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Autore: Valvonauta_    17/01/2014    4 recensioni
«Sento grida tutte intorno a me.
Urla, pianti, gente che corre, che si dispera e degli spari. La confusione più totale regna. Il panico si è impadronito di chiunque.
Non è la prima ma spero sia l'ultima volta.
Sono cieca, non vedo niente. Lo sono fin dalla nascita. Il mio migliore amico è il mio bastone. Lui c'è sempre stato, anche quando nessun’altro c'era, quando nessuno sembrava disposto a sobbarcarsi il peso della mia condizione. Siamo sempre stati in due a combattere contro il mondo dei vedenti: io e il mio bastone.
Ma mi rendo conto solo ora che non basterà a salvarmi da quello che intorno a me sta accadendo: l’inferno in terra.»
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daryl Dixon, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Paura cieca






Sento grida tutte intorno a me.
Urla, pianti, gente che corre, che si dispera e degli spari. La confusione più totale regna. Il panico si è impadronito di chiunque, senza lasciare margini di manovra alla razionalità.
Non è la prima, ma spero sia l'ultima volta.
Sono cieca, non vedo niente. Lo sono fin dalla nascita. Il mio migliore amico è il mio bastone. Lui c'è sempre stato, anche quando nessun’altro c'era, quando nessuno sembrava disposto a sobbarcarsi il peso della mia condizione. Siamo sempre stati in due a combattere contro il mondo dei vedenti: io e il mio bastone.
Ma mi rendo conto solo ora che non basterà a salvarmi da quello che intorno a me sta accadendo: l’inferno in terra.
Sono pietrificata.
Il soldato che mi stava accompagnando, quando è scattato l’allarme, mi ha lasciata qui, abbandonandomi a me stessa.
"Signora, devo andare, stia un attimo qui, torno subito" ma poi è iniziato il delirio e nessuno si è più presentato.
Dove sono? In un aeroporto, lo so. Questo lo so, almeno questo sì. Me lo hanno detto i soldati, i nostri Gloriosi Marines.
So anche di essere seduta in questo preciso momento su di una panchina, di ferro per giunta: ne sento la ruvida freddezza sotto il mio tocco.
Prima l'allarme, poi le urla improvvise che hanno squarciato il pacifico silenzio della disperazione degli umani e il terrore è calato come una macchia d'olio travolgendo ogni cosa. Appena è iniziato tutto - o per meglio dire, ricominciato - mi ci sono aggrappata a quella panchina. Una mano lì e l'altra stretta intorno al bastone.
Sono terrorizzata, come tutti, ma io a differenza loro dove posso andare, cosa posso fare per provare a salvarmi? Ho paura. Paura dei morti che resuscitano.
Si, so anche quello. So dei morti.
E la mente non può che volare all'inizio di questo Regno dei Morti. La prima volta che ne sentii parlare ero in casa, da sola come sempre: io accanto al camino spento, il mio cane Sandy accucciato sui piedi, a darmi tranquillità.
Il silenzio regnava sovrano tranne la musica classica dei Duetto di Fiori che mi sfiorava le orecchie. Sentivo il calore del sole pomeridiano arrivarmi sulla pelle, attraverso le tende della vetrata.
Era una di quelle belle giornate estive, che io tanto amavo.
Quei momenti di ozio di cui io non potevo fare a meno, data la mia condizione di cieca, e che avevo imparato a sopportare e perfino ad apprezzare.
L'adattamento umano è ciò che ci fa evolvere, no? Ci si fa il "callo" alle cose.
All'improvviso, quel bellissimo pomeriggio, una voce ruppe l'incantesimo della musica:
“Attenzione! Attenzione! Attenzione! Annuncio importante! L'Istituto Superiore di Sanità dello Stato Federale degli Stati Uniti d'America ha rilevato il propagarsi di una pandemia mortale. Ripeto: una pandemia mortale. Tutti i cittadini americani sono pregati di evitare di uscire di casa, di sbarrare finestre e porte ed evitare ogni contatto con gli Infetti. Gli Infetti sono..." La voce si interruppe un attimo per poi riprendere meno atona di prima, più incerta. "Riconoscibili dallo stato di decomposizione che li caratterizza e sono estremamente pericolosi. In caso ne vediate uno segnalatelo alle autorità e non provate a combatterlo. Ripeto: non uscite di casa a meno che non sia necessario. Lo Stato è già attivo nel controllo della pandemia e i nostri migliori scienziati sono all'opera. L'America è con voi."
E lamusica proruppe di nuovo nella stanza, così com'era scomparsa.
Questo fu il primo di un susseguirsi sempre più catastrofico di messaggi, che dolorosamente richiamavano sempre più i tanto famosi bollettini di guerra.
Da noi, a Pauls Valley, in Oklahoma, la Pandemia, all'epoca del primo messaggio, ancora non era arrivata. Una vicina, la Signora Clarkson, il giorno del primo annuncio venne da me, come faceva varie volte a settimana per tenermi un po' di compagnia - era una zitella casalinga e non aveva granché a cui pensare - e disse che erano tutte precauzioni che lo Stato si prendeva per evitare che venissero accusati di sottovalutazione del morbo e quindi, parole sue, si stava "parando il culo".
Una settimana dopo ritornò, tremante, dicendomi che lei aveva paura, che se ne andava di lì per sempre e sbrigativamente mi disse 'addio' baciandomi entrambe le guance.
Ci misero due giorni a preparare tutto. Sentii una sera, verso mezzanotte, il furgone del marito fare bruscamente retromarcia nel vialetto e sfrecciare via, per chissà dove. Dalla casa di fronte non provenne mai più alcun rumore e così, la mattina dopo, quella a destra. In quei giorni molte macchine e vociare ci furono in quella strada. Un continuo via vai.
Quindici giorni dopo la partenza della donna, ventisette giorni dopo il primo annuncio, gli assistenti sociali che mi distribuivano le vettovaglie e medicine e si erano presi cura di me con tanta solerzia e affetto in tutti quegli anni non si fecero più vedere. Uno dopo l'altro sparirono.
"Signora, domani ci vediamo, come sempre" ma col passare dei giorni sentivo le loro voci farsi più insicure e paurose. Nessuno ebbe mai il coraggio di dirmi quello che stava davvero succedendo: "Ma no, stia tranquilla non è niente. E' tutto sotto controllo."
Mi ritrovai sola per giorni. Urlai dalla finestra ai vicini sulla mia sinistra. Loro non mi risposero - nonostante sentivo dei rumori provenire dalla casa, anche se flebili - e allora, esasperata, uscii di casa per recarmi da loro, Sandy al fianco e il bastone in mano. Conoscevo quella casa e quel vialetto come le mie tasche. Da quanto ero infante ho imparato a conoscerne le particolarità e i pericoli, giorno dopo giorno, forse meglio di chiunque altro vi sia mai risieduto.
La voce dell'uomo che mi venne in contro era del Signor Gonzalez, il padre di famiglia proprio di quella casa, che mi urlò contro: "Signora si chiuda in casa, per l'amor di Dio! Non esca! E non faccia uscire neanche noi!"
L'uomo mi aiutò a barricarsi in casa per quanto possibile, lasciando la porta di casa senza protezioni, ma installandovi un chiavistello bello pesante.
"Ho sbarrato tutto tranne la porta. Questa è la chiave, signora Miller. La sente?"
Me la mise in mano: "Io mi dispiace, ma devo andare. Non apra a nessuno che non conosca. E che Dio sia con lei."
"E' tutto vero?" chiesi sperando che qualcuno finalmente mi dicesse qualcosa.
L'uomo stava per andarsene ma, a quella domanda, ritornò indietro. Percepii distintamente il suo fiato smorzarsi.
"Ho parenti a Seattle... Non ho più avuto notizie. Le linee telefoniche ed internet per quella zona sembrano non esistere più. Temo sia tutto vero."
"Ma qua ancora non..." insistei.
"Lo scopriremo presto, signora Mitchell. Molto presto. Se potrò tornerò, glielo prometto. La prego, mi lasci andare dalla mia famiglia." La sua voce era una supplica.
"Vada, vada" lo incoraggiai.
Mi rinchiusi in casa come ordinato. Cercai di non farmi prendere dal panico: era inutile, oltre che sciocco.
Pensai al vicino e a quanto fosse stato gentile: aveva messo tutte le scorte di cibo in cucina, a portata di mano, e anche i medicinali per la gotta, che mi doleva tanto.
Sandy nei giorni successivi si fece più inquieta, ogni tanto abbaiava - quasi ululando - e non stava ferma neanche un secondo. Era sempre stata una pigrona, fin da cucciolo, eppure aveva iniziato a girovagare per casa, senza trovare pace. Sperai con tutto il cuore che fosse perché percepiva il mio stato di angoscia, e ne fosse influenzata.
Un mese dopo l'ultimo annuncio: "L'Esercito..." Il segnale della radio andava e veniva da giorni. "L'Esercito degli... Rifugi...  Tutti ai rifugi... Se ne avete possibilità.... Atlanta. Atlanta. Aiuti ad Atlanta."
Il segnale radio si interruppe del tutto trentuni giorni dopo il primo annuncio e le radio non si rifecero più vive.
La strada trafficata sulla quale vivevo da anni, a Pauls Valley, non era che un deserto di cemento. Al massimo una macchina al giorno.
La notte del trentunesimo giorno delle urla sovrumane squarciarono il cielo.
Mi svegliai di soprassalto col cuore a mille. Da una parte e dall'altra urla e solo urla, anche se la maggior parte molto in lontananza. Sandy inquieta continuò a girare per casa, come uno spettro, ma non abbaiava. Ed era un brutto segno: si era ammutolita.
Prima delle urla poi altre ed altre ancora, sempre più vicine.
Mi misi vicino al camino, immobile, gli occhi inutilmente chiusi, con le lacrime che traboccavano senza sosta, pregando Dio, col rosario in mano. E vi stetti cercando di accarezzare Sandy che dalla paura, tremante come una foglia, cercava riparo tra le mie gambe.
Non ebbi il coraggio di avvicinarsi alle finestre per udire meglio.
Quella notte sentii vari scossoni alle porte e alle finestre, ma nessuno entrò.
La pandemia era tra noi e c’erano molti contagiati, sicuramente.
Si trasmetteva per vie aeree? Endovenosa? Contatto epidermico? Sesso? Come? Mai nessuno alla radio lo aveva detto. Perché chi era contagiato "attaccava l'uomo" come avevano detto ad uno degli ultimi bollettini?
Dopo un giorno ed una notte tutto si ammutolì, in un silenzio ancor più surreale di quello che lo precedette perché sapevo che molte meno persone erano vive, lo sentivo dentro, nel ghiaccio che la paura mi iniettava nel sangue. L'istinto me lo diceva, chiaro e forte. Grazie a Dio la cucina era proprio al centro dell'enorme maniero e mi sentivo abbastanza protetta in quel posto.
Un pomeriggio, dopo due giorni dalla Notte delle Urla, così l'avevo chiamata, rumori di aerei sorvolarono il cielo. Spari assordanti, rumori di cingoli, urla di uomini, strusciare di stivali.
Corsi verso la porta per quanto le mie gambe malferme me lo permettessero.
E come già capii un altoparlante ronzò: "Marina degli Stati Uniti D'America. Siamo qui per aiutarvi."
"Aiuto! Aiuto!" urlai aggrappandomi alla porta, aprendo i vari chiavistelli per quanto le mie mani cicciotte e tremanti permettevano.
Anche Sandy riacquistò la voce, abbaiando.
Quanto era intelligente quella cagna. Un amore, ed è stata al mio fianco per ben dieci anni.
Subito sentii dei passi avvicinarsi, molti passi, che si fermarono davanti alla porta sbarrata.
"Signora, Signora, sta bene non è ferita?" chiese qualcuno.
Qualcun altro urlò a gran voce: "C'è una donna viva!"
"No, no" risposi al primo e riuscii ad aprire la porta e la spalancai.
Qualcuno mi puntò un fucile alla tempia, ne sentii il freddo contatto: "Si spogli, ora"
"Perché?" chiesi totalmente confusa e paralizzata. Che fossero sciacalli? Che fossero i contagiati che parlavano?
"Dobbiamo controllare se è ferita. Si sbrighi o se no la lasciamo qui a marcire" intimò il solito.
"Aspetta, ma questa è cieca!" esclamò qualcuno davanti a me, molto vicino, tanto che sentii l'aria smossa dalla mano dell'uomo che mi passava davanti alla faccia.
"Si spogli, ORA!" urlò sempre più forte quello che mi aveva puntato il fucile alla tempia.
Sandy digrignò i denti capendo il mio malessere e messa all'erta dai fucili e dalle grida rivoltemi.
La sentii abbaiare ferocemente.
"Calma Sandy cal..." Non feci in tempo a finire la frase che uno sparo sibilò accanto a me ed il silenzio che ne susseguì mi tolse il fiato, tramortendomi.
Iniziai ad urlare, incapace di controllarmi: "Che cosa avete fatto? La mia Sandy! Sandy! Sandy! Oh, Sandy, vieni qui, Sandy! Perché?"
Per poco non caddi in ginocchio dalla disperazione. Cercai di tastare il corpo del mio amato animale, ma quello che le mie mani saggiarono era solo la liscia consistenza della pelle degli stivali dei soldati.
L'uomo di prima mi ripuntò la canna del fucile alla testa.
Il Soldato continuò nelle sue intimidazioni, sempre più minaccioso: "Ti ho detto di spogliarti vecchia decrepita o se no fai la fine del tuo adorato cagnolino"
Io, piangendo, ubbidii e qualcuno con un po' di cuore rimasto mi aiutò nell'impresa, alzandomi in piedi.
Dai rumori avevo calcolato che dovevo avere almeno dieci persone intorno a me.
Pensai a Sandy, alla fine che aveva fatto, a tutto quello che avevamo passato insieme in quegli anni, all'affetto e alla forza che mi aveva dato, con una sola musata sulla mano o una leccata sulla guancia.
Nuda come un verme mi controllarono, rigirandomi come una marionetta senza fili, mentre continuavo a piangere incontrollata.
"Ok, è a posto" decretò quello che doveva essere il capo.
"Venga con noi" mi disse il soldato che aveva reso pubblica la mia cecità.
Strattonandomi, velocemente, mi fecero salire su un cingolato, issandomi di peso in tre.
Ed eccomi qua, dopo quattro ore di viaggio in cui mi hanno raccontato tante cose, in un aeroporto, in partenza per un rifugio che nessuno sa dov'è e la cui ubicazione i soldati non vogliono svelare.
Dopo tutto quello che ho passato speravo che l'Esercito fosse la salvezza, l'ancora a cui aggrapparsi. 'The Saint are Coming' recitava una canzone sull'Uragano Katrina. Chi meglio dei soldati può proteggerti? E se neanche loro ce la fanno? Non sai più che fare.
Ed io invece di correre come una cretina sto qua: ormai che ho da perdere? Io cosa posso fare? Sono una stupida anziana di sessantacinque anni cieca, una cieca che non sa come sono i colori del mondo. E di questo in questo momento ringrazio Dio perché posso evitare di guardare il giudizio universale, vederne la crudeltà.
Cosa posso fare io, contro quello che mi circonda?
Lo Stato Sovrano ha fallito.
"L'America è con voi" ed io invece sento solo la Morte, che mi stringe a se sempre più forte.
Sento i sospiri dei Non-Morti, come li chiamano i Soldati, sempre più vicini. Quel loro strusciare disumano sul pavimento. Solo a sentirli ho i brividi, brividi freddi.
Ok, sono pronta.
Lascio andare il bastone dalla mia presa.
Prendetemi.
Sono vostra.
Ho paura, ma non morirò da vigliacca.
Eccone uno. Si avvicina. Lento, ma si avvicina. Sembra farlo apposta, sembra voler allungare il momento, dilatarlo fino all'inverosimile per far in modo che io soffra il più possibile.
Mi ha puntata e so che finché non mi avrà non si darà pace.
Improvvisamente un lacerare di… qualcosa.
Poi una mano forte sulla pelle nuda del braccio che mi afferra e mi mette in piedi.
"Tu chi sei?" chiedo con voce tremante.
Il mio Angelo Custode.
Lo percepisco accucciarsi e un attimo dopo il mio bastone è di nuovo tra le mie mani.
"Daryl Dixon, signora, ma può chiamarmi Daryl se preferisce."
Percepisco che sta sorridendo.
"La prego, mi segua."


Spazio autrice:
Ovviamente non potevo non mettere Daryl in una ff su TWD! Sarebbe stato un affronto! E che affronto!
Mi sembrava un peccato, almeno lui ce lo volevo mettere! Ai tempi dell'inizio della Pandemia non sappiamo che facesse di preciso quindi l'ho inserito! ;)
E' la mia prima ff su questo telefilm. Era da tanto che volevo comporla e finalmente, dopo mesi, sono riuscita a trovare il tempo e l'ispirazione giusta. 
Questa one shot è finalizzata a vedere l'inizio della pandemia in un modo tutto nuovo, da parte di una povera donna anziana, di cui non sapremmo mai fino in fondo il destino. Amen.
Alla fine mi piace il risultato. Spero anche a voi!
Alla prossima ff,
Valvo
   
 
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