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Autore: The Ghostface    26/01/2014    0 recensioni
I Teen Titans si sono infiltrati nel passato, lasciando un segno indelebile del loro passaggio.
in questa avventura si incotreranno con quattro noti personaggi storici, modificando per sempre le loro esistenze, e qualcuno potrà rivedere un'amica perduta da secoli.
Una short-story che ho scritto solo perchè mi è balenata per la testa, spero vi piaccia, io adoro scrivere storielle come queste, anche se spesso mi perdo a scrivere vere e proprie epopee.
I Titans dovranno muoversi tra eventi che modificheranno il passasto stravolgendo il presente, e tra strani e inspiegabili paradossi temporali, continuate a leggere per sapere in che modo cinque ragazzi hanno cambiato la storia.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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STELLA RUBIA
 
Stella si ritrovò nel mezzo di una terribile tempesta in un deserto.
Il gelido vento notturno soffiava implacabile.
«Sta calma Stella, ricordati cosa ti ha detto Robin, non toccare nulla di nulla!» si disse da sé per rassicurarsi.
La piccola aliena iniziò a vagare a casaccio nella tempesta andò avanti per molto tempo, con la sabbia che le entrava fin dentro le mutandine.
Dovette legarsi i capelli in una coda per evitare che le andassero sempre sugli occhi.
Ad un tratto udì una voce alle sue spalle in una lingua che non aveva mai udito prima.
Si volse e vide alle sue spalle tre strani figuri.
Il primo era una specie di gigante, enorme per statura e stazza, vestiva una cotta di maglia, un mantello di pelliccia d’orso ornato d’ermellino, bracciali d’oro sui polsi e una tunica verde con rifiniture d’oro, i motivi artistici che l’ornavano erano quelli degli antichi vichinghi
Portava sul capo una corona d’oro massiccio con incise sopra scene di caccia al drago, da essa spuntavano due grandi corna di cervo ramificate.
La sua pelle era bianca come il latte, aveva una folta e ispida barba gialla con anelli infilati trai ciuffi, lunghe trecce bionde gli cadevano dal capo, gli occhi azzurri dell’uomo erano bellissimi.
Era coperto di monili d’oro, anelli e pendenti grossi e rozzi per lo più ma molto preziosi.
Al fianco gli pendeva un’ascia bipenne.
Cavalcava sul dorso di un destriero peloso degno della stazza del cavaliere e la guardava con fare imperioso.
Dietro di lui stava invece un uomo più basso e mingherlino, sembrava un dio vestito com’era di sete e lino, gli abiti più magnifici che Stella avesse mai visto, non portava armi o gioielli ma il suo aspetto era quello di un uomo intelligente e saggio.
Calzava un alto copricapo d’argento con incastonati sopra zaffiri, rubini e smeraldi.
La sua pelle era gialla, gli occhi sottili e nerissimi, teneva i capelli argentati lunghi, così come i baffi e la barba filiformi che gli pendevano sul petto.
Anch’esso era a cavallo, uno snello purosangue nero, dal manto liscio e corto sotto il quale s’intravvedevano i muscoli slanciati dell’animale.
L’anziano che lo montava la osservava interessato.
A chiudere la bizzarra comitiva stava un terzo uomo dalla pelle scura come l’ebano e dai denti bianchi e luminosi, dischiusi in un sorriso.
Portava sgargianti abiti variopinti, larghi e comodi, ornati con ossa, denti e penne, sulla schiena aveva una pelle di leopardo, il naso e le orecchie erano piene di orecchini e piercing molto appariscenti.
Sembrava allegro nel vederla.
Aveva una corona sottile d’oro, tempestata di diamanti, numerosi anelli ad ogni dito e tanti bracciali, non come quelli del nordico, più numerosi e sottili, come dei grossi anelli,
Molto belli erano anche i suoi tatuaggi tribali che gli coprivano buona parte del corpo visibile.
La sua cavalcatura era la più insolita, sembrava un cavallo ma era molto più alto, il collo era più lungo e curvo, ed era anche più brutto con quel labbro a ciondoloni e la gobba sulla schiena.
Stella si ricordò ci averli visti una volta in un documentario, gli sembrava si chiamassero “dromedari”.
Il principe guerriero si fece avanti domandandole qualcosa in una lingua a lei sconosciuta, e visto che la piccola aliena non dava risposta il nordico si ripeté in latino e poi in greco ma ancora non ottenne nulla.
Stella Rubia allora s’avvicinò al biondo e senza alcun preavviso gli schioccò un bacio sulle labbra, e lo stesso fece ai compari di lui, quello attento  e quello allegro.
«Poffare!» esclamò il nordico «Chi mai è questa pulzella?»
«Non saprei» disse il principe africano parlando col nordico in koinè.
«Che sia un angelo inviatoci da Dio?» chiese invece l’asiatico.
«Non sono Angel» s’intromise la tamaraniana «Io sono Stella»
I tre la guardarono stupefatti.
«Non so voi, amici» fece il sovrano d’oriente  «Ma la sento parlare nella mia lingua nativa!»
«Io pure»
«La sua pronuncia è tale quale a quella dei miei connazionali» confermarono i due stupefatti quanto lui.
«Guardate!» esclamò il nordico «I suoi piedi non toccano terra! Sta volando!»
«Da dove vieni?» le chiese il pellegrino scuro un po’ intimorito.
Stella non vide il motivo di mentire a tre individui così strani e buffi «Io appartengo a un regno molto lontano, più di quanto possiate immaginare, la mia casa è lassù!» disse indicando la volta celeste, tuttavia la tempesta di sabbia impediva ai tre di vedere Tamaran, che la  ragazza indicava.
«Parla le nostre lingue native, vola e dice di venire dal Regno dei Cieli, costei non può essere che un’emissaria dell’Altissimo venuta a soccorrerci! Basta guardare la perfezione del suo viso per capire che non è umana» disse l’asiatico ai suoi e poi si fece avanti verso la rossa «Salve, divina! Il mio nome è Melchiorre, imperatore delle terre dove nasce il sole, la terre delle sete e delle spezie»
Il nordico lo raggiunse dando di speroni «Il mio nome è Gaspare il verde, re delle lande dei ghiacci perenni e del fiero popolo vichingo, un popolo di uomini indomiti e forti come orsi, sposati col mare  col ferro, cresciuti bevendo idromele e non latte»  proclamò orgoglioso.
«Io sono Baldassarre » si presentò l’ultimo «Sovrano delle teste nere, regno sul deserto e sulla savana.
Dalle mie terre dove il firmamento è limpido ho visto un messaggio nel cielo che mi diceva di venire qui, nella terra dei Romani, in giudea»
«Tutti noi l’abbiamo visto» precisò l’imperatore asiatico «Le stelle hanno preannunciato la nascita di un re, il più grande re che il mondo conoscerà mai, e noi siamo qui per rendergli omaggio, noi siamo i re magi»
«Portiamo in dono oro!» disse Gaspare mostrandole un cofanetto rilegato colmo di monete «Poichè egli sarà re»
«E incenso» Melchiorre espose il suo dono «Perché sarà santo»
«E mirra» anche Baldassarre estrasse dal bagaglio il suo omaggio «Poiché dovrà soffrire»
Stella ascoltò tutto con interesse.
«Quindi state andando da un bambino? Oh che bello!! Io adoro i bambini!»
«Ahinoi!» disse Gaspare «Ci è impossibile proseguire. Dovevamo giungere oggi a Betlemme ma gli spiriti avversi hanno scatenato questa tempesta che offusca il cielo, non possiamo vagare alla cieca in queste terre a noi sconosciute»
Stella Rubia si fermò a riflettere un attimo «In che direzione è Betlemme?»
«A Ovest» rispose Melchiorre, il più dotto dei tre.
La rossa sorrise «Seguitemi!» e i suoi starbolts le illuminarono i polsi, la giovane aliena si sollevò oltre la tempesta e avanzò verso ovest, rischiarando la strada ai tre viaggiatori.
«Avanti amici, seguiamo “Kometh-ha”: la-stella-con-la-coda!» esclamò Gaspare dando di speroni.
Così i re magi guidati da Stella giunsero a un’umile grotta a Betlemme, laddove la tamaraniana aveva udito i vagiti di un bambino.
I magi s’inginocchiarono a lui, gli porsero i loro doni e lo adorarono, Stella strinse presto amicizia con la madre del bambino, si chiamava Maria ed era più o meno della sua età.
Stella guardò con amore il bambino che le stringeva il dito e lui guardò a sua volta il visetto ovale dell’aliena sorridendole.
«Come lo chiamerai» chiese la rossa alla giovane madre.
Maria le sorrise con occhi pieni di gioia  e disse «Penso che lo chiamerò…Gesù»
In quel momento apparve il cono di luce che preannuncia l’apertura del portale e Stella capì che il suo tempo era scaduto.
Tutti i presenti la osservarono meravigliati «È giunto il momento che torni da chi mi ha mandato» disse Stella Rubia «Ma non curatevi di me, starò bene, davanti a  voi avete qualcuno di molto più eccezionale» sorrise strizzando l’occhio all’infante.
Si tuffò letteralmente nel varco spaziotemporale, zeppa di sabbia com’era non vedeva l’ora di tornare a casa e farsi una bella doccia.
  
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