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Autore: _Francesco_    23/01/2014    0 recensioni
"Un semplice incontro può stravolgere un'intera esistenza."
*
{9.989 A.C}
[...]Undici anni. Undici anni sono passati dall'inizio dell'interminabile guerra tra Atlantide e Mu.
Una guerra infinita,che porterà alla distruzione completa una mentre la gloria eterna attenderà l'altra.
Entrambe le parti sono distrutte,migliaia di persone morte,adesso rimane solo un modo per concludere la guerra: Due fra i più potenti eroi si scontreranno in un duello mortale. Uno solo sopravviverà,gloria eterna porterà al suo popolo,l'altro rimarrà sconfitto,schiavo perenne del nemico.

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Julian Hackett , semplice ed innocente ragazzino, ignaro dei suoi maestosi poteri. Scoprirà la sua vera natura, cambiando caratterialmente e fisicamente, diverrà un imperioso Ranger. Nascituro e combattente di Atlantide, metterà come posta la sua intera vita pur di difendere la sua patria.
Cyrus Hardey , orgoglioso, sgarbato ed autorevole, fiero della sua strabiliante forza fisica. Principe ereditario al trono di Hyades: capitale del potentissimo esercito di Mu, si allenerà fin dalla nascita per divenire il più grande Aviatore della storia del pianeta, irrompendo nelle vite dei cittadini di Atlantide come se fossero schiavi.
*
STORIA IN RIELABORAZIONE
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 2

Ad ogni singolo filo d’erba è destinata almeno una goccia di rugiada.
(Proverbio cinese)
 
 
La casa dove abitava la nonna di Julian era magnifica.
Più che casa, il ragazzo potette definirla villa, in quanto era enorme.
Aveva uno splendido prato d’erba all’esterno, che circondava l’enorme casa a tre piani. La casa era tutta di colore bianco, ma un bianco lucente, non un bianco normale come tanti altri. Dal fronte da dove stava arrivando Julian si poteva scorgere una sensazionale porta marrone che somigliava ad un portone descritto nei castelli dei libri. Sopra di essa, una a destra e una a sinistra, c’erano due finestre; Entrambe aperte, visto che fuori c’era un sole tale da rendere caldissima l’atmosfera anche se si trattava ormai di settembre inoltrato.
Intorno all’abitazione, in modo che formasse un cerchio perfetto, c’era un muretto totalmente di pietra alto poco più di mezzo metro, che segnava l’inizio della villa.
Il muretto distava all’incirca dieci metri dalla porta d’ingresso, e i dieci metri erano tutti coperti di un bellissimo prato verde all’inglese.
Insomma, vista da fuori pareva uno spettacolo unico, ma solitamente l’apparenza inganna.
Julian fissò con attenzione il muretto di pietra.
Il muretto si estendeva circondando la casa senza nemmeno un piccolo varco da cui si potesse entrare. Come si entra? L’unica perplessità sulla casa fu questa.
 
Nel frattempo stavano parcheggiando e Julian, che aveva indosso il giacchetto, se lo tolse mettendolo in valigia, visto che c’era caldissimo.
Edgar parcheggiò la macchina sotto un’ albero fuori dal muretto della casa, poi disse al figlio:
- Ti facciamo conoscere la nonna, figliolo, dopo di che ce ne andiamo. –
Julian annuì, un po’ dispiaciuto perché lasciava i suoi genitori per vederli solo una volta al mese in quanto sarebbero tornati per vederlo e per assicurarsi che andava tutto bene.
Si incamminarono verso la casa.
Arrivarono vicino al muretto e notarono l’insenatura di una frase centralmente rispetto alla porta d’ingresso, ben visibile a chi arrivasse davanti; Scritta in nero marcato e molto capibile, come se qualcuno volesse che si leggesse bene..
Suonate il campanello se volete entrare,
ma solo se siete ben accetti potrete entrare.
Julian iniziò a capire che la casa era piena di misteri. Non c’era un minimo spazio tra il muro e la casa per entrare, era impossibile entrare all’interno.
E poi che significava quella frase?
Il campanello si trovava qualche metro a sinistra dall’altra scritta, alla stessa altezza di essa.
C’era un pulsante tondo con su scritto solamente un nome, accompagnato da una frase alquanto strana per una sessantenne, e poi in quella casa da quanto gli avevano detto i suoi genitori vivevano in due.
La Sig.ra Lucinda Spencer vi da il più caro benvenuto.
Solamente quella frase, accompagnata dal campanello circolare alla destra di essa.
Julian pensò che quelle frasi erano a presa di giro, il linguaggio era troppo formale per essere scritto come benvenuto davanti a una casa.
Pure Edgar e Susan parvero perplessi, come se non fossero mai stati in quella casa, ma Lucinda non era la madre di Susan?
Susan, in un certo senso si fece coraggio, e suonò il campanello.
Il ragazzo continuava ancora a non capire la perplessità di Susan suonando il campanello di casa di sua madre..Chi suonando campanello di casa di sua madre sarebbe perplesso?
Le domande erano troppe, e le risposte troppo poche.
Nessuna risposta al suono del campanello.
- Sei sicura che sapeva che dovevamo venire?- Disse Edgar a sua moglie.
- Sicurissima, vedrai che adesso apre. – Rispose lei, ma non sembrava molto decisa della risposta data.
- Suono di nuovo?- Domandò lei adesso.
Prima ancora che qualcuno potesse rispondergli, si affacciò Lucinda alla porta d’ingresso.
Era tutto il contrario di come si aspettava Julian.
Una donna nella media altezza, che pareva tutto tranne una sessantenne.
Capelli ancora biondi, ma con qualche ciuffetto bianco dalla vecchiaia.
Un fisico da paura per una che doveva avere sessanta anni.
Slanciata e magra.
Era vestita con una maglietta a maniche lunghe totalmente nera e sopra un vestito rosso che gli arrivava appena prima dei ginocchi.
Sembrava volesse mettere in mostra il fisico, ancora ben mantenuto.
La donna parlò.
- Venite, venite! Oh figlia mia quanto tempo.. –
Come si entra? Fu il pensiero di tutti e tre, ma nessuno ebbe il coraggio di domandarglielo, in fondo quella donna incuteva un po’ di paura.
La risposta si materializzò da sola.
Improvvisamente, proprio davanti a Julian, un pezzo di muretto sulla sua sinistra, iniziò ad andare leggermente indietro, poi si spostò sulla sinistra, girandosi in verticale, formò un prolungamento del muro da esso verso la porta, lungo circa cinquanta centimetri.
Esattamente uguale fece un’ altro pezzo sulla destra, i due si tirarono indietro formando una specie di cancelletto aperto dalla quale vi si poteva entrare. Cinquanta centimetri a destra e cinquanta a sinistra, il “cancelletto” era lungo un metro
Durante il procedimento che portava il muro ad aprirsi, Julian guardò Lucinda.
Notò che non sbatteva le palpebre e che teneva gli occhi fissi verso il muretto, che eseguiva dei movimenti, secondo il ragazzo, dettati da lei attraverso la mente.
Quella donna, quella donna che conosceva da appena qualche minuto era troppo strana per essere normale.
Era una cosa completamente fuori dal normale.
Il muro si era deformato da solo. O almeno così sembrava.
Il varco lasciò lo spazio per entrare.
I tre adesso potettero vedere il prato verde per la prima volta, o almeno Julian per la prima volta.
Era di perfetta altezza. Non c’era un cespuglio fuori posto.
Tutto calcolato e preciso nella massima forma.
Quella casa era molto strana, eppure Julian sentiva che sarebbe stato bene lì, in fondo lui non era strano con quegli occhi viola?
Lucinda, come se la deformazione del muro fosse normale, li accolse.
Tra il cancelletto che si era formato e la porta c’era una specie di strada formata da sassi tutti della solita forma, tutti marroncini e ottagonali, sassi che è impossibile trovare in giro tutti così identici.
Formavano una strada dritta e precisa, sopra il prato. Erano apparentemente inutili quei sassi, apparentemente.
A Julian, ragazzo sveglio e attento, i particolari saltano subito all’occhio.
Contò i sassi velocemente con la mente.
Quattordici a sinistra e quattordici a destra.
Eppure quel numero gli sembrava familiare..
Non ricordò il motivo però con quel numero aveva già avuto a che fare.
Decise che ci avrebbe pensato più tardi.
Intanto si accorse che i suoi genitori erano andati avanti verso casa di Lucinda e lui era rimasto indietro.
Non appena se ne accorse camminò velocemente per recuperarli, arrivò alla sinistra di suo padre Edgar e camminò con lui fino ad arrivare dalla nonna.
Non appena arrivarono davanti a lei, Julian a sinistra, Edgar nel centro e Susan a destra; Lucinda con un battito velocemente di mani, fece tornare il muretto normale.
Fu un battito talmente veloce, che potevi accorgertene solo se stavi veramente attento. Julian voleva parlarle, ma non ne ebbe il coraggio.
- Allora, benvenuti! Posso accogliere anche te, mia cara Susan, con il tuo splendido marito o ve ne andate subito?-
“Dite di si, dite di si” Pensò tra sé e sé il ragazzo, che un po’ aveva paura ad entrare da solo.
Intanto potette notare che, la parlata della donna era molto acuta e allegra, ma soprattutto molto raffinata, deve essere stata una gran donna nella vita.
Edgar decise di far scegliere a suo figlio se dovevano accompagnarlo o meno.
- Che ne dici Julian? Vuoi che entriamo anche noi? –
- E’ uguale, per me non c’è differenza, posso anche entrare da solo.- mentì Julian. Non voleva far vedere a sua nonna che aveva paura di lei, o almeno non voleva dimostrarglielo. Voleva dimostrare a se stesso che era forte, e che non aveva sempre bisogno dei suoi genitori a supporto.
Così, dovette assumersi la responsabilità di entrare da solo.
Ma prima, parlò sua madre.
- Madre, posso parlare con voi di una questione importante, prima che io e mio marito ce ne andiamo?-
Julian notò l’incredibile rapporto con cui Susan parlava con sua madre.
Non sapeva che si dava ancora del voi ai genitori nel duemilaquindici, altra cosa stranissima.
- Certo, figlia mia adorata, però prima lascia che presenti Arianna a Julian, sono sicura che saranno ottimi amici. – rispose Lucinda, poi sorrise al ragazzo.
Era la prima volta che sentiva parlare di lui da sua nonna.
Intanto era ansioso di sapere com’era questa Arianna di cui tutti parlavano tanto.
- Edgar, tu se vuoi puoi anche aspettare in macchina. – disse Lucinda al padre del ragazzo. Lo disse quasi come un ordine, e togliendosi dalle labbra il sorriso con cui aveva parlato a Susan e Julian.
Come se tra i due ci fosse qualche rivalità.
- Certamente. – rispose senza aggiungere altro Edgar, che la guardò con un’ occhiata che sembrava la volesse incenerire con gli occhi.
Si voltò verso Julian e lo salutò.
- Abbi cura di te figliolo. So che puoi farcela, sei diventato grande ormai.-
Quasi scendeva una lacrima a Julian.
Oggi si separava da una delle poche persone che teneva a lui, per vederla solo una volta al mese.
- Ti voglio bene, papà. Mi mancherai. –
Poi lo abbracciò e la lacrima che prima si era trattenuta adesso scese.
Però non voleva scoppiare a piangere, non voleva far vedere di essere ancora un bambino.
- So che ce la farai, la nonna è una bravissima persona, vedrai. –
Adesso Julian riuscì a riconoscere che non stava dicendo la verità.
Era convinto che suo padre, per un motivo o per un altro odiava Lucinda.
Però non voleva dargli dispiaceri, per cui annuì e basta, tirandosi indietro e guardando adesso Lucinda.
- Molto bene. Arrivederci Edgar, spero di vederti presto. –
Disse Lucinda, adesso con un sorriso sulle labbra che però pareva a presa di giro..cosa significava tutto questo?
La mente di Julian era sempre più in disordine.
- Tutto reciproco. A presto. –
Edgar non aggiunse altro. Fu freddo e gentile allo stesso momento.
Si voltò e se ne andò. Non aspettò che si aprisse il muro, effettuò un salto talmente alto da non sembrare normale, e lo scavalcò.
Julian non lo vide più, in pochi secondi era scomparso, scomparso dalla sua vista, scomparso forse per sempre.
Susan parve preoccupata, ma non troppo, in fondo lei lo avrebbe rivisto, era solo questione di qualche minuto.
Subito dopo il ragazzo scambiò un’occhiata con la madre, quasi come un consenso, un consenso che Julian poteva fidarsi di Lucinda, almeno secondo sua madre.
- Ottimo, adesso Julian, lascia che ti presenti Arianna. – Disse Lucinda.
Era strepitoso quanto intrigante come quella donna riuscisse a parlare con una calma anormale e col sorriso quasi sempre sulle labbra.
Julian non rispose, annuì con la testa dando segno che quindi, era d’accordo nel conoscere Arianna.
- Vieni ragazzo mio. – Disse e poi aprì la porta della casa e gli fece cenno di entrare, allungando la mano destra verso l’interno dell’abitazione.
- Tu aspetta qua, Susan. – Adesso si rivolse a sua figlia.
Era incredibile come dava ordini con pura classe e maestosità tanto che quasi non sembravano ordini, ma consigli.
Julian si fece coraggio e si avvicinò a Lucinda.
La donna annuì non appena il ragazzo si avvicinò a lui, e lo fece entrare in casa.
 
La casa all’interno era ancora più sensazionale che all’esterno.
La prima stanza che vide doveva essere la cucina, ma era arredata in modo sensazionale: Il colore che spiccava tra tutti era il blu.
Tutti i muri erano arredati in sfumature splendide di blu; in alto partiva un blu scuro, mentre si arrivava al basso che il colore era sempre più chiaro, quasi invisibile.
Il pavimento invece, era completamente nero, tutto nero senza nemmeno la sfumatura di altri colori, cosi come il soffitto, interamente nero. La stanza dava idea di cupacità e oscurità, quasi misteriosa. La cucina era grande, molto più grande di una normale cucina. Saranno stati trenta metri quadrati, enorme possiamo dire.
Vicino alla porta di ingresso vi era un attaccapanni bianco con delle rose come decorazioni, poi vi erano vari quadri sparsi in tutta la cucina, quadri di vari pittori, senza un filo logico preciso. Nel centro c’era un tavolo rotondo, abbastanza grande per cinque/sei persone, anche se in casa come detto erano in due..
Ed infine, sul fondo della stanza, ovviamente vi erano i vari mobili che ci sono in tutte le cucine di ogni abitazione, dietro ad essi, pareva esserci una porta, ma Julian non ne era sicuro, in quanto non ne vedeva l’utilità..una porta dietro ai mobili?
Tutto il resto vuoto. C’era moltissimo spazio vuoto, vuoto senza apparente utilità.
Lucinda condusse Julian verso il centro della cucina, dove proprio in linea con il tavolo, vi erano delle scale che conducevano al secondo piano.
Quindi l’unica stanza del primo piano era la cucina.
Le scale erano nascoste; a primo impatto non era possibile vederle. Dovevi addentrarti nel centro della stanza per notarle, casualità o fatto voluto?
Le scale erano totalmente bianche. Senza nemmeno un minimo di polvere, né una macchia di sporco. Perfettamente in ordine.
I due salirono le scale, e Julian ovviamente, mano a mano che le saliva, le contava.
Quattordici.
Prima i sassi fuori, adesso le scale. Questo numero si ripeteva sempre, sembrava che lo inseguisse.
Julian era perplesso, più perplesso di prima.
La casa era stranissima.
Dopo aver salito le scale, davanti ad esse, dopo un piccolo spazio dove fermarsi, vi erano tre porte: Una in mezzo, l’altra a destra e l’ultima a sinistra.
La donna si fermò improvvisamente.
- Dimmi adesso, ragazzo. Se dovessi scegliere in che direzione andare, quale sceglieresti?- Gli fece questa domanda, così dal niente e, secondo Julian, senza motivo.
- Perché questa domanda? – Julian provò a chiedere, anche se già sapeva che non avrebbe ottenuto la risposta.
- Te lo spiegherò quando sarà il momento. Tu dimmi. –
Quando sarà il momento.. che significava?
Quella donna era parecchio strana, non faceva che ripeterselo.
Eppure nella sua stranezza, nella sua diversità, lui ci vedeva se stesso.
Per cui decise che avrebbe deciso con l’istinto.
Quello che gli avrebbe detto il cuore. Ci pensò un secondo, poi rispose.
- Sinistra. –  Senza aggiungere altro, risposta secca.
La donna sorrise, sorrise come se fosse contenta. Quel sorriso era diverso dagli altri, era strano, come se fosse veramente contenta, ma contenta di cosa?
- Come pensavo. Entra da solo. –
Da solo? Sarà sicuro? Pensò il ragazzo al sentire quelle parole.
Però valeva la pena rischiare. In fondo non aveva nulla da perdere, e poi era ansioso di conoscere Arianna.
Julian fissò Lucinda negli occhi, prima di proseguire.
Notò gli splendidi occhi della misteriosa donna, fino ad adesso non ci aveva fatto caso. Blu. Blu come il profondo dell’oceano, un colore splendido, unico.
Probabilmente era quello il motivo del blu sulle pareti. Stava cercando di collegare qualcosa, ma ancora non ci riusciva, doveva sapere di più. Tutte quelle cose lo stavano incuriosendo.
Il contatto visivo durò qualche secondo, a romperlo fu lei.
- Che occhi che hai ragazzo. –
Julian però non rispose, sorrise e basta. Era il momento di andare.
Si voltò e, senza bussare entrò nella stanza.
 
La stanza era totalmente diversa dalla prima che aveva visto e dalle scale.
I colori totalmente opposti.
I muri erano rossi, senza sfumature. Rosso, rosso come il sangue.
Il pavimento bianco, splendido quanto perfido.
C’erano solamente due letti, un mobile dove mettere i vestiti e due piccoli armadietti accanto ai letti, sopra di esse vi erano due lampade identiche che emettevano una debole luce giallognola. Le coperte dei letti erano gialle, una giallo chiaro e una giallo scuro.
In mezzo ai due letti c’era una finestra magnifica: Si poteva vedere lo splendido paesaggio fuori; un panorama unico. I bordi della finestra erano probabilmente stati dipinti di nero scuro, ma quello non doveva essere il colore naturale; in ogni caso era il più adatto. Non c’erano decorazioni di nessun tipo sui muri, probabilmente la cosa era voluta, in quanto il rosso del muro faceva splendere la stanza rendendola spettacolare. Sul lato sinistro, infine c’era un’altra porta dove c’era un bagno.
 
 La stanza in sé era molto diversa dalle altre, era allegra e vivace, solare e raggiante.
 Quella era una stanza più che dava più idea di vita, al contrario dell’altra che dava idea di morte.
 
E fu in quel momento che Julian se la trovò davanti.
- Piacere, io sono Arianna. –
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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