Pairing: Sam x Castiel x Dean {wincestiel - platonic}
Rating: PG
Genre: Introspettivo; Triste; Fluff;
Words: 1337
Warning: slash; kids!verse; au {harrypotter!verse};
Prompt: Preveggenza
Disclaimers: I personaggi di Supernatural appartengono a chi di diritto, l'ambient di Harry Potter appartiene a J. K. Rowling.
Scritta per la Missione 2 del Cowt-4 @ maridichallenge
Accadde in una mattina colorata d'arancio e
profumata d'autunno, poche settimane dopo aver festeggiato con placido
entusiasmo il suo ottavo compleanno e aver ricevuto la sua prima scopa da
adulto – una Scopalinda dal manico corto in legno di faggio, su cui aveva
provato ad incidere il suo nome con un diffindo troppo debole, riducendolo ad
uno sgorbio incomprensibile.
Fu in un giorno di fine ottobre, quando il freddo iniziava a bussare alle porte
della Londra magica e della tenuta dei Novak, costringendolo sempre più spesso
al chiuso, tra le pareti di una casa piena di servitù ma vuota di calore
umano, che Castiel scoprì le sue doti di Divinazione.
In piedi su una seggiola del salotto, affacciato sul tavolo e con le mani
protese alla sfera di cristallo che da sola occupava il centrotavola, adagiata
tra le pieghe di seta viola di un cuscino, aveva voluto vedere da più vicino le
volute di fumo magico che danzavano all'interno e che sembravano chiamarlo a
loro. La prese in mano, come se gli fosse appartenuta da sempre e da sempre avesse
cercato tra le increspature della nebbia, dove un volto si mostrò ai suoi occhi.
Fu il volto di una madre che non era la sua a farsi avanti e c'erano lacrime
sulle gote pallide e vetro negli occhi, che li rendeva immobili, senza vita,
mentre onde bionde ne incorniciavano il volto sconosciuto.
A otto anni, non conosceva molto né della morte, né delle madri. Suo padre, con
tono distante e la poca attenzione che era costretto a dargli quando il figlio
gli si avvicinava troppo, gli aveva raccontato della tragedia che aveva spento
sua madre; ma Castiel, nella sua innocenza di bambino, non aveva capito. Aveva
creduto si fosse trattato di qualcosa di semplice e naturale, come una brezza
marina arrivata a portarsi via la vita della donna, sfiorandola con mani gentili
e consegnando lui tra le braccia di suo padre. Fino ai sei anni, aveva perfino
ignorato il significato della parola mamma, sentendola per la prima volta
dal figlio dei vicini, disperato perché sua madre si era dimenticata di comprare
cioccorane e api frizzole.
Le mani – troppo piccole per reggere il peso di quella visione – si staccarono
immediatamente dalla sfera, consegnandola alla gravità e al pavimento. Si
infranse ai suoi piedi, in tanti lucidi frammenti trasparenti che riflettevano
immagini di una casa sconosciuta in cui vivevano due bambini e un uomo che non
sarebbe mai stato pronto ad affrontare la morte della moglie.
Il primo istinto fu quello di correre via, spaventato, nel tentativo di
dimenticare quanto successo.
Suo padre non si era accorto di nulla, era stata la servitù a raccoglierne i
cocci e buttarli via, lamentandosi del piccolo e della seccatura che aveva
provocato loro, ma, prima che anche l'ultimo coccio fu raccolto, lui era tornato
nel salotto per rubarlo, portandolo con sé nella propria stanza.
Dormiva da solo in un letto troppo grande per un bambino così piccolo, con
pareti immacolate, lenzuola candide e libri di testo a riempire la scrivania,
insieme ad una bacchetta che non era solito usare.
L'infantile curiosità lo aveva vinto e gli occhi blu avevano cercato impazienti
altre immagini in quel pezzo di vetro.
Aveva rivisto la donna – viva, questa volta – i due bambini e l'uomo e aveva
capito subito, sentendolo nel suo istinto di purosangue, che si trattava di una
famiglia mezzosangue e che anche lui ne avrebbe voluta una identica, fatta di un
fratello, un padre che avrebbe finalmente risposto ai suoi sguardi e una madre a
cui porre tutte le domande che aveva sempre avuto e sempre taciuto. Sì, anche
lui avrebbe voluto una madre, decise, mentre la guardava avvicinarsi in punta di
piedi al figlio minore e sorrideva davanti alla meraviglia dei suoi enormi
occhi, in cui l'ambra si tuffava in un mare smeraldino. Era stato come aprire
una finestra su un giardino estraneo e spiare pezzi della loro vita, catturando
la vista delle braccia sottili della donna mentre sollevavano il figlio maggiore
e volteggiava insieme a lui nella grazia di una ballerina in un carillon, o
sentendola raccontare storie della buonanotte seduta sul lettone dei due
bambini.
L'aveva spiata baciare i capelli castani e scarmigliati del più piccolo e
disegnare con l'indice lentiggini sul visetto paffuto del più grande e, pur
sapendo di non poter essere udito, l'aveva chiamata, bisbigliando il suo nome
come fosse un segreto.
Mamma...
Cercando in lei quella figura materna che mancava nella vita di Castiel, quel
calore che, grazie alle sue visioni, aveva appena cominciato a conoscere ma che,
inevitabilmente, svanì nella nebbia quando il vetro si bagnò delle lacrime dei
bambini e dell'uomo e la famiglia cadde in pezzi, come la sfera di cristallo nel
salotto di casa.
Quando il frammento di cristallo divenne inutilizzabile e le visioni smisero di
fargli compagnia uscì dalla propria stanza, per cercare suo padre.
Di lui conosceva bene le spalle larghe, coperte dal mantello, in procinto di
lasciare la tenuta e andare altrove, dove il dovere lo reclamava. Ed era proprio
alle sue spalle che Castiel si ritrovava a parlare, le poche volte in cui
prendeva coraggio per rivolgergli la parola e ricordargli la propria esistenza.
«Padre?» domandò piano, cercando un volto che non si girò verso di lui «Posso
avere una nuova madre?»
Di quel giorno d'autunno, in cui le foglie cadevano sul tappeto ingiallito del
prato, scrocchiando sotto il soffio del vento, Castiel ricordò il silenzio di
suo padre ed il suo sguardo fisso, oltre i cancelli della tenuta. Ricordò di
aver aspettato a lungo, pieno di un'aspettativa che gli gonfiava il petto di
tanti se (e se non dovessi piacere alla mia nuova mamma? E se nemmeno lei mi
guardasse? E se anche lei morisse? E se…) e di aver, infine, docilmente
indietreggiato, un passetto alla volta.
Di quel giorno d'autunno, sotto un cielo colorato da bucce d'arancia e scorze di
limone, Castiel ricordò le spalle di suo padre, il suo saldo silenzio e quanto
sentisse la mancanza di una madre che non aveva mai neppure incontrato.
~
Nove anni dopo, nell'aula di divinazione, gli occhi che osservano la sfera di
cristallo appena rubata dall'ufficio del professore Shurley sono diventati tre
paia.
L'aula ha un aspetto inquietante durante la notte e le tende colorate, che
danzano gonfiate dall'aria fredda che spira tra le pietre del Castello,
somigliano a fantasmi giunti a dare l'allarme della loro presenza.
Dean spera di vedere l'esame di pozioni che lo attende in settimana, in quella sfera, mentre Sam
vorrebbe solo che il fratello smettesse di convincere Castiel a partecipare alle
sue idee stupide.
«Allora, Cass, che cosa vedi? C'è possibilità che prenda un Eccezionale?
Mi va bene anche un Oltre ogni previsione, non sono così schizzinoso.»
«E ti farebbe così schifo studiare per una volta, Dean? Tanto per fare qualcosa
di diverso.»
«Tsk, non abbiamo tutti tempo da perdere come te, cervellone, ho una coppa del
Quidditch da vincere, io!»
«Come se io, invece, non partecipassi al torneo…»
«Ah già, dimenticavo che gli standard dei corvi si sono abbassati quest'anno e
accettano anche i troll.»
«Idiota.»
Dean ride sottovoce, Sam lo spintona e Castiel solleva gli occhi dalla sfera di
cristallo, in cui le visioni si accalcano per mostrarsi a lui e parlargli di un
futuro non del tutto deciso.
«Embè? Che hai visto?» Dean fa ricadere mollemente il braccio intorno alle sue
spalle, con l'aria cameratesca di un principe leone a cui tutto è consentito.
Il tocco di Sam è più discreto, la sua mano sfiora quella dell'hufflepuff e
quando Castiel se ne accorge, allunga le dita in quelle del ravenclaw.
«Sam ha ragione, dovresti studiare, Dean.»
«C'mon, Cass, neppure gli ingredienti del compito? Il nome della pozione? Gli
effetti?»
Castiel scuote il capo e Dean si rassegna.
«Dude, te lo devo dire, sei una sega in divinazione.»
«Ma sta' zitto, Dean.» Sam rotea gli occhi al soffitto e Castiel sorride pacato,
specchiando negli occhi il volto dei due fratelli.
Non è apparso alcun esame di pozioni nelle sue visioni, ma ha visto i volti di
due bambini che credeva persi nella memoria dei suoi otto anni, li ha visti
farsi adulti, intrecciare le loro vite con la sua e fargli dono del tepore di
una famiglia vera.
Note: Seconda
hogwartsverse per me. Se la prima era ambientata nella Londra Babbana durante
l'adolescenza di Castiel, questa parte invece dalla sua infanzia, che è comunque
ancora vaga perchè le idee stanno prendendo piede molto lentamente e in modo
molto confuso. Non so perché ma in ogni universo possibile, nella mia testa,
Castiel non ha avuto un'infanzia esattamente normale - in questo, di sicuro, no,
perchè papà Novak è uno di quei padri assenti, non alla John Winchester che è
impegnato a vendicare l'amore della sua vita o robe del genere, ma quasi. E' più
come l'altro Padre Assente, quello che non si sa se esista, se ami i suoi figli,
perchè non lo dica apertamente e perchè metta loro davanti solo difficoltà,
pene, pianti e disperazione. Ecco, più quel genere, magari in chiave
meno blasfema