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Autore: Alvin Miller    21/01/2014    1 recensioni
A pochi mesi dall'incoronazione a Principessa di Twilight Sparkle, una legione di mostruose creature giganti emerse dal nulla minacciando di ridurre l'intero regno di Equestria a una nuvola di polvere.
Il primo attacco colpì Manehattan. Il secondo puntò a Baltimare. Il terzo insidiò Las Pegasus.
Quando anche Canterlot fu presa di mira, capirono che gli Elementi dell'Armonia non erano più sufficienti.
Per combattere i mostri chiesero aiuto a Bibski Doss, un ribelle inventore sopravvissuto al primo attacco, che creò dei mostri a sua volta.
La battaglia per il destino del regno è cominciata!
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Princess Celestia, Twilight Sparkle, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*NOTA INTRODUTTIVA*

“Con questa, mio caro lettore, ti prometto che non intendo logorarti con tediosi discorsi. Invece, ci tengo a farti partecipe di questa nota.

Questa è' la prima storia di MLP che scrivo, e ho deciso di farne un Crossover con Pacific Rim dopo aver visto e amato il film di Guillermo del Toro. Ebbene sì: sono tra coloro che l’hanno adorato!

Il punto è che nell’universo dei Brony e delle Pegasisters non esiste una sola idea che non sia già stata sfruttata da qualcun altro. Come fare quindi a renderla DIVERSA? Come posso convincerti a sacrificare il tuo tempo per me?

Ho quindi deciso di fare a modo mio, dando vita a una storia che si colloca perfettamente nell’universo di FIM, senza alterarlo nella sua sostanza, aggiungendoci però un WHAT IF: cosa succederebbe se una situazione SIMILE (MA NON UGUALE) a quella proposta da PR si scatenasse ad Equestria, come la affronterebbero i Pony? Le storie che ho letto a proposito hanno seguito la strada del copia-adattamento, mentre io ho voluto fare di più! Volevo presentarmi la MIA rivisitazione del tema. Chi ha visto il film noterà i richiami alla pellicola, ma si accorgerà anche che segue una narrazione totalmente differente, che lo accomuna solo a grandi linee alla storia che stai per leggere.

Ho creato dei personaggi originali inediti, e ho chiesto aiuto alla deviant Nightflyer22 (mia cara amica, che qui ringrazio segnalandovi il suo profilo http://nightflyer22.deviantart.com/) per aiutarmi a realizzarli, insieme al logo ufficiale della mia storia. Vedrete gli artwork in alcuni capitoli più avanti.

Inoltre, ho passato molto tempo a studiare attentamente i caratteri dei personaggi e delle ambientazioni, al fine di renderli fedeli agli originali dello show, e ho quindi provveduto a creare una storia che mai e poi mai potesse stonare con quello che in effetti è il cartone vero e proprio, limitandomi solamente a spingere di più sul lato drammatico, essenziale per il mio stile ma anche per la storia i sé. E per questo, spero che la comunità dei Brony, prima di chiunque altro, apprezzi il mio lavoro.

Concludo qui ringraziandoti per la pazienza. Mi rendo conto che non sono stato per niente breve, ma è un cliché comune a chiunque giurì di essere sintetico.

Il prologo che stai per leggere è lungo, davvero molto lungo, ma è stata una scelta necessaria al fine di introdurre la storia e i personaggi nel modo giusto.

Metto come Post Scriptum una dedica alla mia ragazza Laura (con il suo profilo EFP http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=142704/), che sa sempre confortarmi nei momenti di malinconia :)

E quindi auguro a te, paziente lettore, un buon divertimento!


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PROLOGO: Il primo attacco.


La saldatrice levitò in aria, lavorando con movimenti precisi e lineari, mentre dalla punta piogge di scintille infiammavano l’aria d’intensi lampi di luce ogni volta che avveniva il contatto con la superficie in metallo.

Il giovane unicorno che la reggeva indossava una maschera grigio-scuro con visiera oscurata, che ne proteggeva la vista dall’esposizione diretta.

Mentre nel laboratorio un team multirazziale di pony di terra, pegasi e unicorni operavano nelle loro mansioni, da sopra una passerella in metallo, a circa sei metri d’altezza dal pavimento, Bibski Doss osservava con scrupolosa attenzione l’operato del giovane unicorno.

«Correggi le giunture della valvola di pressione.» Lo ammonì.

Il giovane si fermò subito. «Dove ho sbagliato?»

«Dovresti dirmelo te, non pensi?»

L’unicorno si tolse la maschera con lo zoccolo, sollevandola sulla fronte per cercare con lo sguardo l’imperfezione che gli era sfuggita. A un’attenta analisi constatò che in effetti la saldatura in quel punto era stata effettuata con troppa approssimazione, e si sentì uno stupido per l’errore. Il suo capo, il pony che dall’alto della sua postazione lo teneva d’occhio, era riuscito a scorgerlo da quella distanza, quando invece lui non ne era stato in grado sebbene si trovasse a un palmo dal suo muso. Provvide subito a rimediare e si trovò a rimuginare ancora una volta sul profondo rispetto che nutriva giorno dopo giorno nei confronti di quel pony.

Bibski era il capo ingegnere e leader del laboratorio, un pony di terra adulto, ma di bassa statura, dal manto d’oro e criniera giada-scuro, con una sfumatura quasi tendente al nero, trasandata ma non abbastanza da apparire disordinata. Un personaggio bizzarro e per certi versi unico nel suo genere, che tra tanti alti e bassi nel corso della sua carriera, si era costruito un nome nel campo dell’elettronica d’avanguardia per merito delle sue invenzioni.

Si era arricchito vendendone i prototipi, con i ricavati dei quali aveva poi fondato la Reborn Technologies, il laboratorio che ora dava lavoro e, talvolta, alloggio a decine di pony che come il giovane unicorno sognavano di fare parte del grande Progetto di Bibski Doss. Un progetto maestoso, per certi versi quasi un’utopia, che avrebbe voluto vedere l’intero regno di Equestria sotto una luce completamente nuova, dove l’automazione regnasse sovrana in una società, quella di oggi, ancora basata sulla forza lavoro dei pony: sistemi d’illuminazione che non richiedessero più lo sfruttamento della bioluminescenza delle lucciole per illuminare le strade cittadine, mezzi di locomozione che non necessitassero più degli zoccoli di atletici stalloni da traino, e industrie che finalmente potessero funzionare senza imporre massacranti turni di lavoro ai pony operai. Questo e quant’altro erano i sogni di Bibski, o per lo meno, quelli portati allo scoperto dalla Reborn Technologies. Altre invenzioni, attualmente in fase di progettazione e in attesa di brevetto, rimanevano ancora avvolte nel mistero, parcheggiate e riposte nei magazzini della società, con scopi e finalità che spesso sfuggivano persino agli stessi addetti ai lavori, tenuti all’oscuro dei piani di Bibski, probabilmente per limitare quanto più possibile le fughe di notizie, in attesa della commercializzazione delle macchine.

Il giovane stava rimuginando su tutto questo quando la voce sarcastica di Bibski lo distolse dai suoi pensieri. «Frustrato, ragazzo?»

Il ritorno alla realtà lo fece tentennare. «C-come?»

«Credi che quel coso si aggiusterà da solo se resti lì imbambolato senza un perché a fissarlo per il resto della giornata?» Lo rimproverò con parole taglienti, facendolo sentire colpevole e indifeso.

Aveva ragione, aveva maledettamente ragione. L’unicorno avrebbe dovuto sentirsi onorato di essere parte di tutto questo, e darsi d’impegno per onorare la sua posizione, ma malgrado ciò, seguitava a commettere uno sgarro dopo l’altro. Prima con la saldatura frettolosa, ora perdendosi nei suoi pensieri.

«Forse vuole solo riposarsi.» La nuova voce giunse d’improvviso dalla destra, da un secondo stallone che si stava avvicinando a Bibski. Era Brightgate, un altro unicorno che era anche il braccio destro del pony di terra.

Si rivolse al giovane puledro ponendosi in tono gentile e comprensivo. «È da più di tre ore che sei a quel banco. Vuoi passare il turno a Desk Gear?»

Desk Gear, un paffuto pegaso color verde limone che nel mentre era impegnato in un’altra postazione, sentendosi pronunciare il nome, diresse subito l’attenzione al gruppo, appoggiando a terra la chiave inglese con la quale poco prima aveva stretto dei bulloni, e attendendo l’evolversi della situazione.

«No, no! Ce la faccio!» Si affrettò a precisare il giovane unicorno, trattenendo a stenti l’agitazione. Non gli andava di mostrarsi debole di fronte ai suoi superiori, tantomeno cedere il posto a un pony strampalato come Desk Gear. Una gelida goccia di sudore gli colò dalla fronte, imperlandogli il manto dalle guance fin sotto la base della bocca.

Desk guardò verso Bibski, attendendo istruzioni.

Con un gesto del capo il pony di terra gli fece cenno di tornare a lavoro, e con fare seccato si rivolse al giovane. «Come vuoi. Ma non combinare altri guai, o al primo difetto di progettazione, ti ci mando a nuoto a ripararlo!»

Brightgate al suo fianco trattenne malamente un sorriso: aveva appena udito quella che a tutti gli effetti altro non era che l’ennesima battuta di spirito di Bibski. Ma per il giovane, che in quei pochi mesi ancora non aveva avuto il tempo per metabolizzare gli atteggiamenti del suo capo, quella frase, detta con tono tanto arido, suonò come un ultimatum di morte.

Deglutì rumorosamente e si rimise immediatamente a lavoro, mentre dalla sua bocca un pesantissimo «s-sissignore» dovette lottare a forza per farsi strada nella coltre di paura.

Dopo un breve cenno, Bibski si avviò lungo la passerella, allontanandosi senza aggiungere altro, e seguendo a ritroso la direzione da dove giunse Bright. Questi, invece, rivolse al giovane un occhiolino rassicurante, grazie al quale riacquistò la carica sufficiente a riprendere la sua mansione.

Il puledro fissò il banco di lavoro, dove una grande carcassa di lamiere e circuiti, approssimativamente della stazza di un minotauro, attendeva di essere ultimata. Calò nuovamente sul volto la visiera e fece per riprendere il lavoro.

Intorno a sé il laboratorio era in fermento, con i pony che si spartivano i loro compiti. Alcuni tecnici monitoravano griglie di dati numerici che scorrevano su grandi monitor, pigiando con gli zoccoli sulle tastiere per alterare questo o quel parametro. Squadre di meccanici capitanate da tecnici e ingegneri montavano componenti in metallo, mentre gruppi di elettricisti qualificati si occupavano del cablaggio e dei circuiti degli impianti elettrici. Ogni gruppo seguiva il proprio ordine del giorno da fogli di carta sui quali erano appuntate le fasi di lavoro e le operazioni da svolgersi nell’arco della giornata. Come in una fabbrica, il laboratorio era diviso in tre reparti, molto pragmaticamente chiamati “A, B, e C”, disposti nella planimetria in posizione triangolare, con al centro una quarta sezione adibita agli uffici contabili, i camerini e la Direzione, che erano collocati al piano superiore della struttura.

Il “reparto A”, in cui il puledro lavorava, era costituito da una lunga sala in cui diversi impianti erano separati gli uni dagli altri da strisce colorate dipinte sul pavimento, o da spesse lastre di vetro rinforzato per garantire l’incolumità dei dipendenti laddove sussistessero rischi per la loro salute.

Sulle pareti e appeso al soffitto, un aggrovigliato reticolo di tubature e serpentine trasportavano gas di vario tipo e acqua ad alta pressione, che venivano poi pompati nei vari macchinari durante i cicli di lavoro.

Il giovane unicorno si fermò quando di fianco a lui sfilarono alcuni robusti pony, che con delle briglie stavano trasportando carrelli carichi di componenti metalliche verso un’altra ala del reparto. Quando tornò al suo incarico, si accorse che la punta arroventata della saldatrice era uscita fuori dal suo tracciato, delineando una terribile depressione sulla scocca della lamiera. In preda al panico, si affrettò per cercare di rimediare.

L’ammasso metallico faceva parte del guscio e di parte dell’elettronica interna di un sommergibile monoposto (da qui la battuta di Bibski sulle riparazioni a nuoto). Una volta terminate le saldature, la carcassa sarebbe stata trasportata in un secondo reparto, in cui un altro addetto avrebbe proseguito con la fase successiva dell’assemblaggio, fino al completamento dell’abitacolo. Da tempo si vociferava sulla possibilità di studiare la flora marina dei mari che circondavano Equestria, e Bibski Doss, come suo solito, aveva giocato d’anticipo concependo il primo mezzo adatto per l’occasione.  

Il sommergibile, un po’ come ogni invenzione che prendeva vita tra le mura della Reborn Technologies, era un vero prodigio dell’ingegneria d’avanguardia, ideato e sviluppato dalla visionaria mente di Bibski, che fin dagli albori della sua carriera aveva sempre curato in prima persona lo sviluppo delle sue macchine.

Grazie a quei brevetti, il laboratorio era cresciuto via via negli anni, attirando l’interesse anche delle più alte cariche del regno, tra cui rientravano le stesse principesse di Canterlot. Ma era tra i sudditi che si concentrava il vero flusso del passaparola, con interminabili liste di candidati che si mettevano in coda fuori dal complesso nella speranza di essere scelti per unirsi al team di pionieri al servizio del pony. Il lavoro di Bibski, però, non fu sempre accolto col medesimo entusiasmo, e dopo una lunga golden age che portò il loro nome alla ribalta, arrivò anche per la Reborn Technologies il momento di confrontarsi con la dura realtà del tracollo.

I sogni del pony spesso miravano a stravolgere le convenzioni sociali che secoli di oligarchia avevano impresso nella mente dei cittadini, e se da una parte le sue “creature” potevano sembrare audaci e rivoluzionarie, dall’altra furono accolte alla stregua dell’eresia. Una in particolare, divenuta malauguratamente nota in tutta Equestria, si palesò con l’entrata in scena del primo prototipo dell’Equalizzatore, un’invenzione che avrebbe dovuto ribaltare per sempre i limiti dell’attuale stile di vita dei pony, e che contro ogni pronostico, si era rivelata un clamoroso flop un po’ in ogni angolo del regno. L’Equalizzatore fu accolto come la più pungente prova delle aspirazioni sovversive di Bibski, al punto da attirare sulla Reborn Technologies le ire di quelle stesse personalità che in un precedente momento avevano tessuto le lodi del suo operato.

Venne dato il via libera ad una pesante propaganda di boicottaggio del lavoro dell’inventore, che convinse anche la popolazione a dare il ben servito alla grande visione di Bibski e alle sue geniali macchine. Ben presto le entrate del laboratorio iniziarono a diminuire drasticamente, e il budget per il mantenimento dei costi di produzione era ormai sopperito solo per mezzo dei risparmi dello stesso Bibski.

Il giovane puledro era stato assunto a cavallo del boom della crisi, prima che i suoi effetti cominciassero a farsi pesare, e come tutti la dentro, temeva per il suo futuro qualora la Reborn Technologies fosse stata costretta a chiudere i battenti.

L’unico a non aver apparentemente incassato la sconfitta era stato Bibski, la cui fervida fantasia aveva invece dato i natali a fascicoli interi di nuovi progetti, che non attendevano altro che prendere vita tra le scintille, i fili elettrici e le lamiere di metallo del laboratorio. Nessuno però si sarebbe aspettato una reazione diversa da Bibski: la tenacia inespugnabile del loro leader era famigerata in tutto il laboratorio e da sempre ne costituiva un punto cardine della sua personalità. L’inventore era sempre stato cocciuto fino al midollo. Un ottuso mulo testardo che nessuno avrebbe mai potuto schiacciare, neppure nella sconfitta più plateale.

Tra l’altro, era anche convinto che presto sarebbe arrivata per lui l’occasione di dimostrare a tutti il suo valore. Sarebbe entrato, diceva, fin dentro le mura di Canterlot, sbaragliando le truppe di guardie imperiali che gli avrebbero serrato la strada, e avrebbe sbattuto direttamente sul muso delle principesse Luna e Celestia la prova inconfutabile della superiorità del suo lavoro.

Quest’accesa convinzione era forse l’unica scintilla che ancora infondeva entusiasmo al suo team, che altrimenti avrebbe seguito l’esempio della popolazione, finendo per abbandonarlo un pezzo per volta agli stenti della sua stravaganza.  

Mentre il giovane unicorno tentava di porre rimedio al pasticcio che aveva combinato, si chiedeva se quel giorno sarebbe mai arrivato; se davvero la Reborn Technologies sarebbe rifiorita come ai fasti di un tempo.

Sfortunatamente, il giovane unicorno non immaginava che la risposta alla sua domanda non sarebbe mai arrivata, perché quello stesso giorno, venti minuti dopo quel breve scambio di battute con Bibski Doss… il giovane unicorno sarebbe morto.


Bibski e Bright entrarono nell’ampia sala del reparto B, dove altri gruppi di laboriosi pony compivano operazione non dissimili da quelle dei colleghi nei reparti accanto. Camminavano lentamente seguendo la stessa velocità di marcia e scambiando occasionalmente rapide occhiate con gli addetti ai vari banchi da lavoro.

«Il reparto C a che punto è con le turbine dello Skybreaker?» Domandò Bibski.

«Dovrebbero terminare l’installazione dei compressori in giornata, ed entro la fine della settimana passeranno ai primi collaudi.» Rispose prontamente Bright.

«So che hanno avuto dei problemi con l’ala destra, ma alla fine si era trattato solo di un paio di giunti allentati, niente di allarmante.»

«Sì, mi hanno informato. Tu piuttosto, non credi di essere stato un po’ duro col ragazzo? In fondo si sta rivelando un buon lavoratore… »

«Il novellino dici? Nah, con tutto il tempo che ha aspettato per convincerci ad assumerlo, ci vuole ben antro per mettere a terra quelli come lui. Ha la stoffa del vincente, me lo sento! E poi, è la nostra regola numero Uno, Bright. Se vuoi stare con noi devi prima imparare a sopportare il Capo, che per inciso eccomi, sono io!» S’interruppe per esibire un ghigno «Sopravvivrà a me, non ti preoccupare» e terminò con un occhiolino.

«Probabilmente hai ragione… » capitolò l’unicorno.

«Certo che ho ragione! Bibski non sbaglia mai: è la regola numero Due!»

«A proposito di regole… » lo interruppe Bright, ma non ebbe il tempo di parlare. Un secondo unicorno si materializzò di fronte a loro facendo levitare di fronte agli occhi di Bibski una cartella di fogli. Era Deepblue Whirl, che tutti chiamavano semplicemente “Blu”. Era il fratello gemello di Bright, identico a lui sotto quasi ogni aspetto: entrambi avevano un manto grigio cenere e una lunga criniera nera come la pece, in netto contrasto con il colore delle loro iridi: giallognole quelle di Bright e indaco Deepblue. Elemento che più di tutti spiccava nei due gemelli era la stazza, entrambi avevano un portamento imponente e atletico, e un’altezza quantomeno inusuale per dei comuni unicorni, che li facevano assomigliare a degli alicorni senza ali. I cutie mark di entrambi erano due anelli di forma ellittica, in cui il più grande si sovrapponeva al più piccolo nascondendolo in parte. Lo schema dei colori era l’unica differenza che distingueva un gemello dall’altro: nel cutie mark di Bright, l’anello maggiore era dello stesso colore dei suoi occhi, mentre azzurro scuro risultava quello minore. La stessa cosa nel fratello, con lo schema dei colori che semplicemente s’invertiva: colore blu dell’ellisse più grande, giallo acidulo la più piccola. Il significato dei cutie mark era evidentemente legato a una capacità in comune a entrambi. Un talento, anch’esso, unico nel suo genere.

Sebbene i tratti fisici tradissero la loro parentela, sull’aspetto caratteriale erano quanto di più diverso avesse mai messo zoccolo sul suolo di Equestria. Bright era il gemello loquace, con un portamento nobile e un’espressione sul volto che sapeva infondere sicurezza e fiducia in ogni situazione. Era anche un pony gentile e di buon cuore, come difficilmente se ne sarebbero potuti incontrare in giro. Doti che facevano di lui una personalità sempre molto amata e rispettata.

Blu, invece, era completamente l’opposto. Amava la solitudine e dedicarsi a incarichi che non richiedessero la collaborazione di terze parti. Non parlava mai con nessuno, e quel mai voleva dire che non apriva la bocca MAI, nemmeno per rivolgere la parola a Bright o a Bibski. Quando doveva comunicare col fratello, si serviva di un’altra capacità comune ad entrambi: la telepatia. Malgrado, infatti, Blu non aprisse mai bocca con nessuno, nulla gli impediva di intrattenersi in lunghi dibattiti per via telepatica con Bright, con il quale occasionalmente condivideva anche emozioni e pensieri.

Il loro legame mentale era forte e infrangibile, qualunque fosse stata la distanza tra i due, e per questo l’unicorno dagli occhi gialli si offriva sempre come tramite tra Deepblue e l’interlocutore di turno. Un compito che si accollava suo malgrado.

Bright usò la magia del corno per scostare un ciuffo di criniera trasandata dagli occhi del gemello, e servendosi della loro comunicazione telepatica gli disse:

- Dovresti accorciartela un po’. -

- Lo so… me lo dici sempre. - Gli rispose voltandosi dall’altra parte, disinteressato.

Anche Bright aveva una folta criniera pendente dalla fronte, ma si assicurava quotidianamente di mantenerla curata. Era un’abitudine che seguiva da anni, e che non mancava di consigliare ad altri pony, tra i quali Bibski, che di risposta amava controbattere nei modi più fantasiosi. Tutto, pur di evitare di dargli ascolto. La frase: “La mantengo tale perché sentirla incasinata mi aiuta a concentrarmi” era ormai entrata nella Leggenda.

Certamente Bibski non peccava di senso dell’umorismo, anche se di dubbia qualità.

Il pony di terra, già di per sé un nanerottolo, e che messo a confronto con la stazza dei due fratelli sembrava ancora più piccolo, guardò soddisfatto il fascicolo di dati che aveva di fronte, per poi esibire un sorriso di fiera soddisfazione.

«Molto bene!» Esultò tagliando corto, per poi superare i due unicorni, proseguendo per la sua strada.

- Gliene hai parlato? - chiese Blu, guardandolo allontanarsi.

- Stavo giusto per farlo, ma poi sei arrivato tu. -

- Ho paura che non riuscirai a convincerlo comunque. -

- Lo so, ma devo almeno provarci. C’è solo un’alternativa in caso di rifiuto, e nessun di noi vorrebbe arrivare a tanto… -

- Sperò che tu ce la faccia. -

- Non dirlo a me…  -


Bibski Doss stava proseguendo il suo giro d’ispezione lungo il corridoio. Tutto volgeva secondo i piani e gli addetti ai vari macchinari, al suo passaggio, si rivolgevano a lui con amichevoli cenni di saluto, che a sua volta ricambiava con pieno ottimismo.

Aveva appena raggiunto un altro gruppo di operosi pony, quando Brightgate tornò da lui. «Bibski, tu ed io dobbiamo parlare.» La comparsa improvvisa dell’unicorno e il tono minaccioso della sua voce tagliarono il filo della sua quiete, scombussolandolo per un istante.

Si ricompose immediatamente, e il suo volto si fece più serio «A che proposito?»

I due si fissarono in uno statuario confronto. Gli occhi verde smeraldo di Bibski si riflessero su quelli di Bright. «Lo sai. Non fingere con me.»

Il pony di terra non emise alcun suono per svariati secondi, ma poi, dopo un sospiro: «vediamoci tra dieci minuti nel mio ufficio, e chiudiamo questa faccenda una volta per tutte.» Detto ciò, diede le spalle all’imponente unicorno e tornò alla sua ispezione.

«Non è che tenterai di scappare?» Gli chiese ad alta voce Bright, fermo sul posto.

«Ci stavo giusto pensando, in effetti» rispose da lontano, con fare impertinente «ma poi ho concluso che non durereste il tempo di una giornata senza di me!»  

L’unicorno roteò gli occhi e rimase a osservarlo mentre si allontanava dal suo campo visivo.


L’ufficio di Bibski si trovava nel fianco nord-est del reparto B, e come tutti gli uffici contabili del laboratorio, era raggiungibile attraverso le passerelle rialzate che percorrevano i vari settori, permettendo al personale impiegato di circolare senza intralciare i manovali. Sulla porta in legno, una targhetta in metallo laccata in oro annunciava con toni boriosi di trovarsi di fronte alla soglia della “Direzione”.

Al limitare della stanza, a chiunque si accingesse a entrare la prima volta, poteva sembrare che quella porta nascondesse l’accesso a un ufficio elegante e superbo, con quadri di pittori famosi quotati all’asta a prezzi spropositati, librerie con tomi rilegati in pelle di drago antica, per finire con una scrivania in mogano finemente lavorato a zoccolo da maestri falegnami. Invece, l’ufficio che si presentava ai suoi ospiti sembrava più il caotico studio di un geometra indaffarato, che non di un ricco capoccia d’industria: ovunque sulle pareti erano appese nei modi più disparati file su file di disegni tecnici di progetti ed invenzioni partorite dall’instancabile mente di Doss. Due grosse lavagne allineate una accanto all’altra decoravano uno dei pochi spazi vuoti della stanza, e sopra di essi cifre ininterrotte di complessi algoritmi matematici lottavano tra di loro per aggiudicarsi uno spazio sulla nera superficie in ardesia.

C’era una scrivania, ma di fattura decisamente più umile e con un marasma di strumenti da lavoro quali goniometri, matite di varia durezza e altra attrezzatura per disegni tecnici, sparpagliati alla bell’e meglio un po’ di qua e un po’ di là. Una lunga fila di armadietti in ferro catalogati per data conteneva altri progetti, e su di essi lunghe pile di libri di meccanica di Equestria ammucchiati con scarsa attenzione uno sopra a quell’altro. Molti di quei tomi erano inutili a Bibski, ma capitava talvolta che proprio tra quelle pagine si celassero le più brillanti ispirazioni per una nuova invenzione, perciò li conservava.

Bright detestava il disordine di quella stanza, ma tempo addietro aveva (non si sa come) convinto Bibski a fare un po’ di ordine negli archivi, ed ora, per lo meno, aveva cominciato ad avere l’aspetto dell’ufficio di un professionista.

Il pony di terra era alla scrivania, in una posa plastica semi-autoritaria, con gli zoccoli anteriori poggiati sulla base e tenuti uniti.

«Era di questo che stavate parlando tu e tuo fratello, prima?» Chiese all’unicorno, senza dargli il tempo di chiudersi  la porta alle spalle.

«Sì.» Fu la risposta secca di Bright.

«Sta ascoltando anche lui?»

Lo stallone fece segno di no con la testa. «Te ne saresti accorto, in quel caso.»

Bibski nitrì. «Già. In effetti non fate una bella faccia quando aprite un canale di comunicazione. Beh, ad ogni modo non farebbe alcuna differenza, con o senza di lui. E per quanto riguarda la nostra discussione, credevo di essere stato chiaro in merito. Non intendo dargliela vinta a quelli!»

«Ti conosco da tanto tempo, Bibski, e so che per te la parola “arrendersi” non è contemplata nel tuo dizionario. Ma qui si sta parlando di un ordine diretto del sindaco di Manehattan! Non è un qualcosa che puoi prendere per il sottile!»

«“Arrendersi” esiste nel mio dizionario: sta in copertina, ed è lì per ricordarmi ogni giorno di non sottomettermi all’idiocrazia di quei buzzurri» con un gesto a zampe spalancate indicò la stanza «insomma, guardati intorno. Guarda cos’abbiamo creato in tutti questi anni! Pensi davvero che saremmo arrivati a un decimo di tutto questo se avessimo dato retta a quei politici retrogradi?!»

«Stavolta è diverso! Il sindaco è stato chiaro: o le diamo l’Equalizzatore, oppure manderà le sue guardie cittadine a prenderselo da soli.»

«Che vengano allora!» Sbottò alzandosi. «Io non intendo cambiare la mia linea di pensiero solo per assecondare una minaccia campata all’aria da quella gente! Potranno anche entrare qui dentro e tentare di aprire la teca, ma dovranno vedersela con i nostri sistemi di sicurezza! Col cavolo che vengo lì a dettargli i codici!»

Il confronto cominciò a prendere la piega che Brightgate temette. Non era mai facile discutere con Bibski, men che meno quando l’argomento di discussione era l’Equalizzatore.

«Ti stai comportando come uno stupido. Così metti nei guai tutti noi solo per una tua sciocca faccenda d’orgoglio personale!»

«Non è orgoglio, bensì principio di giustizia!»

«E fa qualche differenza?!»

«Secondo te farebbe qualche differenza se glielo dessimo? Quella baldanzosa prepotente ci ha già tagliato tutti i fondi per lo sviluppo! Abbiamo inviato appelli su appelli alle Principesse nella speranza che ci aiutassero, e non è servito a NIENTE! Navighiamo in un oceano in tempesta e ormai è chiaro che non sarà certo per la loro carità se saremo mai in grado di riprenderci! Credi davvero che se glielo impacchettassimo con un fiocchetto regalo e glielo recapitiamo per posta a casa sua, quella poi ci perdonerebbe e magari ci inviterebbe a ballare e danzare felici e contenti sotto l’arcobaleno?»

«Non esagerare. Magari non ci offrirebbe una fetta di torta di mele, ma per lo meno possiamo calmare le acque! La tecnologia dell’ATS si sta rivelando promettente, possiamo puntare su quella e magari commercializzarla!»

«No, no! Sono ancora in mare aperto con i progetti della 2.0. Devo ancora ricavare i valori di erogazione, e inoltre la camera di emulsione è troppo instabile per sostenere a pieno regime l’operatività! Mi serve più tempo!»

Bright fece il gesto di stringersi le labbra. «Beh… ci sarebbe sempre l’originale… » borbottò.

Una smorfia contrariata si disegnò sul volto di Bibski, che si mosse con fare aggressivo ponendosi di fronte alle zampe dell’unicorno. Nonostante lo stesse guardando dal basso verso l’alto, sembrava non ci fosse alcun divario di altezza tra i due. «L’unico esemplare di ATS al momento funzionante sul quale è possibile effettuare sperimentazioni si trova all’interno dell’Equalizzatore, e non ho NESSUNA intenzione di estrarlo da lì! Spero di essere stato chiaro, Bright.» Dopo di che si avvio verso l’uscio.

L’unicorno non si spostò dalla sua posizione, nemmeno per seguirlo con lo sguardo. Contattò telepaticamente il fratello.

- Blu… -

- Sì? -

- Gli ho parlato. -

- E… ? -

- Niente da fare. Non ce l’ho fatta. -

Un istante di silenzio e il discorso riprese.

- Capisco… sapevamo entrambi che sarebbe andata così. -

- Già. Ma speravo di poterlo convincere. -

- Parliamo di Bibski, lo sai che lui… -

- Shh, aspetta un momento. -

Dall’uscio della porta, Bibski aveva ripreso a parlare: «ad ogni modo, se mai dovessero fare irruzione qui dentro, mi assicurerò di accollarmi tutta la responsabilità delle mie scelte. Il team non dovrà essere coinvolto nella faccenda.» La sua voce era bassa e consapevole.

«D’accordo.» Si trovò a rispondere Bright, rassegnato.

«Bene. Ora pensiamo a ultimare i nuovi prototipi. Se tutto andrà come prevedo, potremo riprendere il flusso della corrente entro un trimestre.»

Bright sospirò. «Auguriamoci che sia così.»

Erano entrambi sulla passerella rialzata all’esterno dell’ufficio, quando un indistinto suono in lontananza attirò l’attenzione di tutti.

Bibski e Bright guardarono nella direzione da dove proveniva quel suono, seguiti poco alla volta anche dai pony affaccendati del reparto.

- Lo senti anche tu? - domandò Deepblue da lontano.

- Sì… -

Tra i tecnici in basso, qualcuno spense i propri macchinari, alleggerendo così il carico d’inquinamento acustico, e il suono divenne quindi nitido e distinguibile.

«È l’allarme d’emergenza della città!» esclamò Bibski.

«Si direbbe di sì, ma per quale motivo l’hanno attivato?»

Il pony di terra non rispose. Come tutti in quella stanza, restò fermo ad ascoltare la sirena in silenzio, che penetrava attraverso le pareti del laboratorio e riecheggiava con fragorosi boati lungo i muri della struttura. Tra i manovali al piano inferiore cominciò a diffondersi un mormorio ansioso. Qualcuno si chiese cosa stesse succedendo, e altri provarono a dare le loro ipotesi fantasiose.

Un pegaso dal manto marrone e il cui cutie-mark era un cacciavite a stella, si rivolse a Bibski: «Ehi, capo! In nome di Celestia, che accidenti sta succedendo?»

Il muso di Bibski s’indurì, non amava udire quel nome. «Non nominarla più davanti a me!!» Lo rimproverò ferocemente.

Il pegaso indietreggiò di due passi e chinò il collo allingiù, intimorito. «Me n’ero dimenticato, non succederà più, mi scusi!» Quando poi i toni si fecero più calmi, ripeté la domanda «allora?»

«E io che ne so?» Gli rispose seccato. «Non ho certo mandato il mio sosia a verificare!»

«Forse è un’esercitazione?» S’intromise Bright.

«O forse a una delle loro adorate Principesse è caduta la corona e stanno mobilitando l’esercito per raccoglierla.» Scherzò, cercano di ostentare sicurezza.

Poi d’un tratto avvenne qualcos’altro. Un nuovo suono s’impose di travalicare quello dell’allarme, e un rimbombo lontano fece vibrare le finestre e tremare il pavimento.

«E adesso che accidenti sta succedendo?!» Bibski si rese conto che la situazione  si era fatta grave.

Quella scossa di risonanza fu soltanto l’avanguardia di una lunga sequenza di rimbombi che da quel momento in poi divennero sempre più violenti man mano che si susseguivano. Il laboratorio era in fermento, e più le scosse si fecero violente e ravvicinate, più i pony del reparto perdevano il controllo di se stessi. Qualcuno galoppò a perdifiato senza una meta precisa, altri restarono fermi sul posto incapaci di reagire. Bibski cercava di riprendere il controllo della situazione intimando a tutti di calmarsi, mentre Bright era fermo in disparte, apparentemente non partecipe degli eventi: la sua testa era altrove.

- È… è enorme! -

- Di cosa stai parlando, Blu?! Dove ti trovi?? -

- Al reparto A, è qui fuori, sta venendo verso di noi! -

«Bright, Bright, che diavolo ti prende?! Ho bisogno di te, riprenditi!» La voce di Bibski lo fece uscire dalla trance.

«Blu dice che c’è qualcosa che si sta dirigendo contro di loro al reparto A!»

«Cosa?!?»

Alcuni pegaso si erano alzati in volo ed erano andati a guardare all’esterno attraverso i grandi lucernai sul soffitto. Da qualunque altra finestra del reparto B, qualunque cosa fosse l’essere che stava provocando quello scompiglio, non era visibile dalla loro posizione.

«Ehi, guardate!» «Ma che cos’è?!» «Ci viene addosso!» Urlarono i pony volanti alla vista dell’orrore che si presentò ai loro occhi.

«Ehi, scendete subito giù da lì, è pericoloso!» Intimò Bibski, e i pegasi non se lo fecero ripetere. Qualunque cosa avessero visto, era abbastanza terrificante da spingerli a scendere in picchiata e allontanarsi il più in fretta possibile all’estremità opposta.

«Dobbiamo sgomberare l’edificio, Bibski!» Urlò Brightgate.

«Allora dì a Deepblue di muoversi e di aiutarci a portar fuori tutti!»

L’unicorno cercò di contattare nuovamente il fratello. - Blu, prendi il controllo e convinci tutti a evacuare, subito! -

- Non c’è più tempo, è qui!! -

Quello che successe dopo fu il caos nella sua forma più elementare: un orrendo ruggito divorò ogni altro suono nei dintorni, tanto che persino Brightgate non riuscì più a sentire i pensieri del fratello. Al ruggito, che sembrava provenire dai più reconditi incubi del Tartaro, seguì un boato spaventoso, e un rumore di macerie che crollavano.

I vetri dei lucernai esplosero infrangendosi in mille pezzi e sulle pareti adiacenti che collegavano i reparti A e B profonde crepe si estesero lungo la superficie in cemento. Qualunque cosa fosse quell’essere, sembrava che stesse attraversando il complesso lungo tutto il suo fianco, abbattendolo come fosse un castello di sabbia.

La Cosa compì un altro passo, penetrando questa volta anche all’interno del reparto B.

Le passerelle rialzate vibrarono, e prima che i due pony avessero il tempo di reagire, una parte della parete relativa agli uffici crollò, e la porzione della passerella si piegò verso il basso facendoli rovinare al suolo.

Cadendo, Bibski urtò la testa contro un blocco di cemento e per un istante i suoi occhi videro il buio. Nessun suono, nessuna sensazione, l’oblio assoluto. Quando si riprese, l’istinto gli disse di guardare in direzione della creatura. Aveva letteralmente divelto il reparto, lasciando dietro di sé solo un cumulo di macerie.

La sua vista divenne sfocata per il colpo, ma anche se non fosse così, non ci sarebbero state parole per descrivere le forme della bestia. Era una creatura dalle dimensioni titaniche, indefinibile nella sua grandezza, tanto che da vicino risultava perfino impossibile stabilirne per intero le forme.

La paura dilagò tra le rovine della sala, tutti i presenti attesero impotenti la prossima mossa della creatura. Tuttavia, il mostro sembrò indifferente allo scempio che stava provocando, e dopo aver emesso un pesante barrito, uscì dal laboratorio avviandosi verso una meta sconosciuta, lasciandosi alle spalle solo la desolazione.

In pochi secondi, era già  finito tutto.

I pony del reparto si dettero alla fuga attraverso i varchi creati dal suo passaggio, mentre tutt’intorno macerie, fuoriuscite di  fluidi e gas dalle tubature e incendi che scoppiavano dai macchinari distrutti, erano un segnale che l’area non era più un posto sicuro dove rimanere.

«Bibski?!» La voce di Bright lo chiamò.

«Sono qui. Sto bene.»

«Sei ferito?»

«Solo una piccola diatriba con un blocco di cemento.»

«Potresti avere una commozione, fammi dare un’occhiata… » si avvicinò per esaminarlo, ma Bibski lo scostò. «Lasciami perdere, abbiamo cose più urgenti a cui pensare!»

Bright allora lo aiutò a rialzarsi, e subito dopo cercò di mettersi in contatto col fratello. - Blu, rispondi, ci sei?! -

La risposta arrivò dopo alcuni istanti di silenzio, che all’unicorno sembrarono un’eternità. - Sì… voi come state? -

Bright si sentì come se una profonda ferita al ventre si fosse magicamente cauterizzata. Inspirò sollevato. - Grazie al cielo! Qui è un disastro, ma stiamo bene. Bibski ha sbattuto la testa, ma non è nulla di grave.-

Non era del tutto esatto. Mentre i due fratelli comunicavano, l’inventore sentì qualcosa di umido bagnargli la scura criniera, e quando si passò lo zoccolo per tastare, lo vide impregnato di sangue.

Bright lo seguì con lo sguardo mentre era intendo a studiare la chiazza cremisi sulla zampa, ma evitò di comunicarlo a Blu.

Bibski poi si girò verso l’unicorno. «Ce l’hanno fatta?»

«Sì.»

«Fammici parlare.»

L’unicorno annuì. - Blu, ti metto in contatto con Bibski -

- D’accordo -

Bright chiuse gli occhi e si concentrò sul suo compito, il corno cominciò a risplendere: era la magia con la quale altri pony potevano comunicare con Deepblue attraverso la telepatia del fratello.

«Può sentirmi?»

Blu, al dì là della parete di macerie che un tempo era il muro divisorio tra il reparto A e il B, sentì la voce di Bibski filtrare attraverso i pensieri di Bright.

- Sì - annunciò in risposta.

Bright parlò per lui. «Sì, ti sente.»

«Quanti siete di là? Com’è la situazione?»

- Qui è un disastro! Ci sono macerie ovunque! Alcuni sono riusciti a scappare, credo. Ma gli altri… -

- Stai calmo e descrivici la situazione. Intanto, tu come stai, sei ferito? -

- No. Io e alcuni pony siamo riusciti a scansare il grosso del crollo. Adesso sono qui con me, ma ci sono tre feriti gravi, due di loro non possono muoversi! -

- Aspetta un momento. -

Bright si rivolse a Bibski e gli riferì le parole dell’altro unicorno: «Lui sta bene, ma dice che con lui ci sono dei feriti. Sono bloccati a terra.»

Bibski si sentì raggelare il sangue nelle vene. «E gli altri. Che fine ha fatto il team del reparto A?!»

- Alcuni li ho estratti dalle macerie, sono qui con me, ma molti sono ancora lì sotto, non parlano, non si lamentano, non sento nulla di nulla! -

- Stai dicendo che… -

- Bright, ho visto tutta la squadra degli elettricisti finire sotto la zampa di quell’essere! Sono morti! – la voce di Blu rimbombò nella sua testa. Poté sentirne l’urlo lambirgli il cervello, nonostante non avessero bisogno dei suoni per comunicare. Era la prima volta che lo sentiva così agitato. Qualunque cosa avessero vissuto dall’altra parte, dovevano aver contemplato con i propri occhi la vera essenza dell’inferno!

Bibski era in apprensione, attendeva con smisurata impazienza di udire la risposta di Blu, e Bright dovette farsi portavoce della cattiva notizia. «Ha detto che… » scelse l’approccio schietto «sono tutti dispersi. Sotto le macerie. Non sa se sono vivi.»

Le pupille di Bibski Doss si restrinsero, il fiato smise di circolare nel suo corpo. Il pony dovette far i conti con una tragica verità. “I miei pony sono… morti?”. Il suono di quel pensiero parve provenire da un’altra realtà. Non poteva appartenere a quel mondo. Non era di Equestria.

«Anche… il novellino?»

- Di chi sta parlando? - Chiese Blu.

- Il ragazzo che stava alla saldatrice del sommergibile. -

- Bright, TUTTO il reparto A è stato investito dalla carica! Ho recuperato solo i pony che lavoravano all’estremità del laboratorio C. E’ lì che ci troviamo ora! -

L’unicorno ripeté anche quella porzione del messaggio e in tutta risposta il cuore di Bibski cominciò a fremere all’impazzata. «Dannazione!!» Scalciò cumuli di macerie, imprecando ad alta voce e proiettando per aria pezzi di cemento, metallo e vetri.

Bright si fece in disparte e lo lasciò fare. Anche lui stava soffrendo per la tragica perdita di tutte quelle vite, ma il suo modo di manifestarlo era molto più intimo. Poteva sembrare una roccia dall’esterno, ma dentro di sé la sua anima si stava dilaniando. Bibski invece no, lui era impulsivo. La sua mente geniale richiedeva come tributo sfoghi costanti d’incontrollata aggressività, che solo in parte il pony riusciva a dominare con l’ironia e il sarcasmo.

Quando fu troppo stanco per continuare a dimenarsi, si fermò per riprendere fiato e ragionare. «Chiedigli se possono uscire.» Disse con un filo di voce, sotto sforzo.

- Hai sentito? -

- Sì. Ma no, siamo bloccati qui. L’accesso al C è ostruito dal crollo e non ce la facciamo a spostare i feriti tra le macerie! -

La risposta fu trasmessa a Bibski, e fu allora che Brightgate capì che era arrivato il momento per il suo leader – e amico – di tirar fuori il meglio dal suo acume.

Il cutie mark di Bibski era una lampadina, metafora della sua mente brillante, e aveva una caratteristica che lo rendeva ancora più speciale: era uno dei pochi casi mai documentati di cutie mark in grado di animarsi. Ogni volta che Bibski si trovava alle prese con una decisione da compiere, quando finalmente riusciva a riconquistare il controllo di una situazione, essa s’illuminava. Un piccolo bagliore di luce brillava sul suo fianco, per poi sostituire il giallognolo spento del suo simbolo con un giallo splendente contornato da raggi di luce stilizzati impressi sul suo manto. E anche in quel momento, dopo essersi preso il dovuto tempo per elaborare una soluzione, il cutie mark di Bibski s’illuminò.

Guardandolo rispendere, Bright si mise sull’attenti, sapendo che da lì a non molto il pony di terra avrebbe esposto il suo piano.

«E va bene, se è questa la situazione: Bright… »

«Ti ascolto!»

«Raggiungi gli altri fuori dall’edificio, e assicurati che stiano tutti bene. Voglio il nominativo di tutti i presenti e anche dei dispersi. Se ci dovesse essere ancora qualcuno intrappolato la sotto, dobbiamo saperlo!»

«Consideralo già fatto!»

«Bene, e tienili alla larga delle macerie, non voglio altri feriti sulla coscienza!»

«Ricevuto. Tu cosa farai?»

«Crea un “Ponte” con Blu e fammi andare da loro. Quando sarai fuori, faremo passare i superstiti.»

- Digli che non è necessario, li porterò fuori da solo. - s’intromise la voce di Blu. Nella confusione del momento Bright non si era accorto di aver ancora il collegamento aperto. «Dice che può farcela da solo. Che dobbiamo uscire entrambi.»

Bibski non era affatto d’accordo: «Sono io che do gli ordini qui. Fatemi passare e vattene prima che qui crolli tutto!»

- Non ha senso insistere, facciamolo e basta. - Disse allora Bright.

- Ok. Se proprio è necessario io sono pronto. -

I due gemelli concentrarono sulla punta dei loro corni la magia necessaria, dalla quale un delicato bagliore colorato cominciò a risplendere, illuminando l’ambiente intorno a loro nel raggio di un paio di metri. Muovendosi in perfetta sincronia coi movimenti del capo, entrambi generarono un piccolo fuoco fatuo fluttuante, che s’ingrandì progressivamente fino ad assumere le dimensioni di un globo di luce colorato dal diametro di una palla da football. Bright diresse la sua sfera giallo-arancio a due metri di distanza dal corno, e lo stesso fece il fratello con la sua, azzurro-marina. I due globi furono poi dilatati dall’effetto dell’incantesimo, trasformandosi in una fenditura dimensionale nell’aria, sottoforma di varco, che attraversò la materia e creò un collegamento diretto tra due differenti località nello spazio: il Ponte.

Al di là della fenditura erano visibili, rispettivamente, Deepblue e il gruppo di superstiti, asserragliati dalle macerie, e Bibski Doss che attendeva di passare.

L’inventore non si fece attendere, e oltrepassò il varco con un agile balzo.

Di punto in bianco fu dall’altra parte, avvolto dalla devastazione di quello che fu il reparto A.

Bright e Blu, che non potevano guardarsi l’un l’altro da quella posizione, si fecero a vicenda un cenno telepatico, e annullarono la magia che teneva aperto il Ponte. Il varco si chiuse.

L’inventore esaminò le condizioni dei superstiti: due di loro, un terrestre e un unicorno, sembravano stare bene. Si reggevano sulle quattro zampe ed erano spaventati ma reattivi. Un altro pony terrestre, invece, era riverso a terra privo di sensi. Respirava a fatica, col corpo martoriato da numerose ferite ed escoriazioni. Tra i presenti, era quello che più di tutti sembrava avere i minuti contati.

La visione più truce la ebbe, però, osservando gli ultimi due, sdraiati a terra ma coscienti: erano un unicorno e un pegaso. Il primo aveva perduto il suo corno, di cui ora non ne rimaneva che un moncherino mozzato e sanguinante, la cui punta era andata perduta chi sa dove, il secondo aveva invece l’ala sinistra schiacciata e ridotta a un colabrodo, probabilmente a causa del crollo di parte della struttura su di lui. Bibski non fece domande, concludendo che non sarebbero comunque servite a niente, e non ne fece nemmeno a Blu, consapevole che non ne avrebbe ricavato nulla. Anche nei momenti drammatici, quell’unicorno non parlava mai con nessuno.

Bibski accolse di buon grado la sua testardaggine. Caratterialmente parlando, da quel punto di vista erano uguali.

«Ok, contatta Bright e digli di farsi trovare pronto quando sarà fuori.»

Blu annuì con un cenno e distolse l’attenzione dal pony.

Ora che gli unicorni avevano ricevuto le loro istruzioni, Bibski diede un’altra occhiata ai superstiti. In particolare, si chinò sul corpo riverso del moribondo. Era sdraiato sulla schiena, permettendo così al pony di terra di poggiare l’orecchio sul petto per misurarne la frequenza del battito cardiaco. Le pulsazioni erano debolissime e respirava con grande fatica, emettendo dei rantoli stanchi a ogni espirazione, ma non c’era molto sangue per terra, fatto che fece temere a Bibski che il poveretto stava incorrendo in una grave emorragia interna.

«Voi come state, ragazzi?» Domandò agli altri. Si rendeva conto che era una domanda stupida, ma ci teneva a sincerarsi delle loro condizioni.

«Staremo meglio quando saremo fuori di qui.» Rispose uno dei pony più incolumi.

«Siete… » cercò di trattenersi dal balbettare «rimasti solo voi?»

Fu il secondo più illeso a rispondere. «No. Alcuni sono scappati per le uscite d’emergenza poco prima che il mostro arrivasse. Noi altri invece eravamo troppo spaventati per reagire.»

«Sono stati più furbi di noi, su questo non c’è dubbio.» Aggiunse il compagno accanto.

«Siete riusciti a vedere cosa ci ha aggrediti?»

Prese la parola il pegaso con l’ala distrutta: «io sì.» E i presenti si concentrarono su di lui. Uno degli illesi del gruppo si abbassò per aiutarlo a sollevarsi da terra. Lo sostenne con la testa. «Era una specie di drago, o qualcosa del genere. Ma era strano… non aveva le ali ed era… sì… era gigantesco. Non ho mai visto niente del genere.»

«Già, ce ne siamo accorti tutti» Disse Bibski, rimuginandoci su «un drago senza ali, hai detto?»

«Non era proprio un drago. Non aveva le ali, ma una specie di tentacoli sulla schiena, e sì, aveva l’aspetto di un rettile, ma non assomigliava a nessun drago che avessi mai visto.»

«Drago o no, di certo era gigantesco!» Aggiunse il pony terrestre sopravvissuto. «Ho letto da qualche parte che le Ursa Major possono raggiungere dimensioni titaniche. Ma questo… »

«Quanto pensi che fosse alto? Venti metri?» Chiese il pegaso ferito.

«Secondo me anche trenta, ha trapassato le pareti come se fossero di gelatina.» gli rispose l’unicorno che lo sorreggeva.

Bibski nel frattempo si trovò a osservare l’ecatombe che circondava il gruppo. Si chiese quanti altri fossero sepolti vivi sotto quel cumulo di macerie, coscienti e in attesa di essere salvati. Del reparto A non rimaneva che una porzione di edificio, corrispondente allo spiazzo in cui il gruppo aveva trovato riparo.

Il suo cutie mark cambiò colore, e tornò a quel giallo spento che indicava che il pony non sapeva come comportarsi.

Fu tentato di chiedere ai superstiti se avessero notizie del novellino, ma si trattenne. Lo avrebbe scoperto in ogni caso, nel momento in cui sarebbero usciti.

Deepblue gli si avvicinò a passo leggero, tanto che Bibski quasi non lo sentì. Quell’unicorno sapeva rendersi silenzioso anche nei gesti.

Si fissarono con sguardi seri, e non servirono le parole per dirsi che era tutto pronto per il Ponte.

I due gemelli aprirono il portale e l’inventore cominciò a trasferire i superstiti dall’altra parte, assistito dai due pony illesi. A lavoro terminato, Blu fece segno a Bibski di passare. Per poter terminare l’evacuazione nel modo corretto, l’unicorno avrebbe dovuto attraversare il portale per ultimo, ma Bibski si tirò indietro. «Vai tu. Io ho ancora una faccenda in sospeso qui.»

Al dì la del Ponte, guardando il pony di terra fermo dinanzi al varco, fu Bright ad avere la reazione più prorompente. «Di cosa stai parlando, Bibski? Non c’è più niente lì!» Ma poi un’intuizione accese la sua consapevolezza. «Aspetta… non dirmi che stai pensando di andare a prendere… ?» Improvvisamente capì il perché delle ostinazioni del pony terreste ad addentrarsi in quell’olocausto di macerie che fu il reparto A: l’Equalizzatore.

«Raduna tutti nella piazza centrale e aspettate i soccorsi» cominciò «se qualcuno chiede di me, fate finta di non saperlo.»

«Non puoi fare sul serio, Bibski! Guardati in giro, probabilmente la teca è stata schiacciata dal passaggio della creatura, oppure si trova sotto tonnellate di metallo e cemento! A quest’ora sarà distrutta!»

Bibski restò irremovibile. «E’ ancora intatta.»

«Come fai a dirlo?»

«L’ho progettata io. Lo so.»

- Tutto ciò non ha senso! Blu, aiutami! Non lasciarlo andare! -

Come se avesse a sua volta captato i pensieri di Bright, Bibski fulminò con lo sguardo l’unicorno muto che si trovava con lui, e rivolgendosi a entrambi disse: «Ho lavorato giorno e notte per anni interi a quel progetto, sapete quant’è importante per me! Abbiamo evacuato tutti i superstiti che potevamo, il resto non conta! Ora andate! Io troverò il modo di uscire da solo.»

I due fratelli s’interrogarono a vicenda, ma capirono che di tempo per contrariarlo non ce n’era. Da un momento all’altro, una tubatura del gas danneggiata avrebbe potuto incendiarsi e culminare in una disastrosa esplosione, oppure le fiamme che fuoriuscivano dalle macerie avrebbero impregnato l’aria di fumi tossici rendendo l’aria irrespirabile, e i fili scoperti di qualche impianto divelto avrebbero scatenato una tempesta di scariche ad alta tensione qualora fossero entrati in contatto con del materiale conduttore. Ogni cosa lì dentro gridava il suo richiamo di morte ed esigeva la propria tassa di sangue. I tre non potevano perdere altro tempo in futili discussioni, quand’era ormai chiaro che qualsiasi argomentazione non sarebbe bastata contro le ragioni di Bibski. Alla fine, fu Blu a prendere l’iniziativa per entrambi attraversando il varco, e nell’esatto momento in cui lo fece, il Ponte si chiuse immediatamente lasciando Bibski da solo in mezzo alla devastazione.

Prima che la creatura perforasse le pareti di cemento dei reparti A e B, in ognuna delle sezioni del laboratorio vi erano delle stanze adibite a magazzino delle parti di ricambio e dei prototipi. Erano due camere separate, sottostanti agli uffici. Una più grande, si estendeva lungo i reparti B e C, e fungeva da hangar per le grandi macchine prodotte dagli instancabili pony della Reborn Technologies, l’altro, più piccolo e collocato in corrispondenza dell’A, era quello dove L’Equalizzatore, protetto dalla sua teca, attendeva il recupero.

Bibski percorse a fatica i muri di macerie che lo separavano dal suo obiettivo, e ad ogni metro compiuto, i suoi passi erano rallentati da ostacoli di ogni tipo tra pezzi di vetro e metallo acuminato che cospargevano un po’ ovunque il suolo. Si ferì diverse volte, disegnando sul suo corpo rigagnoli rossi ed umidicci di sangue caldo, ma non arrestò mai la sua marcia. Durante il tragitto, gli capitò d’imbattersi alcune volte nei corpi immobili di qualche pony sepolto sotto le macerie, e ogni volta deviava verso di loro per verificarne le condizioni, ma in nessun caso ne trovò qualcuno vivo. Dopo un po’, smise di guardarsi intorno alla ricerca di superstiti, conscio che nessuno sarebbe potuto sopravvivere in mezzo a quel disastro.

Benché il tragitto non fosse lungo, ci mise un quarto d’ora a raggiungere la destinazione. Sentiva il puzzo soffocante dei gas infiammabili che avvelenavano l’aria e pregò la buona stella che una scintilla traditrice non facesse esplodere tutto.

La parete che divideva il reparto dal magazzino era stata sfondata, insieme a una grossa porzione degli uffici in alto.

Superò con un salto un ammasso di ferro che aveva tutta l’aria di essere la passerella rialzata che aveva percorso centinaia e centinaia di volte nel corso degli anni, e finalmente si trovò di fronte a quel che rimaneva del magazzino.

Mentre esplorava, per un po’ si trovò circondato solo da altri rottami e devastazione. La maggior parte dei prototipi erano riversi a terra e probabilmente fuori uso, ammucchiati l’uno sull’altro in montagnole prive di alcuna logica.

Localizzò la teca poco dopo, e quando la vide non seppe se esserne felice o ottenebrato dal panico: una massiccia porzione del soffitto, di un metro circa di grandezza, era crollata sul vetro disegnandovi sopra una profonda crepa, cui rami si diramavano ora lungo la superficie dello sportello. Bibski si avvicinò di corsa al terminale di sblocco e vide che il display numerico per l’inserimento dei codici sembrava non dare segni di vita. «Oh cavolo, no!».

Batté sul tastierino, speranzoso di veder comparire la barra intermittente verde che indicava che il terminale era pronto per l’uso, ma niente. «Non puoi farmi questo, per la miseria!» Non capì quale fosse il problema, non sembrarono esserci danni dovuti al crollo e l’unica conseguenza apparentemente constatata era rappresentata dalla crepa sul vetro, che comunque aveva resistito all’impatto. Quindi, ipotizzò, forse non arrivava la corrente?  

Dando prova di una grande lungimiranza, aveva previsto che un evento del genere prima o poi si sarebbe verificato, e aveva predisposto opportunamente un piano di riserva per il ripristino dell’alimentazione, che si augurò funzionasse anche stavolta.

Si rannicchiò a terra e aprì uno sportelletto di metallo dal quale estrasse un circuito stampato collegato a diversi fili, e cominciò a scollegarli e ricollegarli secondo uno schema preciso. In questo modo, dopo circa due minuti di paziente lavoro, riuscì a reindirizzare l’energia a un generatore d’emergenza collocato sotto la teca e a eseguire un bypass della chiusura, disattivando quindi i blocchi di sicurezza.

Con un sospiro di sollievo, finalmente poté aprire la teca e avere accesso al suo prezioso contenuto.

Sentì qualcosa crollare al di fuori del magazzino e qualunque cosa fosse, sembrava grosso. Doveva sbrigarsi.

L’Equalizzatore era composto da un grande marchingegno dorsale sul quale erano attaccate due ali in lega metallica superleggera, collegate ad esso attraverso una fascia elastica flessibile e nera, dentro la quale scorrevano i circuiti che davano alimentazione alle ali cibernetiche. Per prima cosa, Bibski prese una cella energetica da uno scompartimento della teca e la inserì in uno slot nella parte superiore del congegno. Poi, rapidamente, lo indossò ponendoselo sul dorso e assicurandolo al corpo attraverso due coppie di cinturini: una sul lato sinistro del ventre, l’alta, più piccola, sul busto. Infine, collocò sulla testa una specie di casco, che culminava all’estremità della fronte con un corno. Una sorta di spina dorsale in metallo correva lungo la linea delle sue vertebre cervicali, unendo la porzione dorsale dell’Equalizzatore a quella del casco.

Quando l’alimentazione cominciò a scorrere lungo i condotti dell’impianto, Bibski avvertì una fitta dolorosa al cranio, localizzata sulla ferita che si era inferto cadendo.

Nella parte interna del casco, diversi sensori neuronali captavano i suoi impulsi cerebrali e trasmettevano i dati al resto del congegno, che rispondeva prontamente ai suoi stimoli consentendone il controllo con la forza del pensiero. Si trattava di una tecnologia ancora in fase sperimentale, e il prototipo stesso dell’Equalizzatore non era ancora esente da difetti. Durante l’utilizzo i sensori avevano la tendenza a rilasciare deboli scariche elettriche sulla cute di colui che indossava il casco. Le scariche risultavano quasi impercettibili ai sensi di un pony in impeccabile stato di salute, ma nel caso di Bibski, in conseguenza al profondo taglio nascosto tra i peli della criniera, il suo corpo reagì all’aggressione in modo sovra-eccessivo. Dovete quindi far fronte a tutta la sua tenacia per non badare alle scariche di dolore che ricevette di risposta ad ogni stimolo elettrico.

Con indosso l’Equalizzatore, pronto e operativo, scattò di corsa fuori dal magazzino e fu proprio allora che i veri guai vennero a bussare alla sua porta. Tutto ciò che d’intatto era rimasto in seguito al passaggio della creatura, stava poco per volta implodendo su se stesso, e il Pony si trovò proprio nel mezzo della tempesta. Parte degli uffici del piano sovrastante cedettero sotto il peso del tutto, incombendo sul pony. Bibski agì prontamente, e una scarica energetica scintillante eruttò dal corno sintetico del casco, fermando a mezz’aria i massi di cemento in caduta libera, allo stesso modo di un incantesimo di levitazione ad opera di un unicorno.

Con un movimento rapido e preciso li scaraventò a debita distanza da lui, ma il pericolo era lungi dall’essere scampato.

Diede l’impulso alle ali artificiali dell’Equalizzatore, e in un lampo esse si dispiegarono pronte per il volo.


Bright e Blu stavano dedicando anima e corpo alla messa in sicurezza dei superstiti. Il bilancio finale dei feriti e dei dispersi segnava un conteggio drammatico: quasi tutti gli occupanti del reparto A erano stati travolti dalla creatura, ad eccezione dei pochi fortunati che avevano dimostrato prontezza di spirito (o forse codardia) dandosi alla fuga prima della carica. I feriti che erano riusciti a emergere dalle macerie, invece, vessavano quasi tutti in condizioni disperate.

A giudicare dal trambusto che potevano osservare intorno a loro, anche il resto della città non sembrava passarsela meglio: il mostro aveva lasciato dietro di sé una scia di distruzione lungo tutto il suo percorso, e nessuno sapeva dire quanti altri avessero perso la vita nel corso della sua marcia. Ambulanze e mezzi di soccorso di ogni tipo ingombravano le strade ancora percorribili e dovunque nei marciazoccoli, ma anche nel bel mezzo della carreggiata, si potevano vedere pony di ogni età sconvolti e disperati invocare aiuto alle autorità, o intenti a pregare la benevolenza di Princess Celestia affinché venisse in loro soccorso. Molti degli edifici storici della città erano stati danneggiati dal passaggio della creatura, e su alcuni erano visibilmente esposti squarci profondi, provocati probabilmente dai suoi artigli.

Si udì il rumore di qualcosa che crollava all’interno della Reborn Technologies e molti temettero per le sorti di Bibski Doss, che mancava all’appello da almeno trenta minuti. Brightgate disse al fratello che se avesse dovuto attendere ancora, sarebbe tornato personalmente all’interno per andare a cercarlo.

Per fortuna, non fu necessario.

Poco dopo, Bibski comparve dal nulla librandosi in volo dalle macerie dell’edificio, atterrando pesantemente sul piazzale dove tutti si erano riuniti. Bright gli trottò incontro senza dire una sola parola, e nemmeno il pony di terra lo fece. Quando gli fu vicino, invece, l’unicorno gli sferrò con lo zoccolo un poderoso pugno in pieno volto, che lo fece ruzzolare a terra mugugnando di dolore.

Bright lo fissò contorcersi dal dolore mentre tentava con fatica di sfilarsi di dosso il casco dell’Equalizzatore.

«E va bene… me lo sono meritato.» Disse Bibski rialzandosi, con la testa che gli esplodeva da dentro. Il casco gli penzolava da un lato, tenuto attaccato alla spina dorsale in metallo.

Il breve momento di animosità tra i due terminò in quel momento, e Bibski tornò a occuparsi delle priorità. «Situazione?»

«Quello che temevamo: quasi nessuno è uscito vivo dal reparto A, a parte gli impiegati della contabilità e quelli che si sono dati alla fuga per tempo. Dagli altri reparti, invece, ci sono quasi tutti.» Bright fece una pausa per prendere tempo, abbassò lo sguardo mentre si prestava a comunicargli la notizia peggiore. «Il ragazzo non c’è. A quanto pare non è riuscito a uscire.»

Bibski sospirò amareggiato, ma dopo quanto aveva visto tra le macerie, la notizia non fu inaspettata. «E per quanto riguarda il mostro?»

«Non lo so. Non si è più fatto vivo da quando siamo usciti.»

- Forse sarà tornato nella sua tana? -

«Blu pensa che sia tornato nel suo nido.» Fece eco Bright. Ma Bibski non lo stava più ascoltando. Si era messo a guardare verso la città, e la sua vista si perse lungo la pista di palazzi abbattuti di Manehattan. Non si era mai vista tanta distruzione ammassata in così poco spazio. Consisteva in un’unica scia di caos che tagliava come una lama divina la città lungo tutto il suo territorio, estendendosi per interi chilometri con un’ampiezza di venti metri da un bordo all’altro della pista. Se anche il mostro non fosse più tornato e i pony avessero prontamente cominciato a ricostruire la metropoli, quel sentiero sarebbe rimasto lì ancora per molti anni, come una cicatrice che testimoniava la ferita di guerra di un sopravvissuto.

La Reborn Technologies era distrutta. Tra le sue macerie, i corpi dei pony che come Bibski credevano in una nuova era per tutta Equestria, giacevano freddi e immobili nell’attesa di essere riportati alla luce ed essere commemorati tra le vittime della tragedia.

L’inventore aveva visto coi suoi occhi quei corpi schiacciati, appartenuti a giumente e stalloni che durante la mattina dello stesso giorno si erano girati verso di lui per salutarlo mentre procedeva nei suoi giri d’ispezione. Tutto ciò, si disse, non era giusto. Perché era accaduto tutto questo? Come si poteva spiegare?

L’ultima domanda giunse dalla voce del suo fidato Bright, che gli chiese: «e ora cosa facciamo?» Ma prima ancora di formularla, Bibski ne conosceva già la soluzione. Il suo cuore rimbombò come i passi del mostro, e il cutie mark risplendette con vigore sui suoi fianchi. «Andiamo a cacciare.» Digrignò i denti, e il suo volto sì congelò in un’espressione di  puro odio.
   
 
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