

Lei lo studiò, rossa di imbarazzo. Lo guardò negli occhi meravigliosamente blu e capì che era sincero e realmente dispiaciuto.

< Dovrei essere io a chiederti scusa. Mi sono comportata come una pazza isterica e tutto perché so di essere stata una sgualdrina approfittatrice e... > Le lacrime minacciarono di sopraffarla di nuovo, ma non ebbe bisogno di completare la frase, perché Jake la interruppe.

< Ehi, smettila di dire sciocchezze. Non ho pensato neanche per un istante di avere a che fare con una sgualdrina approfittatrice, ma come ti salta in testa una cosa simile? Sono stato io a baciarti. > Storse la bocca in una smorfia disgustata per le parole che era stato costretto a pronunciare in riferimento a lei.

Come poteva essere così cieca? Come poteva non capire quanto fosse incredibilmente perfetta ai suoi occhi?

< Già e io non ti ho certo chiesto di fermarti... > Continuò lei, abbassando gli occhi.

< Perché é piaciuto ad entrambi, cosa c'è di male in questo? > Le afferrò con dolcezza una mano, imprigionandola tra le sue, riscaldandola.

Cora sorrise appena, il cuore che aveva cominciato inesorabilmente ad accelerare i suoi battiti per quel gesto inatteso.

< Posso suggerirti di chiamare la tua amica e di dirle che le lasci le chiavi già inserite nel quadro? Voglio accompagnarti a casa. > Le sorrise, illuminandole mente e cuore.

 

 

 

 

 

 

< Non credo che sia stato quello il nostro primo incontro, sai? > Jake le sorride, più bello del solito con la maglietta azzurra a maniche corte che mette in risalto il blu dei suoi occhi e il suo luminoso sorriso.

Sono seduti in un anonimo caffè newyorkese, uno di quelli sempre affollati di bambini e turisti, dove hanno la torta di zucca fatta a mano e i muffin ai frutti di bosco, i preferiti di Cora.

La cameriera ha appena servito loro le due coppe di gelato vaniglia e cioccolato che avevano richiesto qualche minuto prima.

< Oh sì, è stato proprio quello il nostro primo incontro, purtroppo. > Cora ricambia il sorriso, affondando il cucchiaino nella goduria gelata che ha di fronte.

< Credevo che il nostro primo incontro fosse avvenuto in un anonimo parco della città alla presenza delle mie nipoti. > La prende in giro, indicandola con il cucchiaino perfettamente ripulito dopo il primo assaggio.

< Quella è la versione che racconto a tutti. Mi rispecchia di più e rispecchia di più anche te. > Risponde, stringendosi nelle spalle con non-chalance.

< Ma sentila! Vorresti dire che il comportamento della sera non ufficiale in cui ci saremmo incontrati non mi rispecchi affatto? > Poggia le mani sul tavolo e le si avvicina, sovrastando la coppa di gelato, come per non farsi sentire.

< Vorresti che raccontassi a tutti che mi hai sessualmente assalita nella tua macchina? > Si avvicina anche lei, il cucchiaino a mezz'aria e l'aria di chi sa perfettamente di aver vinto.

Jake si ritrae, ritornando seduto in maniera composta e Cora sorride.

< Mia sorella conosce la versione non ufficiale della storia. Mi ha torturato per giorni e alla fine sono stato costretto a cedere. > Ammette candido, continuando a gustarsi il gelato.

< Avresti potuto tergiversare! Michelle si è bevuta la storia della boccata d'aria e del quasi-attacco-di-panico con conseguente caduta. > Sbotta, sporgendo il labbro inferiore in avanti come una bambina.

< Michelle non è mia sorella e tu non conosci mia sorella. > Cora ha l'impressione che Jake abbia assunto un'aria vagamente spaventata, anzi, terrorizzata a quelle parole, quasi avesse avuto a che fare con Hannibal Lecter in persona.

< Sì che conosco tua sorella e so per certo che non è un mostro. > Ribatte.

< Quando sarai della famiglia, capirai quello che intendo. > Le risponde, immergendo il naso nella coppa, pur di non perdersi neanche una goccia di gelato.

Cora finge quasi di non aver sentito, ma quel suo quando sarai della famiglia, le ha accelerato il battito cardiaco, facendola arrossire.

E' un anno che la sua relazione con Jake va avanti. Tra alti e bassi, come per tutte le coppie.

Ha conosciuto la sua famiglia e lui ha conosciuto la sua e sono andati a vivere insieme quasi subito, senza neanche rendersene conto; ha cominciato a dormire sempre più spesso da lui e, come per magia, dopo un mese, si era accorta di aver praticamente invaso l'armadio di suoi vestiti e scarpe. Le mensole del bagno sono piene dei suoi trucchi e delle sue creme e sotto la doccia campeggiano due tipi differenti di shampoo e bagnoschiuma, quelli usati da lei e quelli usati da lui, anche se, deve ammetterlo almeno a se stessa, perché a lui non lo rivelerebbe neanche sotto tortura, a volte le piace lavarsi con il bagnoschiuma di Jake, specialmente quando è via per lavoro e sa che non lo vedrà per qualche settimana; gli fa sentire meno la sua mancanza e la rassicura.

In un certo senso, insomma, fa già parte della sua famiglia.

Si riscuote dai suoi pensieri quando avverte le labbra di Jake sulla sua guancia e le dita tra i suoi capelli rossi, perennemente spettinati.

< A cosa stai pensando? > Le domanda, osservandola arrossire.

Cora si stringe nelle spalle, alzando gli occhi su di lui.

< Ti amo. > E' la sua risposta, mentre poggia la testa sulla sua spalla, sorridendo.

< Ti amo anch'io. > Jake le accarezza i capelli e poi il braccio nudo.

< Non lo finisci? > Continua, indicando la sua coppa di gelato ancora piena a metà.

Cora scuote la testa e gliela avvicina.

< Non ti avevano ordinato di stare a dieta? > Domanda divertita.

< E' uno spreco, non posso permettere che questo gelato venga buttato via. > Afferma con sicurezza, credendo di avere la ragione dalla sua parte.

< Grazie a Dio non toccherà a me subire i rimproveri. >

 

 

 

 

Dopotutto, le anime gemelle prima o poi si ritrovano.

Cecilia Ahern, Scrivimi ancora, 2004

   
 
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