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Autore: SignoraKing    31/01/2014    5 recensioni
La vendetta di una ragazza.
Un'amicizia piena di parole non dette, sorrisi falsi e molti pianti.
Ecco cosa vuol dire amicizia, per me è sempre stato dolore.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il vero significato dell'amicizia

Il coltello scintillava alla luce di una vecchia e nuda lampadina che pendeva dal soffitto.

Michela, con un dito, spostò la traiettoria del riflesso che colpì in faccia una ragazza.
Aveva del nastro isolante sulla bocca, i ciuffi dei capelli una volta biondi le cadevano sparsi sul viso.
Gli occhi spalancati in uno sguardo strano, uno sguardo che Michela non le aveva mai visto in tutti gli anni che si conoscevano.
In quello sguardo c'era il terrore allo stato puro, la paura cruda e semplice di chi sa che sta per morire.
Non le fece pietà, anzi, le fece salire il disgusto.
Lei per anni aveva nascosto il volto, gli occhi, per paura che qualcuno notasse qualcosa, la sua paura o i suoi pensieri.
Lei per anni aveva avuto paura di vivere e ora quella puttanella osava fare così? Osava mostrare i suoi occhi per impietosirla? Per farle cambiare idea?
Per un attimo pensò di farla finita, di ucciderla subito, con un taglio netto.
Ma che gusto c'era?
La voleva veder soffrire, chiedere pietà.
Un mugolio ruppe il silenzio.
- Vuoi parlare, piccola stronza? 

Michela dalla furia fece ruotare il coltello. Poi calmandosi lo fermò e si accomodò dicendo: -Certo che vuoi parlare, stupida bambina. Non sai fare altro. Non hai fatto altro per anni. Devi dirmi qualcosa di intelligente?

La ragazza annuì.
- Ok stupida, io ti tolgo il nastro. Non provare ad urlare, non c'è nessuno.
Con un gesto deciso strappò il pezzo di nastro dalla bocca che emise un gemito di dolore.
- Oh, non lamentarti, fai schifo. 
La stanza tornò nel silenzio assoluto. 
Nello strappare lo scotch le aveva ferito un labbro.
Ora una piccola goccia stava scendendo sul mento, s'ingrosso e poi cadde sul tavolo con un piccolo 'plick'.
Un'altra, un'altra ancora e così per dieci volte.
Michela non aveva fretta, le dava fastidio che non avesse ancora parlato però restò calma ad aspettare divertita il momento in cui Veronica si sarebbe uccisa con le sue parole.
Prima che cadesse l'undicesima goccia Veronica aprì la bocca, restò così per pochi secondi con bocca che tremava con la paura di quello che le sue parole avrebbero potuto scatenare.
Alla fine si decise, si fece forza e con un flebile sussurro appena udibile nel silenzio della stanza disse: - Perché?
Michela sorrise soddisfatta, aveva scelto la cosa giusta da dire, la cosa che avrebbe aumentato il suo ego, spiegare perché stava lo stava facendo.
Si sporse sul tavolo che le divideva e con fare cospiratorio le raccontò il motivo: -Semplice, stronzetta. Davvero semplice. Per anni ho dovuto sentirmi inferiore, sentire i tuoi divertimenti, i tuoi amori e così via mentre io passavo la vita a leggere, a piangere e a scrivere. Ho dovuto sentirti insultare tua madre mentre la mia moriva. Ho dovuto ascoltarti insultare gli omosessuali mentre io non sapevo se ero etero. Ho dovuto ascoltarti mentre guardandoti allo specchio dicevi che eri brutta, che 50 chili erano troppi, che le tue cosce erano troppo grosse. E io mi guardavo, sentivo un coltello nello stomaco e mi sentivo schifosa. Sempre troppo grassa, brutta e inutile. E mentre tu mi raccontavi delle tue, diciamo, avventure nei bar la sera prima io cercavo di immaginare come sarebbe stato. Come sarebbe stato essere come te. Bella, piena di amici, piena di spasimanti, con una vita piena di divertimento, con delle belle gambe e con molti meno problemi. Essere come te. Una piccola bionda, stronza, omofoba, stupida e senza molte speranze dopo la scuola. Ho invidiato per anni il tuo modo di essere. Ma alla fine eri solo una doppiogiochista, senza cultura e che sapeva solo parlare.
Prese una pausa, si alzò e respirò a fondo. 
Girò attorno al tavolo fino ad arrivare dietro di lei.
Il coltello era sempre sul tavolo a scintillare.
Le posò le mani sulle spalle, si abbassò fino ad essere vicino al suo orecchio e poi le sussurrò: -Hai mai pensato che io non fossi molto felice? Che io piangessi tutte le notti in silenzio per non farmi sentire? Che avrei voluto prendere le forbici e tagliarmi gli avambracci e farla finita? Che se alle finestre non ci fossero state le zanzariere io mi sarei buttata? 
Michela sorrise e tornò al suo posto.
La guardò fisso negli occhi, prese il manico del coltello stretto fra le dita e urlò: -Certo che no! Ovviamente non ti è mai passato per l'anticamera del cervello che io volevo morire ogni notte, che speravo che non mi sarei più risvegliata. Che finalmente non avrei più dovuto vedere la tua faccia di merda!
Si alzò di colpo facendo cadere la sedia.
Giocherellò con il coltello per un po'. 
A Veronica sembrò durare in eterno, sembrò che i secondi avessero rallentato il loro viaggio e che tutto quello non sarebbe mai finito.
Aveva in testa i sorrisi di Michela, tutte le volte che le aveva detto che stava bene, tutte le volte che avevano riso insieme e poi non ce la fece.
Grosse lacrime incominciarono a scenderle lungo il volto, scivolando con difficoltà finalmente arrivarono fino al mento dove, come era stato per le gocce di sangue, si ingrossarono e caddero producendo lo stesso rumore.
Michela che in quel momento non stava facendo caso a lei si voltò di scatto, digrignò i denti e si avvicinò velocemente.
- Cosa pensi di fare? Piangi? Tu stai piangendo? Non credi che debba essere io quella con le lacrime a gli occhi? Quella triste e disperata? Sei sempre stata così. Non capisci proprio. Neanche sotto minaccia di morte.
Ma sai una cosa? Quando sarà finita capirai che ti ho fatto solo un favore. Sei stupida. Non hai mai studiato niente. Non pensavi mica di andare a fare il geometra sul serio?!
Michela le prese una mano e la girò in modo che il palmo fosse rivolto verso il soffitto.
- Penso che il coltello non vada bene per questo...
Detto questo si alzò e si diresse in un angolo buio della stanza, aprì una porta e se ne andò.
Veronica si guardò intorno, cercò di capire dove si trovava.
Non riuscì a ricordare nulla delle ore precedenti al suo risveglio lì.
Solo flash confusi di Michela che le sorrideva in modo strano e di due biciclette.
Si ricordò della merenda che avevano fatto prima di partire. Il succo aveva un sapore strano, glielo aveva servito in un bicchiere.
Non avrebbe mai dubitato di lei.
Lo scatto della porta e l'entrata di Michela catturarono la sua attenzione.
Sembrava felice, in un modo strano però, aveva sempre quello sguardo di prima, uno sguardo pazzo, che non le aveva mai visto.
Quello sguardo, più di tutto, le faceva paura.
Michela prese la sua sedia, la avvicinò a quella di Veronica e tirò fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni.
Lo stringeva in pugno con un po' troppa forza. Delle goccioline di sangue cadevano dalle dita e sporcavano i pantaloni delle due ragazze.
L'aguzzina si era tolta la felpa e ora mostrava delle braccia esili ed abbronzate.
Aprì il pugno e prese delicatamente la lama che c'era all'interno.
Fermò con la mano ferita quella di Veronica e con la lama tracciò una piccola linea sul palmo ferendo la pelle non troppo in profondità.
Veronica sussultò.
- Cazzo stai ferma!
Michela continuò a tagliare la pelle.
Alla fine alzò la testa e contemplò il palmo insanguinato.
I tagli formavano le lettere A, M, I, C.
Prese l'altra mano e tracciò con la lama le lettere I, Z, I, A.
- Ecco cosa vuol dire amicizia, per me è sempre stato dolore.
Si rimise in tasca la lama e si alzò per andare a prendere qualcosa.
Posò sul tavolo una bacinella e un flacone di shampoo.
Veronica la guardò e senza che dicesse niente Michela le spiegò del perché della bacinella.
- Non voglio che tu muoia in questo stato. Hai i capelli sudici. Devi farti bella. Lavati bene i capelli..
Sorrise. E sembrava normale mentre sorrideva. Sembrava che non fosse successo nulla.
Le slegò le gambe e si rimise a sedere tirando fuori una vecchia edizione tascabile dei racconti di Edgar Allan Poe da uno stivale.
Nei minuti seguenti il silenzio fu interrotto solo da Veronica che muoveva l'acqua.
- Scusa...
Veronica lo disse con una vocina flebile, forse un po' più forte dell'ultima volta che aveva parlato, ma ovviamente Michela la sentì.
Si alzò senza dire nulla e portò la bacinella nell'ombra.
Le portò un asciugamano e sembrava quasi che non le avrebbe fatto niente.
La stoffa si macchiò subito di rosso per il sangue che continuava a uscire dalle ferite.
Veronica cercò di non emettere suoni nonostante le ferite le stessero bruciando per colpa dello shampoo.
- Dammi le mani.
La paura dentro di lei aumentò. Non voleva farsi fare altro male, ma nonostante questo dovette stendere le braccia sul tavolo sgombro.
Ma contro ogni aspettativa Michela tirò fuori da sotto il tavolo del cotone e del disinfettante e incominciò a pulirle le ferite.
- Vedi, voglio che nel momento in cui smetterai di vivere tu sia perfetta. Queste ferite sono parte del tutto, però il sangue no. E neanche il dolore. Vorrei poter lasciare che le ferite cicatrizzino completamente ma si può anche fare a meno, anzi devo farne a meno.
Finì di disinfettare e le fasciò le mani.
- Vieni con me.
Con forza obbligò Veronica ad alzarsi e la fece uscire dalla stanza.
Nell'altra stanza c'era un letto un po' vecchio, delle coperte consunte lo coprivano e sopra di esse c'era un bel vestito bianco.
- Mettitelo che io vado a preparare alcune cose.
Tornò quasi subito, Veronica indossava già il vestito. Si guardava intorno, cercava di capire dove si trovava. C'erano delle grandi finestre su una parete che facevano entrare raggi di sole dorati che scaldavano la stanza.
- Bevi questo.
Veronica non si era accorta che lei era tornata e sobbalzò nell'udire la sua voce.
Le stava porgendo un bicchiere d'acqua.
- C'è solo un po' di sonnifero.
In realtà non era solo un po', ma non le avrebbe fatto male, non più del pugnale nel cuore.
Piano piano incominciò a fare effetto il sonnifero e Veronica si distese sul letto.
Michela le mise delle belle scarpe, la truccò e poi prese un pugnale strano, sottile e lucente.
Lo prese tra le dita e senza nessun risentimento lo conficcò nel cuore di Veronica.
Finalmente era felice, finalmente si sentiva libera.



Angolo della scrittrice.
Dopo molto tempo ho deciso di tornare qui su EFP, avevo già iniziato questo racconto ma non ho mai trovato la voglia di finirlo. La storia a capitoli non credo di poterla continuare per ancora molto tempo.
Spero che sia il rating che il genere siano giusti.
Spero anche che vi piaccia.
Lasciate un commento così capisco cosa va bene e cosa no.
Ciao a tutti 
   
 
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