Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _A m a l i a_    02/02/2014    1 recensioni
Elyn, giovane cameriera al suo primo impiego, comincia a lavorare nella grande quanto misteriosa tenuta di LonsadRiver. Intorno a lei una moltitudine di personaggi, dai caratteri e dalle appartenenze sociali diverse. La rigorosità dei domestici, la gentilezza del signor Allen, la spensieratezza di Rosaline, il fascino del signor Markey, la scontrosità del padrone della tenuta..
Elyn imparerà a rispettare gli ordini di chi ricopre un grado più alto del suo, come una brava cameriera deve saper fare. Ma non sarà altrettanto brava a svelare la maschera dietro cui molti si nascondono. E sarà da un semplice ignanno dell'apparenza che avrà inizio la sua storia nel mondo di LonsadRiver.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
♦ Elyn ♦


Vorrei tra i tuoi capelli d’oro per sempre sognare,
che il tuo cuore si facesse tomba del mio che soffre,
che la mia carne fosse la tua carne,
che la mia fronte fosse la tua fronte.
Vorrei che l’intera anima mia entrasse nel tuo corpo minuto,
ed essere io il tuo pensiero,
ed essere io la tua veste bianca.

(Federico Garcia Lorca)
 

La luce delle prime ore del mattino, se pur cauta e tiepida, le infastidiva gli occhi ancora dormienti e la costringeva a un risveglio crudele. Il carro che la trasportava, guidato da un uomo impaziente di arrivare  a destinazione -probabilmente lei era solo la prima delle mille consegne che aveva da portare a termine quella mattina- tremava sulla terra ricoperta da sassi e pozzanghere, residue dalla tempesta della sera precedente. La velocità con cui avanzava il carro, la costringeva a un movimento traballante e nauseabondo, ma le permetteva di inebriarsi di quell’aria che sapeva di natura bagnata e di rugiada fresca.

La brughiera che attraversarono era silente e coperta da una nebbia bassa e sottile quanto un velo di sposa. Non la riconosceva, ma come avrebbe potuto? Aveva smesso di riconoscere i paesaggi che la circondavano non appena il carro oltrepassò il piccolo paesino che l’aveva vista crescere come bambina, come giovane ragazza e che ora ne perdeva le tracce, abbandonandola al suo destino. Era partita mentre l’alba si pronunciava in lontananza, in quel temporaneo istante in cui la notte si trasforma in giorno e così le lacrime che l’avevano accompagnata nel buio insonne della notte, si trasformavano in silenzi arresi davanti al fatto compiuto. Doveva partire, era giunto il momento che sapeva prima o poi sarebbe arrivato, per lei come per tutte le altre o almeno le più fortunate tra loro e questa fortuna che tutti le ripetevano - ma che per lei non era che una forma astratta e quasi spaventosa - le vietava di mostrare le sue lacrime davanti a chi questa fortuna non la poteva avere.

Erano passate quattro, forse cinque ore da quando si erano messi in viaggio. Aveva dormito per la maggior parte del tempo e solo ora, nel percorrere una stradina di ghiaia dalla fine impercettibile alla vista, si era svegliata d’improvviso. Nel tempo restante che passò seduta su una disagevole panca di legna, appoggiata alle sue valigie, non ci fu nessun discorso con l’uomo che al suo fianco reggeva le redini del carro. Solo  intercalari di bestemmie che uscivano dalla bocca dell’uomo, di cui riusciva a comprenderne solo la metà, rompevano il silenzio che divorava l’aria.

Aveva paura. Come un pazzo che si vuol buttar giù da una scogliera e non sa se saranno le acque ad accoglierlo. Aveva paura da ore, da giorni. Aveva paura adesso, su quel carro tremante, in mezzo al nulla oscurato dal nulla, ma sopratutto aveva paura delle domande che le tormentavano la mente e che non avrebbero trovato risposte consolatorie dall’uomo che le sedeva accanto, così che fargliele non la considerò nemmeno una possibilità. Le sarebbe bastata una carezza sulla spalla e se quella era troppo, allora si sarebbe accontentata di uno sguardo fiducioso, che la riempisse di forza. Ma nemmeno quello poteva chiederlo all’uomo che le sedeva accanto. Sperò che il tempo passasse veloce e che potesse diventare di nuovo notte, che potesse ricoprirsi sotto il suo lenzuolo bianco e sparire dalla realtà.

Passarono per stradine con ancora più ghiaia ad intralciarne il percorso, gli alberi si fecero sempre più presenti, tanto che capì di aver superato la brughiera. Qualche volto umano si materializzò lungo i sentieri, tranquillizzando le sue fantasiose inquietudini sul fatto che fosse un luogo popolato da soli animali. Erano contadini, per lo più. Alcuni portavano secchi carichi di terra, un altro sulle spalle reggeva una vanga, alcuni si tolsero il capello alla vista del loro carro e gentili salutarono, altri invece mantennero chino il volto sul terreno. Attraversarono un bosco e la natura si fece ancora più fitta, l’uomo parlò tra sé e sé di una strada che costeggiava il fiume, più comoda di quella che aveva scelto, bestemmiò di nuovo e ordinò al cavallo di avanzare con più destrezza, ma quel susseguirsi di tronchi di arbusti, di rami abbandonati a terra, non potevano che incespicare il tragitto.

Fu d’un tratto. Quando la tragedia sembrava ardere sul destino lontano ed ignoto e la tristezza s’impossessava di ogni fibra vitale, costringendo ad un urlo muto ancora più doloroso di quello gridato a gran voce. Fu in quel tratto che lo vide. Come un punto impreciso dapprima e come dimora massiccia nelle sue pietre grigie, mano a mano che si avvicinavano. Non disse nulla. Guardò l’uomo seduto di fianco a lei con il volto sorpreso di una bambina, ma lui non ricambiò il suo sguardo se pur lo avvertisse su di sé. Quando la vicinanza con il castello fu tale da farle battere il cuore a velocità instancabile, si ritrovarono davanti ad un ponte a tre arcate, basso e stretto da consentire a malapena il passaggio del carro. Il ponte collegava il castello alla terraferma, lasciando scorrere ai suoi piedi un torrente dalle acque calme. C’erano montagne ricoperte di verde oltre il castello, erano loro che più rapivano la sua attenzione. Non aveva mai visto le montagne, se non quelle che dipingeva con la sua immaginazione quando era piccola, mentre ora che le aveva davanti si accorse che mai nei suoi dipinti era riuscita a cogliere quella grandezza, quella superiorità.  “Non siamo niente al cospetto della natura”. Glielo ripeteva sempre la signorina Deller, l’unica insegnante che avesse mai avuto e che aveva diviso con decine di altre bambine. Finalmente poteva dire di comprendere il senso di quelle parole. Se non ci fosse stato quel vigore naturale, con l’alternanza di colori verdi intorno a lui, quel castello sarebbe apparso come il più triste e desolato. Le pietre e i mattoni che lo innalzavano gli conferivano un aspetto grigio e solo in alcuni tratti ramato. Le finestre ricoprivano la sua facciata e molto probabilmente ce ne sarebbero state altre nella parte retrostante. Era immensamente alto, le poche torrette di cui era munito le davano l’illusione ottica di arrivare a toccare il bianco delle nuvole in cielo.

Ad un passo dall’entrata, il portone d’ingresso, spalancato, dava segno che il loro arrivo era atteso.

Elyn strinse tra le mani tremanti un piccolo foglio di pergamena sgualcita. Era il suo primo attestato d’impiego, con esso si certificava che la signorina Elyn Cuinn, di diciassette anni (la realtà diceva che ancora non erano stati compiuti, ma dal momento che si trattava di poche settimane e che l’età minima per assumere una domestica era di diciassette anni, aveva convenuto con tutti gli altri che sarebbe stato meglio fingere di averli) prenderà impiego, in veste di domestica, impegnandosi a servire al meglio della sua forma, in particolare i seguenti impieghi: aiuto prima cameriera, aiuto cameriera di sala, aiuto cuoca qualora ce ne fosse bisogno. La sua presenza è attesa, la seconda domenica del suddetto mese, alla tenuta di LonsadRiver nel Damshire. Qualunque mancanza a tale impegno verrà considerata come rifiuto e pertanto non sarà più presa in considerazione. La lettera concludeva con la semplice raccomandazione di presentarsi in forma adeguata. Elyn si era soffermata su quella frase per ore intere, senza riuscirne a coglierne in pieno il significato. Se la “presentazione adeguata” si riferiva al vestiario, poteva già dire addio a quel lavoro. Quella tenuta-come citava la lettera- ma forse era il caso di dire quel castello -come citavano i suoi occhi, nel ritrovarselo davanti- non avrebbe mai accettato gli scialbi indumenti che portava, se pur fossero i più nuovi che avesse. Sperò tanto che nessuno si facesse ingannare dall’apparenza. Aveva studiato molto: cucina, ricamo, pulizia domestica. Non avrebbe mandato a monte tutte quelle ore perse a studiare, rinunciando al divertimento con le altre coetanee del paese.
 
 

Una signora alquanto bassa, dai capelli perlati raccolti in uno chignon ben tirato all’indietro, alzò entrambe le mani verso il carro, impedendone il  passaggio oltre il portone. Si avvicinò, con passo spedito e deciso, verso il guidatore.

«Non sarete qui per la domestica.» gli disse.

L’uomo non si prese nemmeno la cura di togliersi il cappello a mo’ di saluto, semplicemente indicò Elyn, le tolse il foglio che reggeva tra le mani e lo diede all’anziana signora.

«Oh cielo, ma non avete un briciolo di sennò in quella testa.» tuonò, muovendo le mani al fine di spostare il carro. «Su forza, allontanatevi da qui. L’entrata della servitù è al lato destro della tenuta. Come avete solo potuto pensare che avremmo accolto la nuova domestica facendola passare dall’entrata principale?» sospirò innervosita e si passò una mano lungo il vestito nero, sistemando le sgualciture. «Veloce, signore mio, veloce. Non avete più forza in quelle braccia?»
L’uomo la insultò, evitando che il suono dell’insulto la raggiungesse. Elyn, dal canto suo, non faticò a sentirlo.
L’entrata laterale del castello era meno vistosa, questo era evidente. Ma non meno priva di meraviglia. La porta che la signora aprì e dove volle che il guidatore e la ragazza la seguissero era contornata dall’edera verde che contribuiva a renderla meno angusta. La signora si fece seguire fino ad un salone pieno di casse di bottiglie, c’erano bottiglie di latte, di vino, di olio. C’erano anche  alcune casse chiuse e un lungo ripiano con dell’argenteria riposta con impeccabile ordine. Elyn non aveva mai visto così tanta argenteria.

«Così sei tu la ragazza..» la donna  distolse lo sguardo di Elyn dall’argenteria e lo attirò a sé, le alzò le braccia e la fece ruotare su se stessa, analizzandola attentamente con gli occhi.

«E’ tra le maggiori delle mie figlie..» l’uomo parlò per Elyn. «ed è anche la miglior lavoratrice. Sfama le più piccole ogni giorno con ottimi pranzi e altrettanto ottime cene. Ha studiato nella scuola del paese per oltre cinque anni, nessuno mai si è lamentato della sua condotta, ha trascorso..»

Ascoltando quell’uomo parlare, non era orgoglio quello che avvertiva. Sembrava più un meccanico discorso da sfoderare nelle migliori occasioni. Pensò che lo doveva aver fatto per tutte le altre ragazze che aveva sistemato qui e là, come domestiche. Anche la signora doveva aver avvertito quella freddezza uscire dalle parole dell’uomo perché ben presto lo fermò. «Non curatevi di darle buone referenze, se è stata scelta per servire in questa tenuta vuol dire che di referenze ne ha e se non dovesse essere così sarà lei stessa ha dimostrarlo con la qualità del suo lavoro.»

Un garzone si avvicinò alla signora con alcuni asciugamani bianchi e le disse qualcosa ad un orecchio. «Oh buon Gesù, qui non si può stare fermi un attimo.» disse, dando indicazioni al ragazzo e tornando a rivolgersi all’uomo alle sue spalle. «Se dovete salutare vostra figlia, fatelo in fretta, ho bisogno di lei. Devo mostrarle la sua stanza, vestirla e iniziare a farla lavorare. Qui non si scherza ragazza mia, si lavora e molto.»

Ma il rammarico negli occhi dell’uomo non era dovuto alla tristezza dell’addio che presto avrebbe dovuto dare alla sua dolce figliola, quanto a.. «E i soldi dove sono?» disse rabbioso alla signora che aveva già preso in mano la valigia di Elyn.

«Quali soldi, signor Cuinn?»

«I piani era molto chiari. Voi avete la vostra domestica e io prendo una percentuale del suo stipendio, dunque dove sono i soldi?»

Lo guardò con il volto tra l’esterrefatto e l’indignato. «Con chi avete stipulato questo medievale accordo?»  
«Con il droghiere Dollar, è lui che si occupa di trovare un impiego alle mie figlie, lo fa da anni e non mi era mai capitato di ritrovarmi in una situazione simile.»

«Il signor Dollar certo… ci ha parlato lui di vostra figlia, di fatti, e per questo che abbiamo deciso di assumerla. Ma vede non sono io che mi occupo della parte burocratica ma il maggiordomo, il signor Wilkinson. Io ho tante di quelle cose a cui badare, ci mancherebbe solo aggiungere la rogna della burocrazia.»

«E dove diamine si trova questo signor maggiordomo?»

Elyn, ricoperta d’imbarazzo, notò due ragazze soffermarsi poco lontano da quella disputa e riderne divertite. Abbassò lo sguardo e sperò che tutto finisse al più presto. Qualche istante dopo, per sua fortuna, la signora orami rossa di rabbia e l’uomo che più volte l’aveva definita figlia, spinto solo da meri interessi economici, erano arrivati ad una conclusione. I soldi della percentuale dello stipendio di Elyn sarebbero stati recapitati direttamente al signor Dollar e da lui sarebbe dovuto andare a reclamarli.

L’uomo rivolse un ultimo sguardo a Elyn. Non le disse niente, ma quel suo volto, se pur scuro e imbronciato, aveva un velo pietoso che non gli aveva mai visto prima. Prima di uscire da quella tenuta, dal fondo del corridoio, Elyn notò che si tolse il cappello lasciando il capo, ormai privo di capelli, scoperto.

 
 
«La mia povera schiena. Quanti scalini.» La signora accompagnò Elyn alla sua stanza, sollevando con fatica la sua valigia, con entrambe le mani. Quando i faticosi scalini terminarono, arrivarono in un corridoio fatto da una decina di porte, su per giù, e in una di queste la signora entrò.

«Buon Gesù, Rosaline cosa ci fai ancora qui?»

Una ragazza scattò dal letto, affrettandosi a nascondere qualcosa sotto al letto. A Elyn parve un pezzo di carta, forse una rivista. E se era riuscita a vederla lei, di sicuro non era sfuggita alla signora in nero, davanti a lei.

«Signora Ride, stavo giusto terminando la cucitura di questi pantaloni.» la ragazza raccolse i pantaloni, abbandonati su un mobile di legno vicino al suo letto. Il signor Dollar si è raccomandato che fossero pronti per la cena di questa sera, i camerieri ne hanno un urgente bisogno.»

La signora Ride sospirò. «Non ho tempo ne voglia di arrabbiarmi con te già di prima mattina, Rosaline. Scendi immediatamente e concludi il lavoro nella sala grande, così che possa assicurarmi che non ti perda in distrazioni che per te saranno sempre più urgenti del tuo lavoro, dico bene?»

«Lo faccio subito, signora Ride.» disse con una nota divertita, tra le righe. Raccolse vari pantaloni neri, abbandonati sul secondo letto della stanza, quello che sarebbe andato ad Elyn, e uscì. Non prima di esserle passata vicina. Aveva un profumo dolce, vaniglia, misto ad un altro molto più vago. Tabacco, forse, se pur fosse strano. Elyn non conosceva ragazze così giovani, fumatrici. Era più alta di lei e quando le fu vicina le sorrise e le strizzò l’occhio.

«Quella ragazza mi farà cedere i nervi definitivamente. Tu non fare caso ai suoi modi e sopra ogni cosa non prenderne esempio. Di ‘ diva mancata in cerca di guai ’ ce ne basta una in questo posto.» Le appoggiò la valigia sul letto, farfugliando qualcosa su quanto fosse strano suo padre.

«Non è mio padre, in realtà.» disse Elyn.

La signora si mise una mano sul cuore e si girò basita verso la ragazza. «Oh buon Gesù, cosa mi tocca sentire. Lui dice di esserlo ad ogni modo.»

«Dice che sono una delle sue figlie, questo però non lo rende mio padre.»

«Questo discorso si sta facendo troppo intricato per i miei gusti e io ho mille cose da fare. Dunque ora, figlia o non figlia di quel pazzo, hai una mezz’ora scarsa per riprenderti dal viaggio, dare una rinfrescata a quella faccia sciupata. Il bagno lo trovi al piano di sotto, è la prima porta accanto alla sala grande dove stavamo parlando poco fa. Poi dovrai indossare il vestito da cameriera che trovi nell’armadio. E’ della cameriera che lavorava qui prima del tuo arrivo, su per giù dovrebbe andarti bene benché lei non fosse così magra come te. Dì un po’ sei sicura che queste braccine che ti ritrovi siano in grado di reggere il lavoro che le aspetta?»

Elyn annuì, poco persuasiva, ma per sua fortuna la signora Ride aveva smesso di guardarla. Starle di fianco, significava sostenere continui movimenti intorno alla stanza, alla ricerca di qualche cosa da fare, anche solo riposizionare il lumino sulla credenza o sistemare il tessuto del copriletto. Ciò svelava la sua completa incapacità di stare con le mani in mano.

«Allo scadere della mezz’ora desidero che tu mi raggiunga alla sala grande, lì ti darò le indicazioni sulle mansioni della mattinata.» le disse con tono serioso prima di uscire. Di colpo si trattenne dal chiudere la porta alle sue spalle e tornò a voltarsi verso Elyn. Si avvicinò a lei. Le rughe intorno agli occhi, marcavano il passare degli anni, ma quel colore azzurro marino lì accendeva e le dava un tono quasi gentile. Prese Elyn per un braccio e le parlò sottovoce, curandosi che nessuno la sentisse. «Quell’uomo che ti ha portata qui…tu…insomma lui…non gestiva nessuna casa della vergogna o diavolerie simili, giusto?»

Casa della vergogna. Elyn sapeva a cosa si riferisse, sebbene nel suo paesino erano altri i termini che venivano usati per indicare i bordelli.

«Mio Dio no, no. Certo che no, signora Ride. Lui e sua moglie gestiscono una fattoria e prendono con sé ragazze orfane fin quando non riescono a trovar loro una sistemazione appropriata.»

«Oh, buon Gesù, molto meglio così. Chissà che cosa ero finita a pensare. Ci sarebbe mancato solo questo.. Bene ora non ti levo più tempo, della mezz’ora che ti ho concesso ti saranno rimasti venti minuti.» Questa volta chiuse la porta alle sue spalle.

Per la prima volta, da quando si era svegliata in quella turbolenta giornata, poteva dire di essere rimasta sola. In una stanza che non conosceva, di una tenuta che non conosceva, di una città che assolutamente non conosceva, ma almeno sola. Tolse la valigia dal letto e ci si sedette lei. Le sembrava tutto così estraneo. Persino le pareti bianche le parvero giudicarla e giudicare quel cappello avorio che con tanto orgoglio aveva indossato prima di uscire di casa e che qui sentiva totalmente fuori luogo e invece di farla sentire più grande, la faceva sentire incredibilmente stupida. Lo tolse e lo buttò sul comodino attaccato al suo letto.

Mentre guardava i ricami nel pizzo bianco, del vestito da cameriera, si ritrovò a pensare che quella medesima scena altre sue care amiche l’avevano, forse, già vissuta. Le altre “figlie” di quell’uomo, quelle che con lei avevano trascorso l’infanzia, i giorni spensierati dello sbocciare dell’adolescenza. Loro, che prima di lei avevano lasciato la fattoria pronte a cominciare una vita nuova lontano chissà quanto. Se almeno avesse potuto condividere le sue angosce con una sola di loro. Infondo non chiedeva tanto. Ma la cruda verità era che non aveva idea di dove fossero finite, non aveva neanche un misero indirizzo a cui spedire una lettera, un semplice saluto. Le aveva perse e ora si perdeva anche lei.

Asciugò le poche lacrime che le avevano bagnato il viso e ricacciò le altre che minacciavano di scendere. Non aveva tempo di piangere. Alla tenuta di LonsadRiver non c’era tempo per preoccuparsi di sé, in questo la signora Ride era stata molto chiara. Con un anticipo di qualche minuto scese alla sala grande pronta per iniziare la sua nuova vita.
    


 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _A m a l i a_