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Autore: _Maisha_    28/01/2014    3 recensioni
Vi siete mai chiesti se i personaggi Disney fossero davvero quelli che crediamo? E se ci fosse qualcosa di loro che non sappiamo?
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Three Knots


 
Cara Rosie,
sempre più spesso mi chiedi come mai di nonno tu ne abbia uno solo. Sei grande, ormai, e con te cresce anche la tua curiosità per il mondo e ciò che ti circonda. Questa lettera, mia adorata bambina, è per raccontarti una storia che poche persone conoscono; questa, piccola, è la mia storia.

Avevo circa la tua età quando mio padre morì. Lo amavo molto, quanto tu ami papà e me. Un amore forte e viscerale; oh, quanto adoravo le sue storie prima di dormire, la sua voce dolce e calda, i suoi occhi felici, le sue carezze. Tutto questo mi fu portato via all’improvviso, come se un uragano si fosse abbattuto repentinamente sulla mia vita distruggendo e scuotendo e rovinando ogni mio appoggio solido e fondamentale. 
Papà si era molto ammalato. Un male quasi impossibile da curare, gravissimo, lo fiaccava ogni giorno di più. Eppure lui lottava, lottava per tenermi stretta a sé, per non privarmi di un altro genitore. Come sai, infatti, la mia mamma, tua nonna, era scomparsa tragicamente quando io ero molto piccola, di lei ricordavo solo che mi assomigliava molto e che amava cantare, proprio come me e ora… come te.
Nonostante il suo continuo combattere, comunque, mio padre perse il duello con la morte, spegnendosi. Prima di lasciarmi, però, quando la malattia gli impediva già di parlare e di aprire gli occhi per più di pochi secondi, con mano tremante, accarezzandomi impercettibilmente, quasi a non voler essere scoperto, mi fece un dono: un pezzetto di corda con tre nodi.
Non capii, ero così piccola e ingenua e triste…
Quello spago fu l’ultimo regalo che ricevetti, insieme a quell’ultima carezza che sapeva sì di disperazione, ma anche di un invito a non mollare.
Dieci anni dopo, quando una dolce fatina, la mia madrina, venne ad aiutarmi per andare al ballo dove conobbi tuo padre, quella corda improvvisamente acquistò un senso. La Fata Smemorina, infatti, tra una magia e l’altra mi disse di appartenere a una confederazione di esseri magici chiamata “Tre Nodi”. Tre nodi come quelli presenti sulla corda regalatami da papà. Stupidamente non ci prestai attenzione, presa com’ero da ciò che mi stava accadendo intorno e lasciai che quell’informazione così importante si riempisse di polvere in un cassetto della mia mente.
Dopo il mio matrimonio con tuo padre ebbi molto più tempo da dedicare a me stessa non dovendo più accontentare i capricci di qualcun altro. Mi trovai a pensare più e più volte a un collegamento tra il buffo dono di mio padre e qualsiasi altro oggetto o situazione o luogo. Trovai il nesso che cercavo quando la mia madrina, l’unica persona rimastami della mia vecchia vita che teneva ancora a me, una sera di luglio, precisamente l’anniversario nel nostro primo incontro, decise di volermi rivedere sul limitar della foresta. Con me, naturalmente, c’era la mia cordicella che in pratica non mi lasciava mai.
I nostri saluti furono calorosi e felici e Smemorina non la smetteva di parlare neanche un secondo; erano cambiate molte cose in quell’anno e lei era una donna davvero curiosa, ma qualcos’altro turbava la mia mente.

Quando mio padre morì mi donò questo, – la interruppi, sovrappensiero, mostrandole la cordicella. E...  mi chiedevo se tu potessi capirne qualcosa… ti prego Smemorina, aiutami.
Oh cielo, bambina! Sei sicura di quello che dici? Questa funicella è sicuramente legata ai Tre Nodi! Voglio dire, è il nostro simbolo! Ne ho una anch’io! rispose, mostrandomi la sua copia della piccola fune annodata, tirandola fuori da un tascone del vestito azzurro. Forse… forse tuo padre voleva che ti assistessi in qualche modo!
Io… io non lo so Smemorina. Vorrei solo capire cosa è successo a mio padre… del perché di questa corda… del perché se ne andato!
Lacrime amare presero a bagnarmi le guance e un dubbio iniziò ad insinuarsi in me. E se mio padre fosse stato ucciso? Non avrebbe avuto alcun senso la corda se fosse stato altrimenti, forse mio padre sospettava qualcosa, forse non aveva la forza di dirlo, forse anch’egli desiderava capire cosa stesse succedendo alla sua realtà.
Invano Smemorina provò a consolarmi; tentò di trasformare un ranocchio in una principessa in tutù ma divenne un maialino arancione e le mie lacrime cominciarono a scendere più copiose. Come avrebbe potuto aiutarmi quella donna? Buona, sì, ma così smemorata e buffa…
Quasi come se mi leggesse nella mente, la vecchia fata sussurrò: – Non dubitare di questa vecchietta solo perché ha i capelli bianchi, Cenerentola. Puoi portarmi nel luogo in cui se ne è andato?
Annuii, sorpresa. Quella sera stessa tornammo nella mia vecchia casa. Lady Tremaine, la mia matrigna, sussultò vedendomi arrivare, poi, quasi spaventata dalla mia fragile persona, che fino a poco tempo prima usava per pulire, servire e rassettare, s’inchinò con una smorfia.
Non la considerai. Quella donna mi aveva fatto tanto male che non meritava neanche la mia compassione. La camera di papà aveva lo stesso odore di quando l’avevo lasciata: tabacco e mogano. Mi sfuggì un sorriso. Lo sentivo quasi lì con me. Mi presi un po’ di tempo prima di chiamare la madrina a mente. Strizzai gli occhi, pensai di volerla vedere ed eccola lì, in una nuvola di stelline brillanti.
Per la prima volta la fata non parlò ma, limitandosi a farmi un cenno con il capo, si diresse vicino al letto di mio padre, perfettamente immacolato da quell’orribile giorno; Lady Tremaine, infatti, aveva deciso di cambiare stanza perché la sua vecchia camera le ricordava troppo papà. Come se le importasse veramente.
Non passò molto quando Smemorina, accigliata, cacciò la bacchetta dalla manica destra del suo morbido abito.

Tiritì, tiritò, tiritù, letto svela il misfatto, ora o mai più!
Il letto di papà fu colpito da un lampo di luce gialla.
Qualche secondo dopo, immerse in una nebbia dorata, io e la fata madrina vedemmo comparire al nostro fianco una figura evanescente, con le stesse sembianze di una persona che conoscevo…

Genoveffa! – urlai. Doveva andarsene da lì!
Smemorina ridacchiò. Non capivo cosa c’era da ridere in quella situazione così delicata. Forse intimorita dal mio sguardo severo, la fata si rabbuiò e allungata una mano trapassò da parte a parte la mia sorellastra che non parve accorgersi di nulla. Ah, la magia… non finiva mai di sorprendermi.
Osservai la scena in silenzio.
Genoveffa, che notai essere poco più che bambina in quella forma spettrale, si avvicinò al letto di papà e dopo essersi guardata intorno, come se nulla fosse, attraverso una piccola boccetta di profumo spruzzò qualcosa sulle lenzuola.
La scena si ripeté dinanzi ai miei occhi per dieci volte circa e ogni volta Genoveffa aveva una pettinatura o un abito diverso. In pratica, Rosie, la mia sorellastra per alcune settimane aveva fatto visita regolarmente alla stanza di mio padre cospargendo il letto di quello strano liquido biancastro.

Fata Smemorina, cos’è quella roba? – non riuscii a contenermi. Dovevo sapere. La mia madrina si avvicinò al letto, sfiorando le lenzuola con delicatezza e pizzicandosi le dita in seguito.
È un batterio, mia cara. – Smemorina strizzò gli occhi, quasi a voler piangere. O meglio, è una pozione che contiene un batterio.
Un batterio? Genoveffa? Mio padre? Io… non è possibile! Devo… devo chiederglielo subito! 
Corsi fuori da quella stanza, da quell’omicidio, da quell’orribile verità.

Genoveffa! Genoveffa, vieni fuori! È la tua regina che te lo ordina!
Non avevo mai ordinato niente a nessuno, tantomeno urlando… ma stavolta era diverso. C’era di mezzo un assassinio, e il morto era mio padre. Il mio amato padre.
Genoveffa uscì dalla sua stanza, trascurata, invecchiata a poco più di vent’anni, un piede ancora zoppo per i danni procuratisi nel provare a indossare la mia scarpetta di cristallo.

Maestà – disse, inchinandosi con aria di sufficienza, proprio come l’odiosa madre.
La invitai a scendere al piano inferiore. Davanti al grande camino del salone che avevo pulito così tante volte sedevamo io, le mie sorellastre e Lady Tremaine, nonostante sentissi ancora la presenza di Smemorina accanto a me.

Sono passati molti anni da quando il papà è morto, – cominciai. – Immagino che a tutte voi manchi molto, proprio come manca a me.
Osservai i loro sguardi, nessun fremito, nessun guizzo di tristezza. Vuote.

Credo che nostro padre e suo marito, Lady Tremaine, sia stato ucciso. E ho dei… temporeggiai, cercando di trattenere le lacrime e la rabbia. – Sospetti. Si dà il caso che il sospettato si trovi proprio qui, in mezzo a noi, mi fermai un istante. – Genoveffa, circa dieci anni fa cosa spruzzavi sul letto di papà, quando t’intrufolavi di nascosto in camera sua?
Pronunciai l’ultima frase con una tale rapidità che quasi non si capì.

Non so di cosa stai parlando.
La sua risposta fu secca, fredda, come se se l’aspettasse.

Ho le prove, mostro! – le urlai contro, aspra. – Cos’era quella pozione? Come l’hai avuta? Per l’amor del Cielo parla! Genoveffa, ti ho servito per anni, mi devi delle spiegazioni! Se non lo farai, te lo ordinerò in quanto tua regina.
La mia sorellastra trasformò il suo ghigno in una risata beffarda e malefica che ben presto divenne un continuo singulto seguito da copiose lacrime.

Io ero invidiosa, – cominciò. – Di te, di voi. Sì, tu Cenerentola eri sempre al centro di tutto e di tutti ed io e mia sorella eravamo sempre in disparte! Sempre! Ma io soprattutto. Sì, io ero il nulla. Anche Anastasia era più importante di me, con il suo caratterino più docile e con un viso più dolce del mio. E la mamma, oh, la mamma sembrava felice. Ma le sue figlie? Non esistevano più. C’era solo il suo stupido nuovo odioso marito.
Bambina, ma cosa stai dicendo? provò a ribattere Lady Tremaine.
Oh, sta zitta mamma! – rimbeccò la figlia, Io non ce la facevo più. Odiavo tutti voi. La mia vita era un inferno! L’unico a volermi bene era il mio papà… che se ne era andato. Dovevate capire quanto soffrivo! –
Non sapevo cosa pensare. Genoveffa era sempre stata una bambina… una ragazza, forte, dura, sicura di se stessa. Non mostrava a nessuno il suo dolore, ma solo la sua frustrazione e la sua rabbia.

Pagai una delle cameriere che avevamo prima per ottenere quell’intruglio. Lei non sapeva di cosa si trattasse, naturalmente. Beata ignoranza. Dal canto mio, essendo io la maggiore tra voi, sapevo leggere e mi dilettavo con i libri di medicina e scienze della biblioteca. Non ci ho messo molto a trovare qualcosa che potesse essere letale. Ho fatto l’ordinazione alla serva e puff, ecco il mio veleno direttamente dal mercato nero del villaggio. Ci ha messo anche più del previsto per far fuori tuo padre, regina.
E tua madre? – trattenni le lacrime. – Non avevi paura che tua madre facesse la stessa fine? –
Sorrise:
No, certo. Ho ordinato anche l’antidoto per lei. Ogni giorno bastava una piccola goccia nel tè. E se ti stai chiedendo del perché nessuno riuscisse a curare tuo padre la risposta è semplice. Gli altri ingredienti della pozione rendevano il germe della malattia indistruttibile, tranne che al mio antidoto.
Improvvisamente la consapevolezza di ciò che aveva fatto quella donna malefica mi pervase. Non c’era pietà da provare o tristezza. La morte di mio padre era stata ingiusta e terribile ma la fragile psiche di Genoveffa aveva toccato il fondo. Era compassione, quella che provavo.
Decisi di non punirla. Che restasse lì, in quella stessa casa, sola tra le persone che amava ma che ormai non amavano più lei. Il dolore non pesa tanto quanto il senso di colpa, ma ti toglie di più. E in quel caso le aveva tolto tutti i suoi affetti. Spesso siamo noi i veri nemici di noi stessi, piccola mia. Impara a essere leale, forte, generosa, regale. Impara ad essere te stessa.
I tuoi genitori saranno sempre qui, per te, ogni volta che cadrai e ti sentirai sola e vorrai finirla con tutto quel dolore. Saremo sempre qui, anche quando saremo andati via da questo mondo. Ricorda, chi ti ama non se ne va mai veramente.

Con affetto,
mamma.

 

  
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