Fanfic su artisti musicali > Bruce Springsteen
Ricorda la storia  |      
Autore: Blackbird_    03/02/2014    3 recensioni
La storia dietro The River, il capolavoro del Boss. La vera storia, quella della sorella Virginia e del cognato, che sono cresciuti prima del tempo ma che hanno sempre sognato un futuro migliore. Grandi speranze, grande amore, come è grande il fiume della valle in cui sono cresciuti.
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note:
- Ho scritto questa storia ispirata dall'ascolto di questa canzone e dalle parole di Bruce riguardo a questo fatto, ho quindi giocato molto di fantasia;
- Non conosco il vero nome del cognato di Bruce quindi, anche qui, ho lasciato fare tutto alla mia testa;
- Nonostante io ami Bruce, non mi reputo una grande conoscitrice della sua storia quindi sicuramente ci saranno delle incongruenze o cose senza senso.
- Tutto ciò che ho scritto è fine a sé stesso, non voglio creare polemiche con questa breve storia che ho amato scrivere e che ho deciso di pubblicare per puro diletto;
Detto questo... buona lettura!





 
The River
 
Era un'afosa e assolata giornata d'agosto. Il sole picchiava forte sulla campagna americana, dove anche l'erba era ingiallita dal troppo calore. Le cicale erano l'unica colonna sonora di quel caldo pomeriggio. Le cicale, e una chitarra.
Il giovane Bruce era seduto sul porticato di casa, cercando di rinfrescarsi in qualche modo. Era seduto sulla sedia a dondolo che aveva ben presto ereditato da suo padre e pizzicava le corde della chitarra che da poco i suoi genitori gli aveva regalato. Le suonava appena, senza impegnarsi nell'eseguire gli accordi che gli avevano insegnato, beandosi delle note e delle nuove sfumature di suoni che stava creando. Si divertiva spesso a sperimentare, ad inventare qualcosa di inusuale. Di parole, in testa, ne aveva a bizzeffe, e presto sarebbe riuscito anche a trovar loro una melodia. Perché, nonostante fosse nato in quella valle del fiume e fosse cresciuto nella consapevolezza di dover seguire le orme di suo padre, lui sognava sempre in grande. Soprattutto in quelle calde e noiose ore d'estate.
Quel giorno, però, la noia venne interrotta da Virginia, sua sorella. Era uscita quella mattina, molto presto, e non era rientrata per il pranzo. Nessuno, in casa, si era preoccupato troppo, soprattutto conoscendo l'indole indipendente della ragazza. Tutti diedero per scontato che stesse passando la giornata con Dave, il suo ragazzo ormai da quasi due anni. Fu proprio con Dave che tornò in casa in quel primo pomeriggio d'agosto. Bruce la vide arrivare da lontano, e da altrettanta distanza capì che c'era qualcosa che non andava in lei. Ad ogni passo, il rumore dei suoi singhiozzi era sempre più udibile. Era sempre stata una ragazza forte, Virginia, e Bruce era convinto di non averla mai sentita piangere fino a quel momento. Si copriva il viso con una mano, mentre con l'altra stringeva quella del ragazzo che la seguiva senza fiatare, senza cercare di consolarla in qualche modo. Era accaduto qualcosa di grave ad entrambi, e questo Bruce lo capì subito, guardandoli mente lo superavano a grandi passi ed entravano in casa senza nemmeno salutarlo. Giurò di aver visto un luccichio triste, come di lacrime trattenute, anche nello sguardo di Dave.
Nonostante la sua incredibile preoccupazione e una buona dose di curiosità, il ragazzo non seguì la sorella col fidanzato. Si limitò, perciò, ad affacciarsi alla finestra già aperta per seguire le vicende familiari da una distaccata lontananza.
Il padre, sentendo la figlia rientrare, si premurò ad alzarsi dal divano per salutarla ma, vedendola piangere, trasformò la sua espressione stanca in una ben più adirata.
"Cosa le hai fatto?" ringhiò a Dave, che indietreggiò spaventato. "Io... Io posso spiegare..." iniziò a balbettare quello, alzando le mani in segno di innocenza. E di resa. "Papà lui... Lui non c'entra" lo difese Virginia, frapponendosi fra i due uomini, i più importanti della sua vita, ancora singhiozzando.
Anche la madre entrò in soggiorno, turbata dai volumi eccessivi di quel rientro a casa, e, notando la figlia in quello stato, le si precipitò addosso, abbracciandola.
Quella famiglia era così: ognuno aveva il proprio modo per dimostrare il proprio amore. C'era chi, come il padre, combatteva contro tutto e tutti pur di veder sorridere la propria figlia, a costo di sembrare un genitore troppo severo con gli altri e con se stesso. C'era chi, come la madre, aveva sempre una parola o un gesto tenero per dimostrare il suo infinito affetto materno, e capiva sempre il momento giusto per agire o parlare in tale modo. E c'era chi, come Bruce, guardava da lontano, lasciando ad ognuno i propri spazi pur controllando che tutto andasse nel migliore dei modi per le persone che amava.
Sotto consiglio della madre, tutti e quattro si sedettero sul divano del salone. Virginia ancora singhiozzava, sebbene si fosse leggermente tranquillizzata grazie alla voce rassicurante della donna. Quando Dave si sedette accanto a lei le strinse la mano, in un gesto di conforto, facendola voltare. Si sorrisero, impercettibilmente, perché consapevoli, nonostante tutto, che il loro amore sarebbe riuscito ad andare oltre ogni difficoltà. Si erano invischiati in un problema più grande di loro, più grande della loro giovane età, ed ora quell'ombra di paura, insicurezze e responsabilità si infrangeva minacciosa sulle loro spalle.
"Cosa succede?" chiese il padre, impaziente. Non riusciva a sopportare la propria bambina piangere, e prima fosse riuscito a sapere il problema che la affliggeva, prima sarebbe riuscito a risolverlo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per risolverlo. La moglie annuì, preoccupata a sua volta, poggiando la mano sulla gamba del marito, cercando di prepararsi e prepararlo a qualsiasi cosa. Perché lei conosceva bene la figlia, e sapeva benissimo che un tale sconvolgimento era dovuto a qualcosa di un'enorme entità.
"Io..." un singhiozzo strozzò il discorso che Virginia preparava da molte ore. Era agitata, sconvolta, impaurita. Non sapeva come avrebbero reagito i suoi genitori e questo la terrorizzava. Non era pronta ad affrontare la propria vita senza il loro sostegno, nonostante fosse possibile un loro rifiuto. "Io sono incinta" ammise, con un filo di voce e senza prendere fiato fra una parola e l'altra. Non fece in tempo a concludere la frase che tornò a piangere, affondando il viso in entrambe le mani.
"Cosa?" quasi urlò il padre, mentre la madre rabbrividiva. La rabbia era l'ultima cosa che provarono, in quel momento. Si sentivano tristi, delusi, traditi dalla loro bambina. Ma vederla lì a disperarsi, con una sincerità spiazzante in quelle lacrime, fece sciogliere quasi immediatamente il loro cuore. Erano sempre stati dei genitori severi, ma mai si sarebbero sognati di amare meno, o non amare più, loro figlia.
"Mi dispiace" continuava a scusarsi Virginia, mentre la madre le stringeva una mano, sperando di infonderle un po' di sostegno e di coraggio. "Tesoro" continuava a chiamarla, sperando di convincerla a smettere di piangere, per lo meno per riuscire a concludere quella conversazione. Il padre, dal canto suo, spostò il suo sguardo su Dave. Non riusciva a crederci. La sua bambina era cresciuta sotto i suoi occhi troppo in fretta, ed ora era diventata una donna ad un'età ancora non adatta a certe cose.
"Mi dispiace" fece eco Dave alla ragazza, sentendosi studiato e disprezzato dal padrone di casa. "Cosa hai intenzione di fare ora, ragazzo?" gli chiese infatti, freddo, poco dopo.
"Io... Io mi prenderò le mie responsabilità. Amo Virginia più di ogni altra cosa al mondo, e non ho alcuna intenzione di abbandonarla. Dopotutto ci sono dentro anch'io... È per questo che ho deciso di sposarla"
 
***
Nei diciassette anni della sua vita, Virginia aveva sognato il giorno del suo matrimonio circa un milione di volte. Si immaginava bella, bellissima, con un lungo vestito bianco, un velo leggero a coprirle il volto perennemente sorridente ed emozionato. Immaginava una bella chiesa, magari quella del quartiere in cui era cresciuta, completamente addobbata di fiori bianchi. Magari margherite, le sue preferite. Immaginava un corteo di damigelle vestite di turchese, il colore che più le ricordava l'amore, e di testimoni vestiti eleganti e con una bella margherita nel taschino. Immaginava il padre, emozionato quasi più di lei, ad accompagnarla all'altare, mentre la marcia nuziale risuonava in quelle quattro sacre mura. Immaginava un bel ricevimento, tanti invitati, tanti complimenti, tanti sorrisi.
Ma Virginia, diventando una donna così all'improvviso, aveva imparato che i sogni sono belli solo per le bambine. Lei era cresciuta, e si era dovuta scontrare con la realtà, che non sempre è bella come ciò che immaginiamo.
Perciò niente vestito da sposa, niente fiori, niente sorrisi.
Il giorno del suo matrimonio con Dave, Virginia si svegliò presto e si comportò come se quello fosse un giorno qualsiasi. Avrebbe tanto voluto indossare il suo vestito più bello, almeno quello, ma l'evidente crescita della sua pancia, un tempo piatta, non glielo permetteva più. Indossò perciò un abito acquistato il giorno prima al negozio di seconda mano dell'angolo, che aveva scelto per non spendere troppi soldi, ed uscì di casa senza salutare nessuno. Raggiunse il Tribunale a piedi, senza lamentarsi dei dolori causati dal gonfiore tipico della gravidanza, e lì incontrò il suo ragazzo.
Il suo sorriso debole la convinse che quella era la cosa giusta da fare. Amava Dave, e aveva sempre saputo che sarebbe stato lui l'uomo che avrebbe sposato. Anche se non in quel modo. Entrarono insieme, mano nella mano. Attesero un bel po' prima di essere accolti dal Giudice, che consegnò loro una grande quantità di scartoffie da leggere, compilare e firmare.
Quando anche l'ultima firma venne posta sul foglio bianco battuto a macchina, il giudice pronunciò un pacato "Congratulazioni, ora siete ufficialmente marito e moglie", consegnò loro il certificato ufficiale e chiamò il caso successivo con fare sbrigativo. Nessuna pioggia di riso investì i neo sposini, che uscirono dal quelle mura di marmo stringendosi per mano. Nessun parente era lì ad aspettare per far loro gli auguri. Solo persone affaccendate che correvano dentro e fuori quel luogo di legge e di compostezza. L'amore non era il benvenuto lì, e per questo Dave e Virginia si allontanarono velocemente, diretti verso l'unico luogo in grado di accogliere il loro fiorente rapporto, proteggendolo.
Salirono a bordo dell'auto del fratello di lui e guidarono verso la valle, verso i campi verdi e freschi. Guidarono verso il fiume, mentre i loro sorrisi prima incerti si ampliavano ad ogni chilometro macinato. Perché quello era il loro luogo, quello dove si rintanavano ogni volta che il loro bisogno di stare da soli era stato impellenti. Innumerevoli erano le albe e i tramonti ammirati da quelle sponde, come innumerevoli erano stati i sogni svelati l'un l'altro ammirando la placida corsa dell'acqua. Tante erano state le volte che si erano abbracciati, che si erano baciati, che avevano fatto l'amore su quell'erba sempre umida. Il fiume era il testimone unico del loro grande amore, delle speranze che nutrivano per loro stessi e per il loro futuro. Era lì che per la prima volta avevano parlato di matrimonio, di mettere su famiglia insieme, di vivere in una casa in quelle zone, felici come lo erano sempre stati.
Ora tutto sembrava più reale. Più triste, sicuramente, ma le speranze erano ancora tutte lì. Ora non c'era più il sogno del matrimonio, nè quello di una famiglia insieme. Erano già un passo avanti a tutto, nonostante questo, con la loro giovane età, potesse sembrare brutto e minaccioso. Ma loro due, insieme, speravano ancora in un futuro migliore.
Parcheggiarono su un cumulo di terra, sempre lo stesso, e si avvicinarono alle acque fresche. Si tuffarono, in un bagno ristoratore che si portò via gran parte delle loro paure. Risero, per la prima volta dall'inizio di quella giornata, e si baciarono tante, troppe volte.
Quando Virginia iniziò a mostrare i primi segni di stanchezza, probabilmente dovuti dalla gravidanza, Dave la prese in braccio e la portò fuori dall'acqua, stringendola a sè come se non volesse più lasciarla andare. La poggiò sulla sponda erbosa, sdraiandosi al suo fianco. Iniziò a carezzarla dolcemente in ogni parte del suo corpo abbronzato e bagnato, finché lei non si accoccolò fra le sue braccia, addormentandosi come una bambina. Perché lo era, una bambina, e Dave si sentì improvvisamente in colpa per tutti i guai che le aveva provocato. Si sentiva in colpa per aver rovinato il suo giorno speciale, per averla fatta crescere troppo velocemente, per aver reso il loro amore la causa di ogni suo dolore. Restò sveglio, Dave, ad ascoltare il respiro di Virginia e per guardare le nuove sulla sua testa. Si sentiva libero, seppur appena legato ufficialmente. Si sentiva grande e forte, nonostante la sua piccolezza di fronte al mondo. Si sentiva positivo, nonostante tutte le brutte cose che erano accadute nella sua vita. Era un uomo sposato, ora, è presto sarebbe diventato padre. Davanti a sé aveva un futuro incerto, ma comunque, in quel momento, riuscì a trovare del bello anche nelle poche certezze che possedeva.
Quando, qualche ora più tardi, Virginia si svegliò, Dave le diede il suo buongiorno con un bacio. "Buongiorno, amore mio" le sussurrò appena sulle labbra, mentre quella sorrideva appena, finalmente realizzando tutto ciò che era accaduto in quella lunga e stancante giornata.
Era sposata, ora, e un bambino era in arrivo. Lei era una donna, lei era cresciuta.
E Dave c'era, nonostante tutto.
 
***
 
Passarono molti anni dal giorno del matrimonio. Dave e Virginia erano ancora insieme, nonostante le difficoltà. La crisi del petrolio e dell'economia statunitense era stata un guaio per l'umile impiego di Dave come muratore. Il lavoro era sempre meno, così come i soldi, ma comunque lui stringeva i denti e si impegnava duramente per portare a casa il necessario per sopravvivere. Virginia era impegnata in lavoretti saltuari per arrotondare il bilancio mensile, ma il più del suo tempo lo trascorreva a casa. Da brava moglie e da brava madre era sempre alla ricerca di quel qualcosa in grado di rendere felici tutti, in quella sua piccola famiglia. Era cresciuta davvero, era diventata una donna meravigliosa nonostante le privazioni in età adolescenziale. Amava ancora suo marito, e non si pentiva nemmeno un istante di averlo sposato, seppur così presto. Ed amava la sua bambina, quel grande miracolo che era piombato nella sua vita all'improvviso, che l'aveva sconvolta ma anche riempita d'amore e di gioia. Tiravano avanti, in un modo o nell'altro, ma il loro amore, come sempre, era il cardine portante di ogni cosa, del loro futuro.
Una domenica, come tutte le domeniche, si ritrovarono in casa dei genitori di Virginia. Era una tradizione che non avevano mai perso, nonostante tutte le novità. Persino Bruce, che era riuscito a realizzare il suo sogno di diventare un grande cantante, non perdeva nemmeno un ritrovo di famiglia. Dopo aver pranzato, mentre le donne erano in cucina a rammendare, lui, il padre e Dave si sistemarono in salone, come sempre, per due chiacchiere su quel divano.
"Come va col lavoro?" domandò, sinceramente curioso, Bruce. Il cognato sorrise debolmente "Va, come sempre. Potrebbe andare meglio". Dopo un lungo dibattito dei due sulle condizioni del lavoro negli Stati Uniti, Dave deviò il discorso con un "Te stai lavorando a qualcosa di nuovo?".
Bruce annuì, soddisfatto. Stava scrivendo un nuovo album, nuovi pezzi. Come sempre ci stava mettendo sudore e cuore, cercando e sperando di creare uno specchio di quegli anni così difficili per tutti. Nel suo piccolo aveva molto da raccontare, proprio come sempre. In più in quel momento si sentiva terribilmente ispirato dalla musica jazz che sapeva rendere al massimo quella malinconia e quella nostalgia recondita che cercava per il suo nuovo lavoro.
"C'è una canzone che mi sta dando non pochi problemi, ultimamente. Tratta un argomento che mi sta particolarmente a cuore..." cominciò a spiegare, mentre cercava velocemente qualcosa dalla tasca della giacca che teneva a poca distanza da dove era seduto. Tirò fuori un foglio sgualcito, usurato, evidentemente molto utilizzato. Lo portava sempre con sé, in attesa di qualcosa in grado di ispirarlo, in attesa dell'illuminazione per il verso o la nota perfetta. Perché l'ispirazione è così, ti travolge come un fiume in piena quando meno te lo aspetti, e questo Bruce lo sapeva bene. E per quella canzone aveva bisogno di molto tempo, non voleva rovinarla con parole scontate o fuori luogo.
Lo consegnò a Dave che lo fissò titubante prima di spiegarne i quattro lembi spiegazzati. Era una delle prime volte che Bruce gli facesse leggere un pezzo in anteprima, e questo quasi lo elettrizzava.
In alto, con una grafia più grande e marcata, era scritto The River. Iniziò a leggerla, prima insicuro, poi via via sempre più convinto.
Era la storia, quella, di un uomo. Un uomo che viveva nella valle del fiume, di un uomo innamorato della propria ragazza, un uomo che nel troppo amarla l'aveva messa incinta prima del dovuto. Quella era la sua storia. Continuò a leggere, curioso e quasi emozionato. Bruce ebbe l'impressione di vedere i suoi occhi farsi lucidi, come quel giorno in cui era tornato a casa con Virginia per annunciare ai genitori dell'accaduto.
In quel testo c'era tutto. La descrizione del giorno del matrimonio, senza fiori né sorrisi, e la corsa al fiume.
Lesse tutto d'un fiato, Dave, senza mai dire una parola. C'era solo un'incongruenza con la sua vera storia: il protagonista non aveva più nulla, i suoi sogni erano andati persi come l'acqua del fiume della speranza che era improvvisamente secco. Lui, invece, era ancora un sognatore, nonostante la realtà lo avesse sempre messo a dura prova.
"È bellissima" pronunciò a stento, mentre una quantità infinita di brividi lo percorrevano lungo la spina dorsale. "Devo ancora ritoccarla qui e lì, in realtà. Ci sono dei passaggi che non mi convincono" cercò di non entusiasmarsi troppo Bruce, nonostante gli occhi lucidi del cognato gli dimostrassero ammirazione e gratitudine più di qualsiasi altra parola. "Mi piace la metafora del fiume, mi piace il modo in cui l'hai raccontata, mi piace anche questo pessimismo finale, davvero" ed era sincero, Dave. Perché nonostante quella canzone fosse chiaramente ispirata alla storia di Virginia, che era anche la sua storia, era un bene, per lui, leggere quel finale triste, ma aperto. Era un modo chiaro, evidente, che al pari delle difficoltà del protagonista di quella canzone lui, comunque, ce l'aveva fatta. Aveva realizzato il suo sogno, uno dei tanti, senza mollare mai. E le vecchie emozioni, i vecchi sentimenti, per lui valevano ancora, più di qualsiasi altra cosa. E a Virginia importava ancora di tutto, al contrario della Mary della storia. Quella nota negativa della canzone era quanto di più positivo ci fosse nella sua vita.
Rimasero a parlare di quei versi per ancora tanto tempo, finché non vennero interrotti dalle donne che li raggiunsero in salotto.
"Di cosa si parla, qui?" chiese curiosa Virginia, sedendosi accanto al marito e stringendogli la mano, come era solita fare da anni. Dave si voltò, sorridendole. "Di una canzone che Bruce sta scrivendo" le rispose, guardandola con un amore invidiabile da chiunque. "Bello, voglio leggerla anch'io" si mostrò entusiasta la ragazza, che amplificò il suo meraviglioso sorriso.
E lì Dave capì. Il suo fiume non era asciutto, l'acqua scorreva impetuosa. Così come le sue speranze per un futuro meraviglioso, un futuro che aveva costruito con la donna migliore che la vita potesse donargli.
Il suo amore e i suoi sogni erano più vivi che mai, anche più del fiume.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bruce Springsteen / Vai alla pagina dell'autore: Blackbird_