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Autore: mikchan    19/01/2014    7 recensioni
Cosa succede quando, per caso, una ragazza un po' svampita e un ragazzo un po' impiccione iniziano a litigare?
[...] "La mamma non ti ha insegnato l'educazione?", esclamai, incrociando le braccia al petto.
Lui prese un tiro dalla sigaretta. "Certo. Ma non è mica colpa sua se hai lasciato la finestra aperta".
"Potevi andartene", ribattei arrossendo di vergogna.
"E perdermi il tuo spettacolino?", mi provocò.
"Brutto maleducato", sbottai. "Non sei molto diverso dai vecchietti che abitano qui intorno e che si piazzano sul balcone a fissarti ogni volta che passi".
"Mi stai dando del vecchietto?", esclamò lui, sorpreso.
"Perché, non lo sei? Si vedono fino a qua quelle belle rughe".
"Ma quali rughe? Hai le allucinazioni, mia cara". [...]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di guardoni, papere e fumetti'
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DI GUARDONI, PAPERE E FUMETTI

27 agosto, sabato
L'acqua calda della doccia mi colpiva con forza le spalle, distendendo i muscoli dopo una giornata così faticosa. Tra il caldo opprimente di fine agosto e il lavoretto di baby-sitter che avevo trovato per raccimolare qualche soldo, ogni sera tornavo a casa sfinita e sudata.
Quel giorno, però, avevo in programma una serata speciale. Sarei uscita come al solito con i miei amici, ma Alessia, la mia migliore amica, nonché epica compagna di banco, mi aveva assicurato che ci sarebbe stato anche Andrea, il ragazzo dietro cui sbavavo da mesi interi. Al solo pensiero di stare per ore in sua compagnia, tutta la stanchezza era svanita, sostituita dalla frenesia e dal nervosismo.
Uscii in fretta dal box doccia, avvolgendomi nell'accappatoio e strofinandomi i capelli con l'asciugamano. Sorrisi tra me, sentendo arrivare alle mie narici il buonissimo odore del nuovo balsamo che avevo comprato. Mi infilai la biancheria e poi sgattaiolai in camera, lasciando cadere sul letto l'accappatoio e aprendo l'armadio, alla ricerca della combinazione perfetta.
Dalla finestra aperta entrava la tipica brezza gentile di fine serata e mi ritrovai a sorridere di nuovo, dandomi poi della stupida. Afferrai qualche canottiera, dei pantaloncini, gonne e un vestitino, appoggiano anche essi sul letto, pronta a passare l'ora successiva a scartare abbinamenti.
L'ultima cosa che mi sarei aspettata una volta voltatami, però, era di incontrare uno sguardo decisamente di troppo.
Ma che cavolo...
Cacciai un urlo, accucciandomi sulle ginocchia per fare in modo che il muro mi potesse coprire.  
Cosa cavolo ci faceva un ragazzo sul balcone di uno degli appartamenti della palazzina davati alla mia, che fino al giorno prima era stato per giunta vuoto? E per che cavolo non me ne ero accorta subito, evitando di dare spettacolo in quel modo? E, soprattutto, perché cavolo quel tipo non aveva distolto lo sguardo, continuando invece a godersi quello che stava vedendo con quel sorriso sornione che gli avevo visto sulle labbra?
Che cavolo era, un guardone?
E cosa ci faceva un guardone sul balcone davanti alla mia finestra?
Gattonai fino all'armadio, aprendolo quel poco da riuscire ad afferrare una maglia qualsiasi e infilarla in fretta, sentendo la rabbia montarmi dentro.
Che razza di pervertito.
Mi alzai di nuovo in piedi, affacciandomi alla finestra e trovandolo ancora lì, con una sigaretta in bocca e quel sorriso da schiaffi sulle labbra. Rimasi un attimo a guardarlo, sorpresa: accidenti se era carino! Capelli castani, abbastanza corti, due occhi scuri e penetranti anche a quella distanza e due spalle da paura. Avrà avuto intorno a vent'anni, un paio in più di me che avevo compiuto i diciotto qualche mese prima.
"La mamma non ti ha insegnato l'educazione?", esclamai, incrociando le braccia al petto.
Lui prese un tiro dalla sigaretta. "Certo. Ma non è mica colpa sua se hai lasciato la finestra aperta".
"Potevi andartene", ribattei arrossendo di vergogna.
"E perdermi il tuo spettacolino?", mi provocò.
"Brutto maleducato", sbottai. "Non sei molto diverso dai vecchietti che abitano qui intorno e che si piazzano sul balcone a fissarti ogni volta che passi".
"Mi stai dando del vecchietto?", esclamò lui, sorpreso.
"Perché, non lo sei? Si vedono fino a qua quelle belle rughe".
"Ma quali rughe? Hai le allucinazioni, mia cara".
"No, no", insistetti. "Hai delle rughe proprio qua", dissi indicandomi il centro della fronte. "E scommetto che quell'accenno di stempiatura non è un miraggio".
"Ma sei scema? I capelli sono rasati apposta lì".
"Scema a chi, guardone?".
"Non sono un guardone", ribatté.
"A me poco fa sembrava il contrario, sai? Dove hai nascosto il cannocchiale?".
"Non ho bisogno del cannocchiale, ci vedo benissimo".
"Beh, dai, almeno non sei così decrepito come pensavo".
"Evidentemente sono decrepito per te, ragazzina che porta ancora i reggiseni con Paperina".
Arrossii, abbassando lo sguardo. Accidenti a me e a quei reggiseni che non avevo la forza di buttare, perchè troppo comodi. Lo sapevo che prima o poi mi avrebbero fatto fare una figuraccia. Che poi, per qualche motivo avevo indossato il reggisendo di Paperina per uscire con Andrea? Che cretina...
"E scommetto che hai anche le mutandine abbinate", continuò, aspirando di nuovo alla sigaretta per poi spegnere il mozzicone nel posacenere messo sul davanzale.
"Questo conferma solo la mia tesi che ti vede come vecchio guardone", sbottai.
"Ho detto solo la verità", si difese. "E poi ti ripeto che non sono un guardone: sei comparsa all'improvviso, non potevo non guardare".
"Che significa che non potevi non guardare? Ti avevano incollato le palpebre, per caso? Oppure sono così bella da averti lasciato senza fiato", lo provocai di nuovo, cercando di non scoppiare a ridere.
"Ma non dire sciocchezze, ragazzina. Piuttosto sono rimasto orripilato dal reggiseno di Paperina", insistette.
"Che hai contro Paperina? Hai per caso la papero-fobia?".
"Papero-fobia?", ripetè. "Che razza di parola è?".
"Non sviare la domanda, stupido".
"Ma hai appena inventato una parola!".
"E con ciò? È per caso vietato?".
"No, ma papero-fobia non esiste. Magari intendevi l'anatidefobia, ovvero la paura che da qualche parte ci sia un'anatra che ti osservi".
"Non fare il sapientino", sbottai. "E poi, che paura scema".
"Sei tu che l'hai tirata in ballo".
"Veramente io parlavo di papere".
"Papere, anatre... siamo sempre lì".
"Vedi che non sei poi così sapientino?", esclamai.
"Sarai un genio tu, Miss Papero-fobia".
"Ho sparato a caso", mi difesi. "Mica conosco tutto il vocabolario come te, Mr Anati-qualcosa".
"Si dice anatidefobia. Hai bisogno dello spelling?".
"Veramente ho bisogno che tu ti tolga da quel balcone e mi lasci preparare in santa pace", ribattei.
"Il balcone è mio e ci faccio quello che voglio".
"Almeno voltati e non guardare in camera mia, maleducato".
"Cosa ci posso fare se la tua finestra è sulla mia lunghezza di sguardo?".
"Distogli lo sguardo. O cavati gli occhi e poi mangiali".
"Che schifo", esclamò. "Perché dovrei mangiarmi gli occhi?".
"Non ho detto che devi farlo".
"Invece sì".
"Era un'ipotesi. Puoi sempre distogliere lo sguardo".
"E se non volessi".
"Saresti costretto a rivedere il reggiseno di Paperina. Sicuro di voler correre questo rischio?".
"Oddio, ti prego, no!".
"Maleducato!", esclamai. "Paperina non ti ha fatto nulla".
"Niente in contrario. Solo che preferirei non averla in mezzo. Sai com'è, intralcia la vista".
"Pervertito", sbottai arrossendo. "Ti sembrano cose da urlare così?".
"Stiamo urlando da una casa all'altra da tempo e solo ora ti fai problemi?".
"Ah, come sei esasperante. E anche stupido, oltre che un guardone pervertito".
"Qualche altro insulto? Così, per completare la lista giornaliera".
"Perché, vecchio, stupido, guardone, pervertito non ti bastano?".
"Direi che avanzano anche. Ne vuoi un po'?".
"Non fare il simpatico", esclamai. "E poi non si rifiutano mai i regali. La mamma non ti ha proprio educato, eh".
"Beh, almeno so cos'è l'anatidefobia".
"E chissene frega. E poi papero-fobia è più divertente".
"Sì, ma non esiste".
"Questo lo dici tu".
"In realtà lo dice il dizionario, sai".
"Non dire sciocchezze. Tra qualche anno sarà il termine più usato".
"Hai una sfera per vedere il futuro, per caso?".
"No, ma se il mondo sarà popolato da persone come te che odiano Paperina non vedo altra soluzione".
"Tu sei tutta scema, te l'ha mai detto nessuno?".
"Sì, ogni giorno. Ora mi fai i favore di voltarti?".
"No".
"Sì".
"No".
"Sì".
"Obbligami".
"Con piacere", esclamai, voltadomi alla ricerca di un oggetto abbastanza pesante da arrivare dall'altro lato e fargli male. Afferrai una pallina da tennis, residuo dei giocattoli di mio fratelli sparsi in tutta la casa, e, dopo avere preso la mira, la lancia verso di lui. Peccato che la cosa fu prevedibile ed ebbe il tempo di spostarsi e schivare il tiro, guardando la pallina rimbalzare sul suo balcone.
"Ma sei scema? Potevi uccidermi".
"Esagerato. Per una pallina da tennis".
"Non scherzare. Fa male una pallina da tennis in faccia".
"Ma se nemmeno ho fatto centro, sulla tua faccia".
"Ah, quindi volevi colpirmi?".
"Beh, l'idea era quella. Mica tiro palline a caso, sai com'è".
"No che non lo so. Ognuno ha i suoi hobby".
"Beh, il mio non è quello di tirare palline, sappilo".
"Interessante. Una domanda: la rivuoi la pallina?".
"Tienitela: meno ne abbiamo in casa, meno casino farà mio fratello con esse".
"È un invito a ridartela, sai?".
Alzai le spalle. "Fai come vuoi".
"Okay", eslcamò, abbassandosi di scatto e rialzandosi subito dopo, lanciando allo stesso momento la pallina nella mia direzione. Cacciai un altro urlo, scostandomi quel poco da non farmi beccare in faccia e facendomi colpire sulla spalla.
"Ma sei scemo? Mi hai fatto male", sbraitai, massaggiandomi la parte lesa.
"Non dire stupidate. Non ti ho fatto nulla".
"Non eri tu che dicevi che una pallina da tennis fa male?".
"Sì, ma in faccia".
"E meno male che mi sono spostata, allora", esclamai. "Mi avresti cavato un occhio, accidenti".
"Ma ti pare? Come fa una pallina a cavare un occhio?".
Sbuffai. "Può e basta. Senti, mi sono stufata. Addio, vecchio guardone", dissi voltandomi e facendo per chiudere la finestra.
"Aspetta", mi richiamò.
Mi voltai per metà, facendogli segno di continuare.
"Io sono Daniele", si presentò sorridendo.
Abbozzai un sorriso. "Io Marianna. Mary per gli amici, quindi non per te".
"Scusa per la pallina", disse lui, ignorando la mia frecciatina.
"Dovresti scusarti per aver guardato un po' troppo", sbottai.
"Non ho fatto nulla di male", insistette.
"Convinto tu", dissi. "Ciao", conclusi, chiudendomi poi la finestra alle spalle.
Tirai un enorme sospiro, sentendo il cuore battere all'impazzata. Che cos'era appena successo? Perché mi ero messa a discutere in quel modo con uno sconosciuto? E perché cavolo mi ero anche divertita?
Lanciai uno sguardo all'orologio e sussultai. "Merda, sono in ritardo", esclamai, vestendomi in tutta fretta e uscendo di casa senza nemmeno asciugarmi i capelli.
Quella serata fu strana, decisamente diversa da come me l'ero immaginata.
Parlai molto con Andrea, ma non riuscivo a smettere di pensare a quel tipo e all'adrenalina che mi era corsa in corpo durante tutta quella strana discussione.

12 settembre, lunedì
Come ogni singolo giorno, ero in ritardo.
Per giunta, quello era anche il primo giorno di scuola.
Entrai a razzo nell'istituto, ignorando le urla delle bidelle e fermandomi solo per controllare dove fosse la mia classe quell'anno. Continuai poi la mia corsa, salendo le due rampe di scale con il fiatone e trovando tutti i corridoi già deserti.
Arrivata davanti all'aula presi un respiro profondo, cercando di calmare il respiro e il battito del cuore. Dopodiché, bussai alla porta ed entrai.
"Marianna, che sorpresa", mi accolse il professore lanciandomi un'occhiataccia.
Abbozzai un sorriso. "Mi scusi, mi sono svegliata tardi".
"Come se fosse una novità", borbottò, riferendosi al mio pessimo vizio. "Forza, siediti lì in mezzo".
"Perché i banchi sono tutti divisi?", chiesi incamminandomi verso il posto libero dietro ad Alessia, che mi sorrise dispiaciuta.
"Lo stavo appunto spiegando prima che m'interrompessi", disse lui spazientito. "Quest'anno abbiamo deciso di adottare questa nuova divisione dei banchi in modo da diminuire le distrazioni e le chiacchere".
Annuii, sedendomi al mio posto e appoggiando lo zaino per terra.
Alessia si voltò verso di me. "Mi dispiace, Mary. Volevo tenerti il posto accanto al mio, ma non ci sono riuscita", si scusò.
"Non importa", le sorrisi. "Siamo comunque vicine".
"Bene", continuò il professore, facendo girare Alessia di scatto. "Come potete vedere, c'è un nuovo compagno di classe. Vuoi presentarti?".
Un nuovo compagno di classe? Non me ne ero accorta quando ero entrata.
Il ragazzo alla mia destra si alzò in piedi e sobbalzai quando lo guardai finalmente in viso.
Merda.
"Ciao a tutti. Io sono Daniele e vengo da Verona. Mi sono trasferito a Milano con la mia famiglia qualche settimana fa e abito qua vicino".
"Puoi sederti", gli disse il professore. "Comunque, frequentavi lo stesso indirizzo anche nell'altra scuola?".
Lui annuì. "Sì, vengo da un liceo scientifico".
"Perfetto. Allora non avrai problemi".
"Lo spero", disse lui.
Poi, probabilmente attirato dal mio sguardo fastidiosamente puntato su di lui, si voltò verso di me e sgranò gli occhi. "Tu", esclamò.
"Sono io che dovrei dire "tu". Cosa ci fai qui?".
"Tu cosa credi?", ribatté.
"Mah, magari hai sbagliato strada mentre andavi a fare il guardone da qualche parte".
"Ancora con questa storia?", sbottò.
"Fino all'infinito", lo rasicurai.
"Che gran piacere", commentò ironico, alzando gli occhi al cielo.
"Ripeto: che ci fai qui?".
"Mi sembri stupida", borbottò.
"Stupida a chi?", esclamai.
"A te, Paperina. Ho appena spiegato cosa ci facco qui".
"Sì, ma sei più grande", esclamai sicura. Dai, non sembrava affatto un liceale!
Lui agrottò le sopracciglia. "E quando te lo avrei detto?".
Alzai le spalle. "Era ormai appurato che fossi un vecchietto. Non pensavo che facessero entrare a scuola gente come te".
"A me preoccupa di più che abbiano fatto entrare una che crede nella papero-fobia".
"Visto che te la ricordi?".
"Difficile dimenticarsi una stupidata simile".
"Non è una stupidata", ribattei.
"Certo, come no".
"E non osare alzare gli occhi al cielo mentre parli con me", esclamai, puntandogli un dito contro.
"Piantala di urlare, Papera".
"Le papere non urlano".
"Ancora peggio, allora".
"Senti, stupido guardone, tu no...".
"Ma allora!", urlò il professore, sbattendo con forza il registro sulla cattedra per attirare la nostra attenzione.
Mi guardai intorno, incontrando gli sguardi divertiti dei miei compagni di classe e quello spazientito del professore e arrossii. Mi ero fatta prendere la mano, dimenticando dove fossi e lasciandomi trasportare dalla stessa adrenalina che mi aveva scombussolata settimane prima, quando avevamo discusso la prima volta.
"Mi scusi", dicemmo insieme.
Ci guardammo in cagnesco. "Non mi copiare", esclamammo all'unisono.
"Sei tu che copi me", dissi.
"Semmai il contrario, mia cara".
"No, fidati".
"Certo, co...".
"Piantatela!", urlò di nuovo il professore, mentre la casse scoppiava in una sonora risata. "Sembrate due bambini", esclamò fulminandoci con lo sguardo. "Non tollero altri siparietti del genere, vi avverto".
"Mi scusi", ripetemmo, di nuovo insieme.
Ci lanciammo un'altra occhiataccia, ma rimanemmo zitti.
Il professore sbuffò, passandosi una mano sulla fronte. "Bene, possiamo iniziare a correggere i compiti delle vacanze".
Con un sospiro, presi il quaderno di matematica dalla cartella e lo aprii sul banco. Qualche minuto dopo mi arrivò un bigliettino dal banco davanti. Facendo attenzione a non farmi vedere, lo aprii.
"Che cavolo è successo poco fa? Come fai a conoscerlo?"
Sospirai di nuovo, prendendo una penna e iniziando a scrivere.
"È il mio nuovo vicino di casa, l'ho conosciuto qualche settimana fa. Dopo ti racconto".
Piegai di nuovo il foglietto e, dopo aver attirato l'attenzione di Alessia con un calcio sotto la sedia, glielo passai. Il professore mi chiamò alla lavagna a correggere un esercizio e, quando tornai al posto, vidi lo stesso biglietto nell'astuccio. Lo aprii e sotto le due precedenti frasi ce n'era un'altra.
"E tu conscevi un pezzo di figo simile e non hai detto nulla?".
Alzai gli occhi al cielo. Che esagerazione. Daniele era bello, ma non... okay, era effettivamente un gran pezzo di figo. Gli lanciai un'occhiata di sbieco. Era davvero un bel ragazzo, dovevo ammetterlo, ma aveva un non-so-che che mi faceva innervosire parecchio ogni volta che apriva bocca. Avevo il bisogno di controbattere e avere l'ultima parola e, nelle uniche due volte che ci eravamo parlati, non ne era uscito nulla di buono. "Dopo ti racconto",
scrissi semplicemente, rinviando il bigliettino ad Alessia, che sbuffò.
Le due ore successive passarono lente e noiose. Matematica, chimica e inglese, l'inizio perfetto per un nuovo anno scolastico. Fortunatamente presto suonò la campanella dell'intervallo e, come ogni anno da quando avevamo iniziato a frequentare quella scuola, io e Alessia ci piazzammo alla finestra del corridoio.
"Forza, racconta", mi incitò.
Io sospirai e le raccontai quello che era successo quel pomeriggio di fine agosto, comprese le battute sul mio reggiseno e la pallina da tennis.
"È molto bello", commentò la mia amica.
Alzai un sopracciglio. "Sì, ma è maleducato. E anche un guardone".
"Avete una buona intesa, voi due", continuò lei.
"Ma se ci siamo solo insultati".
Alessia scosse la testa. "Dovevate vedervi. Sembrava che aveste studiato le battute a casa e steste ripetendo il copione, come due attori. Anche nel rispondere al professore, avete detto la stessa cosa simultaneamente".
"È stato un caso", borbottai.
"Per due volte?".
"Un doppio caso".
"Non essere sciocca", mi riprese, dandomi una pacca sulla spalla.
"Anche se fosse, cosa dovrei fare?", sospirai.
"Provare a parlarci normalmente. Ci sarà qualcosa che piaccia ad entrambi".
"Di certo non Paperina", mugugnai.
"Piantala con questa storia, dai. Prova a parlarci senza insultarlo. Magari scopri che è anche simpatico".
"Non lo so, Ale. Ogni volta che apre bocca mi viene il desiderio di ribattere e avere la meglio".
"Sei sempre stata competitiva".
"Ma mai così tanto".
La campanella suonò ed entrambe sbuffammo. "Tu provaci", disse semplicemente.
Io annuii, seguendola verso la classe. Dovevamo trovare un punto in comune, mi ripetei.
Come poteva esistere un punto in comune con chi non amava Paperina?
Eppure, appena entrai in classe, capii che quello era possibile.
"Oddio", squitii, portandomi una mano davanti alla bocca.
Lui alzò lo sguardo da quello che aveva in mano e mi guardò interrogativo. "Hai il singhiozzo?".
"Quello... quello", mormorai, avvicinandomi al suo banco. "Oddio, quello è...è".
"Sei diventata stupida? È un manga".
"So cos'è. Ma quello è... oddio, non ci credo. Tu stai leggendo davvero Kuroshitsuji".
Daniele sgranò gli occhi. "Tu conosci Kuroshitsuji?", esclamò sorpreso.
"Se lo conosco? Io lo adoro!", urlai e mi immaginai con gli occhi a cuoricino e lo sfondo pieno di rose.
"Non ci posso credere!", esclamò Daniele. "Sei la prima ragazza che conosco a cui piace Kuroshitsuji".
"Non sanno quello che si perdono", mormorai sognante.
"Puoi dirlo forte".
"Che volume è?", gli chiesi curiosa.
"Il dodici. Sono rimasto un po' indietro con la lettura".
"Io l'ho finito di leggere su internet perché i tempi di attesa erano troppo lunghi".
"Lo so, però non ho voglia di leggerli in inglese, non ci capisco nulla".
"Se vuoi ti spoilero il finale".
"Non osare", esclamò fulminandomi con lo sguardo. "Altrimenti ti riempio di palline e ti brucio il reggiseno di Paperina".
"Lascia stare Paperina".
"E tu non spoilerare nulla", mi minacciò.
"Tranquillo", dissi alzando le mani in segno di pace. "Cos'altro hai letto?", gli chiesi poi.
"Un po' di cose. Bleach, Full Metal Alchemist, Death Note, Shaman King, Fairy Tail, Toradora".
"Toradora?", squitii di nuovo, congiungendo le mani e sgranando gli occhi.
"Certo. È fantastico".
"Oddio", mormorai.
"E tu?".
"Più o meno gli stessi che hai nominato. Poi anche qualcosa più da ragazza, tipo Kodocha o Lovely Complex, Bukura ga ita o un manga che ho trovato online che mi ha fatto frignare dall'inizio alla fine".
"Bello?".
"Fantastico. Si chiama Koizora".
"L'ho già sentito, sai?".
"Davvero? Oddio, sei sempre più simpatico!".
"Non allarghiamoci troppo, Paperella", disse ridendo.
"Non chiamarmi Paperella", sbottai.
"Perché no? È carino, fa pensare a un animale un po' stupido e piccolino. Come te, insomma".
"Non sono piccola", esclamai.
Lui alzò un sopracciglio. "Suvvia, non vorrai dire di essere alta".
"Ma non sono nemmeno bassa", m'impuntai.
"Ma se sei un puffo".
"Piantala con questi soprannomi, Guardone".
"Anche tu mi affibi dei soprannomi, quindi non vedo perché non dovrei farlo io".
"Perché mi da fastidio".
"Da fastidio anche a me, sai?".
"Sappi che stai perdendo punti", sbottai incrociando le braccia.
"Tu sappi che li hai persi nel momento in cui hai indossato un reggiseno di Paperina".
"Non li riguadagna nemmeno Kuroshitsuji o Toradora?".
"Forse".
"Buongiorno, ragazzi". Entrambi ci voltammo verso la porta e facemmo silenzio nel vedere l'insegnante dell'ora successiva, ovvero quella di fisica.
Questa donna, in tutta la scuola, era conosciuta come Satana. Non era male come professoressa, ma era gelida come un ghiacciolo d'inverno. E, soprattutto, mi metteva un'ansia indescrivibile.
Andai a sedermi e tenni per tutta l'ora lo sguardo basso, timorosa che mi potesse chiamare a correggere qualche esercizio.
Tuttavia presto la mia mente incominciò a vagare e mi ricordai che, nel giro di due settimane, ci sarebbe stata la prossima Fumettopoli. Senza farmi vedere, strappai un pezzo di foglio, ci scrissi velocemente sopra e lanciandolo a Daniele quando la professoressa si voltò. Il biglietto mi tornò poco dopo e lo lessi subito.
"Domenica prossima, Fumettopoli. Ci sei, vero?".
"E lo chiedi anche?".
Abbozzai un sorriso, accartocciando il figlietto in mano.
Quel primo giorno era stato decisamente particolare. Avevo finalmente conosciuto il mio nuovo vicino di casa, avevo appurato che fosse un idiota e che adorassi discuterci e, soprattutto, avevo scoperto che era appassionato di fumetti, proprio come me.
Decisamente un buon inizio anno.
"Ehi, Paperella", mi chiamò Daniele alla fine dell'ora. "Alla fiera ti vestirai da Paperina?".
"Non sono una Paperella, brutto idiota".
Eh, sì. Proprio un buon inizio.




Okay, non so esattamente da dove sia uscita questa cosa. Non so nemmeno se faccia minimamente sorridere, oppure se è una cagata pazzesca.
Fatto sta che, qualche mese fa, qualcuno mi disse che sarei stata in grado di scrivere qualcosa di divertente e, dopo averci rimuginato un po', è uscito questo. Io lo pubblico comunque, anche se fa pena: guardatelo come un esperimento di una povera mentecatta che non ha voglia di studiare filosofia.
Comunque, credo siano doverosi un paio di appunti. La scena del balcone è più o meno vera. In realtà non è mai successa, ma, come la protagonista, io abito in un appartamento e la mia camera si affaccia su una palazzina di nuova costruzione, con degli appartamenti ancora vuoti. E, come la protagonista, ho il brutto vizio di cambiarmi in camera, senza nemmeno chiudere le tende, sapendo che, tanto, non mi vede nessuno. Così un giorno ho pensato: e se qualcuno aprisse quella finestra proprio mentre io mi sto cambiando, che figura di cacca sarebbe?
Seconda cosa. So bene che, oggi, le cose "comiche", riguardano principalmente solo i doppi sensi, ma, personalmente, non mi entusiasmano molto. Piuttosto adoro i siparietti stupidi, della serie Lovely Complex, se sapete di cosa parlo. Ed è proprio a quello che mi sono ispirata, anche se non credo che sia uscito come doveva.
Terza cosa: quella lista di nomi di manga sono quelli che ho letto io o che comunque conosco. Se non li conoscete non importa, non influisce sulla comprensione della storia (non che ci sia molto da comprendere, in ogni caso).
Bene, credo di avere detto tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate, se è una cagata immane o se sono riuscita a farvi sorridere almeno un po'. In ogni caso, io mi sono divertita a scriverla.
Mikchan
  
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