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Autore: Belarus    14/01/2014    4 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Trafalgar Law; Pirati di Kidd; Eustass Captain Kidd{citato}; Nuovi personaggi.
Note: Secondo la mia mente malsana sono ancora in orario dato che non sono andata a letto, ma secondo l'orologio ormai è martedì, quindi... va beh, lo sapete. Dunque non posso che dirvi che la permanenza sull'arcipelago durerà qualche capitolo, non tanti sia chiaro, ma deve succedere una certa cosina e deve accadere qui. Credo si intuisca di cosa parlo, ma per chi non volesse spendersi in fantasticherie dico solo di portare un altro pò di pazienza e attendere magari il quattordicesimo o quindicesimo, capitolo. Uno o due settimane, per intendersi.
Poi... nulla, leggete come sempre le note a fine capitolo e beccatevi i miei più grandi ringraziamenti per il sostegno e l'amore che state dimostrando a me e a questa storia! Sul serio, mi rendete tutti una donnina felice *-*
A lunedì, mes amis!




CAPITOLO XIII






Richiudendo la porta logora e scheggiata, con il tintinnare malinconico dei sonagli a salutarla, ebbe quasi l’impressione di scorgere la figura minuta della vecchia commerciante risalire la ripida scala sul fondo del serpeggiante negozio, con le sue nappine a ciondolare ai lati del viso grinzoso e un brivido prolungato le carezzò la schiena. Abbandonò la presa della maniglia e la soglia, per guardarsi attorno con disagio.
Quell’anziana non le aveva fatto una bella impressione e la nebbia che opprimeva quell’isola gliene dava una ben peggiore. Anche Marijoa spesso ne era investita, ma quella foschia non aveva nulla a che vedere con quella grigia e immobile dell’Arcipelago dei Trapassati. Sulla Linea Rossa i banchi si diradavano dopo qualche ora lasciando rimasugli solo nelle zone periferiche, lì invece l’aria pareva stantia, ingombra dei fumi provenienti dai camini cigolanti delle abitazioni abbarbicate l’una sull’altra e si sentivano di continuo passi senza riuscire a vedere chi fosse a compierli.
Strinse la giacca attorno alle spalle, decidendo di raggiungere Trafalgar, uscito dal negozio qualche minuto prima.
Non aveva idea del perché gli avesse mormorato di raggiungerlo in fondo alla strada due minuti dopo la sua uscita, ma era pur sempre un pirata e quella vecchia commerciante aveva orecchie e movenze troppo aguzze per i suoi gusti. Non le dispiaceva affatto l’idea di andarsene da quel negozio ammuffito per parlare con qualcuno di più familiare. Quella donnina non le piaceva per nulla nonostante la marea di sorrisi e carezze, forse, pensandoci con un po’ più di attenzione, avrebbe potuto trovarvi delle somiglianze inquietanti con sua madre.
Imboccò la stradina che virava leggermente a sinistra, lasciandosi dietro la biforcazione e l’inquietante sorriso della commerciante, scoprendola più buia e soffocata di quanto non avesse mai pensato, sembrava che la concentrazione di nebbia fosse inversamente proporzionale alle dimensioni delle strade in quel luogo. Passò accanto ad alcune porte sbarrate di vecchie locande chiuse da chissà quando e quelle spalancate di abitazioni simili a loculi, al cui interno si scorgevano stanze minuscole illuminate da luci soffuse dove stavano ammassati letti, cucine, sacchi di carbone e ogni altro genere di oggetti, prima di andare quasi a sbattere contro la figura di Trafalgar.
«Sei troppo silenzioso, è la terza volta che mi accorgo di te in ritardo!» lamentò sorridendo, mentre lui allontanava le spalle dal muro dell’edificio su cui si era poggiato.
Quando lo aveva visto riemergere da dietro una parete di libri era rimasta alquanto stupita di rincontrarlo lì, ma era durato giusto il tempo di ricordare che tutti i capitani seguivano all’incirca lo stesso percorso, pur muovendosi su rotte diverse ed era inevitabile che con il trascorrere dei mesi e l’approssimarsi della Linea Rossa, gli equipaggi s’incontrassero più spesso.
«Fatto alquanto inspiegabile, considerando l’interesse che metti nel guardare tutto il resto.» mormorò sarcastico, incamminandosi.
«Non avevo mai visto una mappa come quella, sembrava diversa da quella che ho comprato… a esser sinceri, temevo anche di aver combinato qualche guaio e aver preso quella sbagliata.» ammise seguendolo, serrando i denti attorno all’angolo del labbro inferiore.
L’ultima cosa che avrebbe voluto era disattendere a quei pochi compiti che le erano assegnati, specie nell’ultimo periodo, quando parte della ciurma cominciava a convincersi della sua permanenza a bordo.
«Era la mappa ritoccata del Trentiéme, a te non serve, sempre che tu non voglia fare incontri spiacevoli.» spiegò conciso, inforcando le mani all’interno delle tasche dei jeans.
Il vecchio accattone da cui aveva sentito raccontare di Hsing t’ien le aveva spiegato che “Trentiéme” era il nome con cui gli abitanti dell’arcipelago chiamavano l’ultimo livello della rete di cunicoli che si diramava sotto le isole. Al suo interno dicevano vi fossero le porte d’accesso al mondo sotterraneo, il luogo da cui i demoni risalivano per infestare i destini degli uomini e in particolare il Kimon: il portale principale da cui essi scivolavano fuori.
Ricordava di aver visto un’illustrazione di quella porta in un libro della sua famiglia. Ko, quando l’aveva scoperta a guardarlo, gliel’aveva tolto di mano con tanto impeto da lasciarla sbigottita. Non l’aveva più visto, a dirla tutta.
«Ritoccata?» chiese, curiosa tentando di sbirciare l’espressione di Trafalgar sotto il cappello.
«Alcuni corridoi sono stati chiusi dalla Marina circa sessant’anni fa, ma non li hanno mai controllati e gli abitanti hanno finito per farci dentro i loro affari meno onesti.»
Aya continuò a fissarlo con attenzione mollando la presa dei denti sul labbro, incamerando quelle poche informazioni che le venivano elargite con tanta indifferenza.
Non erano parole molto rassicuranti, ma perlomeno escludevano la possibilità che Hsing t’ien esistesse davvero o che scivolasse fuori dalla rete di cunicoli aggirandosi tra la nebbia con il suo secchio cigolante dove l’acqua si mischiava al sangue di quei poveri sfortunati che incappavano sul suo cammino.
«Ed io che c’entro?» indagò con quell’unico dubbio ormai.
Law sollevò il pizzetto scuro scrutando nel banco di nebbia che li circondava come se riuscisse davvero a vedervi attraverso, la nodachi che portava sulla spalla, picchiò sulla clavicola con dubbio, mentre si fermava ad aspettare che l’ennesimo sbuffo di fumo da un condotto di areazione di una casa si riversasse per strada.
«Chissà, forse gli serviva qualcuno su cui provarli.» suppose, per poi riprendere il proprio cammino e costringere Aya a riavvicinarsi per non perderlo di vista.
Non aveva idea di che genere di affari stessero parlando e non era certa di voler sapere cosa facessero gli abitanti del luogo in cunicoli stretti e lugubri dove a stento avrebbe visto un gatto, ma il velo di divertimento con cui Law aveva pronunciato quella frase non le lasciò molto da immaginare.
«Non sto simpatica neanche a quelli che m’incontrano per caso, ha ragione Kidd ho una sorta di “talento”.» sbuffò infastidita, fissando contrariata un punto più buio alla sua sinistra.
I cunicoli del Trentiéme erano talmente umidi e scuri da essere visibili persino attraverso la nebbia, si era accorta della loro presenza già risalendo dalla costa, ma procedendo in quella direzione parevano infittirsi e a ogni metro sembrava comparissero con sempre maggiore frequenza. Alcuni abitanti vi erano spariti all’interno trasportando carbone, panni da lavare, cibo e ogni genere di bene, adesso però, che aveva corso il rischio di finir dentro il budello sbagliato le sembravano tutti troppo simili per essere affidabili.
Picchiò la punta dello stivale contro un fagotto precipitato forse da un balcone chissà quanti metri più su e solo quando sentì le dita di Trafalgar afferrarla per il polso e tirarla indietro, si rese conto di essersi addentrata nel bel mezzo della strada senza accorgersene.
«Che facevi in quel negozio?» le domandò laconico, non appena la parete affumicata degli edifici fu nuovamente visibile alla loro sinistra.
Aya si riscosse di colpo, voltandosi completamente a guardarlo.
«Dovevo prendere la mappa dell’arcipelago, tu piuttosto? Dove sono gli altri?» sbottò tutto d’un fiato, rimproverandosi mentalmente per il tono con cui le erano uscite fuori quelle domande.
Voleva chiedergli di loro dal primo istante in cui lo aveva visto, però non le era sembrato molto educato farlo di punto in bianco. Si era trattenuta con tutta se stessa, ripetendosi di non essere sgarbata, di non avere la lingua lunga, ma non le era mai riuscito di obbedire a certe restrizioni.
Trafalgar le rivolse un’occhiata diffidente, rimanendo in silenzio per quello che ad Aya parve un tempo troppo lungo.
«Alla cala.» rispose inaspettatamente, quando lei fu quasi certa che non le avrebbe mai ribattuto.
Annuì grata, ma dovette ammettere di non aver scoperto nulla di particolarmente rilevante o perlomeno, nulla che la tranquillizzasse davvero.
«Stanno bene?» insistette, cercando questa volta di moderare il tono.
L’ennesimo sguardo le piombò addosso, mettendola a disagio e causandole una fitta allo stomaco alquanto spiacevole. Si morse il labbro con fastidio, sentendo l’apprensione montare dentro abbastanza in fretta da mandare in rovina ogni tentativo di compostezza che le fosse passato in mente e trascorsero pochi secondi prima che trovasse quel silenzio troppo sgradevole.
«Che c’è? È successo qualcosa a qualcuno?» s’impuntò serrando i denti sino a sentire il sapore ferroso del sangue sulla lingua.
Era sciocco da parte sua angosciarsi tanto per qualcuno che aveva incontrato solo due o tre volte, ma ad eccezione di Kidd e dei suoi uomini, gli Heart erano stati gli unici cui si fosse un minimo affezionata e non poteva proprio fare a meno di chiedersi come stessero o che avessero combinato.
Law la scrutò da capo a piedi un’ultima volta, prima di convincersi a parlare per evitare una nuova e senz’altro più ringhiata domanda.
«No, stanno bene.» assicurò, mentre lei tirava giù le spalle e si portava una mano al fianco sospirando.
Sorrise sollevata, ispirando una profonda boccata di aria stantia, prima di alzare lo sguardo su Trafalgar.
«Menomale, temevo gli fosse capitato qualcosa!» spiegò senza vergogna, tornando a stringersi nella giacca.
Sentì le iridi grigie di Law continuare a esaminarla con curiosità, ma la cosa non la disturbò più di tanto e il disagio che le aveva causato poco prima svanì esattamente com’era arrivato.
Aveva impiegato un’intera serata ad Awashima per abituarsi a quelle occhiate, ma alla fine era giunta alla conclusione che avessero un qualcosa di pericolosamente simile a quelle che lei rivolgeva a qualsiasi cosa le capitasse sotto il naso. Erano un modo silenzioso e discreto per scoprire quello che c’era da scoprire senza perdersi in troppe chiacchiere, anche se non ne era completamente certa.
«Ho visto la tua taglia sul giornale, non so se fosse così alta anche prima o se l’abbiano aumentata di recente, ma non è un buon segno se ti mettono in prima pagina.» notò con un nuovo sorriso, decidendo di riprendere a camminare.
Mosse appena qualche passo, cercando di non addentrarsi troppo nella foschia perdendo di visto la muraglia di edifici sotto di cui avevano avanzato sino a quel momento, una banderuola di un rosso sbiadito le sfiorò il capo facendole sollevare il naso in un attimo di distrazione. Trafalgar proseguì nella sua stessa direzione, riprendendo la medesima espressione tacitamente divertita che le aveva rivolto al negozio.
«Dipende dai punti di vista.» mormorò, scostando con l’elsa della nodachi quelli che sembravano essere altri fili laceri.
«Certo e da che parte dello scontro stai.» puntualizzò canzonatoria Aya, tornando a sfiorare con il proprio braccio il bordo della sua felpa gialla.
Trafalgar sogghignò di colpo, emettendo un respiro divertito che la obbligò a fissarlo con l’identica curiosità che lui aveva mostrato nei suoi confronti poco prima.
«Che ho detto?» domandò, piegando il capo rossiccio su una spalla.
«Sei troppo sveglia.» costatò scuotendo la testa per poi sollevarla per un istante alla parete e riprendere a camminare con maggiore convinzione.
«Lo prendo come un complimento e fingerò di ignorare quella risatina.»


La vecchia si puntellò sullo sgabello sgangherato che nascondeva alle spalle del bancone, tirando su le gambette scheletriche per fissarlo, mentre si aggirava nel negozio.
Quel posto non era molto spazioso e c’era accatastata talmente tanta roba da non riuscire a vedere a un metro dai propri piedi, non sarebbe stato difficile dunque non notare qualcuno nascosto dall’altra parte del locale o intento a curiosare. Era la quarta volta però, che percorreva il corridoio che era stato creato per i clienti dal bancone sino alle finestre di vetro lercio che davano sulla strada e lei non c’era. Non avrebbe potuto notarla a prima vista, ma era improbabile che non l’avesse fatto dopo un giro veloce.
Non gli ci volle altro tempo per comprendere che non era più lì, forse già di ritorno al negozio dove le aveva detto di ripresentarsi non appena avesse acquistato la mappa dell’arcipelago. Per quanto ne sapeva, era possibile persino che avessero incrociato il cammino e nessuno dei due avesse scorto l’altro lungo la strada, in quell’isola c’era davvero troppa nebbia perché si riuscisse a identificare con accuratezza qualcuno persino se ti passava accanto.
Si avviò verso la porta, senza riservare all’anziana alcun cenno di saluto, ma, quando fu sul punto di poggiare la mano sul pomello a forma di perla scheggiata, la vocina rauca della proprietaria lo raggiunse squillante.
«Cercava qualcuno?» chiese con leziosa cordialità, fissandolo da dietro il bancone.
Si volse a guardarla senza ricambiare il sorrisetto che gli veniva rivolto, picchiando con le punte del proprio copricapo sulla campanella penzolante sulla porta.
«Una donna, capelli rossicci, piuttosto alta.» mormorò con freddezza, evitando di sbilanciarsi troppo.
La vecchia annuì immediatamente, facendo ciondolare le nappine ai lati del suo cappello, un nuovo sorriso mise in mostra le gengive nerastre prive di denti.
«Are, molto carina!» appuntò, con un tocco di entusiasmo che Wire non ricambiò.
Sarebbe stato facile per chiunque dire a un uomo appena incontrato che la donna che cercava era carina, quell’informazione per lui valeva quanto un silenzio.
Rimase a fissarla con indifferenza e l’anziana parve intuire quale fosse il punto.
«Ha comprato una mappa dell’arcipelago prima di curiosare in giro e poi è andata via con un giovanotto.» aggiunse con accuratezza, continuando a guardarlo con il sorriso sulle labbra frastagliate.
L’indicazione questa volta fu sin troppo valida e Wire fu costretto ad annuire, prima di voltarsi e ritornare in strada ignorando gli inviti mercanteggianti che la vecchia gli rivolgeva.
Era in qualche modo confortante che avesse trovato il negozio giusto e che avesse acquistato ciò che l’era stato chiesto senza errori di sorta, quello che lo esasperava però, era che avesse trasgredito al divieto di dar fastidio al Capitano.
Non sapeva perché Kidd o Killer fossero passati di lì, ma erano le uniche due persone che Aya avrebbe seguito, preferendoli alla sua tacita compagnia. Gli altri membri della ciurma la trattavano ancora con distacco, Heat sospettava le mettesse terrore e non era tanto sciocca da seguire uno sconosciuto incontrato in un negozio. L’avrebbe ritrovata sul ponte di comando o sulla spiaggia, a far chiasso insieme al Capitano.
S’incamminò discendendo lungo la via che aveva percorso per giungere al negozio, sentendo il sacco poggiato sulle proprie spalle battere sulle scapole larghe a ogni passo compiuto. Allungò l’andatura, percependo ben presto il terreno cominciare ad acquistare una certa pendenza e seguì con attenzione le indicazioni che erano state dipinte in grigio lungo i lati dei viottoli per evitare che la nebbia confondesse tanto da far perdere il senso dell’orientamento. Discendendo verso la zona bassa della città incrociò molta più gente, pescatori di molluschi, mercanti di sartiame e polveri, vecchi intenti a scommettere, uomini che risalivano nella direzione opposta alla sua con ceste di carbone caricate sulle spalle curve e addirittura qualche pirata di poca fame che lo squadrò con muto sospetto.
Impiegò un paio di minuti per raggiungere il ponte di collegamento di ferro con l’isola limitrofa, un’ora circa per superarne altri cinque e scorgere il profilo scuro dello scafo della nave con la sua ripida passerella. Alcuni membri dell’equipaggio lo salutarono non appena ebbe rimesso piede sul ponte, il medico di bordo agguantò con fastidio l’occorrente per le medicazioni e svanì in un angolo a fare il proprio dovere.
«Preso tutto?» chiese la voce metallica del vicecapitano dalle scale del ponte di comando.
Wire annuì senza badarvi troppo, poggiando con cura il proprio forcone sul parapetto, mentre un battello a vapore con una quantità infinita di drappelle, proveniente da un’altra isola, aggirava la loro nave per attraccare al molo parecchio più in là.
«Aya dov’è?» indagò Killer, accostandosi a lui dopo una breve occhiata alla passerella da cui era risalito.
Per qualche secondo non fu certo di aver udito davvero quella domanda, limitandosi al silenzio, Killer gli riservò però, uno sguardo prolungato abbastanza eloquente da spingerlo a riconsiderare seriamente l’ipotesi fatta nel rientro dalla città. Si volse a osservare la spiaggia di ciottoli dove alcuni membri dell’equipaggio stavano trascinando delle casse di provviste, il molo più in là dove la gente continuava a tirare avanti con i propri affari sino al ponte su cui si trovava, scorgendo la zazzera rossa del Capitano intento a parlare con altri tre membri della ciurma. Eppure di quella ragazza non c’era traccia e si sarebbe scommesso entrambe le gambe sul trovarla esattamente al fianco di Kidd a ciarlare di qualsiasi cosa le fosse capitata sotto gli occhi. Lo faceva sempre, da nove mesi, senza eccezioni, non c’era motivo di dubitarne e tale realtà lo portava a una fastidiosa e quanto mai pericolosa costatazione: se l’era persa.
“Non ho intenzione di essere io a dire al Capitano che hai combinato qualche guaio” le aveva detto con convinzione, mentre erano ancora insieme al negozio e non voleva davvero farlo.
Afferrò nuovamente il proprio forcone armandosi di una buona dose di pazienza e senza rivolgere una parola in più a Killer, discese la passerella della nave ripercorrendo il medesimo cammino fatto appena qualche minuto prima.


«Qual è il problema adesso?» chiese uscendo in strada.
La luce del sole lo infastidì abbastanza da spingerlo a riparare gli occhi con il palmo largo della mano sinistra su cui reggeva la mappa di quella tratta di rotta, mentre si accostava alla figura del fratello fermo nel bel mezzo della via a fissare un punto indecifrato molto più a sud, sul camminamento che conduceva all’isola limitrofa.
«Abbiamo visite, pessime per di più.» annunciò infausto Kikazaru, con il giaccone da capitano che schioccava secondo il vento contro le spalle.
Shizaru si convinse ad assottigliare lo sguardo e concentrarsi sul medesimo punto su cui il fratello pareva tanto concentrato. C’era una gran folla attorno al molo dell’isola, venditori di pesce, fruttivendoli, gente di passaggio, abitanti delle altre isole venuti a far provviste, persino qualche visitatore dai lineamenti troppo diversi per non essere notato. Quello che più gli fu evidente però, si trovava sul ponte di legno che congiungeva la parte bassa di quell’isolotto con quella vicina e aveva un aspetto sin troppo riconoscibile.
«Quel tipo.» indicò secco, mentre il sole continuava a picchiare sul dorso della mano.
«Uno degli uomini di Eustass Capitano Kidd, duecento cinquanta milioni di berry. Se è qui, deve esserci anche lui.» spiegò amaro, agitando le nocche allungate sugli avambracci stretti al petto.
Continuò a fissare il pontile, mentre quell’uomo lo percorreva tra le teste basse della gente dell’arcipelago, battendo quello che pareva un tridente sul legno come fosse un bastone da passeggio. Rimase a osservare l’arco oltre cui svanì, anche quando non se ne scorse più l’ombra e il via vai riprese più concitato di qualche minuto prima. Kikazaru attese paziente che si voltasse, ma dovette riscuoterlo quando il maggiore non accennò alcuna reazione.
«Che facciamo?» lo sollecitò, richiamandolo all’attenzione.
«Dì agli uomini di evitare locande, taverne e bettole, di far attenzione a non capitare sulla strada sbagliata e continuare con il loro lavoro, non siamo qui per cercare rogne con certa gente.» ordinò prontamente, voltando le spalle per rientrare nell’ostello dove si erano fermati a esaminare alcune carte.
Trascinò i piedi sulla terra rossiccia dell’arcipelago e gli vennero di colpo in mente i capelli di quel dannato Drago celeste che stavano cercando ormai da mesi. Mizaru ci aveva rimesso troppo per i suoi gusti, ma le direttive dei Cinque Astri andavano eseguite e lui aveva giurato di compiere il proprio dovere ad ogni costo.
Quando fu sul punto di varcare la soglia la voce di Kikazaru lo chiamò ancora una volta.
«Hai avvisato il quartier generale?» indagò con un velo di dispiacere nel tono.
«Hanno aumentato la taglia, tanto basta. Ora va, prima di ritrovarci con l’ennesima Supernova tra i piedi.»











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Note dell’autrice:
Anche per questo capitolo, non avendo cambiato isola o zona, valgono gli appunti fatti nel precedente sull’ispirazione geografica ed etnica delle isole e delle comparse. Per il resto, qualche appunto nuovo, l’ho inserisco anche in questo.

- Arcipelago dei Trapassati: Tragicamente esiste davvero, anche se non si tratta di un arcipelago bensì di una baia. È lungo le coste bretoni della Francia e trae il proprio nome dalla gran quantità di navi che sono naufragate lì a causa del forte vento che imperversa in qualsiasi periodo dell’anno. Nel mio caso invece, ho già detto che si tratta di un arcipelago di cento isole con climi diversi a causa della sua estensione orizzontale e che la nomea trae spunto dalla leggenda di Hsing t’ien.
- Trentiéme: Il nominato francese l’ho scelto per rispettare lo spunto che avevo avuto per l’arcipelago, ma la tradizione è realmente esistente nella zona taiwanese. Si racconta che alcune grotte presenti sulle montagne e insenature ove trovano sbocco le falde acquifere siano collegate le une alle altre, poiché un tempo lì riposavano creature sacre del folclore asiatico. Ergendosi su latitudini differenti, pare che fossero disposti secondo livelli occupati in base all’importanza della creatura che lì risiedeva. Alcune di esse, dove tutt’ora sorgono altari votivi e arci protettori pare custodiscano il “Kimon”, famigerato arco la cui funzione spiega Aya stessa nella storia.
- Affari dei cunicoli: Essendo l’isola infestata dalla nebbia, ho pensato che tali corridoi potessero essere sfruttati dagli abitanti come camminamenti naturali per recarsi da un luogo all’altro senza il rischio di perdere l’orientamento, un po’ come avvenne in Vietnam durante la guerra contro gli US.

Precisazione di altro genere:
- Vecchina del negozio: Tra l’altro mi mette anche ansia e dire che l’ha partorita la mia mente… comunque! Ricordatela perché un ruolo ce l’avrà, uno grosso per di più. Non è la solita innocua spiona di turno, ecco.




  
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