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Autore: Beauty    04/02/2014    5 recensioni
Cosa succederebbe se le principesse delle favole vivessero nel mondo reale?
A Garden Hill, vivono vite differenti Blanche (Biancaneve), Evelyn (Cenerentola), Jasmine, Ariel, Annabelle (Belle), Caroline (la Bella Addormentata), Esmeralda, Marion (Lady Marian), Roxanne (Cappuccetto Rosso), Penn (Rapunzel) e le sorelle Elsa e Anna. Vite comuni, fra lavoro, università e amici, con i vari problemi, i vari sogni e le varie speranze. Una festa di Halloween in cui niente andrà per il verso giusto farà incrociare queste dodici vite, riportandole sulle tracce di un omicidio dietro al quale si celano storie dimenticate e loschi personaggi, dove nulla è come sembra e che, apparentemente, sembrano collegate all'azione del serial killer che terrorizza Garden Hill, da tutti conosciuto come "il Lupo". E, a mano a mano che le cose si faranno più complicate e pericolose, il lieto fine sembrerà essere sempre più lontano...o forse no?
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2
 
C’era una volta
(parte seconda)
 
I don’t wanna be like Cinderella,
Sitting in a dark, cold, dusty cellar,
Waiting for somebody to come and set me free.
I don’t wanna be like someone waiting,
For a handsome prince to come and save me.
On I will survive,
Unless somebody’s on my side.
Don’t wanna depend on no one else.
I’d rather rescue myself.
 
[The Cheetah Girls, Cinderella]
 
Metropolitana di Garden Hill
 
….e i due figli: Sebastian, di 28 anni, e Blanche, di 22.
Ma chi è, questo criminale? E perché si è guadagnato il nome di “Lupo” – esattamente come il lupo cattivo delle fiabe, o come i licantropi che popolavano gli schermi cinematografici in bianco e nero degli anni Trenta.
La sua identità è ancora sconosciuta, dato che il Lupo sembra essere tanto scrupoloso nel nascondere i suoi delitti almeno quanto è feroce nel compierli. A tutt’oggi, si pensa a una personalità disturbata, oppure a una sorta di vendicatore, anche se Hans von Schneider non era affatto un uomo impegnato in politica et similia. Gli inquirenti stanno indagando le conoscenze all’interno delle fondazioni di beneficienza e opere umanitarie istituite dall’ultima vittima, per non escludere alcuna ipotesi, ma attualmente non sembra che si tratti di omicidi premeditati. Il Lupo ha agito tutte e tre le volte a notte fonda, e utilizzando sempre lo stesso modus operandi: le vittime sono state massacrate a coltellate, probabilmente da una mannaia o un rasoio, e sul corpo di due di esse – fra cui anche Schneider – sono stati trovati segni di morsi e graffi…
 
Annabelle Nichols richiuse il Garden Hill Mirror senza terminare di leggere l’articolo: da una parte, perché le vicende di cronaca nera troppo sanguinolente non le erano mai piaciute – era roba per Marion, quella –, e dall’altra perché l’altoparlante all’interno del vagone della metropolitana aveva appena annunciato la sua fermata. La ragazza sospirò, infilando il giornale nella borsa insieme ai libri per l’università, alle penne e ai numerosi fogli scribacchiati, in mezzo ai quali era riuscita a trovare posto anche una versione ingiallita de La favola di Amore e Psiche di Apuleio. Suo fratello Logan e Marion dicevano sempre che prima o poi, o la borsa le sarebbe scoppiata in mano o la tracolla le avrebbe lussato una spalla per il troppo peso. Ipotesi non troppo lontane da una possibile realtà, in effetti.
Annabelle attese che le porte automatiche della metropolitana si aprissero, quindi sgusciò fuori facendosi strada fra pendolari nervosi e frettolosi e altri studenti come lei. Non appena mise piede sulla banchina, si strinse istintivamente la borsa al fianco: là dentro non aveva solo i libri di scuola e alcuni dei suoi velleitari tentativi di diventare una scrittrice, ma anche il portafogli e il cellulare…e aveva vissuto troppo a lungo in posti dove i furti e gli scippi erano all’ordine del giorno, da potersi concedere il lusso di non prendere precauzioni, per quel che poteva.
Superò la folla di viaggiatori e salì velocemente le scale che conducevano fuori dalla metro, inspirando a fondo quando giunse all’aria aperta. Si voltò: la Garden Hill University si stagliava di fronte ai suoi occhi in tutta la sua imponenza, proprio al di là della strada.
 
Grand Hotel di Garden Hill
 
Evelyn diede una rapida occhiata al suo orologio da polso, quindi si aggrappò con entrambe le mani agli stipiti della porta della cucina, dondolandosi avanti e indietro sulle punte delle scarpe mentre spiava nella hall dell’ingresso. Non c’era traccia né dell’Ape Regina né delle sue due figlie, e questo era già un buon inizio di giornata…anche se sapeva fin troppo bene che Lucrezia o le sue sorellastre presto o tardi si sarebbero fatte vive, oh sì, eccome.
Evelyn sospirò, sistemandosi meglio la maglietta e decidendosi a iniziare il suo turno. Fortunatamente, sarebbe stata impegnata solo fino alle tre del pomeriggio, quel giorno, e dopo avrebbe avuto tutto il tempo libero per potersi esercitare al violino. Uscì dalla cucina, attraversando velocemente la parte del Grand Hotel riservata al personale e inoltrandosi nell’atrio dell’albergo. Le luci illuminavano tutto l’ambiente sebbene fosse mattina presto, e gli altri dipendenti erano già pronti, tutti rigidi e composti nelle loro divise. Evelyn prese a incamminarsi in direzione della reception, quando urtò inavvertitamente contro qualcuno.
- Mi scusi, non l’ho fatto apposta…- mormorò, un po’ stordita. Aveva sbattuto la fronte proprio contro la spalla del malcapitato; si massaggiò una tempia, facendo una smorfia.
- Non fa niente…
Il tono non era esattamente quello che una persona di solito usava quando davvero non faceva niente. Evelyn sollevò lo sguardo, un po’ infastidita, ma quello che vide fu in grado di spiazzarla. La persona contro cui aveva sbattuto era un giovane uomo sulla trentina, elegante ma completamente vestito di nero. E gli occhi cerchiati e l’espressione sofferente sul suo volto suggerivano che ci fosse anche un motivo per un tale abbigliamento.
- Ehm…- Evelyn fece un passo indietro come un militare, raddrizzando le spalle e guardando l’ospite negli occhi.- Davvero, mi scusi, non volevo…
- Ho detto che non fa niente.
Non sembrava arrabbiato. Piuttosto…stanco. Sì, ecco. Come se non vedesse l’ora di porre fine alla conversazione. Evelyn si schiarì la voce, cercando di assumere un tono professionale.
- Posso aiutarla in qualche modo?
Le venne in mente che, più che lei, avrebbe potuto dargli una mano un bravo psicanalista, ma s’impose di non fare la maligna. L’uomo sospirò impercettibilmente, gettando delle occhiate stanche tutt’intorno.
- Mi hanno detto che in questo albergo cucinate i pasti e li consegnate a domicilio…- mormorò.
- Sì, è corretto. Desidera ordinare qualcosa? La colazione, o…
- Il pranzo, per favore. Vorrei che fosse consegnato a mezzogiorno e mezzo.
- D’accordo. Mi segua…
Evelyn marciò fino al bancone della reception, sentendosi a disagio come non mai. Non era mai stata brava ad affrontare il dolore altrui, ed era chiaro che quell’uomo non stesse passando un bel periodo. Si posizionò dietro al registro, strappando un foglio di carta da un taccuino e scribacchiandoci sopra l’orario della consegna.
- Ha detto mezzogiorno e mezzo, vero?
- Sì, esatto.
- E…cosa le piacerebbe?- domandò.- Oggi abbiamo pasta al forno con carne e patate come secondo, ma se vuole possiamo anche…
- Va bene il piatto del giorno. Per tre, per favore.
Evelyn si morse un labbro inferiore, scrivendo l’ordinazione. Evidentemente con quello c’era ben poco margine di conversazione, realizzò; si scostò una ciocca di capelli dietro a un orecchio, scoccandogli un’occhiata di sottecchi: era molto più giovane di quanto sembrasse, di certo non poteva avere più di ventotto anni. Aveva i capelli scuri tagliati corti, e gli occhi castani, ed era alto e magro. Il naso forse era un po’ troppo lungo e dritto per i suoi gusti, ma tutto sommato si trattava di un uomo piacente. Se non fosse stato per quelle occhiaie…cavolo, era chiaro come il sole che doveva aver trascorso la notte in bianco.
Chissà che cosa è…
- Signorina?- chiamò lui.- Signorina, va tutto bene?
Evelyn realizzò di essere rimasta impalata a fissarlo come un’ebete per tutto quel tempo; si riscosse rapidamente, battendosi una mano sulla fronte.
- Sì, sì…mi scusi, io…il criceto si è fermato per un secondo!- buttò lì, lasciandosi sfuggire una risatina nervosa per poi darsi dell’imbecille un attimo dopo. L’ospite fece uno sbuffo divertito, sollevando un angolo della bocca in un debole sorriso, ma subito tornò serio e sofferente.
- Vuole…vuole anche un dolce?- propose la ragazza, nel tentativo di recuperare la figuraccia.
- Non…non so…Mia sorella e la mia matrigna forse non gradirebbero, viste le circostanze…Ma…
- Ci pensi - Evelyn sorrise.- Ho tutto il tempo…Ma, se posso darle un consiglio, abbiamo una torta di mele favolosa…
- Torta di mele?- fece eco l’uomo. Di nuovo, sollevò l’angolo della bocca in un accenno di sorriso.- A mia sorella piaceva molto. Magari potrebbe mangiare qualcosa, almeno oggi. Sì, vada per la torta di mele…
- Okay…- Evelyn segnò il tutto.- Dovrebbe darmi un nome e l’indirizzo.
- Sebastian von Schneider. Abito qui a fianco.
La penna bic le scivolò dalle dita non appena realizzò chi avesse di fronte, sbatacchiando contro il ripiano di legno prima di finire sul pavimento…e prendere a rotolare sulle piastrelle. Evelyn s’inginocchiò letteralmente a terra, facendo scomparire la propria testa sotto il bancone della reception, lasciandosi sfuggire un merda! sibilato fra i denti. Raccattò la penna, rendendosi conto di essere avvampata; tanto per completare l’opera, una poderosa capocciata contro il bordo della reception mentre si rialzava fece voltare mezza hall nella sua direzione.
Sebastian von Schneider inarcò le sopracciglia, evidentemente perplesso, sporgendosi in avanti con il capo per vedere oltre il bordo del bancone.
- Si è fatta male?
Evelyn mugolò qualcosa a denti stretti, massaggiandosi la sommità del capo. Si rimise in piedi malamente, rischiando quasi d’inciampare nelle sue stesse scarpe.
- No, è tutto okay…
Tutto okay un corno, per poco non mi rompo la testa!, sussurrò una vocina proveniente dal suo inconscio, ma Evelyn l’ignorò, scostandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
- Lei è il figlio di Hans von Schneider?- si lasciò sfuggire, senza riflettere.
A quella domanda, Sebastian si irrigidì visibilmente, schiarendosi la voce nello stesso modo in cui, Evelyn associò, se la schiariva sempre suo padre quando qualcuno lo stava infastidendo.
- Sì. Ma le sarei infinitamente grato se evitasse di parlare di mio padre, o chiedermi dettagli su come è stato ucciso. Esistono i giornali, per quello.
- Oh, no!- Evelyn arrossì fino alla punta dei capelli, desiderando solo che il pavimento si spalancasse e l’inghiottisse in quel preciso istante.- No, certo che no, io…io volevo…Non avevo nessuna intenzione di…
- E’ tutto chiaro? Posso contare che eseguirete la consegna per l’orario che ho stabilito?
- Ehm…noi…Sì, certo. Certo, non ne dubiti.
Sebastian annuì, facendo un lieve cenno con il capo in segno di saluto, quindi girò i tacchi e marciò fuori dall’hotel. Una frazione di secondo dopo, i primi mormorii e le prime risatine iniziarono ad aleggiare nell’aria.
Evelyn si sistemò nervosamente una ciocca di capelli, inspirando ed espirando a fondo per far diminuire il rossore sulle guance come le aveva insegnato Roxanne a quindici anni – fidati, vecchia mia, stai parlando con un’esperta in figure di merda, vuoi che non sappia come gestirne i postumi? –, mentre cercava allo stesso tempo di metabolizzare e dimenticare il fatto di aver appena fatto una figuraccia di proporzioni cosmiche.
- Grande, Cenerentola! Ora fossi in te andrei a fargli le condoglianze, così, tanto per gettare ancora più sale sulle ferite…
Quella voce supponente e arrogante era fin troppo familiare da poter essere ignorata, ma in compenso fu sufficiente a farle scordare per un attimo ciò che aveva appena combinato e indurla a voltarsi roteando gli occhi al cielo. Evelyn si appoggiò con il dorso al bancone, inarcando un sopracciglio.
In genere, le sue sorellastre si muovevano sempre in coppia – come le oche, appunto! –, ma stranamente e per sue grande fortuna in quel momento c’era traccia solo di una di loro nella hall.
Tamara se ne stava appoggiata con una spalla allo stipite della porta che dava sul corridoio di destra, con le braccia incrociate, masticando rumorosamente un chewing-gum. Evelyn odiava i chewing-gum, ma ancora di più odiava le persone che lo masticavano solo perché secondo loro le faceva sentire fighe. Tamara si sentiva figa in ogni istante della giornata, sia che masticasse un chewing-gum o no, ma a lei sembrava solo una cretina.
Aveva i capelli neri, lisci e sciolti sulle spalle. Era diversa da sua sorella Tysha – lei li aveva castani, come Lucrezia –, ed era anche più alta e più magra, non a caso era la maggiore delle due.
Ed era la più stronza, in assoluto.
- Che vuoi?- l’apostrofò Evelyn.
- Non ti sembra che un buongiorno sarebbe carino da parte tua?
- E’ vero, ma ha smesso di essere un buongiorno nel momento in cui sei arrivata tu.
- Pensavo che non lo fosse più dopo la figura di merda che hai appena fatto - ghignò Tamara, facendo scoppiare una bolla di chewing-gum sulle labbra.
Evelyn alzò gli occhi al cielo, sospirando.
- Allora? Che cosa vuoi?- incalzò.
- Mi manda la mamma - Tamara abbandonò la porta, muovendo qualche passo verso di lei.- Ha detto di darti una mossa. Devi aiutare a preparare la sala da ballo. Sabato c’è…
- …una festa di Halloween privata organizzata da una certa Woods a cui parteciperà la crema di Garden Hill, fra cui anche tu e tua sorella. Lo so già, Tamara, aggiornati. E comunque, per tornare al punto…- Evelyn incrociò a sua volta le braccia al petto.- Lucrezia potrebbe anche abbassare le ali. Io lavoro come una serva qui dentro da anni, e non prendo una lira. Potrei anche mollarvi se lo volessi, lo sai questo?
- Non avresti dove andare. E poi, la mamma ti da vitto e alloggio gratuiti. E ti paga il conservatorio.
- Quelli mi spettano. E’ mio padre il proprietario, non tua madre, ed è lui che mi paga le lezioni. Lucrezia mi tratta come una schiava, non mi da un centesimo e mi frega pure le mance! Dov’è lei, mentre io mi faccio il culo qui?
- Se non ci fosse mia madre, il Grand Hotel a quest’ora sarebbe una mansarda abbandonata - replicò Tamara, tranquillamente.- Tuo padre non c’è mai, è lei che manda avanti la baracca.
- Questo è tutto da vedere - il tono di voce di Evelyn si abbassò di diversi toni, e la ragazza si portò più vicino a Tamara.- Che diamine è successo con Storm?- sibilò.
L’altra trasalì, indietreggiando di un passo, reazione che alla bionda fece comprendere che dovesse sapere, se non tutto, almeno le linee generali dell’intera vicenda. Quello che le aveva raccontato la sua amica le aveva insinuato un tarlo nell’orecchio, e ora doveva capire quale fosse il problema.
- Che c’entra Storm?- Tamara si schernì.
- Dimmelo tu - incalzò Evelyn.- Roxanne Davies mi ha detto che Lucrezia le ha fatto storie. Non avete pagato Storm, forse?
- Ma niente!- sbuffò l’altra.- Quello ce l’ha con noi perché dieci anni fa è quasi bruciato vivo qua dentro e ora ha una faccia peggio del Joker! Ha solo piantato un po’ di grane per degli arretrati…
- Arretrati?- fece eco la bionda.- Quanti arretrati? Da quanto tempo Lucrezia non paga?
- Non lo so, io…
- Tamara, quanti arretrati?- incalzò Evelyn, afferrandola per un braccio.
- Ma che vuoi?!- Tamara le urlò in faccia, liberandosi dalla sua presa.- Fatti i cazzi tuoi, intesi?
- Questi sono cazzi miei!- ringhiò la bionda.- Questo albergo è di mio padre, e sono dieci anni che tua madre non fa altro che mandare gli affari a puttane! Lo sai che se non paghiamo Storm quello si riprende il terreno? Lo sai che se non gli diamo i soldi finiamo tutti in mezzo a una strada?
Tamara si allontanò da lei, massaggiandosi il braccio. Le scoccò un’occhiata piena di rancore, prima di voltarsi e correre via, sbattendosi la porta alle spalle.
Evelyn rimase a fissare il punto in cui era sparita la sua sorellastra, intontita.
Qualche problema con Lucrezia?
(Sì, come al solito. E’ la fine del mese. In questo periodo fa sempre storie…dice che prima deve pagare quello Storm…)
Ha solo piantato un po’ di grane per degli arretrati…
(Quanti arretrati? Da quanto tempo Lucrezia non paga?)
Lo sai che se non gli diamo i soldi finiamo tutti in mezzo a una strada?
Si riscosse solo quando avvertì lo sguardo di tutti i presenti su di sé. Si voltò, innervosita, fissandoli tutti in cagnesco.
- Beh? Che avete da guardare? Lo spettacolo è finito!
 
Garden Hill’s University
 
- Hola chica!
L’urlo disumano alle sue spalle fece quasi rovesciare ad Annabelle la tazza di cappuccino che stava bevendo, oltre che farle prendere uno spavento colossale. Tuttavia, la sua amigdala e le funzioni a essa correlate si quietarono una frazione di secondo dopo quando un paio di braccia abbronzate le circondarono le spalle da dietro, e la testa di Marion Fitzwalter spuntò vicino al suo orecchio.
- Ti ho spaventata? - ghignò quest’ultima, appoggiando il mento contro la clavicola di Annabelle. La ragazza sospirò, posando con cautela la tazza sul bancone e riprendendo a leggere il suo volume di Storia del teatro inglese come se niente fosse.
- Diciamo che le mie coronarie ne usciranno indenni…
Marion ridacchiò, scollandosi finalmente da lei e raggiungendo il posto libero sullo sgabello accanto ad Annabelle. La caffetteria della Storybrooke’s University quel giorno era insolitamente poco gremita, il che era un fatto eccezionale dato che notoriamente somigliava a un idroscalo, specie di prima mattina.
Marion ordinò un caffè e una brioche alla crema, prima di piantare i gomiti sul bancone e tornare a guardare Annabelle.
- Non hai lezione stamattina?- s’informò.
- Solo due ore, e inizio alle dieci…
- Da quanto sei qui?
- Una mezz’ora. E tu? - Annabelle la guardò.- Non hai…tirocinio, hai detto, o una specie di stage?
- Sì, infatti. Sono qui per questo…- Marion ammiccò, sfoderando un sorrisetto sornione che, tuttavia, non riuscì ad abbindolare l’altra. Annabelle inarcò un sopracciglio: conosceva Marion Fitzwalter da quando, tre anni prima, aveva iniziato a frequentare i corsi alla facoltà di lettere della Garden Hill’s University. Lei ora aveva ventitré anni, e la sua amica ventisei: Marion stava per laurearsi in giornalismo, e nel frattempo aveva già iniziato a svolgere qualche piccolo incarico per il Garden Hill Mirror. Nulla di eclatante, solo qualche piccolo articolo, ma la sua amica diceva sempre che alla grana non si risponde mai di no.
Comunque, quell’aria furbetta non la convinceva per niente.
Marion fece spallucce ostentando noncuranza, ed estrasse dalla borsetta – un modello in pelle nera che ti sbatteva in faccia il marchio Gucci da qualunque parte ti voltassi, il regalo di zia Prudence per Natale, le aveva spiegato una volta – un block-notes, iniziando a scribacchiarvi sopra senza alcun ritegno.
A quel punto, Annabella aveva pressoché raccolto la sfida, e si sporse verso di lei cercando di sbirciare. Marion ridacchiò sotto i baffi, cercando di schernirsi e coprendo il foglio con un avambraccio.
- E dai! Che cos’è? - rise Annabelle.- La tesi?
- No, quella è ancora fossilizzata nel pc - Marion la guardò.- Ti do un indizio: hai letto il Garden Hill Mirror, stamattina?
- Sì…un po’, in metro…
- E non hai notato niente di particolare?- la ragazza ammiccò.
Annabelle ci pensò su per un paio di secondi, quindi iniziò a rovistare nella borsa alla ricerca del giornale. Quando finalmente lo estrasse, Marion glielo strappò letteralmente di mano.
- Ah-ha!- esultò, piantandolo sul bancone e indicando ad Annabelle la pagina su cui lei stessa aveva interrotto la lettura, quella mattina. La ragazza si sporse per vedere meglio: Marion le stava indicando l’articolo sul Lupo.
- L’hai letto questo?- le chiese.
- Sì, ma solo a metà…
- E per caso non ti è caduto l’occhio sull’autore?
Annabelle le lanciò un’occhiata interrogativa; Marion sogghignò, indicandole la firma alla fine dell’articolo.
 
M. F.
 
- M. F.?- lesse Annabelle, comprendendo al volo.
Marion sorrise compiaciuta.
- Marion Fitzwalter - precisò con orgoglio.
- Hai scritto un articolo sul Lupo?!- si lasciò sfuggire Annabelle, ad alta voce, attirando l’attenzione di gran parte dei presenti.
- Shhht!- fece Marion, soffocando insieme all’amica una risata e avvolgendole un braccio intorno alle spalle per tirarla più vicino a sé.- Sì, ma non urlare…- bisbigliò.- Teoricamente sarebbe dovuto essere un trafiletto sull’omicidio di quel von Schneider, ma stavolta mi sono impuntata e ho sventolato questo sotto il naso del direttore…
- E lui te l’ha accettato?- chiese Annabelle, ancora incredula.
Non perché fosse diffidente nei confronti di Marion; anzi, era conscia del suo talento di giornalista – non per niente entrambe condividevano la passione per la scrittura, sebbene la sua amica avesse avuto il coraggio di decidersi a pubblicare qualcosa, a differenza sua – e del fatto che, se c’era una cosa che non le mancava, era la determinazione necessaria per svolgere il mestiere di giornalista. Ma restava pur sempre una novellina, in quel campo. Il suo professore aveva trovato a lei e ad altri tre studenti quell’impiego come stagisti alla redazione del Garden Hill Mirror cinque mesi prima, e sebbene Marion si lamentasse spesso che ai laureandi come lei non facessero altro che fare fotocopie e preparare il caffè, restava comunque il fatto che si stava facendo le ossa, e aveva già pubblicato diversi articoli, poca roba, ma sufficiente.
Annabelle aveva letto tutti i suoi articoli: erano tutti ben scritti, Marion aveva uno stile che riusciva a catturare l’attenzione del lettore anche sulle questioni più noiose, ma in quanto stagista il direttore le aveva sempre affidato casi di minor importanza, come il resoconto di un concorso di bellezza per bambine oppure la classica storiella del gattino che si era arrampicato su un albero e non voleva scendere.
Non era ancora capitato che scrivesse un articolo di cronaca nera. E invece, adesso, se ne usciva fuori con un pezzo tutto suo di ben mezza pagina sul Lupo!
Marion storse il naso, tornando a guardare il giornale.
- Ha fatto un po’ di storie, ma alla fine l’ho convinto. Sì, okay, mi ha fatto cambiare un po’ di cose…Ad esempio, questa frase qui non c’era prima, e anche il titolo l’ha stravolto completamente…Il mio era molto meno eclatante, sai, non mi piace pigiare troppo sul macabro e l’orrorifico…Comunque, è un bell’inizio, no?
- Assolutamente - Annabelle le rivolse un gran sorriso.
- E non è tutto…- Marion abbassò nuovamente la voce.- Non è ancora sicuro, ma il direttore ha accennato alla possibilità di…mandarmi sul campo.
- Cioè…intendi, sul luogo del delitto?
- Beh, no, non proprio…Credo che intendesse più un’intervista al commissario che si occupa del caso…
- Grande!- esclamò Annabelle.
- Sì, una nota positiva in una giornata nera…- commentò Marion, bevendo un sorso di caffè prima di addentare la brioche.- Stasera devo andare a cena con mio zio…orrore, orrore, orrore…- assunse un’espressione fintamente affranta ma che, Annabelle lo sapeva, nascondeva un fondo di fastidio.
- A proposito…come sta?- le chiese.
- Chi? Zio John? Oh, lui sta benone, rompe le scatole che è una meraviglia…
- No, intendevo…l’altro zio.
Marion esitò un attimo, riducendo le labbra a fessura, quindi le rivolse un sorriso amaro.
Ad Annabelle si strinse il cuore. Le volte in cui qualcuno le menzionava zio Richard erano anche le uniche volte in cui il carattere d’acciaio di Marion sembrava vacillare.
Sin da quando l’aveva conosciuta, quasi quattro anni prima, Annabelle aveva sempre ammirato la sua amica. Marion Fitzwalter era uno di quei tipi che avrebbero preferito venire spezzati in due piuttosto che piegarsi di fronte a chicchessia.
In poche parole, tutto il contrario di lei. Spesso Annabelle si chiedeva come avessero fatto loro due a diventare amiche…e altrettanto spesso si rispondeva che, forse, era per il fatto che entrambe provenivano da famiglie disastrate.
Marion era la nipote di John King, il quale era diventato ufficialmente il banchiere più ricco di Garden Hill dopo l’incidente occorso a suo fratello maggiore Richard. La parentela era dovuta al fatto che la madre di Marion, Elaine King, era la sorella più piccola dei due. Stando a quanto si raccontava in giro, Elaine era stata allontanata dai suoi genitori quando aveva deciso di sposare Theodore Fitzwalter, che all’epoca era un autista presso una delle tante banche della famiglia. I nonni di Marion le avevano sbattuto la porta in faccia, e a quanto pareva anche John aveva troncato i rapporti con lei.
L’unico con cui Elaine fosse rimasta in contatto era Richard, che era anche colui che si era preso la responsabilità di Marion quando, a otto anni, era rimasta sola a seguito della morte di Theodore ed Elaine. Un incidente d’auto.
Da allora, Marion era stata affidata a zio Richard e aveva sempre vissuto con lui e con sua moglie, zia Prudence, che la trattava come una figlia. La sua amica ogni tanto le diceva che zia Prudence le faceva un po’ pena: la donna, infatti, aveva perso una bambina a poche ore dal parto, ed era molto probabile che vedesse nella nipote quella figlia che non aveva mai avuto.
E in effetti, in casa King Marion era sempre stata trattata come una figlia…fino all’incidente di Richard.
Già, incidente…se si poteva chiamare incidente un colpo di pistola.
La polizia era abbastanza concorde che si fosse trattato di un agguato, una specie di vendetta – chissà, magari di qualcuno a cui il banchiere aveva negato un prestito –, eppure non si era ancora arrivati a un colpevole.
Era successo tutto dieci anni prima: Richard King stava uscendo dalla banca all’orario di chiusura, e qualcuno gli aveva sparato sulla soglia. Le telecamere di sorveglianza avevano filmato solo un uomo completamente vestito di nero e con il volto nascosto da un casco.
Richard King si era accasciato a terra e aveva chiuso gli occhi…occhi che ancora doveva riaprire ora, a distanza di dieci anni.
Non si era più risvegliato dal coma. I medici dicevano che la sua situazione era stabile, ma non vi era alcun miglioramento. Le funzioni cerebrali erano intatte, ma non poteva respirare da solo e tutte le cure sembravano non funzionare.
Dopo due anni, John King – che nel frattempo aveva preso il posto del fratello – aveva suggerito di staccare la spina per porre fine alle sue sofferenze, ma zia Prudence restava comunque sua moglie e di conseguenza quella ad avere l’ultima parola – e lei non aveva alcuna intenzione di arrendersi.
- Al solito- rispose Marion, piattamente, bevendo un altro sorso di caffè.- Più che altro è zia Prudence che non mi sembra molto in forma. Avrei voluto incontrarla, stasera, ma…
- Perché? Lei non viene a cena con te e tuo zio?
-Macché!- Marion sbuffò.- Quei due si scannano non appena fiutano l’odore dell’altro…E sinceramente, non la posso biasimare. E’ una settimana che cerco una scusa per non andarci…
Ecco un altro punto dolente.
Dopo ciò che era successo a Richard King, la custodia di Marion era passata al parente più prossimo, ovvero suo fratello John. Per fortuna era durata poco, dato che da lì in capo a un paio di mesi lei aveva compiuto diciotto anni, ma i rapporti non erano mai stati dei migliori, e con il tempo non avevano fatto altro che peggiorare.
Zio John era l’esatto opposto di zio Richard: farfallone, poco propenso ad ascoltare le ragioni della nipote e soprattutto, la sua volontà. Marion diceva sempre di dovere tutto a zia Prudence, perché era stato solo grazie al suo intervento se aveva potuto studiare giornalismo invece di finire a fare la segretaria in una delle banche di John King. Suo zio avrebbe voluto al massimo che studiasse economia, ma Marion avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di allontanarsi da lui e dalla sua aura.
A prima vista, Marion Fitzwalter poteva apparire come la classica figlia di papà con i soldi, snob e arrogante, e anche il suo stile nel vestirsi spesso aiutava: non disdegnava gli abiti firmati, se regalateli da zia Prudence, ed era sempre elegante, senza mai un capello fuori posto – quel giorno per venire in università aveva indossato scarpe di vernice con il tacco, pantaloni di seta nera, camicetta bianca e un orologio firmato Liu Jo! –, ma in realtà era molti più di questo.
Non appena era stata ammessa all’università, aveva preso armi e bagagli e si era trasferita in uno degli alloggi per gli studenti messi a disposizione del campus, nonostante casa sua distasse meno di un quarto d’ora dall’edificio scolastico. Le era dispiaciuto lasciare da sola zia Prudence, le ripeteva sempre, ma stare sotto lo stesso tetto con zio John era diventato insostenibile.
Studiava, lavorava sodo ed era sempre di buon umore.
E soprattutto, aveva avuto coraggio. Un coraggio che Annabelle le invidiava tantissimo. Coraggio di prendere in mano la sua vita, di andarsene da una casa dove aveva solo sofferto e di mostrare a tutti il proprio talento…
Tutte cose che lei non era mai riuscita a fare.
Prima che la malinconia – unita al pensiero di ciò che l’avrebbe attesa a casa al suo ritorno – s’impadronisse di lei, Annabelle sussultò al gesto di Marion che le piantò di fronte un cartoncino color crema con scritte dorate in rilievo.
- Una delle poche cose positive che si possono trarre dalle cene con mio zio- spiegò, di fronte all’espressione allibita della sua amica. Annabelle sbatté più volte le palpebre, perplessa, quindi prese in mano il cartoncino.
Si trattava di un invito.
 
Caroline Woods e famiglia vi invitano sabato 31 ottobre
Alle ore 21:30
 Grand Hotel di Garden Hill, Gillyflower Avenue 53
Al ballo in onore della festa di Ognissanti
 
E’ richiesta la maschera
 
Guardò Marion.
- Ne ho sgraffignato uno di nascosto a zio John - ridacchiò la ragazza.- Ce n’è uno per te e uno per me.
- E’ una festa di Halloween?- mormorò Annabelle, rigirandosi il cartoncino fra le mani.
- Non sai leggere? Certo che è una festa di Halloween!- esclamò Marion.- E l’organizza niente meno che la figlia del rettore!
- Quindi sarà una cosa in, vero?- Annabelle incarcò un sopracciglio, restituendole l’invito.- Grazie, Marion, ma non ci tengo a farmi sbattere fuori come un’imbucata…
- Ma nessuno saprà che se un’imbucata, se presenti questo!- la ragazza glielo rimise in mano a forza.- E dai, Annabelle! Zio John vorrà sicuramente che io ci vada per mantenere buoni i suoi rapporti sociali, ma io mi rompo sempre a queste feste! Se ci fossi anche tu, allora…
- Marion, lo sai che non è il mio ambiente - disse Annabelle.- Sarà tutta gente delle classi alte, persone con i soldi, che sanno come comportarsi…Io non sono mai stata neppure a un ballo di fine anno al liceo!
- Che t’importa? Ci sarò io, in due bastiamo e avanziamo…
- Non ho nemmeno un vestito, né i soldi per comprarmelo. E poi, sinceramente, mi sentirei in colpa a lasciare da solo Simon la sera mentre io vado a divertirmi…
- Per il vestito si può trovare una soluzione. Ti aiuterò io, se vuoi. Quanto a tuo fratello…Annabelle, so che per te è difficile e che sei l’unica che si occupa veramente di lui, ma tua sorella è sempre chiusa in quella stanza giorno e notte, può anche prendersi cura di lui per una sera, no?
- Non mi fido di Theresa.
- Okay, non è il massimo dell’affidabilità, ma tuo fratello potrà badare a lui, no?- incalzò Marion.- Logan è a casa la sera, vero? Può pensare lui a Simon…Oppure c’è anche tuo padre…
- Marion, davvero, non so se…
- Per favore!- Marion le si aggrappò a un braccio, assumendo un’aria così supplichevole che le strappò una risata.- Ti prego, Annabelle! Mi avrai sulla coscienza se non vieni. Morirò ammazzata dagli sbadigli…!
- Io…
- Almeno pensaci!- insistette.- La festa è sabato prossimo, hai tutto il tempo! Facciamo così: tu domani sera mi telefoni e mi dici cosa hai deciso, così pensiamo anche all’abito, okay?
Annabelle fece uno sbuffo divertito, roteando gli occhi.
- E va bene. Prometto che ci penserò, ma non garantisco niente.
- Grande! Allora, io stavo pensando a un abito da chiromante o cortigiana, tu invece potresti vestirti da…
- Marion!
- Scusa.
 
Garden Hill’s High School
 
…morsi e graffi. Sembra quasi che l’assassino si senta veramente come uno dei sopraccitati lupi mannari. Tuttavia, questo non è un film dell’orrore, e la licantropia – intesa in termini clinici – non è ancora stata confermata. Certo, in passato ci furono dei serial killer che si credevano dei lupi, come lo spagnolo Manuel Blanco Romasanta o il tedesco Peter Stubbe, ma naturalmente si trattava di menti disturbate, con una percezione distorta della realtà e del proprio sé…
 

Jasmine Bharrahaji piegò il nuovo numero del Garden Hill Mirror e lo nascose sotto il banco, attenta a non farsi scoprire. La professoressa stava spiegando loro il metodo per stabilire dominio e codominio di una funzione sul piano cartesiano, metodo di cui Jasmine non riusciva proprio a comprendere l’utilità e la possibilità applicativa nella vita comune. Per quanto si sforzasse di trovare anche la più remota professione che avrebbe potuto svolgere da adulta, non riusciva a trovarne una che avrebbe implicato il saper svolgere uno studio di funzione.
Ma d’altra parte, non riusciva neppure a trovare il motivo per cui il preside e i professori si divertissero a torturare in quel modo gli studenti affibbiando loro ben due ore filate di matematica di prima mattina, il primo giorno della settimana.
Per di più, quel giorno il Garden Hill Mirror non offriva neppure delle letture sufficientemente interessanti per aiutarla ad alleviare un poco le sue sofferenze. A dire il vero, a lei non è che piacessero granché gli articoli del quotidiano – la politica l’annoiava, non capiva nulla di economia, non praticava sport e la cronaca nera non l’entusiasmava più di tanto -; preferiva di gran lunga leggere qualche rivista di moda, di cronaca rosa o di gossip, piene di pettegolezzi che riguardavano le celebrità.
Ma purtroppo suo padre non tollerava che lei leggesse simili oscenità, e non aveva neppure la possibilità di rubarne qualcuna a sua madre, dato che Sharifah non era molto appassionata di queste cose, e dunque riusciva a procurarsene una solo comprandola per pochi spiccioli la mattina mentre andava a scuola, oppure recuperandone una dalla spazzatura per poi sbarazzarsene immediatamente prima di tornare a casa.
Ma quel giorno non era riuscita a procurarsi nulla, e non le restava altro da fare se non continuare ad annoiarsi a morte. Si guardò in giro, invidiando infinitamente le sue compagne: la maggior parte di loro aveva un cellulare in mano e stava inviando di nascosto degli SMS oppure facendo dei giochini elettronici. Lei neanche ce l’aveva, un cellulare: suo padre si era sempre rifiutato di comprargliene uno e se doveva fare una chiamata le toccava usare una cabina telefonica se era in giro, oppure il telefono fisso da casa – Jasmine sospettava che anche quella fosse una mossa di suo padre volta a controllarla ancora di più.
Come se già non la tenesse d’occhio abbastanza…
Jasmine sospirò, riprendendo a scrutare le sue compagne di classe. Era un’abitudine che aveva preso sin da piccola, quella di scrutare la gente: le piaceva guardare le espressioni del volto, gli abiti che indossavano, come portavano i capelli…in quel modo, pensava, riusciva a comprendere qualcosa di più su di loro.
Anche se alla prova dei fatti, quello che vedeva la faceva sempre stare peggio di quanto già non si sentisse.
Tutte le sue compagne di classe indossavano jeans strappati oppure minigonne, camicette aderenti, t-shirt con sopra il volto di un personaggio famoso oppure top sbracciati che lasciavano intravedere l’ombelico. Tutte o quasi erano truccate, avevano i capelli acconciati alla moda e indossavano scarpe con i tacchi. Lei, invece, era costretta a venire a scuola tutti i giorni con addosso una maglia a maniche lunghe, anche d’estate, una gonna che le arrivava fino alle caviglie oppure dei jeans a vita alta, e non poteva indossare altro se non scarpe da tennis o ballerine.
Di truccarsi, non se ne parlava neanche. Sebbene Sharifah lo facesse tutti i giorni, Jasmine aveva ricevuto l’esplicito divieto da parte di suo padre – alla tua età chi si trucca è solo una donnaccia! – e i capelli dovevano sempre essere raccolti come minimo in una treccia.
Erano le regole che il Sultano le aveva imposto sin da piccola.
Aveva anche cercato di costringerla a indossare il chador, e non solo il venerdì quando andavano tutti insieme alla moschea, ma per fortuna Sharifah aveva preso le sue difese, opponendosi. Se non ci fosse stata sua madre, pensava spesso Jasmine, molto probabilmente lei a quest’ora se ne sarebbe andata in giro con addosso il burka.
Il Sultano ne sarebbe stato capace. Oh sì, eccome.
Il vero nome di suo padre era Muhammad Bharrahaji, ma era stato soprannominato il Sultano un po’ per scherzo e un po’ per beffa, per via del suo atteggiamento spesso e volentieri altezzoso. Caratterialmente non era cattivo, anzi, era un vero bonaccione alle volte, ma era sempre stato molto fissato con il senso del dovere e del rispetto della loro cultura.
A Jasmine sarebbe andato anche bene così: non le dispiaceva mangiare i cibi indiani che Sharifah cucinava a pranzo e a cena; era una brava religiosa, andava alla moschea tutti i venerdì a pregare e seguiva le leggi del Corano per quanto le era possibile.
Ma non aveva nemmeno le fette di salame sugli occhi.
Sapeva che tutto il fanatismo di suo padre era solo…fanatismo, appunto. Conosceva tante altre ragazze indiane come lei che potevano fare ciò che volevano e avevano una vita normale. Lei invece no: non si era mai sentita come le altre ragazze o le sue compagne del liceo. E presto, questa sua diversità l’aveva condotta a una specie d’isolamento.
A quel pensiero, Jasmine prese a guardarsi intorno con più attenzione, cercando con lo sguardo l’altra ragazza che, esattamente come lei, era finita ostracizzata per un motivo o per un altro.
Era seduta due banchi di fronte a lei, e teneva il capo rosso fuoco chino sul quaderno: si trattava di Ariel Waters, che aveva sedici anni ed era una classe avanti rispetto a tutti gli altri della sua età. Jasmine non aveva mai seguito i successi di Ariel, ma ne sapeva qualcosa: già a sedici anni era una promessa nel mondo del nuoto e, a quanto pareva, quell’anno avrebbe partecipato alle Olimpiadi di Tokyo. Era una tipa silenziosa e taciturna, parlava con poche persone e non appena la campanella terminava filava subito via, ad allenarsi nella piscina della Garden Hill’s High School o in quella privata di casa sua. Spesso si presentava a scuola senza aver fatto i compiti perché aveva trascorso il pomeriggio seguente ad allenarsi, ma nonostante tutti i rimproveri dei professori la storia si ripeteva ogni volta, e a fine anno restava sempre promossa solo grazie all’influenza sociale di suo padre.
La campanella che segnava la fine delle due ore di matematica suonò, e Jasmine tirò un sospiro di sollievo, raccogliendo le proprie cose pronta a dirigersi all’aula di biologia. I suoi compagni di classe fecero lo stesso.
Uscendo, Jasmine vide che Ariel sostava accanto al cestino della spazzatura e vi gettava dentro quello che aveva tutta l’aria di essere un cartoncino color crema e oro.
Jasmine attese che la folla di studenti si diradasse quindi, incuriosita, si avvicinò velocemente al cestino e ne estrasse ciò che Ariel aveva gettato via. Lesse attentamente ciò che vi era scritto.
Era l’invito a una festa di Halloween.
 
Garden Hill’s University
 
- Scusami, è tutta mattina che ti assillo con i miei problemi e tu non hai ancora parlato…- fece Marion mentre camminavano lungo il marciapiede che conduceva alla metropolitana. Spesso, finite le lezioni, se terminavano a un orario comune la sua amica l’accompagnava fino alla metro prima di tornare nel suo alloggio al campus.- Come va con la tesi?
- Male…- confessò Annabelle, con una smorfia.- Ho chiesto al professor Lightcandler di darmi un consiglio, ha detto che vedrà di trovare qualcosa…
- Non hai ancora idea di cosa fare?- s’informò Marion.
Annabelle scosse il capo con costrizione. Aveva stabilito di laurearsi a febbraio, e ancora non aveva uno straccio d’idea per la sua tesi. Aveva solo qualche spezzone confuso nella sua mente, ma nulla di concreto. Nulla che valesse la pena di provare a buttare giù.
- Strano, la fantasia non ti manca…- commentò Marion.- A proposito…hai poi messo mano a quel romanzo che mi dicevi?
- Marion, ne abbiamo già parlato: non è il caso.
- Ma perché?- Marion smise di camminare, e le si parò di fronte in modo che Annabelle non potesse proseguire.- Annabelle, l’idea è geniale!
- E’ banale, invece, e poi è solo un abbozzo.
- Che c’è? Hai paura che nessuno voglia pubblicarlo? Abbi fede; tu inizia a buttarlo giù, poi vedrò io di parlare con il direttore del Garden Hill Mirror o…
- Marion, no!- sbottò Annabelle, sgranando gli occhi.- Marion, a parte che i raccomandati mi disgustano, io non sono una scrittrice…Non riesco neanche a trovare l’argomento per la mia tesi…
- Annabelle, ascoltami: io sono una giornalista e, lo ammetto, riesco solo a scrivere basandomi su fatti reali. Ma tu hai una mente fantastica! Quei racconti che scrivi sono oro colato, il mio direttore pagherebbe fior di quattrini per vederne pubblicato uno…
- Marion, io…
Annabelle non terminò la frase. Il rombo di un motorino che si avvicinava le raggiunse con violenza, e subito una moto trasandata si accostò a loro velocemente. Prima che potesse rendersene conto, Marion si vide afferrare la borsetta dal motociclista.
Lanciò un urlo a metà fra la sorpresa e la protesta, ma con uno strattone lo scippatore riuscì a strappargliela di mano, facendo barcollare la ragazza. La moto sbandò, strisciando la fiancata contro un muro di cinta. Marion finì a terra, sbucciandosi i palmi delle mani contro il marciapiede, mente la moto si allontanava a tutta velocità.
-Bastardo!- strillò Annabelle.
- Merda!- imprecò Marion mentre l’amica l’aiutava a rialzarsi.- Stronzo figlio di puttana! Sei riuscita a vedere la targa?
- No, non l’ho vista…
- Cazzo…!
Marion rimase a fissare il punto in cui era scomparsa la moto. Dentro la borsetta aveva tutto: soldi, documenti, cellulare…e l’abbozzo del suo nuovo articolo sul Lupo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Dopo lunga e penosa malattia…eccomi qua :D. Dunque, non sono molto soddisfatta di come è venuta fuori Annabelle, ma nel prossimo capitolo scopriremo perché è così insicura ;). Ah, keep an eye sui genitori di Marion e sulla figlia di zio Richard e zia Prudence :). Nel prossimo capitolo scopriremo anche chi è il ladro e che connessione ha con le protagoniste e chi è la mamma di questa storia :).
Comunque, ci avete azzeccato tutte su Nathan ;). Compliments!
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito…ho trovato parecchie infatuazioni per il Lupo ;).
Ciao, un bacio,
Beauty
  
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