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Autore: Sakyo_    27/01/2014    4 recensioni
[Dal quinto capitolo]
Eloise stava tremando.
Il guinzaglio di Demon scivolò via dalle mani di Castiel come conseguenza naturale dell’emozione appena nata in lui, e le sue mani si posarono così piano sulle esili spalle della donna, che tutto parve capovolgersi.
Quasi a chiedere permesso.
Quasi a voler esplorare l’inaccessibile.
Lei rimase inerme. Lui l’abbracciò da dietro. Più che un abbraccio, era un tocco leggero. Solo per farle avvertire la sua presenza.
Lei, così piccola e indifesa che non pareva possibile fosse proprio la professoressa.
In quel momento, in quel luogo avevano dato vita a qualcosa.
Qualcosa che non sarebbe dovuto essere.
Ma qualcosa che ormai, c'era.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Lysandro, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Let it Burn



1. Tacchi Dodici

L’aria fresca di settembre smuoveva le foglie verdi degli alberi che si preparavano ad affrontare un nuovo autunno. Una di queste, leggermente ingiallita, fu colpita in pieno da una folata di vento improvviso e roteò per alcuni istanti su se stessa, in una danza di commiato dal ramo che l’aveva ospitata per tutto quel tempo, prima di cadere sul duro asfalto del marciapiedi.
Bastò un passo, e la grazia del suo volo, la bellezza della sua essenza naturale e la superbia con cui poco prima osservava il mondo dall’alto svanirono per sempre. Pestata e stropicciata da una scarpa di passaggio, in quel frangente la foglia espresse pienamente il significato della parola “caducità”.
Ma nemmeno un’immagine così poetica sarebbe riuscita a smuovere i sentimenti del ragazzo fautore di quel gesto involontario, che continuò la sua camminata senza ovviamente accorgersi di aver commesso un’azione tanto misera quanto brutale.
La giacca nera di pelle gli faceva sentire caldo, ma sfilarsela avrebbe comportato un dispendio di energia non indifferente. Energia a cui avrebbe anche potuto rinunciare, se solo non fossero state le otto di mattina. La mattina significava sonno, e le otto significavano umore nero, quindi, per non alterare troppo il livello di scontento nel mondo, tutto sarebbe rimasto al proprio posto, giacca compresa.
Un sonoro sbadiglio accompagnò le note musicali che si propagavano dalle cuffie fino alle orecchie, per poi terminare il suo ciclo nelle lacrime degli occhi.
La notte precedente aveva continuato a strimpellare la sua chitarra fino alle due, ragion per cui quelle poche ore di sonno non gli permettevano di essere una persona propriamente contenta e sorridente di prima mattina, soprattutto dopo che aveva trascorso un’estate a svegliarsi all’ora di pranzo. Fortuna che non abitava in un condominio, altrimenti si sarebbe ritrovato a litigare quasi tutti i giorni con i suoi vicini di casa, insieme a un discreto quantitativo di denunce per rumori molesti.
Svoltato un angolo si ritrovò davanti una ragazza minuta, con dei corti capelli castani e due grandi occhi dello stesso colore. Era appoggiata ad un muretto e teneva le braccia incrociate. Quando vide il ragazzo il suo viso si illuminò.
«Ce l’hai fatta ad arrivare! Pensavo che stessi ancora dormendo» esclamò con un sorriso.
«Non è che sia sveglio, in realtà…» rispose il ragazzo, massaggiandosi un occhio con il palmo della mano.
«Dovresti smetterla di suonare fino a tardi» lo ammonì la ragazza.
«E tu dovresti smetterla di rompere le sc…» ma non finì la frase perché tutta la sua attenzione fu catturata da un elemento del vestiario dell’altra.
«Un momento… Quella è una gonna?» domandò in modo retorico, guardando con un’espressione incredula la ragazza, la quale in tutta risposta arrossì di colpo.
«È il primo giorno di scuola e voglio… Voglio dare una buona impressione!» balbettò con voce troppo acuta.
In realtà, il suo scopo non era quello. “Voglio essere carina per te”, era la frase giusta. Ma come ogni volta, avrebbe tenuto per sé i suoi veri pensieri.
Il ragazzo scosse la testa e riprese a camminare superandola. Lei, stando bene attenta a non far trapelare la sua delusione all’esterno, afferrò saldamente le maniche dello zaino che aveva in spalla e lo seguì in silenzio.
«Non ti sta male, Anne» disse improvvisamente il ragazzo che la precedeva «Non sembri nemmeno il solito maschiaccio»
Anne ci mise qualche secondo per realizzare che quello che aveva appena sentito era un complimento. Camuffato, ma pur sempre un complimento.
Si morse le labbra per evitare di sorridere e lo superò facendogli una linguaccia.
«Muoviti, Castiel!»

 
***
 
Al suono della campanella tutte le aule si riempirono come formicai. Il chiacchiericcio si faceva sempre più rumoroso e insistente, dato che le vacanze estive si erano appena concluse e tutti avevano molte cose da raccontare.
Anne e Castiel presero posto nella fila accanto alla finestra, lui all’ultimo banco, lei a quello subito davanti. Dalle elementari portavano avanti quell’abitudine che nessuno aveva mai interrotto. E la cosa non risultava neanche troppo strana, a pensarci bene. Ogni tanto qualcuno tentava di occupare l’ultimo banco, magari per scampare un’interrogazione o più semplicemente perché quella volta non aveva voglia di stare in prima fila sotto gli occhi degli insegnanti, ma bastava uno sguardo di Castiel a far capire al malcapitato che quell’idea non sembrava poi così geniale.
«Avete sentito? Pare che avremo un nuovo professore quest’anno»
La notizia dell’arrivo di un nuovo docente si diffuse velocemente tra gli studenti e altrettanto velocemente iniziarono a venir fuori le ipotesi su chi fosse, cosa insegnasse e che livello di cattiveria raggiungesse il suo metodo di insegnamento.
«Spero sia meno noioso del professor Faraize» disse qualcuno.
«Secondo me sarà una vecchia zitella come la Direttrice!» ribatté un altro, scatenando le risate di alcuni compagni.
Alle otto e trenta spaccate la porta dell’aula venne aperta con uno scatto secco della maniglia e tutti poterono finalmente dare un volto alla vaga immagine del nuovo professore che fino a pochi secondi prima svolazzava confusamente nelle loro menti.
Il movimento di circa trenta teste si sincronizzò con l’andatura della persona che stava raggiungendo la cattedra a passo deciso.
I tacchi dodici delle décolleté colpivano sonoramente il pavimento come una pistola semiautomatica concentrata a perforare il suo bersaglio. La minigonna in similpelle nera fasciava due gambe non troppo lunghe ma ben definite e seguiva fedelmente ogni contrazione muscolare compiuta per arrivare a destinazione. La camicia bianca aveva le maniche arrotolate fino ai gomiti e sulle estremità dei seni ricadevano lunghi capelli corvini che sfuggivano allo chignon dietro la testa. Un paio di occhiali dalla montatura rettangolare nascondevano lo sguardo tagliente di un giovane viso lievemente truccato e dai tratti volutamente severi. Una ragazza, o meglio una donna incredibilmente giovane, aveva radicalmente stravolto una classe intera riguardo la semplice concezione del termine insegnante.
Nell’aula non volava una mosca. Rimasero tutti a osservare i movimenti di quella donna con espressioni ebeti e bocche semi aperte, come intontiti.
Quando arrivò alla cattedra posò la borsa a tracolla su una sedia e si girò di spalle – gesto che comportò la deviazione dello sguardo dei ragazzi molto più in basso rispetto a dov’era puntato in precedenza – per prendere il gesso della lavagna. Scrisse velocemente a caratteri corsivi il suo nome alla lavagna, poi si voltò nuovamente verso gli studenti.
«Mi chiamo Eloise Laurent e sono la vostra nuova insegnante di storia»
Una presentazione breve ma concisa che però lasciava in sospeso molte domande. Una fra tutte continuava a tartassare la mente degli studenti che pian piano stavano prendendo coscienza della situazione: quanti anni ha la professoressa Laurent?
«All’intervallo partono le scommesse» bisbigliò un ragazzo dall’eccentrica capigliatura azzurra vicino al gemello moro, la cui attenzione era stata inverosimilmente catturata da qualcosa che non fosse la sua console.
Ma l’oggetto elettronico, benché abilmente nascosto sotto il banco, non sfuggì agli occhi attenti della professoressa. «Ti consiglio vivamente di mettere quella roba nello zaino, se non vuoi rivederla alla fine dell’anno» la sua voce non era alta ma riuscì ad arrivare chiara fino agli ultimi banchi facendo raggelare il diretto interessato.
Sistemandosi gli occhiali con la punta del dito, la professoressa Laurent aprì il registro e iniziò a fare l’appello. I nomi erano tanti, troppi per la sua memoria poco fotografica.
Analizzò con scrupolo tutti i volti dei ragazzi che chiamava, cercando di associarli ai cognomi che pronunciava lentamente.
La sua concentrazione era quasi completamente indirizzata a questo processo mentale. Quasi, perché una piccolissima parte andò a puntarsi sulla chioma scarlatta che spuntava prepotentemente dalle ultime file di banchi vicino alla finestra.
Affinando l’udito si poteva sentire un rumore pressoché impercettibile arrivare proprio da quella direzione.
Le sopracciglia della professoressa si corrugarono quel tanto che bastò a mettere in allerta Anne.
«Castiel, togliti le cuffiette» sussurrò agitata all’amico. Ma Castiel continuò a non prestare attenzione a ciò che succedeva intorno a lui, preferendo tenere gli occhi puntati fuori dalla finestra mentre picchiettava due dita sul davanzale.
Si decise a tornare nella realtà soltanto quando, con la coda dell’occhio, notò che tutti i compagni davanti a lui lo fissavano eccitati e terrorizzati allo stesso tempo.
Poi d’improvviso la musica svanì dalle sue orecchie.
La professoressa, in piedi alla sua sinistra, aveva staccato le cuffie dal lettore mp3 e lo guardava dritto negli occhi.
Dal canto suo, Castiel smise di tamburellare sul davanzale assumendo un’espressione infastidita. «Qualcosa non va?»
«Se hai il tempo di ascoltare la musica durante le mie lezioni, sono sicura che troverai anche quello per andare a fare due chiacchiere con la Direttrice» disse la professoressa con tutta la calma di cui disponeva in quel momento.
«Non sapevo che bisognasse stare attenti anche durante l’appello» osservò il rosso con fare sarcastico.
Un angolo della bocca della professoressa si piegò verso il basso, segno che la sua pazienza stava pericolosamente arrivando alla fine.
Senza staccare gli occhi da lui, sollevò il braccio a mezz’aria e indicò la porta dell’aula.
Castiel si alzò dalla sedia, rimase a fissarla per un lungo istante dall’alto della sua statura, poi, come per prendersi una piccola vendetta personale spostò lo sguardo sul seno della donna e ghignò. Compiaciuto del suo gesto, la superò e si diresse verso l’uscita.
La professoressa chiuse gli occhi, inspirò profondamente ed allo stesso modo espirò. Tornò alla cattedra e finì velocemente di fare l’appello. La sua concentrazione nell’apprendimento dei nomi era andata perduta, avrebbe rimandato quell’esercizio ad un altro momento.
«Molto bene. Prendete i vostri libri di testo e iniziamo la lezione»
Anne scosse la testa e sospirò preoccupata. Non si poteva certo affermare che il suo amico avesse inaugurato il nuovo anno scolastico nel migliore dei modi.

 
***

Erano ormai le sei passate quando Eloise rincasò dal lavoro. L’appartamento in cui abitava era piccolo ma funzionale per ogni sua esigenza. Alla fine di una giornata del genere però, l’unica sua esigenza era spalmarsi sul divano e non alzarsi mai più. Prima di esaudire quel desiderio, si tolse gli abiti che indossava dalla mattina, si mise in tuta e sciolse lo chignon. I capelli ricaddero disordinati sulle spalle sottili e le ciocche ai lati del viso furono sistemate dietro le orecchie per praticità. Lo specchio del bagno rifletteva la sua immagine ora totalmente diversa. In quelle condizioni sembrava una normalissima ragazza di ventidue anni, sebbene in realtà ne avesse cinque di più. E quella che aveva da poco terminato era stata la sua primissima giornata di lavoro.
Non aveva compiuto sforzi fisici, eppure tutti i muscoli del suo corpo erano indolenziti come dopo un lungo allenamento in palestra. Con una mano si massaggiò il collo e roteò piano la testa da una parte all’altra. Lanciando un’altra occhiata allo specchio, si accorse di avere ancora gli occhiali da vista. Li tolse sperando di far riposare un poco gli occhi.
Poi si diresse in cucina, prese un trancio di pizza che aveva comprato poco prima di tornare a casa e tornò in soggiorno, dove finalmente poté buttarsi sul divano.
Mentre si gustava la cena accese il televisore per ascoltare il notiziario della sera, ma era ancora l’ora dei fastidiosi quiz televisivi quindi il suo cervello si alienò dallo schermo e iniziò ad elaborare i risultati del suo primo giorno di lavoro.
Era riuscita a nascondere discretamente l’agitazione iniziale, anche se temeva che qualcuno avesse notato il tremore delle mani quando aveva scritto il suo nome alla lavagna.
La lezione era proceduta abbastanza bene, la sua voce era stata chiara e non si era persa troppo in inutili digressioni. Aveva anche avuto l’impressione che i suoi studenti fossero attenti e la maggior di loro si era impegnata a prendere degli appunti su ciò che aveva spiegato. L’unica nota che stonava in quel resoconto quasi perfetto era... Il ragazzo dai capelli rossi. Essendo una giovane insegnante, la sua preoccupazione più grande era di non riuscire a farsi rispettare dagli studenti. Ma aveva tenacia e sangue freddo insieme alla consapevolezza della professionalità che il suo atteggiamento le conferiva.
Quel ragazzo così strafottente aveva fatto vacillare per un attimo la sua sicurezza. Non andava bene. Era un elemento che non doveva assolutamente sottovalutare.
Eppure non riusciva a ricordare quale fosse il suo nome...
Poco importava. Con la certezza che l’avrebbe imparato presto a causa della sua faccia tosta, finì di mangiare l’ultimo pezzo di pizza e abbassò il volume del televisore.
L’indomani sarebbe arrivato presto e il programma della lezione successiva di certo non aveva la capacità di scriversi da solo. Con uno sbadiglio, Eloise prese il suo computer portatile e si immerse di nuovo nel suo ruolo di professoressa.

 
***

Seduta sul bordo del letto di Castiel, una gamba penzoloni e l’altra stretta con le braccia, Anne scrutava severa il volto dell’amico.
«Prima o poi finirai davvero nei guai, sai?»
Castiel, con il plettro nelle labbra e la chitarra tra le mani, guardò Anne con aria interrogativa.
«Non puoi comportarti in quel modo con un’insegnante!» esclamò la ragazza, esasperata dalla tranquillità dell’altro.
Castiel capì a cosa si stava riferendo e roteò gli occhi facendo intendere che il discorso non lo interessava minimamente. «Ma l’hai vista? Non avrà nemmeno trent’anni... In che tipo di guai potrà mai farmi finire?»
«Sarà anche giovane, ma rimane sempre la nostra professoressa. Non essere così superficiale, Castiel»
Il rosso tolse della polvere invisibile dalla sua chitarra per poi lanciare un’occhiata alla sveglia sul suo comodino. «È tardi, va’ a casa» tagliò corto.
Anne si sentì quasi offesa da quelle parole e senza dire più nulla si alzò per mettersi la giacca. Stava per uscire dalla stanza quando si sentì tirare per il cappuccio.
«Scema»
Castiel si infilò al volo la giacca di pelle e la precedette nell’uscire.
Quel ragazzo riusciva a renderla immensamente triste e felicissima nel giro di venti secondi.
«So arrivarci da sola a casa, non ho bisogno della balia»
«Sta zitta, marmocchia»
Anne sorrise, spingendogli la schiena. La parte dell’offesa non le usciva mai bene con lui.



 
Note dell'autrice:
Chi l'avrebbe mai detto che sarei tornata così presto a pubblicare una nuova storia?
Io per prima non lo pensavo, e invece eccomi di nuovo qui.
Due o tre giorni dopo aver concluso Night and Day, mi è balenata nella mente un'idea.
Ed ora, l'inizio di quell'idea è in forma scritta nel fandom di Dolce Flirt.
Ho già buttato giù a grandi linee tutta la trama, quindi spero che uscirà un buon lavoro!
Ovviamente non posso rinunciare a Castiel, quindi è di nuovo in scena con il ruolo di protagonista maschile.
Spero che questa storia possa piacervi! Fatemelo sapere lasciando un commento :3

Sakyo
  
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