Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Wren    05/06/2008    10 recensioni
Un pranzo coi parenti Kurogane non riesce proprio a sopportarlo, così batte in ritirata. Ed incontra qualcuno.
[KuroFay leggera leggera]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Una piccola storiella senza pretese per esorcizzare quelle tremende giornate al ristorante con il parentado che non la smette di pontificare!











“Oh, non hai ancora trovato un lavoro? Il figlio del mio vicino di casa si è già trovato diversi lavoretti per racimolare un po’ di soldi…”
“Frequenti ancora la palestra di kendo? Non potresti impiegare il tempo per qualcosa di più… utile?”
“Leggi ancora quei tuoi strani fumetti? Non sei un po’ troppo cresciuto? Trovati qualcosa da fare più adatto alla tua età, sarebbe ora!”
Kurogane infilzò con la sua forchetta da antipasto la mozzarella al latte più grande che riuscì ad individuare e la ingoiò nel minor tempo possibile. Nel giro di pochissimo divenne pallido e cominciò a sentirsi male.
“Devo andare al bagno…” si scusò sbrigativamente, alzandosi da tavola.
“Quel benedetto ragazzo... Sarebbe ora che mettesse la testa a posto, non sa nemmeno prendersi cura di se stesso…”
Il ragazzo si allontanò quanto più velocemente poté dalla tavolata, verso le scale che portavano al piano inferiore ed ai bagni del ristorante. La sua intolleranza ai latticini gli fece torcere dolorosamente lo stomaco, ma almeno l’avrebbe salvato dai commenti fastidiosi dell’esercito dei suoi parenti.
Doveva imparare a regolarsi meglio coi suoi diversivi però, perché a fatica raggiunse i servizi prima di dare di stomaco. Fu abbastanza spiacevole, eppure nemmeno in quel momento restare a tavola con quegli avvoltoi gli sembrava un’opzione migliore. Quando fu sicuro che il suo stomaco avesse smesso di rivoltarsi, si alzò tirò su lentamente, azionò lo sciacquone e ciondolò intontito fino ai lavandini. Non aspettò nemmeno di controllare se l’acqua fosse fredda o calda, si riempì le mani del getto e si sciacquò abbondantemente la faccia, sperando di eliminare il doloroso cerchio alla testa che gli era venuto. Allungò una mano alla cieca, alla ricerca di un asciugamano o di un tovagliolo di carta per asciugarsi il volto.
Trovò un rotolo di carta assorbente e strappò tre quadrati tutti attaccati senza nemmeno rendersi conto che, tecnicamente, quel rotolo non sarebbe potuto essere dove l’aveva trovato, a meno che non stesse volando.
“Dovresti far finta, sai? E’ molto più sano…”
Kurogane ebbe uno scatto di sorpresa, riemergendo dai tovaglioli di carta e trovandosi davanti un'altra persona della quale non aveva minimamente avvertito la presenza.
Era un ragazzo, per essere precisi, di una spanna più basso di lui, capelli biondi e assolutamente disordinati, due occhi azzurri che lo guardavano con aria scherzosa e un sorriso che seduta stante lo mandò in bestia.
“Non sono fatti tuoi!” gli rispose stizzito, strappando dal rotolo che il ragazzo teneva in mano un’altra striscia di carta.
“Guarda che lo dico per te, io lo faccio sempre, in queste occasioni!” rispose quello, per niente intimorito dal suo atteggiamento scontroso.
Kurogane lo squadrò ancora un po’ con aria truce, mentre tentava di asciugare i ciuffi di capelli che si erano bagnati sfregandoci sopra la carta.
“Non mi piace raccontare balle.” rispose, gettando i tovaglioli umidicci nel cestino.
“Capisco…” commentò l’altro, per poi cominciare a ridacchiare, scarsamente nascosto dietro una mano.
A Kurogane cominciò a saltare qualche nervo.
“Si può sapere che c’è da ridere?” sbottò, avanzando con aria minacciosa verso l’oggetto delle sue ire.
Lui non arretrò né diede alcun segno della minima preoccupazione, continuò a ridacchiare finché Kurogane non gli fu davanti. Alzò lo sguardo su di lui e, senza perdere la sua ilarità, gli poggiò una mano tra i capelli.
“COS-???”
Prima che il panico per quel gesto improvviso (e del tutto irrispettoso del suo spazio personale!), il ragazzo gli scompigliò la capigliatura, facendo cadere una pioggia di frammenti di carta sul pavimento.
“Spero non fosse tua intenzione ritornare dai tuoi con tutti quei coriandoli in testa…” rise ancora il ragazzo, spazzando via dalla sua testa gli ultimi rimasugli del tovagliolo.
Sul momento Kurogane non seppe cosa rispondere. Quel tizio si stava comportando da idiota, ma gli aveva tecnicamente fatto un favore, quindi non se la sentì di strillargli ancora dietro. Si risolse per continuare a fissarlo con aria torva.
“E’ meglio che torni al tavolo, o mangeranno la foglia! Siamo solo all’antipasto, sarebbe strano assentarsi così tanto così presto!” gli disse lui, con aria pensosa, ignorando la scontrosità del suo interlocutore.
“…sei un esperto per caso?” gli chiese Kurogane, con aria scettica.
Il ragazzo sfoggiò un sorriso compiaciuto e assentì con la testa. “E’ il frutto di anni e anni di esperienza!”
“Bah…” sbuffò Kurogane, avviandosi verso l’uscita del bagno.
“Ci vediamo nell’intervallo tra il primo e il secondo?” gli domandò ancora il ragazzino, correndogli davanti per sbarrargli la strada. “Sai, starsene al bagno da soli, non è divertente…”
“Cosa ti fa pensare che io avrò ancora bisogno del bagno?” si risentì Kurogane. Quel tizio presumeva troppo.
“Se non hai resistito nemmeno fino alla fine degli antipasti, dubito che riuscirai a tirare fino alla fine del pranzo senza un’altra scappatella!” gli rispose con un sorriso furbo il ragazzo, dandogli un colpetto sulla punta del naso con un dito. “Non preoccuparti di star male di nuovo, ho un piano infallibile!”
Prima di lasciargli il tempo di infuriarsi, girò i tacchi e corse verso le scale che portavano al ristorante.
“A proposito!” aggiunse, voltandosi quando era già sul primo scalino. “Mi chiamo Fay!”
Solo quando fu completamente sparito dalla sua vista, Kurogane si accorse di essere rimasto a fissarlo come un ebete. Si diede un pugno sulla fronte per questo.

*

Tornando al tavolo, il suo orgoglio l’aveva convinto a dimostrare all’idiota che si era sbagliato. Avrebbe resistito, eccome! Avrebbe sopportato tutto il resto del pranzo senza battere ciglio.
Nonostante la sua ferrea volontà, però, cominciò ad augurarsi di veder spuntare una testolina bionda da qualche parte vicino al suo tavolo quando ancora aveva parecchi tagliolini nel piatto. Una prozia aveva cominciato a dargli il tormento perché “non si era ancora trovato una ragazza, avrebbe dovuto cominciare ad uscire un po’ la sera, come tutti gli adolescenti normali”.
Dannazione! Ma perché non si facevano un po’ i fatti loro???
Cercava di sfogarsi infilzando i tagliolini, con scarsi risultati, quando improvvisamente il loro tavolo subì uno scossone, i bicchieri tintinnarono, un paio di posate caddero per terra e una vocina sofferente sussurrò un debole “scusatemi”.
Kurogane alzò lo sguardo dal suo piatto e vide un paio dei suoi parenti aiutare con aria preoccupata un ragazzino che non sembrava sentirsi molto bene e che era quasi svenuto addosso al loro. Era lui. Era l’idiota del bagno.
“Tutto bene, figliolo?” domandò una cugina acquisita.
“Sì… è davvero gentile a preoccuparsi…” Il suo sorriso era stentato, il suo tono estremamente gentile, ma affaticato. “…è solo un capogiro… la mia pressione mi tira spesso questi brutti scherzi…” Uno scintillio azzurro, di una vitalità del tutto fuori posto con il resto del suo aspetto, balenò in direzione di Kurogane. “…scusate se oso chiedere… non è che qualcuno potrebbe accompagnarmi in bagno?”
“Beh, certamen…” fece per rispondere la cugina, ma Kurogane si era già alzato in piedi e aveva raggiunto l’altro ragazzo.
“Ci penso io.” annunciò, mentre già lo portava via.
“Oh…” incespicò lui, aggrappandosi al suo braccio. “Non so se ce la faccio a camminare…” gli disse con debolmente, ma con un sorriso divertito riservato a lui soltanto.
Kurogane maledisse l’idiota e se lo caricò in spalla, sotto lo sguardo perplesso di un cameriere.
“Però… non immaginavo che Kurogane fosse così gentile…” si stupì una zia a caso.
“Sei contento adesso?” sibilò Kurogane, imboccando le scale che portavano ai bagni.
“Sei fortissimo, sai? Ti chiami Kurogane?” domandò il suo peso, ritrovando la salute improvvisamente ed agitandosi giulivo sulla sua spalla.
“Mh” mugugnò Kurogane.
“Posso chiamarti Kurorin?”
Kurogane lo gettò per terra, sperando che la prossima volta che avesse sentito dolore in quella voce, sarebbe stato per davvero.

*

Nonostante l’inizio poco incoraggiante, la pausa-bagno fu più piacevole del previsto. L’idiota aveva continuato imperterrito a chiamarlo in modo del tutto indecoroso, si comportava da imbecille anche se gli dava l’impressione di non esserlo affatto (e questo lo mandava in bestia! Che senso aveva fare lo stupido apposta?!), ma almeno non gli faceva domande idiote e non gli dava il tormento…
“Allora, Kurotan! Parlami di te! Chi si cela dietro questo burbero fuggiasco da ristorante?”
Kurogane sentì un tic nervoso colpirgli la tempia destra. Evidentemente anche questo decerebrato gli avrebbe fatto domande idiote e gli avrebbe dato il tormento. Eppure, tolta il nervoso che l’atteggiamento dell’altro ragazzo gli provocava, non provava nessuna sensazione opprimente, nessun bisogno di cambiare aria per non soffocare. Quasi era contento di aver qualcuno contro cui esternare il suo nervoso.
“Piantala di parlare come un cretino!”
“Awww… dopo tutto quello che ho fatto per te, così mi ringrazi?” piagnucolò l’altro.
“Ma smettila!” borbottò Kurogane, sedendosi con un balzo sul ripiano sul quale erano incastonati i lavandini.
“E di cosa parliamo allora?” gli chiese Fay, saltando al suo fianco con un sorrisone carico di aspettativa.
Kurogane lo guardò storto per una manciata di secondi prima di rispondergli.
“Come mai non ti trovi bene coi tuoi parenti?”
“E chi ti ha detto che non mi trovo bene coi miei parenti?”
Kurogane pensò che prima della fine di quell’interminabile pranzo, avrebbe tirato un pugno in testa a quell’idiota. Quell’aria da finto tonto gli faceva prudere terribilmente le mani.
“Ti rintani qui fingendo di star male per sport?” gli domandò acidamente.
“Si possono fare un sacco di incontri interessanti in bagno!” gli rispose l’altro, facendogli l’occhiolino.
Ora Kurogane aveva proprio voglia di strozzarlo.
“E tu invece, Kurochibi? Sei un pooovero bambino maltrattato, costretto a fuggire in bagno perché i suoi parenti lo seviziano?”
“Ma no! E’ che oggi i miei non sono venuti e quindi tutta quella gente, invece di lasciarmi in pace, pretende che io faccia conversazione! Cavolo! E’ mamma quella che fa conversazione, non io!” sbottò Kurogane.
“E perché i tuoi non ci sono?”
“Perché mamma è incinta e uscire l’affatica. E quell’infame di mio padre se ne è approfittato, dicendo che rimaneva a casa ad occuparsi di lei! E così mi hanno spedito qui da solo!”
Solo quando ebbe finito di rispondere si rese conto che il ragazzino l’aveva fatto parlare con l’inganno. Dannazione! Si era lasciato fregare!
“Che meraviglia!!! Anche io ho un fratellino, sai? E’ utilissimo per sfuggire alle riunioni familiari!” stava dicendo intanto Fay, battendo le mani tutto contento.
Kurogane inarcò un sopracciglio. “Cioè?”
“Beh…” il ragazzino gli sorrise con aria cospiratoria. “Liberati dopo il dolce e vieni a cercare il mio tavolo, che te ne do una dimostrazione!”

*

Dopo il misterioso invito del ragazzino, non ricordava come, erano finiti a bisticciare. O, per essere più precisi, l’idiota doveva aver detto l’ennesima scemenza, il vaso aveva traboccato e Kurogane aveva cercato di porre fine a quell’inutile esistenza con un manico di scopa trovato provvidenzialmente appoggiato al muro. A quel punto, Fay aveva fatto un commento su quanto Kuro-sama fosse bravissimo a maneggiare una spada. Ignaro del doppio senso che certamente era stato pronunciato apposta, Kurogane aveva rivelato con un sorrisetto compiaciuto di essere campione regionale di kendo. Inspiegabilmente, erano passati dal rincorrersi con scopi omicidi e scappare a sedersi sul ripiano dei lavandini a parlare dei loro hobby e dei loro passatempi.
Kurogane aveva narrato con dovizia di particolari (e forse qualche piccola esagerazione) la faticosa scalata fino al podio del torneo del mese precedente e i durissimi allenamenti che avrebbe affrontato per prepararsi a dovere per le competizioni nazionali, mentre Fay si era sbizzarrito a raccontare degli esperimenti che faceva al club delle scienze durante il doposcuola (anche se Kurogane sospettava che la storia dell’aver riempito la stanza di una nebbiolina rosa e glitter fosse una palla), delle lezioni di violino che prendeva e della sua ambizione di suonare musica più moderna di quella che era costretto ad imparare per esercizio. Avevano scoperto di essere entrambi appassionati di manga, sebbene i titoli di loro preferenza differissero per la maggior parte: Fay aveva una predilezione preoccupante per le storie horror, tragiche e particolarmente tristi, mentre Kurogane apprezzava di più la presenza di armi e combattimenti. Nonostante ciò, entrambi avevano un posto speciale nel cuore per i robottoni, primo grande amore fumettistico, al quale erano rimasti legati anche a distanza di anni. E tutti e due avevano convenuto che certi autori di loro comune conoscenza erano veramente dei gran bastardi!
A metà di un’accesa discussione, che avrebbe dovuto determinare se l’uso del Death Note per la creazione di un nuovo mondo fosse o meno una buona idea, Fay era saltato giù dal ripiano, realizzando che si erano trattenuti troppo e che era meglio tornare in fretta al tavolo. Kurogane lo raggiunse trafelato, un po’ per la corsa e un po’ per l’inseguimento di prima, e tutti i suoi parenti si voltarono verso di lui per regalargli un’occhiataccia inquisitoria.
Durante il secondo, Kurogane rispose solo con cenni della testa ai discorsi della zia che gli stava seduta accanto, troppo impegnato a cercare nuove motivazioni per convincere quella testa di rapa che la fine di Angel Sanctuary non aveva nessun senso.
Sarebbe volentieri sparito prima del dolce, ma Fay aveva detto che non si sarebbe schiodato dal suo tavolo prima di aver finito il dessert, quindi gli toccò aspettare per altri lunghissimi minuti, fissando disgustato il tortino che trasudava impunemente cioccolato nel suo piatto. Non capì per quale strano impulso lo fece scivolare di nascosto nel suo tovagliolo, prima di alzarsi in piedi quando finalmente il momento fu propizio per allontanarsi dal tavolo.
“Vado a prendere una boccata d’aria. Qui non si respira.” annunciò, sparendo prima di sentire anche il minimo mormorio sul suo inaccettabile comportamento.
Dovette gironzolare parecchio per l’enorme sala prima di scorgere tra i tavoli la testa bionda che cercava e quasi non la riconobbe.
Quello non era un luogo dove la confusione era ben vista, ma il ronzio della conversazione a mezza voce aleggiava sopra ogni tavolo, animando il pasto. Al tavolo di Fay c’era silenzio. Completo ed assoluto silenzio. Stavano tutti seduti dritti e rigidi, con gli occhi chini sul proprio piatto ed un’aria torva che oscurava i loro volti. Che diavolo era quello? Un funerale?! Persino Fay se ne stava zitto e fermo, come spento.
A Kurogane non piacque per niente quello che vide. Se il suo pranzo in famiglia era un inferno, quello cos’era?
Fay continuava ad alzare furtivamente lo sguardo per darsi un’occhiata intorno. Quando incrociò lo sguardo col suo, fece per dire qualcosa, come se avesse voluto chiamarlo attraverso la sala, ma si trattenne.
“Fay! Stai composto!” lo rimproverò severamente un uomo dalla barba grigia e la faccia più torva di tutte.
“Sì, zio.” rispose meccanicamente Fay. Poi fece un movimento impercettibile e si sentì un rumore straziante provenire da dietro al tavolo.
“Fay! Porta fuori tuo fratello, i suoi strilli sono insopportabili!” ordinò ancora una volta l’uomo barbuto.
Senza dire una parola, Fay si alzò e si diresse verso l’uscita, spingendo un passeggino. Fece un cenno da lontano a Kurogane e lui lo seguì, finché non si incontrarono davanti alla porta a vetri che dava sul giardino. Uscirono in fretta e furia, respirando a pieni polmoni l’aria aperta, il profumo della libertà!
“Andrà avanti per molto?” domandò Kurogane, guardando storto il bambino che frignava a pieni polmoni nel passeggino.
“Uh… no, aspetta…”
Fay si chinò davanti al passeggino, prese la manina del bambino e gli sorrise. “Ora basta, va bene così!”
I pianti si interruppero, gli occhioni azzurri del marmocchio si aprirono dubbiosi, per poi accendersi in un grande sorriso. Fay si voltò verso un Kurogane perplesso, con uno sguardo soddisfatto.
“Ho insegnato a mio fratello a piangere a comando!” gli spiegò, orgoglioso.
Kurogane pensò, ammirato, che avrebbe dovuto assolutamente farsi insegnare quel trucco, per quando avrebbe avuto un poppante a disposizione anche lui.

*

Il lussuoso ristorante era solo uno dei molti optionals che il Circolo cittadino offriva ai suoi soci. Oltre ad esso, sparsi per il verde parco di prato all’inglese, c’erano diversi campi sportivi, due piscine ed un parco giochi, dove lasciar sfogare gli associati più piccoli.
Kurogane si era fatto convincere a spingere il passeggino sul sentiero sterrato che percorreva l’immenso giardino, fino a raggiungere il parco giochi deserto, dove si erano impossessati delle altalene ed avevano piazzato il marmocchio in una vasca di sabbia. Il bambino, ancora troppo piccolo per camminare, cominciò a trascinarsi sulle ginocchia, cercando di raggiungere una farfalla a scapito del suo vestitino elegante.
“Non si sporca facendo così?” chiese Kurogane, senza vera preoccupazione.
“Sì, è questa l’idea!” replicò Fay, tenendo d’occhio il fratellino.
“A mio zio verrà un colpo…” aggiunse poi con una nota sadica nella voce, che fece sorridere anche Kurogane.
Non aggiunsero altro, lasciarono che il silenzio del primo pomeriggio fosse spezzato soltanto dai gridolini, ora contenti, ora offesi, del bambino. Dondolandosi dolcemente con la punta dei piedi, Fay osservava tranquillamente gli sforzi di suo fratello Yuui, divertito dall’espressione concentrata che aveva mentre dava la caccia agli insetti. Non gli pesava il silenzio, non era opprimente come attorno al tavolo dei suoi parenti. Era quel tipo di pace che si respira quando non si sente il bisogno di parlare per sentirsi a proprio agio. Un silenzio caldo e soddisfacente. Era raro per lui non sentire il bisogno di sproloquiare per non sentirsi fuori posto in presenza di qualcun altro.
Kurogane, intanto, osservava Fay. E non capiva.
Quel tizio era fuori di testa, se gliene avessero parlato prima di incontrarlo, lo avrebbe evitato come la peste. Usava nei suoi riguardi un atteggiamento che detestava e, a quel punto, avrebbe dovuto stargli alla larga piuttosto che dondolare sull’altalena accanto a lui. Eppure, per quanto mettesse a dura prova i suoi nervi, lo incuriosiva.
Era strano, come non ne aveva mai incontrati. Dava continuamente l’impressione di non voler parlare delle cose veramente importanti, e per quanto a Kurogane non importasse un’emerita mazza dei fatti altrui, si scoprì a nutrire un insensato bisogno di sapere cosa ronzasse dentro quella testa bionda.
Fay piantò i piedi per terra e si diede una spinta più forte, imponendo all’altalena un’oscillazione più ampia.
“Guarda che non ti regge, sei troppo grande!” lo rimproverò Kurogane.
“Kuropin è invidioso perché, grosso com’è, non riuscirebbe a fare…” Si spinse con tutto il corpo in avanti, aumentando ancora l’andatura dell’altalena. “Questo!”
“Ehi! Smettila, si rompe!” Kurogane si alzò di scatto quando sentì la struttura cigolare, ma Fay continuò a dondolarsi con noncuranza.
“Se non scendi subito, ti faccio scendere a forza!” gli ordinò Kurogane, piazzandosi davanti all’altro, appena oltre la sua portata.
“Vuoi davvero che scenda?” domandò Fay, senza rallentare.
“Sì!”
“Davvero davvero?”
“Sì, dannazione! Sì!”
“Ok, Kurotan! Al mio tre!” e Fay si spinse più forte
“Uno…” un’altra spinta.
“..che stai..?”
“Due…” un’altra ancora.
“Oi… non vorrai…?”
“TRE!” e Fay lasciò andare la presa sulle catene dell’altalena e si lanciò in avanti.
Kurogane sgranò gli occhi, registrò appena il sorriso follemente soddisfatto di Fay, ma fece inconsciamente un passo indietro per prepararsi ad acchiapparlo al volo. L’idiota gli volò addosso a braccia spalancate, costringendolo a fare un altro passo indietro ancora, ma il suo piede inciampò su qualcosa e perse definitivamente l’equilibrio.
“’nghè!” protestò Yuui, quando la rovinosa caduta dei due nella vasca di sabbia sollevò un polverone e fece volar via la farfalla che stava curando da un po’.
Kurogane guardò malissimo Fay, mentre lui non fece altro che scoppiare a ridere di gusto.
“Sei completamente scemo!” gli disse, scuotendo la testa.
“Mi spiace!” si scusò Fay continuando a ridere. “Non ho saputo resistere alla tentazione! Mi piace l’altalena, è un po’ come volare!”
“Volare un corno! Potevi romperti l’osso del collo!”
“Potevo, ma non è successo, no?”
“Che razza di discorso-”
“Non ti sei fatto male tu, vero?”
Fu come se Fay si fosse reso conto di quella possibilità solo in quel momento, perdendo l’ilarità tutta di colpo e sollevandosi un poco e passandogli una mano dietro la testa per controllare se non si fosse ferito cadendo.
Kurogane, improvvisamente, avvertì l’intensa prossimità del corpo dell’altro, sensazione assolutamente inclassificabile di ansia, disagio ed aspettativa tutto insieme e gli venne il terribile dubbio che quello strano scombussolamento avesse qualcosa a che vedere col misterioso motivo per cui non aveva ancora mandato Fay a quel paese.
“Sto bene…” brontolò, alzandosi a sedere e costringendo Fay a scendergli di dosso. “Ma se per caso mi fossi fatto male? Non potevi pensarci prima?”
Fay rimase evidentemente colpito dal commento, il suo sorriso assunse una nota di colpevolezza.
“Non mi riesce facile… pensarci prima, intendo.” rispose mestamente. Suonava molto come un’offerta di scuse.
“E’ perché sei un idiota.” commentò Kurogane. Era il suo modo per dirgli che andava tutto bene, ma che non doveva rifarlo più.
“Guh!” strillò Yuui, gettandosi in mezzo a loro, in cerca di attenzione.
Fay sollevò il fratellino e se lo mise sulle ginocchia, facendogli dei versacci per farlo ridere e Kurogane si sorprese ad osservarlo di nuovo, pensando.
“Dovresti trovarti degli sfoghi meno pericolosi, se la tua famiglia è opprimente.”
Fay sollevò lo sguardo, impallidendo un pochino.
“Non ho nessun problema con la mia famiglia, ma sei carino a preoccuparti, Kuropuu!” rispose con noncuranza. “Anche Yuui lo pensa!” aggiunse prima di dargli tempo di rispondere.
Kurogane si ritrovò il bambino in braccio, zittito dal dubbio di cosa farne. Non poteva certo spingerlo indietro, non era colpa sua se aveva un fratello idiota, in fondo. Il bambino ricambiò il suo sguardo di panico con un’espressione curiosa.
“Kuhobù!” lo chiamò tutto contento, mettendogli le mani in faccia.
Fay rise e Kurogane cominciò a sospettare che l’idiozia fosse un male di famiglia.

*

La temutissima giornata al ristorante era agli sgoccioli, i suoi parenti e conoscente stavano recuperando borse, giacche e suppellettili vari, salutandosi con lo stesso entusiasmo che aveva pervaso le conversazioni al tavolo e, per la prima volta nella sua vita, Fay non era contento che fosse finalmente tutto finito. Cincischiò ripiegando il tovagliolo e guardandosi continuamente attorno.
“Hai finito?” gli chiese suo zio con aria scocciata.
Fay strinse il cellulare che teneva in mano e fissò l’uomo senza spiccicare parola, alla disperata ricerca di qualche scusa per trattenersi ancora un po’.
“Muoviti!” gli ordinò ancora lui, avviandosi già verso l’uscita.
Fay lo seguì lentamente, girando la testa da una parte e dall’altra, ma senza trovare ciò che sperava di vedere.
Erano usciti dal ristorante ormai. Era tardi. Era stato uno stupido, avrebbe dovuto farlo quando era ancora in tempo.
Erano già sul vialetto che portava al cancello ed al parcheggio, quando si bloccò.
“Devo andare in bagno!” annunciò.
Suo zio si voltò con aria accigliata. “Non puoi aspettare finché non arriviamo a casa?”
“No. Non posso.”
Questa era una novità. Normalmente quello sguardo dello zio era sufficiente per fargli chinare la testa ed obbedire. Fay si sentì spropositatamente fiero di sé.
“Vedi di muoverti, ti aspettiamo in macchina.” gli concesse lo zio, voltandogli le spalle.
Fay sfrecciò indietro sui suoi passi, ma non rientrò mai nel ristorante. La persona che cercava aveva corso fino alla porta e lì si era bloccata, vedendolo arrivare.
“Kurorin!” si sorprese il ragazzo. Improvvisamente non sapeva più che dire. Strinse il cellulare più forte. “Vai da qualche parte?”
“E tu?” chiese l’altro.
“Io… devo andare in bagno!” rise Fay.
“Come tutte le altre volte?”
Fay sorrise e si diede dello stupido per la milionesima volta. Era tornato indietro per quello e ora che stava facendo? Cominciò a giocherellare nervosamente con il ninnolo tintinnante appeso al suo cellulare.
Kurogane sbuffò e gli strappò, con sua grande sorpresa, il cellulare di mano. Senza degnarlo di uno sguardo, cominciò a digitare sulla tastiera per qualche secondo, finché un altro telefonino non cominciò a suonare. Nella tasca dei suoi pantaloni.
“Tieni.” gli disse, restituendogli l’apparecchio.
Fay lo fissò sbigottito. Ci sarebbe stata bene una battutina, magari sarebbe riuscito a farlo arrossire, gli avrebbe fatto piacere se il ragazzo fosse arrossito per lui. L’unico problema era che Kurogane sembrava molto convinto di quello che aveva fatto, lo fissava senza la minima ombra di imbarazzo e, sotto il suo sguardo, fu lui ad arrossire.
“Grazie..” sussurrò abbassando la testa e correndo via, in direzione del parcheggio.
Kurogane fu soddisfatto, il sorriso che aveva intravisto prima che Fay si dileguasse era stato un ottimo risultato.
In macchina, tornando a casa, Kurogane ripescò il proprio cellulare dalla tasca per aggiungere il numero della chiamata senza risposta che si era fatto dal cellulare di Fay alla rubrica. Non aveva neanche finito di confermare l’operazione che un trillo lo avvisò dell’arrivo di un sms.

Ho cambiato il tuo nome in rubrica!
Ora è KURO-BAU! ^__^ <3


E, nonostante l’indignazione momentanea per quel nuovo scempio di nome, Kurogane sorrise.



Owari




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