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Autore: TheNaiker    14/01/2014    0 recensioni
Lungo il suo lungo viaggio, Rika ha affrontato decine di mondi, oltre a quelli raccontati nella storia. Mondi tristi, mondi tragici, mondi privi di un qualsiasi lieto fine. Con questa raccolta di one-shot, ripercorriamone alcuni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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X – Satoshi Houjou



Svegliarsi senza avere la possibilità di aprire gli occhi deve essere qualcosa di orribile. Sentirsi fermi, con le palpebre come ricoperte da delle bende stregate, con le braccia come legate da catene d'acciaio, mentre ogni singolo muscolo del tuo organismo non risponde ai tuoi comandi ed i tuoi polmoni annaspano disperatamente per un briciolo d'aria. Il tuo corpo non produce calore, senti freddo, nonostante ci siano distese di lenzuola e coperte elettriche sopra di te che scioglierebbero un iceberg intero. Non c'è nulla materialmente che ti ostacola il movimento, ma ti senti come in una bara che sta per essere richiusa, mentre ti senti di affogare dentro un mare d'acqua che in realtà non c'è.

Fu quella la sensazione che visse Satoshi, quando gli parve di ridestarsi. Si sentiva cosciente, più o meno, però non vedeva nulla, non sentiva nulla. E non perché intorno a lui fosse tutto buio. In verità gli sembrava di avere le palpebre fissate con del fil di ferro alle guance, inamovibili nel senso più assoluto; ed anche le orecchie erano come intirizzite, gli pareva di avere due inservibili pezzi di creta al loro posto. Che diamine gli stava accadendo? Era fin troppo assurdo per essere solo un incubo, nessuno sognerebbe mai una cosa tanto strana, avrebbe visto dei mostri, od altre cose spaventose, non il nulla più assoluto. Non poteva darsi un pizzicotto per verificarlo, ma tutto dava l'impressione di essere vero, per quanto incredibile potesse essere... Comunque, a parte quello, l'unica cosa che il giovane riusciva a comprendere era il fatto di trovarsi in posizione orizzontale: le gambe non erano sotto sforzo, gli pareva di percepire un materasso sotto la schiena – se fosse stato un sogno non l'avrebbe sentito, questo – e poi sarebbe stato strano che lui stesse dormendo in piedi.

Sapeva quindi di essere disteso, probabilmente in un letto. Qualcuno ce lo aveva portato, forse lo avevano trovato svenuto da qualche parte, forse si era solo addormentato in camera sua ed aveva dormito per giorni e giorni. Erano però ipotesi troppo vaghe, congetture fin troppo infondate e immotivate; Satoshi dovette ammettere a se stesso di brancolare nel buio, in tutti i sensi. Dove si trovava? Sarebbe bastato schiudere gli occhi per scoprirlo, ma non ci riusciva. Si sentiva debolissimo, bloccato da qualcosa. E gli sarebbe anche mancato il respiro, se non fosse che ogni due o tre secondi un getto di aria gli arrivava di colpo sulle narici ed in bocca. Di che diamine si trattava? Era ossigeno, evidentemente, fossero stati gas di scarico di un motore si sarebbe sentito male. Aiuto provvidenziale, lui al momento non aveva la forza neppure di gonfiare i polmoni autonomamente e quel fresco fiotto salutare dava tutta l'impressione di essere vitale, per lui.

Ma da dove veniva? Quale ne era la ragione? Satoshi non si sentiva del tutto ripreso, si sentiva come intontito, intirizzito da un lungo sonno, quindi era conscio di non essere del tutto lucido. Però non ci potevano essere molte ipotesi che si potevano fare... Un ventilatore? No, il flusso d'ossigeno sarebbe stato molto più regolare in quel caso. Il respiro di una persona? Ridicolo, era da decerebrati pensare che una persona potesse alitargli in faccia di continuo per il solo gusto di farlo, ed inoltre l'aria sarebbe stata molto più calda. E quindi? Gli era rimasta solo un'alternativa, una cosa che di tanto in tanto vedeva alla Clinica Irie, quando portava Satoko affinché fosse curata... Un respiratore. Uno di quei aggeggi che permette alla gente in coma di respirare e di sopravvivere.

Se era così allora molte cose trovavano spiegazione. Lui si trovava in un ospedale, il che spiegava il silenzio che aveva tutto intorno. Non era solo lui che era ancora mezzo addormentato, il fatto era che lui non udiva niente perché di rumori in giro proprio non ce n'erano. Fosse stato a casa sua avrebbe sentito dei sussulti ogni tanto, i suoi zii che litigavano tra di loro, ed anche con Satoko...

Già, è vero, Satoko. Come stava adesso lei? Gli sembravano secoli che non vedeva sua sorella. Non si ricordava nemmeno l'ultima volta in cui aveva parlato con lei... Quando era stato? In che circostanza? Satoshi non riusciva a farselo venire in mente, e questa impotenza lo fece sentire un pessimo fratello maggiore, uno di quelli che tratta la propria famiglia con negligenza e trascuratezza. Era suo espresso dovere prendersi cura di lei, ed invece se ne stava in panciolle, immobilizzato come una mummia.

Il ragazzo cercò una seconda volta di aprire gli occhi, sforzandosi di smuoversi da quello stato di catalessi, poi ci provò una terza, una quarta, una quinta, una sesta, ma niente. Non gli riusciva di tendere un muscolo, il suo organismo era in tutto e per tutto come un pezzo di legno, un vecchio burattino tarlato i cui fili erano stati recisi per gioco da un moccioso dispettoso. Che cosa gli stava accadendo, stava morendo, era in agonia? E cosa stavano facendo a Satoko, mentre lui era confinato in quel coma? Forse qualcuno lo aveva fatto apposta, forse lo avevano neutralizzato per potersi liberare di lui e per disporre di sua sorella come meglio credevano... I peggiori scenari possibili gli apparvero immediatamente davanti. Quale era l'ultima cosa che gli era successa, prima di perdere i sensi? Chi aveva visto, prima di chiudere gli occhi? Rispondere a questa domanda poteva aiutarlo a fare un po' di luce su quei misteri angoscianti.

Satoshi però non se lo ricordava. Prima si stava rimproverando per il fatto di non sapere quando aveva parlato con Satoko per l'ultima volta, però ora si stava rendendo conto che anche gli altri suoi ricordi recenti erano alquanto evanescenti. La sua memoria era come se non esistesse, era un album di fotografie completamente vuoto. Era come se avesse dato un colpo di spugna a tutto il suo passato, come se avesse voluto cancellare ogni traccia dei fatti accaduti, e così non sapeva più cosa aveva fatto il giorno prima, e quello prima, e quello prima ancora... Ma questo non era possibile, non avere un passato era come non essere mai esistito, e lui era convinto di essere esistito, di avere fatto qualcosa nella vita... Certo, era tutto fuorché Dio, Satoshi non aveva mai combinato molto negli anni scorsi, senza l'aiuto di Mion e di Shion non avrebbe mai creato da solo il club, non avrebbe mai dato alla sua sorellina un ambiente allegro in cui sfogarsi e passare del tempo in modo piacevole, lontano dai suoi zii... Però...

Il giovane si concentrò, e cercò ad ogni costo di rammentarsi l'ultima azione compiuta di cui aveva memoria. Cercava di mettere a fuoco quelle immagini, a poco a poco ricomponeva i pezzi di quel puzzle mentale, facendo non poca fatica... E pian piano gli si parò davanti una risposta a quel suo dilemma. L'ultimo ricordo che era stato in grado di ricostruire era lui che si trovava... Nell'auto del dottor Irie. Mentre si stava grattando nervosamente il collo, anzi, se lo stava quasi strappando con le unghie, come in preda ad un raptus, ad uno stress insopportabile. Ma perché? Perché quel giorno stava compiendo un'azione che a rivederla ora gli pareva tanto insensata? Gli veniva in mente il dottore che era seduto accanto a lui, che mentre guidava cercava di calmarlo e di rassicurarlo con le parole, però Satoshi che gli stava rispondendo quel giorno? Quest'ultimo stava facendo del suo meglio per ricordare, e quei frammenti perduti di passato gli stavano tornando in testa uno a uno... Quel pomeriggio, Satoshi aveva avuto paura perché gli era sembrato di aver scorto sua zia per le vie di Okinomiya, ancora viva...

Ora se lo ricordava bene. Aveva di nuovo davanti agli occhi quella scena, vivida come se si stesse ripetendo dinanzi a lui proprio in quel momento, sebbene il suo intero corpo fosse ancora serrato nella morsa di quel gelido letargo così innaturale. Lui aveva appena fatto fuori Houjou Tamae, quella che l'anagrafe qualificava come sua zia. L'aveva massacrata, fatta letteralmente a pezzi con la sua mazza da baseball in un luogo appartato durante il Watanagashi, e ne aveva nascosto il cadavere in un posto che lui reputava sicuro. Solo che pochi giorni dopo aveva cominciato a vederla dappertutto, per strada, nei negozi, nelle automobili, a casa... Lui l'aveva tolta di mezzo per salvare la vita a Satoko, quella donna era una vigliacca violenta come poche, una che si divertiva a torturare e malmenare la nipotina per ogni pretesto ed ogni sciocchezza che riusciva a trovare per picchiarla. Un essere spregevole, che doveva sparire da questo mondo... Ed invece, proprio quando era sicuro di averla tolta di mezzo... Lei aveva cominciato a spuntare fuori in ogni dove, dinanzi ai suoi occhi, era divenuta una sua fobia, una sua fissazione, non riusciva a schiodarsi di dosso l'immagine di sua zia che continuava a vivere a dispetto dei suoi sforzi. Era stata il suo incubo, nel vero senso della parola. Forse quelle erano state solo visioni, pensò Satoshi, lui ci sperava ed in fondo aveva dei buoni motivi per crederlo: evidentemente la temeva così tanto che la vedeva dappertutto, come la preda che ha paura che all'improvviso compaia il suo predatore da dietro un angolo.

Comunque, era arrivato ad ucciderla, pur di liberarsene... Satoshi non riusciva a capire come fosse potuto giungere a tanto. Odiare una persona fino al punto di eliminarla dalla faccia dalla terra... Lui non era mai stato in buoni rapporti con sua zia, tuttavia... Si sentiva in colpa, si sentiva come se avesse fatto qualcosa di irreparabilmente sbagliato. Anche legalmente. Se l'aveva davvero fatta fuori, allora la polizia l'avrebbe arrestato, lui non era capace di nascondere quello che aveva commesso, non era abbastanza sveglio per poterla passare liscia, ne era consapevole. Ed una volta in carcere, lui non avrebbe più potuto vegliare su Satoko... Lasciarla da sola, indifesa, in balia dei suoi nemici... Certo, la zia non era più in condizione di nuocere, però Teppei era ancora a piede libero, e poi anche il resto del villaggio era ai ferri corti con lei, erano anni che continuavano ad ignorarla ed a non considerarla come parte integrante di Hinamizawa... Quanto avrebbe resistito la sua sorellina senza alcun aiuto?

Lui l'avrebbe delusa, se lei avesse saputo che suo fratello era accusato di omicidio. Anzi, probabilmente avrebbe peggiorato la posizione della sorella, chiunque ad Hinamizawa l'avrebbe additata come la parente stretta di un efferato assassino. Sarebbe stata isolata ancora più di quanto non fosse già, evitata dovunque lei andasse, trattata come la peggiore dei reietti, tenuta del tutto in disparte come un cane randagio; il tutto senza che qualche anima compassionevole si degnasse di controllare ogni tanto come stava. Satoshi pensava che avrebbe rovinato per sempre la vita a Satoko, se il suo gesto fosse divenuto di dominio pubblico.

Ma come fare per tenere celato tutto? Come appena detto, il ragazzo non era in grado di truffare la gente e mentire. Se lo avessero messo alle strette, lui avrebbe confessato tutto, la sua faccia spaventata avrebbe rivelato ai poliziotti tutto quello che c'era da sapere, e lo avrebbero arrestato su due piedi senza nemmeno attendere un processo. Però, perché quei figuri potessero farlo, c'era una condizione assolutamente indispensabile: Satoshi avrebbe dovuto essere vivo, avrebbe dovuto essere sveglio... E quindi per lui era sufficiente non svegliarsi proprio. La cosa era più facile di quel che sembrava, in fondo era già in coma, no? Doveva solo smettere di cercare di aprire gli occhi, e dormire per sempre. La verità sulla storia di quell'omicidio sarebbe rimasta per sempre sigillata dentro di lui, se non si fosse mosso da quel sonno eterno. Certo, questo voleva dire abbandonare Satoko per sempre, lei era praticamente tutto quello che gli rimaneva. Non l'avrebbe vista crescere, e neanche lei avrebbe mai più avuto occasione di parlargli, ma quello era un sacrificio a cui il giovane era pronto. Era consapevole che neppure Satoko avrebbe fatto salti di gioia per questa decisione, ma lui stava pur sempre scegliendo il male minore per la sua cara sorellina.

Il ragazzo si rendeva conto che presumibilmente in molti sapevano del fatto che lui fosse in coma. E la cosa tornava a suo vantaggio: avrebbero continuato a sapere che era così, per l'eternità. Nessuno avrebbe mai scoperto che lui aveva ripreso i sensi, anche se per pochi minuti. Nessuno lo avrebbe mai saputo.


 

...Atosh...


 

Che cosa era stato quel suono? Il ragazzo si stava per riaddormentare, ma quella specie di verso lo aveva trattenuto. Però in precedenza Satoshi aveva ipotizzato che non poteva udire nessun rumore, perché invece quello lo aveva sentito? Era come uno di quei segnali acustici simili a delle campane che si sentono in porto quando c'è la nebbia, per permettere alle navi di orientarsi e non andare a sbattere contro le banchine.

Non era stato un suono sgradevole, infatti. Sembrava una parola pronunciata con tanta dolcezza, una voce calda ed umana. E se era così, era evidente cosa essa aveva voluto davvero dire. Qualcuno doveva averlo chiamato per nome, impossibile fraintenderlo. Forse si erano accorti di qualche cambiamento nel suo stato di salute? Forse si erano resi conto che aveva ripreso parzialmente conoscenza, e pertanto lo volevano risvegliare? Però non era stata Satoko, il timbro di voce era quello di una ragazza più grande di lei. E tra l'altro a Satoshi non suonava neppure nuova, gli pareva di averla già ascoltata da qualche parte. Però era sparita troppo in fretta, non era durata abbastanza, aveva parlato per troppo poco tempo e lui non era sicuro di averla riconosciuta...

Avrebbe dovuto cercare di scoprire di chi si trattava? Ma per poterlo fare aveva solo due possibilità. La prima era sperare di poterla riascoltare, ma quello dipendeva solo dalla volontà di quell'altra persona: se questa avesse deciso di non riprovarci lui sarebbe rimasto con le pive nel sacco, quindi come strategia da seguire non era il massimo. E poi c'era la seconda alternativa.

Aprire gli occhi e verificare di persona.

Avrebbe mai trovato l'ardore di farlo? Se lo invocavano allora lo stavano aspettando, però... Una volta tornato nel mondo dei vivi non avrebbe più potuto tornare indietro e fingere di essere ancora in coma, avrebbe dovuto dare molte spiegazioni, e lui pensava di non essere ancora pronto per farlo. Tuttavia, aveva anche il presentimento che se non avesse colto al volo quest'occasione se ne sarebbe pentito per sempre... Quindi, che fare? Prendere il coraggio a due mani, oppure attendere un'occasione più favorevole? Satoshi ci pensò. Ma poi, sentì il fortissimo bisogno di uscire da quel limbo così buio. Se lo chiamavano, potevano anche avere bisogno di lui. Costi quel che costi, non era giusto lasciare qualcuno da solo nel momento del bisogno, le conseguenze non sarebbero importate. Quel senso del dovere era la sua più grande virtù, anzi forse era addirittura la sua unica dote, non poteva rinunciare anche a questa.

E quindi sollevò le palpebre, non arrendendosi di fronte alla loro incredibile pesantezza. Vincendo la resistenza del proprio corpo inerte, egli riprese finalmente a muoversi, issandole e tirando su come le ciglia se fossero delle pesanti tende da palcoscenico, dei drappi impolverati da aprire a costo di strapparli a viva forza. Stava tornando alla vita.

Ma anche così non poté vedere nulla. Prima ancora che la luce potesse raggiungere le sue pupille, due braccia si erano avventate su di lui, ed un corpo coprì il suo volto. Satoshi non riusciva a dire nulla, sentiva solo che chi lo stava abbracciando stava piangendo a dirotto, non era in grado di scorgere altro in quella posizione. Anzi, sul momento pensò di aver fatto la cosa sbagliata, credette che l'altra piangesse perché lui aveva commesso qualcosa di sbagliato nei suoi confronti. E ci volle non poco tempo, tra carezze e sorrisi da parte della persona in questione, prima che il ragazzo si rese conto di aver fatto la cosa giusta.

“Ah... Shion-chan... Sei tu...”

Satoshi provava un immenso calore, stretto al corpo di quella ragazza, e la sensazione gli piaceva. Lo faceva stare bene. Intanto, fuori dalla stanza in cui si trovavano c'era trambusto, c'erano infermiere e personale che stava avvisando tutti di quello che stava succedendo dentro. Satoko lì non c'era, ma le inservienti la stavano chiamando, lui le poteva sentire, e non sarebbe passato tanto tempo prima che lei avesse saputo la novità.

E quindi Satoshi richiuse gli occhi, ma non per morire o ripiombare nel sonno, tutt'altro. Voleva rimanere lì, con gli altri. Al peccato che c'era ancora nel suo cuore ci avrebbe pensato dopo, non era il momento di occuparsene, ora era il momento di rasserenare la propria anima. Sì, Satoshi ora si sentiva davvero a suo agio, come in paradiso.

L'aveva azzeccata, almeno questa volta. Già, probabilmente aveva fatto bene a svegliarsi.


 

  
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