Ero sempre stato attratto da quella
ragazza. Dai suoi occhi,
marroni e profondi, ma che il giorno dopo sembravano invece verdi e
brillanti.
Dal suo sguardo che sembrava leggerti l’anima. Dai suoi
capelli lunghi,
leggermente mossi e arricciati, ma appena un raggio di sole curioso li
attraversava, li trasformava in una massa di capelli rossi, quasi
viola. Dalle
sue labbra, carnose, sempre nascoste dietro un leggero filo di rossetto
di un
colore bordeaux scuro. Dalle sue mani, che non riusciva mai a tenere
ferme, con
quelle unghie che cambiavano colore quasi ogni giorno, ma che non
avevano mai
visto la luce del sole. Da quel fisico, magro, ma con le curve al punto
giusto,
da fare invidia a tutta la scuola, persino alle cheerleader
più belle. Da
quelle gambe, che fasciava sempre, quasi cercando di nasconderle, in
una
moltitudine di pantaloni dalle fantasie e dalle stampe più
strane che ti
facevano cambiare idea e sembravano urlare: “Hey! Guardateci!
Siamo qui!”. Dai
suoi piedi, che indossavano le scarpe più strane, ma anche
quelle più semplici,
quasi ci fossero dei giorni in cui voleva sentirsi al centro del mondo
e altri
in cui voleva soltanto scomparire.
Mi ricordo ancora la prima volta che
la vidi e quando le
parlai:
Era il mio primo giorno nella nuova
scuola e, ovviamente ero
in ritardo, altrimenti come avrei potuto fare una brutta impressione?
Entrai in
classe e notai che la professoressa d’inglese aveva
già iniziato la lezione.
Quando mi vide, mi fece presentare e mi fece sedere
all’ultimo banco libero, in
fondo alla classe. Ero seduto alle sue spalle e la notai
perché, appena la
professoressa ricominciò a leggere la poesia, per poi
passare ad analizzarla,
tirò fuori dal portapenne il cellulare e
ricominciò a messaggiare. Quando la
professoressa spiegava lei scriveva su un quaderno a spirale, ma non
prendeva
appunti, lo potevo vedere.
Quando la campanella suonò
lei fu una delle prime ad uscire
dalla classe, non permettendomi di potermi presentare. Cercai di uscire
per
seguirla, ma un gruppetto di ragazze si era chiuso intorno a me, senza
lasciarmi vie di fuga.
Quando, finalmente, riuscii a
scappare dalla folla, andai a
cercare il mio armadietto e, trovandolo, ebbi una piacevolissima
sorpresa: era
di fianco al suo. Cercai di rimanere calmo e mi avvicinai
all’armadietto,
ripetendomi mentalmente la combinazione che avevo letto poco prima. La
inserii
e aprii lo sportello. O almeno ci provai, dato che era bloccato. Sperai
non se
ne fosse accorta e strattonai lo sportello ancora un paio di volte, ma
non
accennava ad aprirsi neanche di mezzo millimetro. Fu allora che mi
accorsi che
mi stava osservando con un sorrisetto sulle labbra. Arrossii e le
rivolsi a mia
volta un piccolo sorrisetto che chiedeva aiuto senza bisogno delle
parole.
“Posso aiutarti?”
mi chiese sogghignando.
“Te ne sarei eternamente
grato” le risposi sorridendo e lei
si avvicinò all’armadietto e cominciò a
spiegarmi.
“Guarda attentamente.
Allora… Alza il lucchetto, poi, la
vedi questa conchetta? – mi indicò un piccolo
bozzolo alla destra del lucchetto
– Ecco, tenendo ben sollevato il lucchetto, gli tiri un
colpetto e questo si
apre” fece tutto ciò che
mi aveva detto
e l’armadietto, magicamente, si aprì sotto i miei
occhi.
“Grazie” le
dissi, per poi posare i miei libri sul ripiano
più alto. Feci per girarmi e parlarle, ma non feci in tempo,
che i suoi amici
arrivarono e se la portarono via
“Hey, Lindsay! Andiamo in
classe?”
“Certo, arrivo!”
se ne andò, ma a metà corridoio sembrò
ricordarsi della mia esistenza, così si voltò e
mi salutò con un cenno della mano.
Risposi, incerto, per poi voltarmi, con un sorriso beota, e finire di
sistemare
i libri nell’armadietto.
Suonò la campanella e mi
diressi verso a classe. Le prime
ore passarono veloci e tutte uguali: entravo in classe, appello,
presentazione,
dormita megagalattica fino alla fine della lezione.
All’ultima ora entrai
nell’aula di storia ed andai a
sedermi, di fianco alla finestra, dalla quale potevo tranquillamente
osservare
il campo di atletica e quello di football. Era passata circa
mezz’ora di
lezione quando fui richiamato alla realtà dalla voce del
professore:
“Secharia? Secharia!
Sarebbe così gentile da continuare la
lettura del documento?”
“Certamente
professore” con voce tremante. Non avevo
minimamente seguito la lezione e non avevo la più pallida
idea di quello che
stavano leggendo. Stavo per impanicarmi, quando sentii, alle mie
spalle, un
lieve sussurro:
“Pagina 394, riga
12” annuii leggermente, in segno di
ringraziamento e cercai velocemente la pagina che mi era stata
suggerita. Avevo
letto tre righe, quando il professore mi interruppe
“Grazie Secharia, ha una
bellissima voce, la farò leggere
più spesso. E grazie a lei signorina Jones, per il
suggerimento al suo nuovo
compagno” non staccai gli occhi dal libro per la vergogna e
intanto, dalle mie
spalle, giunse una risposta:
“Non
c’è di che professore, per il nuovo arrivato
questo ed
altro” la classe scoppiò a ridere, ma a un cenno
del professore, tutti si
zittirono e la lezione continuò nel silenzio più
assoluto.
Al suono della campanella uscii a
testa bassa dalla classe e
mi fermai di fuori, di fianco alla porta, ad aspettare Lindsay.
Quando il gruppetto in ultima fila
iniziò ad uscire, uno dei
ragazzi si fermò davanti a me e mi disse:
“Amico, sei
fortunato!”
“Perché?” gli chiesi curioso
“Beh, sono poche le persone
che Lindsay sopporta e, a quanto
pare, tu sei una di quelle…”
“G…Grazie?”
non sapevo esattamente come reagire, ma mi
sentivo bene. A quanto pareva le stavo simpatico ed ero una delle poche
persone
ad esserlo.
Quando Lindsay uscì dalla
classe la chiamai e la presi da
parte.
“Che
c’è?” mi chiese con quella sua voce
dolce e leggermente
acuta, facendomi venire i brividi lungo tutta la spina dorsale.
“Io volevo ringraziarti per
quello che hai fatto in classe,
prima. Non tutti, io compreso, avrebbero suggerito al nuovo arrivato,
col
rischio di essere beccati dal professore. Cosa che poi è
successa”
“L’ho già detto in classe e te lo
ripeto: per te questo ed altro” arrossii
nuovamente. Da quando in qua una ragazza mi faceva
quell’effetto?
“Allora grazie di
nuovo” le sorrisi e mi allontanai, ma poi
mi bloccai, la chiamai e corsi verso da lei.
“Hey! Lindsay!
Aspetta!” si voltò verso di me e mi sorrise,
facendomi nuovamente svegliare le farfalle nello stomaco.
“Dimmi tutto”
“Io… Non ci
siamo ancora presentati per bene. Io sono Eric”
“Tutto qua?”
“Cosa?”
“Ho detto: tutto qua?”
“Sì, ho capito cos’hai detto,
è solo che non capisco
perché…”
“Non lo hai
capito?”
“Cosa?” mi piaceva fare il finto tonto. Ero davvero
curioso di vedere fino a
che punto sarebbe arrivata.
“Andiamo
bene…”
“Lindsay, potresti spiegarti?” la campanella
suonò e tutti cominciarono a
dirigersi chi verso il pulmino, chi verso la macchina, chi verso gli
spogliatoi
per le attività pomeridiane.
“Senti, ora dovrei proprio
andare. Se arrivo in ritardo la
coach mi uccide. Che ne dici se passi da me, stasera, per le 8?
Così, posso
spiegarti, per bene, cosa intendevo…” disse, con
un piccolo sorrisetto,
allontanandosi.
Io sorrisi, soddisfatto, per poi
ricordarmi che non avevo la
più pallida idea di dove abitasse, così le dissi:
“Io lo farei volentieri, se
solo sapessi dove abiti…” lei
scoppiò a ridere e si riavvicinò a me
“Facciamo così
– disse estraendo uno sharpie viola dalla
borsa – qui c’è il mio numero. Arrivi a
casa e mi fai un messaggino. Ok?” mi
scrisse sul braccio una serie di numeri e se ne andò. Quando
fu al fondo del
corridoio si voltò a salutarmi e le urlai:
“Ma è un
appuntamento questo?”
“Per te questo e altro” fu la sua risposta, prima
di sparire dietro alla porta.
SPAZIO AUTORE
Sono tornata! Dopo mesi e mesi sono
tornata con una nuova
storia. Ho deciso di lanciarmi con questa nuova band. Quindi, ditemi
cosa ne
pensate J